Ascona (Svizzera) – ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita

ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita
Ascona (Svizzera), Museo Comunale d’Arte Moderna (via Borgo 34)
20 settembre 2020 – 10 gennaio 2021

L’esposizione racconta la vicenda di due compagni di vita, pionieri dell’avanguardia del Novecento

Alexej Jawlensky, Autoritratto, 1912, Olio su cartone, 53,5 × 48,5 cm,
Wiesbaden, Museum Wiesbaden

Dal 20 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, il Museo d’Arte Moderna di Ascona (Svizzera) ospita una importante retrospettiva che approfondisce il rapporto tra Alexej Jawlensky (1864-1941) e Marianne Werefkin (1860-1938) che, individualmente e in coppia, hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell’arte nel primo Novecento.

Per la prima volta, la mostra mette a confronto queste due originali figure di artisti, attraverso 100 opere che ripercorrono le carriere di entrambi, in un arco temporale che dalla fine dell’Ottocento, giunge fino agli anni trenta del XX secolo, ponendo particolare attenzione alla loro relazione privata.

La rassegna, curata da Mara Folini, direttrice del Museo d’Arte di Ascona, è la terza e ultima tappa di un itinerario che ha toccato due delle maggiori istituzioni tedesche per l’arte espressionista, come lo Städtische Museum im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden.

Il rapporto estremamente complesso che ha legato Alexei Jawlensky e Marianne Werefkin si è sviluppato tra il 1892 e il 1921, dagli esordi a San Pietroburgo, a Monaco di Baviera (1896), città che li vide al centro del dibattito artistico internazionale dell’epoca, come fondatori della Nuova Associazione degli Artisti di Monaco (1909), premessa alla nascita del Blaue Reiter (1910) e della rivoluzionaria arte astratta del loro amico e compatriota Vassilj Kandinsky, alla quale Marianne Werefkin seppe dare fondamento teorico nei suoi scritti, fino agli anni trascorsi in Svizzera, in particolare nel borgo di Ascona, dove la stessa Werefkin fu attivissima in ambito culturale, nel partecipare alla fondazione del Museo Comunale (1922) e dell’Associazione artistica Der Grosse Bär (1924).

I due sono stati molto più di una semplice coppia d’artisti, profondamente connessi dal punto di vista emotivo: sembravano dipendenti l’uno dall’altra, compagni di vita, legati in una “relazione d’amore eroticamente platonica” (com’ebbe modo di sottolineare Lily, la moglie di Paul Klee), che in realtà nascondeva il disagio di una donna che, pur di affermarsi in un mondo declinato al maschile, decise di reprimere la sua femminilità in nome dell’arte come missione.

Il percorso espositivo segue la linea cronologica della loro liaison, iniziata nella primavera del 1892, per il tramite del loro comune maestro Ilya Repin, uno dei più importanti realisti russi, sostenitore di un’arte che emancipasse il popolo russo e “portatore” in patria del chiaroscuro di Rembrandt; Repin fu per Marianne Werefkin una figura decisiva, prima del suo trasferimento in Germania, come ne è prova il suo Autoritratto del 1893, una delle rare testimonianze di questa sua iniziale fase creativa.

Abbandonato l’ambiente russo artisticamente conservatore e limitante, la coppia si trasferisce a Monaco di Baviera nell’autunno 1896, per ricominciare su nuove basi e stimoli, affiancata da grandi personalità dell’arte quali Wassily Kandinsky, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Franz Marc, Agust Macke e altri.

È il periodo nel quale Marianne Werefkin smise di dipingere e, invece d’inseguire una personale gloria artistica, si dedicò alla promozione del talento di Jawlensky. Come scrisse lei stessa: “Cosa potrei ottenere lavorando, seppure in maniera mirabile? Qualche opera che forse non sarà male. (…) Se non dipingo e mi dedico interamente a ciò in cui credo, vedrà la luce l’unica vera opera, l’espressione della fede artistica, e per l’arte sarà una vera conquista. Per questo vale la pena di aver vissuto”.

Sono anni in cui molte artiste riflettono sulla loro identità. All’epoca, infatti, i loro contributi godevano di scarsa attenzione da parte del pubblico, poco incline a riconoscere loro una necessaria originalità e creatività.

Questo volontario esonero durò un decennio. A interromperlo fu il progressivo guastarsi del rapporto tra i due, dovuto all’ingresso di un’altra donna, la loro domestica Helena Nesnakomova, con la quale Jawlensky aveva intessuto una relazione amorosa e dalla quale nacque nel 1902 il figlio Andreas; a questo si aggiunse la scelta di Jawlensky di perseguire una nuova strada artistica, diversa da quella prospettata da Werefkin, nel suo ruolo di guida.

Ritrovata la fiducia nei suoi mezzi espressivi, nel 1906 Werefkin ricominciò a dipingere e passò a una pittura a tempera già scevra da stilemi post-impressionisti alla Van Gogh (ancora presenti invece nella pittura di Jawlensky e in quella degli amici Kandinsky e Münter), e che si richiamava invece a Gauguin e ai Nabis, nello sperimentare le tecniche più diverse – gouache, pastelli, carboncini, gessetti, penne e matite – mescolandole in campiture di colore contrastanti, verso una composizione ritmica, seriale, avvolgente e perlopiù visionaria.

Sono opere che dimostrano quanto Marianne Werefkin fosse l’antesignana di quel nuovo linguaggio espressionista che prende forma, fin dal 1907, nelle sue opere e nei suoi numerosissimi quanto febbrili schizzi, e che porta come suo contributo nei fertili soggiorni di Murnau (1908, 1909), cittadina delle Prealpi bavaresi, ricordati dalla critica come i più significativi per la svolta astratta di Kandinsky.

Nei quadri successivi al 1906 si notano tutte le peculiarità che continueranno a caratterizzare l’opera di Marianne Werefkin, come la simbolica e opprimente atmosfera di fondo (Stimmung), o gli scenari fantastici dominati da un carattere visionario e lirico. Dal punto di vista stilistico, tutti questi lavori testimoniano quanto Werefkin avesse fatta sua la lezione dei sintetisti francesi, imbastendo le sue opere in composizioni bidimensionali tendenzialmente geometriche e seriali (ellissi, file prospettiche accorciate, linearità sinuose che a volte si spezzano), grazie all’uso sapiente dell’à plat e del cloisonné, nello stile più classico di Paul Gauguin e poi dei Nabis. Esemplari a tal proposito Autunno-Scuola (1907), Birreria all’aperto (1907), Pomeriggio domenicale (1908), Il danzatore Aleksandre Sakharov (1909), I pattinatori (1911).

Quanto a Jawlensky, il suo primo decennio a Monaco aveva evidenziato quanto il colore fosse il suo mezzo espressivo per eccellenza; una cifra che lo accompagnò già nel periodo prebellico, con la serie delle pastose teste colorate che sublimerà in quelle Mistiche (dal 1914), per poi arrivare a quelle ieratiche e cupe delle Meditazioni, negli ultimi anni di vita.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, i due furono costretti a riparare nella neutrale Svizzera; dapprima a Saint Prex sul lago Lemano (1914), poi a Zurigo (1917) e infine ad Ascona (1918). Per la prima volta conobbero la povertà e vivendo di stenti e da esiliati senza patria. Rimarranno insieme per altri sei anni, nonostante le loro strade avessero ormai preso, dal punto di vista sentimentale e artistico, direzioni diverse. Jawlensky fece il grande salto verso un’astrazione lirica e mistica che culminerà infine nelle sempre più radicali, perentorie croci buie della sua tarda produzione a Wiesbaden (1921-1938), dove si era trasferito nel 1921, abbandonando Werefkin ad Ascona.

Marianne Werefkin continuerà lungo la strada di un espressionismo più radicale, nell’enfatizzare sempre più le forme in moti vorticosi, vitalistici, che coincidono con un recupero di quesiti più esistenziali e terreni, tra il visionario e l’aneddotico, per trovare infine, negli ultimi anni della sua vita, un’intima riconciliazione con il mondo, grazie al suo rinnovato interesse per l’amore francescano di cui Ascona, patria di accoglienza d’artisti, assurgerà a simbolo cosmico di una pace interiore a lungo agognata.

Chiude idealmente il percorso una sezione dedicata alle opere di Andreas Jawlensky, figlio di Alexej ed Helena Nesnakomova, che proprio in Svizzera ha trovato la sua maturità artistica, coltivata al cospetto di suo padre e di Marianne Werefkin.

