Giorgio Goggi: Un progetto dimenticato per lo Stretto di Messina

A partire da oggi, Experiences pubblicherà relazioni, presentazioni audiovisive, nonché la registrazione filmata dei momenti principali del convegno realizzato a Roma dall’Associazione Europea del Mediterraneo (AEM).

AEM – Camera dei Deputati – Sala del Cenacolo, 4 luglio 2019
Convegno “LE MACROREGIONI EUROPEE DEL MEDITERRANEO E L’AREA DELLO STRETTO”

di Giorgio Goggi (Urbanista)

Da una parte sono sempre stato convinto della necessità di collegare la Sicilia al continente, anche se per motivi urbanistici -che più avanti esporrò- ben diversi dalle necessità di trasporto per le quali il collegamento viene spesso invocato. Dall’altra, però, pavento sia la realizzazione del ponte, che considero un intervento non