La rassegna è il frutto di una felice collaborazione tra il Museo d’Arte Moderna di Ascona con lo Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden, senza dimenticare l’apporto dell’Archivio Jawlensky di Muralto e della Fondazione Marianne Werefkin di Ascona. Accompagnano la mostra tre cataloghi edizioni Prestel, in italiano, tedesco e inglese.

IMMAGINE DI APERTURAMarianne Werefkin, Autoritratto, 1910 circa, Tempera e polvere metallica su carta incollata su cartone, 51 × 34 cm, Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau München (Particolare)

Parma – LIGABUE E VITALONI. Dare voce alla natura

PARMA – 19 SETTEMBRE 2020 | 30 MAGGIO 2021
LA MOSTRA DI ANTONIO LIGABUE INAUGURA IL NUOVO SPAZIO ESPOSITIVO DI PALAZZO TARASCONI

La mostra presenta 83 dipinti e 4 sculture di uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano e si completa con la sezione di 15 opere plastiche di Michele Vitaloni che condivide con l’artista di Gualtieri una particolare empatia verso il mondo naturale e animale.

Antonio Ligabue, Autoritratto con sciarpa rossa, 1958, olio su faesite, 75×59

Parma si riappropria di un nuovo spazio espositivo, nel cuore della città ducale, all’interno del cinquecentesco Palazzo Tarasconi, con una grande mostra dedicata ad Antonio Ligabue (1899-1965), uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano. A causa dell’emergenza Coronavirus, la rassegna inizialmente prevista tra aprile e dicembre di quest’anno, è stata riprogrammata dal 19 settembre 2020 al 30 maggio 2021.

L’esposizione, ideata e realizzata da Augusto Agosta Tota, Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi, organizzata dal Centro Studi e Archivio Antonio Ligabue di Parma, promossa dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, inserita nel calendario d’iniziative di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21, presenta 83 dipinti e 4 sculture di Ligabue, capaci di analizzare i temi che più hanno caratterizzato la sua parabola artistica, dagli autoritratti, ai paesaggi, agli animali selvaggi e domestici.

Il percorso prevede, inoltre, una sezione con 15 opere plastiche di Michele Vitaloni (Milano, 1967) che condivide con Ligabue una particolare empatia verso il mondo naturale e animale.

“Torneremo a guardare il mondo attraverso gli occhi di Antonio Ligabue – afferma Augusto Agosta Tota, presidente della Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma -. Come il grande pittore della Bassa, in questi mesi d’isolamento, abbiamo imparato a provare nel nostro profondo un sentimento di angoscia, di dolore e d’impotenza, mischiato a quello di speranza e di attesa di una normalità che sentivamo di poter raggiungere”.

“E ora che abbiamo una data di apertura della mostra – sabato 19 settembre – e la segreta fiducia che il peggio di questa terribile pandemia è ormai alle spalle, possiamo finalmente allenare le nostre anime ad accogliere le emozioni che solo le opere di Ligabue possono infondere. Per un sottile gioco del destino, l’esposizione si apre alle porte dell’autunno, la stagione che più si trova in sintonia con il linguaggio espressionista di Ligabue”.

“La rassegna – conclude Augusto Agosta Tota – presenta i capolavori di Ligabue, affiancati dalle sculture di Michele Vitaloni, suo epigono contemporaneo, entrambi attratti dal mondo della natura, degli animali selvatici e della loro forza vitale. Una mostra insieme affascinante e ricca di spunti di riflessione molto attuali che, oltre a essere una delle iniziative inserite nel calendario di Parma capitale italiana della cultura 2020+21, darà modo al pubblico di scoprire un nuovo e suggestivo spazio espositivo, nel cinquecentesco Palazzo Tarasconi, nel cuore della città ducale”.

L’allestimento, di grande impatto visivo e teatrale, appositamente progettato da Cesare Inzerillo per creare un’atmosfera di fusione fra pittura e scultura, condurrà il visitatore all’interno dell’immaginario creativo di Ligabue, analizzando gli argomenti più frequentati dall’artista.

A partire dagli autoritratti, che costituiscono una perenne e costante condizione umana di angoscia, di desolazione e di smarrimento; il suo volto esprime dolore, fatica, male di vivere; ogni relazione con il mondo pare essere stata per sempre recisa, quasi che l’artista potesse ormai solo raccontare, per un’ultima volta, la tragedia di un volto e di uno sguardo, che non si cura di vedere le cose intorno a sé, ma che chiede di essere guardato, anche solo fugacemente.

“C’è il mondo interiore che si esibisce nei suoi autoritratti – afferma Vittorio Sgarbi – Ligabue parla con se stesso, si chiede e ci chiede qualcosa. Anche in questo caso è evidente il disagio. Ligabue si batte la testa con un sasso, cerca di scacciare gli spiriti maligni. L’autoritratto non è una forma di narcisismo, esprime la necessità di capirsi meglio, in un processo di autoanalisi. L’autoritratto è l’immagine del malessere, e Ligabue ci tiene a farlo conoscere”.

Un nucleo importante di opere è dedicato al mondo naturale, in particolare al regno animale; sia a quello della bassa padana, ambientato in una quotidianità di duro lavoro nei campi (come nella tela Aratura del 1961), o di semplice vita agreste (come nel dipinto Cortile del 1930), ma anche e soprattutto a quello selvatico, dove protagonisti sono tigri, leoni, leopardi, iene, che Ligabue prima studiava sulle pagine dei libri e poi dipingeva, identificandosi con loro a tal punto da assumerne gli atteggiamenti: Ligabue, infatti, ruggiva spaventosamente e imitava le movenze nell’atto di azzannare la preda. Esemplari a tal proposito sono alcune opere esposte a Parma, come Leopardo con bufalo e iena (1928),  Tigre assalita dal serpente (1953), Re della foresta (1959), Vedova nera (1951).

“Gli animali che Ligabue vede nella foresta – dichiara ancora Vittorio Sgarbi – sono simboli di forza, di energia, emblemi di un desiderio di libertà, di riscatto. Ligabue, uomo umiliato ed emarginato, come pittore si afferma e vince attraverso la potenza gloriosa dell’animale. La tigre domina la foresta, la sua aggressività è vincente, ma la sua vittoria è pericolo, è la dimensione bellicosa dell’umanità. Ligabue parla di sé, definisce il suo mondo, visto e immaginato, e comunque reale. E se parla di se stesso, non parla con se stesso perché non deve comunicarsi niente”.

L’eredità di Ligabue si spinge fino alla contemporaneità. L’esposizione, infatti, dà conto di un gruppo di lavori di Michele Vitaloni, rappresentante di spicco della Wildlife Art e dell’iperrealismo scultoreo. Come il Toni, Vitaloni è attratto dal fascino della figura animale selvaggia, dall’eleganza dei loro corpi che riflettono la parte selvatica della natura umana. Tra le volte delle cantine di Palazzo Tarasconi, 15 sculture di grandi dimensioni si confronteranno con i capolavori di Ligabue raccontando l’urgenza di quell’energia del mondo animale che appartiene a tutti gli esseri umani.

“A Palazzo Tarasconi a Parma – scrive Sgarbi nel catalogo di mostra – si consuma lo scontro tra Antonio Ligabue, presente e vivo davanti a noi, e Michele Vitaloni. Vitaloni è nato due anni dopo la morte di Ligabue. Oggi, chi è vissuto abbastanza da averli visti entrambi attivi, Augusto Agosta Tota, li mette uno a fianco dell’altro e ne scopre affinità che non sono soltanto determinate dalla identità dei soggetti, soprattutto animali selvaggi, leoni, tigri, leopardi, ma da energia, animazione, vita. Ne consegue, nel motivato confronto,  che gli animali di Ligabue sono vivi, non dipinti. Vitaloni li riproduce per esaltarne la bellezza.”

In occasione della mostra di Parma, la Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma presenterà il “Catalogo generale di Antonio Ligabue. Pitture, sculture, disegni e incisioni”, in tre volumi, (edizione bilingue italiano e inglese) con testi, tra gli altri, di Augusto Agosta Tota, Vittorio Sgarbi, Flavio Caroli, Marzio Dall’Acqua.

L’esposizione mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) con la riproduzione di tutte le opere esposte e saggi dei curatori.
QN Quotidiano Nazionale è media partner dell’iniziativa.

La rassegna è dedicata alla memoria di Flavio Bucci, l’attore scomparso lo scorso 18 febbraio che, con la sua indimenticabile interpretazione, aveva dato volto ad Antonio Ligabue, nel film diretto nel 1982 da Salvatore Nocita.

IMMAGINE DI APERTURA – Antonio Ligabue, Testa di tigre, 1953-54, olio su faesite, cm 66,4×57,4

Gallarate (VA), Museo MA*GA – William Xerra. Mento al niente. Manifesti

Due le mostre in programma: La fantasia è un posto dove ci piove dentro e la personale Mento al niente. Manifesti di William Xerra.

La riapertura del museo e le attività culturali di questo periodo sono rese possibili grazie al sostegno di RICOLA.
Dopo un primo periodo sperimentale, con accessi contingentati e solo su prenotazione, da martedì 7 luglio, il Museo e la sala studio rimarranno aperti dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 13.00 a ingresso gratuito fino a tutto luglio.

William Xerra, Mento alla luce, 2003

Sabato 20 giugno 2020, dopo le restrizioni dell’emergenza Coronavirus che ne avevano decretato la chiusura degli uffici e degli spazi espositivi, il MA*GA di Gallarate (VA) riapre al pubblico, seppure a capienza limitata e su prenotazione obbligatoria, per garantire i corretti parametri di sicurezza e accoglienza.

La riapertura del museo e le attività culturali dei prossimi mesi sono rese possibili grazie al contributo di Ricola, partner istituzionale del MA*GA.

“Le idee di Calvino – ricorda Sandrina Bandera, presidente del MA*GA – esposte all’interno della mostra attraverso le opere del museo selezionate, siano anche il viatico per questa riapertura: abbiamo tutti bisogno di serenità, di sintesi e di molta concretezza, piccoli ma profondi concetti per una nuova rinascita.

“La casa municipale dell’arte e della creatività – dichiara Claudia Maria Mazzetti assessore ai Musei della Città di Gallarate – non ha certamente avuto problemi a reinventarsi, allineandosi alle nuove disposizioni. Questo periodo di sosta per le attività artistiche ed educative del MA*GA è servito a organizzare ogni singolo dettaglio delle prossime mostre che ospiteremo in Via De Magri, dalla mostra La fantasia è un posto dove ci piove dentro. Dalle Lezioni Americane di Calvino alla collezione del MA*GA a quella di William Xerra Mento al nienteManifesti. Inoltre al MA*GA sarà allestito un nuovo camp estivo per andare incontro alle esigenze dei ragazzi e delle famiglie abbinando le attività artistiche e la natura”.

“Ricola è dotata, come il MA*GA, di un grande amore per la cultura. Il legame tra Ricola e MA*GA è particolarmente intenso in questa fase in cui il museo riapre le porte al pubblico. Mi piace ricordare che il MA*GA ospita l’unico giardino permanente delle erbe Ricola fuori dalla Svizzera. Vi aspettiamo quindi per una visita e per conoscere da vicino le 13 erbe che compongono la miscela alla base della tradizionale ricetta” afferma Luca Morari – CEO Divita e Vice President Southern Europe Ricola.

Due sono le mostre in programma.

La prima, dal titolo La fantasia è un posto dove ci piove dentro.  Dalle Lezioni Americane di Calvino alla collezione del MA*GAa cura di Alessandro Castiglioni, vicedirettore del museo gallaratese, prosegue il percorso di relazione tra letteratura e arti visive che ha caratterizzato e continua a contraddistinguere la ricerca storica e critica del MA*GA.

La rassegna, fino al 15 novembre 2020, utilizza come punto di partenza le celebri lezioni che Calvino avrebbe dovuto tenere presso l’Harvard University nel 1985 con il titolo “Six Memos for the Next Millenium”.

Le idee di Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità permetteranno di rileggere in modo inedito alcune tra le opere più significative della collezione del museo, sia storiche che contemporanee da Fausto Melotti a Lucio Fontana, da Ugo La Pietra a Marina Ballo Charmet, da  Marion Baruch a Stefano Cagol.

La seconda, fino al 13 settembre 2020, presenta la personale di William Xerra, Mento al nienteManifesti. L’esposizione, curata da Lorena Giuranna, responsabile del Dipartimento educativo del MA*GA, presenta per la prima volta la serie di manifesti della serie “Mento”, realizzati dall’artista piacentino nel 2003, ora nella collezione permanente del museo. Accanto a questi, sono esposte alcune opere in formato cartolina del 1973, del ciclo gli “Amori”, considerato alle origini di tutto il complesso lavoro sulla “menzogna” di Xerra e due video: “Mento a quest’ora” film del 2007 e “Un manifesto di William Xerra” del 2002 letto dal critico Pierre Restany, documento unico e toccante sui risvolti performativi del rapporto tra parola e immagine che da sempre connota l’opera dell’artista.

L’inaugurazione si terrà sabato 20 giugno alle ore 16.00 in diretta sul canale Facebook del MA*GA; a seguire, ingressi gratuiti contingentati a gruppi di 25 persone.

Per partecipare è obbligatorio prenotarsi via mail all’indirizzo progettispeciali@museomaga.it fino a esaurimento posti. Seguendo i principi del MIBACT di sperimentazione, gradualità e sostenibilità, la visita gratuita alle mostre sarà possibile solo ed esclusivamente su prenotazione scrivendo a progettispeciali@museomaga.it nelle giornate di martedì 23, mercoledì 24, giovedì 25, martedì 30 giugno, mercoledì 1 e giovedì 2 luglio, dalle 10.00 alle 13.00.

Da martedì 7 luglio 2020, il MA*GA sarà aperto da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 13.00. È gradita la prenotazione al numero telefonico 0331.706011 (dalle 9.00 alle 13.00).  Da martedì 7 luglio sarà inoltre possibile prenotare una postazione nella Sala studio, fino ad esaurimento posti.

Si rinnova anche il supporto dei Lions a favore dei ragazzi che studiano al MA*GA. Al Lions Club Gallarate Seprio, che lo scorso anno aveva regalato agli studenti 150 Card Young Amici del MA*GA, si unisce il Lions Club Gallarate Host per confermare il sostegno e ampliare a 200 la platea di ragazzi che potranno usufruire dell’omaggio.

Seguendo i criteri che garantiscono la sicurezza dei partecipanti, il MA*GA propone, a partire dal 13 luglio, gli Extralab, le settimane estive dell’arte che offriranno un’avventura unica nel giardino del Museo.

Per questa edizione, nel parco del MA*GA, ogni bambino dai 6 agli 11 anni avrà una tenda tutta sua, posta in un piccolo villaggio che si modellerà ogni settimana al ritmo di storie diverse.

Guidati dalle pagine dei libri, i piccoli artisti interpreteranno di volta in volta personaggi differenti provenienti da diversi racconti e la tenda diventerà un piccolo mondo da decorare, personalizzare e vivere come spazio immersivo di gioco, lettura, riflessione, azione e invenzione.

Per informazioni e pre-iscrizioni: didattica@museomaga.it

Da sabato 11 luglio, inoltre, torna MA*GA Estate che vedrà l’area esterna al museo trasformarsi in palcoscenico per accogliere un ciclo di concerti a ingresso gratuito.

Si coglie l’occasione per ringraziare anche tutti coloro che rendono possibile la vita del museo, in particolare il Comune di Gallarate, Mibact, Regione Lombardia, Fondazione Cariplo, SEA, Ricola, Lamberti SpA, Castaldi Lighting SpA, BIG Srl, MMG Srl, l’Associazione Amici del MA*GA, il Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate.

IMMAGINE DI APERTURA – William Xerra, Mento alle mie promesse, 2003

A Milano l’installazione di Maria Magdalena Campos-Pons: In the garden

DAL 26 GIUGNO AL 13 SETTEMBRE 2020 GALLERIA GIAMPAOLO ABBONDIO PORTA A MILANO L’INSTALLAZIONE DI
MARIA MAGDALENA CAMPOS-PONS IN THE GARDEN
a cura di Francesca Pasini
Il progetto inaugura uno spazio espositivo temporaneo in Corso Matteotti 5, nel cuore della città.

María Magdalena Campos-Pons, Mother Tree. Rooted by the Spine, 2019/20, mixed media on archive watercolor paper triptych: 66 x 101,5 cm each csy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio, photo-credits: Antonio Maniscalco

E’ di pochi giorni fa la fine dell’avventura di Spazio 22 e ora Galleria Giampaolo Abbondio è già pronta ad annunciare il suo prossimo progetto: l’installazione di María Magdalena Campos Pons (Matanzas, Cuba 1959) dal titolo In the garden, curata da Francesca Pasini.
L’iniziativa, in programma dal 26 giugno al 13 settembre 2020, inaugura uno spazio temporaneo per l’arte in Corso Matteotti 5, a Milano, nel cuore della città.

“La mia idea di galleria non si è mai fermata – sottolinea Giampaolo Abbondio – e anche la centralità di Milano per il mio lavoro, non è mai venuta meno, quindi quando questo progetto, nato inizialmente per Dubai, non ha potuto concretizzarsi per le tristi vicende della pandemia, ho pensato che la mia città, fosse il luogo più giusto dove presentarlo in anteprima”.

 In the garden usa la narrazione delle immagini per proporre uno spazio adatto alla meditazione, un racconto fatto di acquerelli, disegni, gouaches, tecniche miste, dove il pubblico potrà concentrarsi su alcuni dei temi di attualità trattati dalle opere: la bellezza del paesaggio, la natura, il ruolo fondamentale dell’acqua nel nostro ecosistema.

 “In the garden è un progetto nato per avvolgere una stanza e creare l’empatia di un luogo intimo, di meditazione – afferma Francesca Pasini. Una proposta non convenzionale se si pensa che era destinata a uno stand della fiera di Dubai. Nel luogo dove tutto si moltiplica, pensare a “hortus conclusus”, sembra un’eccentricità. Invece è una dichiarazione poetica, fondante nella sua opera.

“La scienza dice che le “cancellature” provocate dall’uomo, – prosegue la curatrice – modificando l’equilibrio naturale, sono una concausa delle pandemie. Lo spazio, per il quale Campos-Pons ha realizzato il dialogo intimo con fiori e alberi, essendo temporaneo, sottolinea metaforicamente l’esigenza di rallentare gli interventi sull’ambiente, renderli meno definitivi, proteggerlo invece di invaderlo e farne il luogo della propria intimità”.

“Quando ho immaginato In the garden – racconta María Magdalena Campos-Pons – ho pensato a un luogo che invitasse lo spettatore alla redenzione e al peccato, una zona di negoziazione, pacificazione e risoluzione. L’opera è sia monumentale che intima, poiché contrappone luoghi di iniziazione e di cultura interculturale o narrazioni geografiche.

Nel dare vita a questo progetto, ho riflettuto profondamente su come il tempo cambia e i gesti e i comportamenti umani creano continuamente trasformazioni e cancellazioni, uniformando la nostra esperienza umana come specie su questo pianeta”.

Cenni biografici

Il lavoro di María Magdalena Campos-Pons (Matanzas, Cuba, 1959) è definito principalmente dall’indagine sulla sua identità e in particolare sulla sua eredità afro-cubana. Il tema della memoria gioca un ruolo vitale nelle sue istallazioni, fotografie o disegni, riflettendo il sentimento di spaesamento che l’artista prova come espatriata cubana.
Campos-Pons mette costantemente alla prova i confini della pratica artistica, non permettendo mai a se stessa di essere definita da un unico medium. L’esperienza dell’esilio motiva la produzione dell’artista attraverso le tematiche dell’appartenenza, dell’assimilazione e della transculturazione. Altro grande tema ricorrente all’interno della ricerca dell’artista è quello del femminismo, favorito da un forte interesse verso i ruoli di genere.
Fondamentale è la sua partecipazione alla 55° Biennale di Venezia nel 2013 con il progetto multimediale “53+1 = 54+1 = 55. Letter of The Year” curato insieme a Neil Leonard.
Il lavoro di Campos-Pons è inserito in diverse collezioni pubbliche, tra cui il Smithsonian Institution di Washington, l’Art Institute di Chicago, la National Gallery of Canada, il Victoria and Albert Museum di Londra, il MOMA di New York, il Museum of Fine Arts di Boston, il Miami Art Museum, il Fogg Art Museum di Boston e il Museum Ludwig di Colonia, che vanta la recente acquisizione dell’installazione “Bar Matanzas Sound Map” presentata dall’artista alla scorsa edizione di documenta di Atene e Kassel.

IMMAGINE DI APERTURA – María Magdalena Campos-Pons, Because the human body is a tree. Spring Awakening II, 2019/20, mixed media on Arches watercolor paper 106,5 x 114,5 cm, csy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio, photo-credits: Antonio Maniscalco

Brescia: Il nuovo programma d’iniziative per la celebrazione della vittoria alata

BRESCIA AUTUNNO 2020
IL NUOVO PROGRAMMA D’INIZIATIVE PER
LA CELEBRAZIONE DELLA VITTORIA ALATA

Il ritorno in città di una delle più straordinarie statue di epoca romana sarà per Brescia uno dei simboli che guiderà la rinascita dopo l‘emergenza Coronavirus.

Vista dell’interno della cella orientale (modello)

Il viaggio della Vittoria Alata verso Brescia non si è interrotto ma è solamente posticipato.
Allo stesso modo, a causa della grave situazione epidemiologica, tutte le iniziative progettate dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei per celebrare il ritorno di una delle più straordinarie statue di epoca romana, inizialmente previste da questa primavera, sono state necessariamente riprogrammate, a partire da settembre 2020.

“In attesa del ritorno della Vittoria Alata”, dichiara Francesca Bazoli, presidente di Fondazione Brescia Musei, “i nostri musei sono pronti a riaprire per contribuire alla ripartenza della città e del suo tessuto, sociale e culturale, nella consapevolezza che il complesso momento che stiamo vivendo possa essere occasione per pensare a nuove modalità di fruizione del patrimonio artistico, in grado di portare persino ad un arricchimento della qualità dell’esperienza di una visita museale.”

“Il ritorno della Vittoria Alata”, afferma Stefano Karadjov, direttore di Fondazione Brescia Musei, “ovvero uno dei simboli più alti della città di Brescia tanto severamente colpita dalla epidemia, diventerà per la nostra città un segno tangibile della rinascita e un auspicio per la ripresa. Il lavoro sul palinsesto Vittoria Alata non si è mai interrotto e la riapertura dei Musei lascia ben sperare sulla rinascita che il ritorno della Dea alata promuoverà”.

Questa rinascita è sottolineata dalle campagne promozionali promosse in occasione della riapertura di due luoghi simbolo della città come Santa Giulia e la Pinacoteca Tosio Martinengo. Con i messaggi “Dove eravamo rimasti”, “L’avventura continua” e “Come prima, più di prima”, i musei accoglieranno i visitatori all’insegna della sicurezza e di una rinnovata proposta espositiva.

I luoghi che da giovedì 21 maggio riapriranno al pubblico saranno dunque la Pinacoteca Tosio Martinengo e il Museo di Santa Giulia, nel totale rispetto delle norme emanate a tutela della sicurezza e della salute di tutti e di conseguenza con nuove modalità.

In particolare l’affluenza sarà regolata secondo visite programmate di piccoli gruppi, alle quali si potrà partecipare su prenotazione e presentandosi nella fascia oraria prescelta. Le visite saranno inoltre accompagnate da operatori museali che garantiranno l’ottimale distanziamento tra i partecipanti e il necessario supporto informativo.

Dal 21 maggio, fino a fine settembre, gli orari verranno inoltre sostanzialmente rimodulati rispetto alle consuetudini passate, così da adeguarsi alle mutate esigenze. L’assenza dei gruppi e delle scolaresche che popolavano i musei in orario diurno infrasettimanale, ad esempio, offrirà ai bresciani e al turismo interregionale nuove occasioni di intrattenimento non aggregativo serale e nei fine settimana. Per queste ragioni la Pinacoteca Tosio Martinengo e il Museo di Santa Giulia apriranno il giovedì e il venerdì dalle 18 alle 22 (ultimo ingresso alle 20.15), e il sabato, la domenica e i festivi dalle 10 alle 21.30 (ultimo ingresso alle 19.45).

Fondamentale ricordare che per accedere alle visite programmate sarà necessario prenotarsi. Allo scopo saranno disponibili il CUP della Fondazione, 0302977833.34 – santagiulia@bresciamusei.com, e il sito www.bresciamusei.com

La Vittoria Alata sarà ufficialmente restituita a Brescia a novembre 2020.  Proprio in questi giorni si stanno facendo tutte le verifiche necessarie per la ripresa delle attività di restauro nel rispetto delle misure di sicurezza e di distanziamento. La statua tornerà in città dopo quasi due anni di lavori di restauro, promossi dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei, con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Provincie di Bergamo e Brescia, e condotti dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Trenta sono i professionisti che a vario titolo, ciascuno con la propria specializzazione, sono stati impegnati nelle numerose attività di conoscenza e di conservazione del bronzo. Gli interventi si sono concentrati dapprima sulla pulitura della scultura, quindi sulla rimozione controllata dei materiali che riempivano la statua e della struttura interna a cui si agganciavano le ali e le braccia della Vittoria, sulla progettazione del sostegno interno a garanzia della statica del bronzo, e sulla stesura di un materiale protettivo, scelto anche in base alle caratteristiche dell’ambiente espositivo. Durante questo periodo, sono stati condotti studi, indagini scientifiche ed esami volti a una conoscenza più approfondita della tecnologia di costruzione e non solo.

La grande statua in bronzo, amata da Giosuè Carducci che la celebrò nell’ode Alla Vittoria, ammirata da Gabriele d’Annunzio e da Napoleone III che ne vollero una copia, che per composizione, materiale e conservazione è una delle opere più importanti della romanità, avrà una nuova collocazione nella cella orientale del Capitolium, in un allestimento museale curato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg.

È proprio presso il Capitolium che nel 1826, durante gli scavi archeologici condotti dai membri dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, venne ritrovata all’interno di un’intercapedine dell’antico tempio romano, insieme a sei teste imperiali e ad altri reperti, forse per preservarla da eventuali distruzioni.

La scultura, realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa, è databile al I secolo dopo Cristo, ispirata a modelli più antichi.

Da venerdì 18 settembre Brescia proporrà, come anticipazione dell’arrivo della Vittoria Alata, alcune iniziative tra cui la mostra-omaggio all’architetto Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939), autore dell’intervento del riallestimento della Vittoria Alata nel Capitolium.

La rassegna, in programma fino al 5 aprile 2021, dal titolo Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura, scultura. In un campo di energia e processo, curata da Pierre-Alain Croset, ospitata nel Museo di Santa Giulia (Coro delle Monache, Basilica di San Salvatore e cripta), col patrocinio dell’Ambasciata di Spagna a Roma e dell’Ordine degli architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Brescia, presenterà una serie di opere – modelli e disegni dei suoi progetti più importanti, grandi tele e sculture – che ripercorrono la poliedrica carriera di Navarro Baldeweg, come architetto, pittore e scultore, e che consentono di cogliere le interazioni e le connessioni tra le varie arti.

A seguire, dal 2 ottobre, in occasione del quinto centenario della morte di Raffaello (1483-1520), in Santa Giulia verrà proposta la mostra Raffaello: alle origini del mito, curata da Roberta D’Adda, dedicata all’artista urbinate con opere in grado di testimoniare lo sviluppo della fortuna dei suoi modelli nelle arti e presso i collezionisti, nonché la nascita di un vero e proprio ‘mito del divino pittore’, che raggiunse il suo massimo sviluppo nel XIX secolo, nel contesto della temperie culturale neoclassica prima e romantica poi.

Il percorso espositivo si aprirà con una serie di incisioni uscite direttamente dalla bottega di Raffaello grazie alla collaborazione con Marcantonio Raimondi (1480-1534), spesso ispirate a disegni appositamente pensati dal maestro o a versioni poco conosciute dei suoi capolavori più noti: tra le invenzioni affidate al bulino di Raimondi e dei suoi collaboratori si segnalano in particolare la celebre Strage degli innocenti e uno straordinario esemplare del Giudizio di Paride. A seguire, la mostra presenterà una ricca selezione delle stampe di riproduzione, italiane ed europee, che fiorirono tra il Cinquecento e l’Ottocento a opera dei più grandi artisti di questa disciplina, quali Ugo da Carpi, Giorgio Ghisi, Carlo Maratta, Francesco Rosaspina e Giovanni Volpato, con la straordinaria serie dei grandi fogli delle Stanze Vaticane e dei Pilastri delle Logge. La sezione riservata all’Ottocento si concentra infine su Brescia, dove attraverso una fitta rete di rapporti interpersonali giungevano esemplari in prima tiratura delle più importanti incisioni di Giuseppe Longhi e dei suoi allievi della scuola di Brera, e dove intorno al Redentore di Raffaello, acquistato nel 1821 da Paolo Tosio, si raccolse e si sviluppò un nuovo interesse per il maestro.

Le ali della Vittoria si estendono fino alla contemporaneità e sono state d’ispirazione a Francesco Vezzoli, bresciano di nascita, uno degli autori italiani più conosciuti e apprezzati del panorama artistico internazionale.

Per il ritorno della statua, Francesco Vezzoli ha progettato degli interventi curatoriali, radunati attorno al titolo di Palcoscenici archeologici, da gennaio 2021, capaci d’instaurare una relazione tra le sue sculture, il sito archeologico di Brescia romana e il Museo di Santa Giulia.

Le opere condurranno lo spettatore dalla terrazza del Capitolium alla Basilica di San Salvatore, lungo un percorso cronologico che dal I secolo dopo Cristo giunge all’VIII secolo, tra cultura romana e longobarda.

Nella primavera 2021, la Fondazione Brescia Musei e il Comune di Brescia presenteranno, per la prima volta in Italia, 150 immagini, alcune di grande formato, tratte dal lavoro monumentale IMPERIVM ROMANVM di Alfred Seiland, (Sankt Michael im Lungau, Austria, 1952) di cui 30 inedite e 10 scattate a Brescia tra agosto 2019 e marzo 2020, che colgono il patrimonio antico della città in diverse stagioni e situazioni e ne documentano il valore monumentale e sociale, accompagnate dai video backstage del progetto.

L’artista austriaco, affascinato dalle scenografie cinematografiche dell’antica Roma, allestite a Cinecittà, ha viaggiato nei territori in cui si estendeva l’Impero Romano, dalla Siria alla Scozia, fermando sulla pellicola le diverse sfumature di interazione tra uomo e rovine.

L’esposizione, dal titolo Alfred Seiland. IMPERIVM ROMANVM. Fotografie 2005-2020, curata da Filippo Maggia e Francesca Morandini, organizzata da Fondazione Brescia Musei in co-produzione con Skira, prevedrà per Brescia un percorso totalmente nuovo rispetto a quanto proposto nelle altre sedi europee, ripensato sulla base delle diverse percezioni del significato di “patrimonio” e arricchito da scatti inediti. I monumenti dell’Impero romano, diffusi in Europa e lungo il bacino del Mediterraneo, costituiscono per gli abitanti un’abitudine visiva, per i turisti un feticcio, per le infrastrutture un ostacolo; l’obbiettivo di Seiland offre una riflessione sempre attuale e spesso sorprendente.

L’iniziativa anticiperà la quarta edizione del Brescia Photo Festival, diretto da Renato Corsini, che si terrà sempre nel corso della primavera e il cui titolo Patrimoni, sottolinea il valore culturale, archeologico, storico e sociale dei beni culturali, dall’antichità romana alla contemporaneità.

A settembre 2021, Fondazione Brescia Musei in collaborazione con Skira promuove la grande mostra Vittoria. Il lungo viaggio di un mito al Museo di Santa Giulia.

L’esposizione, curata da Marcello Barbanera, Francesca Morandini e Valerio Terraroli approfondirà il tema della Vittoria, indagandone storia, aspetti e declinazioni anche nell’età moderna e contemporanea, attraverso una serie di opere antiche provenienti dall’area del Mediterraneo e dalle zone più periferiche dell’Impero romano in grado di delineare la genesi iconografica di questo straordinario modello, che ancora non trova confronti specifici.

Le sezioni che compongono il percorso permetteranno ai visitatori di effettuare un viaggio nel tempo di 2.500 anni sulle ali appunto della Vittoria, attraverso la vista di reperti inediti e inconsueti, garantendo un’esperienza che cambierà radicalmente la percezione che finora si è avuta di questo simbolo e che permetterà di cogliere con maggiore ricchezza di sfaccettature il significato della Vittoria Alata, simbolo della città.

L’identità visiva studiata per la comunicazione del grande progetto culturale dedicato alla Vittoria Alata e alla città di Brescia è stata realizzata da Tassinari/Vetta, uno dei più importanti studi grafici in Italia.

IMMAGINE DI APERTURA – Home del sito http://www.vittorialatabrescia.it/

Piacenza, Palazzo Farnese: Il nuovo allestimento della collezione di ceramiche

PIACENZA
SABATO 13 GIUGNO 2020 RIAPRONO I MUSEI DI PALAZZO FARNESE
Il nuovo allestimento della collezione di ceramiche

Bacile, Parma, Real Fabbrica della Maiolica e Vetri, terzo quarto XVIII secolo, maiolica, Musei Civici di Palazzo Farnese, Piacenza

Dopo la pausa forzata legata all’emergenza Coronavirus, sabato 13 giugno 2020 il nuovo allestimento della “sezione ceramiche” della collezione dei Musei Civici di Palazzo Farnese è nuovamente aperto al pubblico.

In occasione di Piacenza 2020, il calendario di eventi culturali, promosso dal Comune di Piacenza, dalla Fondazione Piacenza e Vigevano, dalla Diocesi Piacenza-Bobbio, dalla Camera di Commercio di Piacenza, alcune delle sezioni più importanti del museo piacentino si mostreranno al pubblico con un allestimento totalmente rinnovato che consentirà di apprezzare la qualità dei capolavori in esso conservati.

Prima in ordine di tempo a essere inaugurata, è stata la Sezione Ceramiche che, da sabato 30 novembre 2019, propone un nuovo percorso espositivo, realizzato sotto la direzione scientifica di Antonella Gigli, con il contributo dell’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, composto da 250 pezzi, alcuni già appartenenti alla collezione storica delle ceramiche dei musei civici, altri giunti dalla donazione Besner-Decca, che presenta un consistente nucleo di maioliche lombarde settecentesche, in particolare delle fabbriche milanesi e lodigiane, di provenienza estera, soprattutto tedesca e austriaca, oltre a numerose porcellane europee e cinesi.

All’interno delle stanze dell’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese s’incontrano splendidi esempi realizzati a Venezia, Nove di Bassano, Albisola, Faenza, Milano, Lodi, Pavia, Castelli d’Abruzzo, Urbania, Pesaro, e oggetti ritrovati negli scavi effettuati in città e nel territorio comunale (di proprietà statale in deposito ai musei civici), che forniscono interessanti spunti per la ricostruzione di un profilo della produzione ceramica nel territorio piacentino tra il XVI e il XVIII secolo.

Tra i capolavori, si segnalano i due piatti in maiolica color del mare lumeggiate in oro con lo stemma dinastico dipinto al centro, provenienti dal servizio da tavola del Gran Cardinale, Alessandro Farnese, nipote di Papa Paolo III. Il servizio, originariamente composto da centinaia di pezzi, tra piatti, zuppiere, alzate, rinfrescatoi e contenitori vari, imbandiva quotidianamente sontuose tavole, in linea con il gusto di una nobiltà raffinata e aggiornata alla moda rinascimentale.

IMMAGINE DI APERTURA – Musei civici di Palazzo Farnese – Piacenza – sala delle ceramiche – Foto Mauro Del Papa

Al m.a.x. museo di Chiasso (Svizzera) – ALBERTO GIACOMETTI

Al m.a.x. museo di Chiasso (Svizzera)
Dal 9 giugno 2020 al 10 gennaio 2021
ALBERTO GIACOMETTI

Alberto Giacometti André du Bouchet – Illustration retenue pour le frontispice pour André du Bouchet, Dans la chaleur vacante, Paris, 1961 – Probable illustration créée (mais non retenue) pour André du Bouchet, Le Moteur blanc, Paris, 1956 – 1955-1956 Acquaforte 16,7 x 12,2 cm, le coup de planche. Collezione Eberhard W. Kornfeld, Berna

La stagione espositiva 2020 del m.a.x. museo di Chiasso (Svizzera) si apre nel segno di Alberto Giacometti (1901-1966), uno fra i più rilevanti artisti del XX secolo.

Dopo la sosta forzata a causa dell’emergenza Coronavirus, che ne aveva rimandato l’inaugurazione, martedì 9 giugno 2020 si apre una mostra, curata da Jean Soldini e Nicoletta Ossanna Cavadini, che, fino al 10 gennaio 2021, presenta, per la prima volta, l’intero corpus grafico dell’artista svizzero: sono esposti oltre quattrocento fogli e numerosi libri d’artista, provenienti dalle principali istituzioni internazionali che conservano le opere di Alberto Giacometti e da importanti collezionisti privati.
L’ambiente creativo dell’artista e dell’uomo è inoltre restituito dalle suggestive fotografie realizzate dall’amico Ernst Scheidegger che, dal 1943, ha documentato con immagini e filmati l’attività artistica e la vita privata di Giacometti.
La rassegna documenta la straordinaria padronanza di Giacometti delle varie tecniche grafiche, dalla xilografia all’incisione a bulino, dall’acquaforte alla puntasecca. Sebbene sia conosciuto soprattutto come scultore e pittore, Giacometti realizzò, nondimeno, molte incisioni, espressione di una profonda ricerca artistica.
Giacometti, infatti, vedeva nel disegno e nella sua trasposizione sulla matrice, il fondamento estetico e concettuale su cui costruire le sue opere pittoriche e plastiche. Com’ebbe modo di affermare lo stesso artista, “di qualsiasi cosa si tratti, di scultura o di pittura, è solo il disegno che conta”.
Ognuna delle quattro sezioni in cui è suddiviso il percorso espositivo, propone un dipinto, un disegno o una scultura particolarmente significativa per comprendere il rapporto tra i diversi mezzi di espressione.
La mostra è organizzata in collaborazione con la Fondation Giacometti di Parigi, l’Alberto Giacometti-Stiftung di Zurigo, la Fondation Marguerite et Aimé Maeght di Saint-Paul-de-Vence (Francia), il Museo d’Arte dei Grigioni di Coira (Svizzera), il Museo Ciäsa Granda di Bregaglia (Svizzera), la Fondazione Marguerite Arp di Locarno (Svizzera), la Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” di Milano, la Galerie Kornfeld di Berna (Svizzera), l’Alberto Giacometti Museum di Sent (Svizzera).

Catalogo bilingue (italiano-inglese) Albert Skira (Milano-Ginevra).

BIOGRAFIA

Alberto Giacometti nasce nel 1901 in Val Bregaglia, nella Svizzera di lingua italiana. Era figlio del pittore Giovanni Giacometti. Dopo la frequentazione della scuola d’arte di Ginevra e alcuni viaggi di studio in Italia, elegge Parigi sua città di riferimento senza mai dimenticare Stampa, il luogo degli affetti familiari dove conservò sempre un atelier oltre a quello più noto di Rue Hippolyte-Maindron, vicino a Montparnasse. S’iscrive all’Académie de la Grande-Chaumière che frequenta tra il 1922 e il 1925. Intanto, entra in contatto con l’arte neosumera, africana, precolombiana, con l’opera di Costantin Brancusi, Raymond Duchamp-Villon, Henri Laurens, Jacques Lipchitz, André Masson. Continua il suo interesse per l’arte egizia che già lo aveva colpito nel 1920 al Museo archeologico di Firenze. Subisce il fascino del Cubismo per aderire poi al movimento surrealista con le sue libere associazioni erotico-poetiche. Nel 1930 espone con Jean Arp e Joan Mirò nella galleria di Pierre Loeb a Parigi. Conosce intellettuali come Louis Aragon, Georges Bataille, Michel Leiris. Giacometti torna poi a dare preminenza alla figura umana; nelle opere di questo periodo sviluppa una ricerca quanto mai originale, che ha il suo perno nell’apparenza che è il nocciolo come lui stesso afferma. L’esistente gli si manifesta con una violenza che trova nell’essere umano la sua espressione più chiara determinando un rapporto inedito con spazio e tempo. Prossimo e autonomo rispetto a personaggi di primo piano come Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Samuel Beckett, Giacometti continuerà incessantemente le sue ricerche, anche negli ultimi anni della sua vita. Nel 1962 otterrà il Gran Premio della Scultura alla Biennale di Venezia e tre anni dopo il Grand Prix des Arts a Parigi. Sempre nel 1965, il Museum of Modern Art di New York gli dedicherà una mostra antologica.
Alberto Giacometti muore a Coira (Svizzera) nel 1966.

IMMAGINE DI APERTURAALBERTO GIACOMETTI, Photograph by Ernst Scheidegger © 2020 Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

GAUGUIN MATISSE CHAGALL. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani

MUSEO DIOCESANO CARLO MARIA MARTINI DI MILANO
Fino al 4 ottobre 2020 la mostra:
GAUGUIN MATISSE CHAGALL. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani

Henri Matisse (Cateau Cambrésis 1869 – Nizza 1954), La Sainte Vierge, 1951, litografia; © Governatorato SCV Direzione dei Musei

Dopo la sosta forzata a causa dell’emergenza Coronavirus, martedì 2 giugno 2020 riapre il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano.

Oltre alle collezioni permanenti, il pubblico potrà tornare ad ammirare la mostra GAUGUIN MATISSE CHAGALL. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani, eccezionalmente prorogata fino al 4 ottobre 2020.

L’esposizione, presentata dal Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano e dai Musei Vaticani, propone una selezione di capolavori dell’arte francese del XIX e XX secolo, proveniente dalla Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani.

L’ingresso al museo sarà contingentato (40 persone ogni 60 minuti) nel rispetto di tutte le norme di sicurezza e i visitatori, cui sarà fatto obbligo d’indossare la mascherina, saranno assistiti dal personale interno, che fornirà ogni informazione sulle regole di accesso.

Il Museo Diocesano e la mostra GAUGUIN MATISSE CHAGALL saranno visitabili da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00 (ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3) mentre la sola esposizione dedicata ai capolavori dei Musei Vaticani potrà essere ammirata tutti i giorni anche in orario serale dalle 18.00 alle 22.00 (ingresso da corso di Porta Ticinese 95).

Martedì 2 giugno, riapre “Chiostro Bistrot” a cura di AFM Banqueting che, posto all’interno di uno dei luoghi più suggestivi della città, tornerà a offrire i propri servizi al pubblico tutte le sere dalle 10.00 alle 22.00. Chiostro Bistrot proporrà l’esclusiva formula “mostra e aperitivo” coniugando cultura e gusto.

GAUGUIN MATISSE CHAGALL. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani, curata da Micol Forti, responsabile della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, e da Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano, con il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Milano, dell’Arcidiocesi di Milano, segna un nuovo capitolo nella collaborazione tra le due istituzioni, iniziata nel 2018 con l’esposizione Gaetano Previati. La Passione, che proponeva un nucleo di opere sacre dell’artista provenienti da entrambi i musei.

L’iniziativa offre spunti di riflessione sulla Passione e sulla Resurrezione di Cristo, e nel contempo sul delicato e fertile rapporto fra modernità e tradizione nell’arte sacra tra fine Ottocento e Novecento. Gli oltre 20 capolavori di artisti quali Paul Gauguin, Auguste Rodin, Marc ChagallMaurice Denis, Henri MatisseGeorges Rouault, sono stati scelti nel ricco nucleo di arte francese presente nella Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, voluta fin dal 1964 da papa Paolo VI. In quell’anno papa Montini incontra in Cappella Sistina gli artisti, da lui stesso definiti “custodi della bellezza del mondo”, per riallacciare lo storico legame tra Chiesa e contemporaneità.

La mostra ruota attorno ai temi della Passione, del Sacrificio e della Speranza, interpretati dagli artisti con una capacità di visione potentemente innovativa e attuale; le opere sono esposte in quattro ambienti, corrispondenti ad altrettanti nuclei tematici, che dall’Annunciazione conducono il pubblico fino alla Resurrezione di Cristo.

La prima sala è dedicata alla Vergine Maria e a Gesù Bambino. Le xilografie di Maurice Denis introducono la narrazione con le illustrazioni del momento dell’Annunciazione, mentre Henri Matisse e Léonard Tsuguharu Foujita, artista giapponese naturalizzato francese, convertitosi al Cattolicesimo, mostrano l’intimità della relazione tra la Madre e il Figlio.

Nella seconda, le vedute di processioni realizzate da Paul Gauguin e Auguste Chabaud accompagnano lo sguardo del visitatore verso il Golgota, dove si consuma il dramma del Martirio di Cristo sofferente in croce, interpretato da Georges Rouault e Henri Matisse.

La sofferenza di Cristo in croce è protagonista della terza sala, dove s’incontrano capolavori di Marc ChagallJean Fautrier, e ancora di Henri Matisse, oltre alle graffianti incisioni di Bernard Buffet.

Il percorso si chiude con la Resurrezione di Émile Bernard eil grande trittico di George Desvallières che raffigura il “velo della Veronica”, il panno sporco di sangue e sudore che una pia donna usò per detergere il volto di Gesù durante la Via Crucis.

Nel delicato passaggio tra XIX e XX secolo e nel drammatico superamento di due guerre mondiali, le culture e le arti che si sviluppano in Francia, mantengono vivo il dibattito e il confronto tra arte e fede. La diversità degli approcci e delle prospettive, delle sensibilità e degli interessi, da parte dei tanti artisti che si sono confrontati con i temi religiosi, definisce un tessuto variegato, nel quale le storie della Passione, il dolore e la morte, il mistero del sacrificio e della redenzione, sono stati presi in carico e restituiti con autentica partecipazione e sincera emozione.

Catalogo Silvana Editoriale.

IMMAGINE DI APERTURAMaurice Denis (Granville 1870 – Saint-Germain-en-Laye 1943), L’Annonce faite à Marie, 1927, xilografia a colori; © Governatorato SCV Direzione dei Musei

Milano: Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience®

Milano, Palazzo Reale
5 marzo 2020 – 14 giugno 2020Viaggio oltre le tenebre – Tutankhamon RealExperience®
A cura di Sandro Vannini
Comitato Scientifico: Miroslav Barta, Zahi Hawass, Christian E. Loeben, Liam McNamara e Gabriele Pieke
Catalogo della collezione archeologica: Francesco Tiradritti
Sito web

RealExperience ©Laboratoriorosso

Il primo maggio del 1821, nell’Egyptian Hall a Londra, Giovanni Belzoni, dopo anni di esplorazioni in Egitto, inaugurava un’esposizione ibrida, basata sui reperti ritrovati durante le sue campagne di scavo ma anche su ricostruzioni dei monumenti da lui scoperti, con riproduzioni dei rilievi dipinti della tomba di Seti I nella Valle dei Re. Il successo fu straordinario: la mostra fu la prima di una lunghissima serie di rassegne che hanno diffuso la conoscenza dell’Antico Egitto in tutto il mondo. Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience®, in programma a Palazzo Reale dal 5 marzo al 14 giugno 2020, riprende lo spirito della mostra di Belzoni adattandolo alle esigenze del mondo contemporaneo, sempre più immerso nella cosiddetta realtà virtuale, integrando importanti reperti provenienti da varie collezioni pubbliche e private con un percorso multimediale e immersivo.

Promossa da Comune di Milano|Cultura, Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e Laboratoriorosso, la mostra Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience® e un’esperienza coinvolgente e, in parte, immersiva, per raccontare il viaggio “oltre le tenebre” del più famoso dei faraoni e illustrare la concezione dell’aldilà degli antichi egizi, con una selezione di preziosi oggetti originali tra i quali la statua del dio Amon, con i tratti somatici del giovane Tutankhamon. Accanto a reperti significativi sono allestite grandi proiezioni immersive accompagnate da musiche originali e da un coinvolgente percorso narrativo fondato su un solido impianto egittologico che si avvale della consulenza di un prestigioso Comitato Scientifico, presieduto da Miroslav Barta e composto da Zahi Hawass, Christian E. Loeben, Liam McNamara e Gabriele Pieke.

Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience® affronta il tema del mistero della morte e della vita oltremondana restituendogli la complessità e la pluralità che caratterizzarono la civiltà egizia. Il visitatore si troverà di fronte ad una concezione innovativa di una civiltà di cui si ritiene a torto di conoscere molti aspetti e avrà modo di scoprire quanto il pensiero occidentale le sia debitrice, grazie all’utilizzo di due diversi linguaggi espositivi che raccontano il viaggio oltre le tenebre del faraone e dei suoi sudditi. Dopo un suggestivo video introduttivo, la sezione archeologica, con opere selezionate da Francesco Tiradritti e allestita su progetto di FC Confalonieri descrive le credenze oltremondane degli egizi attraverso gli oggetti ritenuti necessari per la sopravvivenza ultraterrena, concepita come un proseguimento di quella quotidiana. I monumenti e gli oggetti antichi possono essere ammirati per il loro significato storico e artistico, ma anche come testimonianze delle aspettative e dei timori, non troppo dissimili dai nostri, che persone vissute migliaia di anni fa provavano davanti al mistero dell’ignoto.

I reperti che sono esposti provengono soprattutto dalle Collezioni civiche milanesi e dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Per la prima volta e riunito il cosiddetto “Corredo Busca”, che comprende la mummia e il sarcofago, conservati nelle Collezioni civiche, e un interessantissimo papiro lungo 7 metri, databile alla XIX-XX dinastia, recuperato poco prima del 1850 dal marchese Carlo Busca nel corso dei suoi scavi e conservato nell’Archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano. In mostra sono esposti anche diversi reperti provenienti da collezioni private.

Tra i reperti esposti, e particolarmente importante la splendida statua del dio Amon, con le sembianze del giovane Tutankhamon, concessa in prestito dalla Fondazione Fritz Beherens e dal Museo August Kestner di Hannover. Mirabili sono inoltre le due teste di figurine funerarie attribuibili alla controversa figura del sovrano Akhenaton (1350 -1333 A.C.), padre di Tutankhamon e a cui si deve una riforma religiosa da molti considerata la prima forma di credo monoteista della storia. Sara visibile inoltre, un raro frammento di rilievo proveniente dalla mastaba di Seshemnefer (VI) Heba (VI Dinastia, regno di Djedkara Isesi; 2388 – 2356 a.C.), a Saqqara. La brillantezza dei colori conservatisi ancora oggi restituisce appieno la magnificenza e il fascino dell’arte austera e delicata del periodo.

Dopo l’esposizione dei reperti antichi, illustrati in un agile catalogo edito da Laboratoriorosso e curato da Francesco Tiradritti, la mostra diventa interamente multimediale, articolata in due diversi ambienti: nel primo, grazie alle straordinarie immagini giunte fino a noi, il visitatore può ripercorrere i tratti distintivi della civiltà che si e affermata per millenni sulle rive del Nilo, partendo da Tebe per poi addentrarsi nella Valle dei Re. E quindi guidato da Howard Carter alla scoperta della tomba di Tutankhamon e del suo straordinario corredo funerario. In un secondo ambiente immersivo sarà lo stesso Tutankhamon a guidare il visitatore nel viaggio attraverso la notte, per conquistare d’immortalità.

L’esperienza multisensoriale e costruita con immagini e animazioni che provengono anche da tombe e oggetti di altre epoche della storia egizia. Il percorso assume di conseguenza un valore assoluto nell’universo dell’Egitto faraonico, rappresentando il viaggio di tutti i predecessori e i successori di Tutankhamon. Il perpetuo attraversamento delle regioni oscure era sentito come un obbligo per il sovrano che sacrificava la propria resurrezione per salire sulla barca solare in modo da consentire all’alba di ripetersi perpetuo giorno dopo giorno. Le dodici ore della notte erano irte di pericoli che potevano essere superati soltanto con l’incarnazione del dio sole Ra con il sovrano dei morti Osiride.

Allo stesso tema sviluppato nella parte multimediale della mostra e dedicato uno straordinario volume illustrato, edito da Taschen a cura di Sandro Vannini con la collaborazione di Mohamed Megahed. Per iniziativa del Comune di Milano|Cultura, Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience® e collegata alla importante mostra allestita nel Civico Museo Archeologico di Milano dall’11 marzo al 20 dicembre 2020, dal titolo Sotto il cielo di Nut. Egitto divino, che intende illustrare il significato delle immagini divine e la relazione tra l’uomo e il divino, nella vita quotidiana e nell’Aldilà dell’antica civiltà nilotica.

IMMAGINE DI APERTURA – Il cosidetto “Hannover Amun”, Nuovo Regno fine della 18 dinastia (ca 1325 a C). Particolare. Fritz Behrens Stiftung, on permanent loan at Museum August Kestner, Hannover

Rovigo: La Quercia di Dante. VISIONI DELL’INFERNO. Dorè – Rauschenberg – Brand

Rovigo, Palazzo Roncale
28 Febbraio 2020 – 28 Giugno 2020
“La Quercia di Dante”. VISIONI DELL’INFERNO. Dorè – Rauschenberg – Brand
Mostra a cura di Alessia Vedova, Mauro Carrera, Barbara Codogno, Virginia Baradel

Brigitte Brand: Inferno, Canto XXXIV/1

“Visioni dell’Inferno”, a Rovigo, in Palazzo Roncale dal 28 febbraio al 28 giugno, propone la rievocazione della prima Cantica dantesca affidata a tre artisti internazionali, uno per ciascuno degli ultimi tre secoli.
L’Inferno in versione ottocentesca non poteva che essere quello, universalmente noto, del francese Gustave Doré, di cui in mostra sarà l’intero corpus di 75 tavole. Per evocare l’Inferno in versione novecentesca, sono state riunite le immagini di “Dante’s Inferno (1958–60)” dello statunitense Robert Rauschenberg. Un’artista donna, la tedesca Brigitte Brand è stata, infine, chiamata ad illustrare l’Inferno con occhi e sensibilità di oggi. L’artista propone in mostra anche un Omaggio alla Grande Quercia, l’albero cui Dante sarebbe stato tributario della propria salvezza. Alla Grande Quercia di Dante, nello stesso Palazzo Roncale, è riservata un ampia sezione documentativa.
“Visioni dell’Inferno” ripercorre i 33 canti, oltre all’Introduzione, della Cantica. Ciascuno è introdotto dai versi più famosi e da una breve sintesi, a complemento delle tavole dei tre artisti.

“Gustave Dorè (presente in mostra con le tavole di una grande collezione parmense) è riuscito nella impresa di rappresentare in segni grafici e forme, quanto i versi di Dante
hanno espresso in una delle opere poetiche più elevate di ogni tempo. “E proprio le illustrazione realizzate per l’Inferno sono – afferma Alessia Vedova – il suo vero capolavoro tanto da essere entrate a far parte dell’immaginario collettivo”. Théophile Gautier, a lui contemporaneo, scriveva che Doré sapeva “vedere le cose dalla loro angolatura bizzarra, fantasiosa, misteriosa…” e che “possedeva un occhio visionario che sa liberare il lato segreto e singolare della natura”.
Per rappresentare il suo Inferno, Rauschenberg scelse la tecnica del disegno di riporto (transfer drawing), combinando i suoi disegni e acquerelli con immagini trasferite dalle pagine di riviste patinate.
“Egli – scrive Barbara Codogno – riporta a galla l’Inferno, contestualizzandolo in una dimensione contemporanea. Le immagini “sorgente” usate da Rauschenberg mettono infatti in relazione la vita politica e l’anima sociale americana del Dopoguerra con la narrazione epica di Dante, entrambe unite da un’ineluttabile discesa agli inferi”.
Le tavole del Dante’s Inferno qui esposte sono parte della tiratura che Rauschenberg autorizzò al gallerista Lucio Amelio. La cartella destinata a questa mostra era quella personale del celebre gallerista.
Accanto a due cicli celeberrimi, la mostra propone una prima assoluta. L’Inferno letto con la sensibilità dei nostri tempi dall’artista tedesca Brigitte Brand, che ha scelto il Parco di un altro fiume, il Sile, come buen retiro per realizzare questa sua monumentale opera. “La potente fascinazione dell’Inferno dantesco l’ha portata – scrive Verginia Baradel – a rielaborare il bagaglio dei suoi appunti visivi sulla Commedia umana, osservata alle diverse latitudini del pianeta, con i luoghi e le figure del primo Cantico del Poema. Nella trasfigurazione, piccoli segni vaganti in spazi sulfurei e vorticosi sembrano narrare le vicende e i protagonisti dei canti, ora sollevati da onde di colore, ora affiancati da citazioni iconiche legate alla vita quotidiana”.
“Visioni dell’Inferno” si allarga ad altre testimonianze, a sottolineare la fascinazione delle Commedia lungo i secoli sino alle forme contemporanee di espressione.
Dall’Accademia dei Concordi e dalla Biblioteca del Seminario Vescovile di Rovigo sono state concesse alla mostra alcune preziose, antiche edizioni della Commedia, mentre un corner sarà riservato all’originale volume “L’Inferno di Dante. Una storia naturale” (Mondadori, 2010) illustrato e commentato da Patrick Waterhouse e Walter Hutton, due giovani artisti in residenza a Fabrica, il laboratorio creativo di Benetton.
Un ulteriore corner propone l’“Inferno di Topolino” del 1949, disegnato da Angelo Bioletto e sceneggiato da Guido Martina in terzine dantesche.
Per dire quanto, quale sia l’espressione artistica o la latitudine, nella versione originale o nelle più disparate “reinterpretazioni”, la “Commedia” di Dante continui ad affascinare.

“La Quercia di Dante” è un progetto di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Comune di Rovigo, Accademia dei Concordi, Parco Regionale del Delta del Po Veneto (Riserva della Biosfera MAB Unesco), Comune di Ariano nel Polesine, insieme ad altre istituzioni territoriali e nazionali.

IMMAGINE DI APERTURAGustave Doré: Divina Commedia, Inferno canto XIX, I poeti si fermano a parlare con Niccolò III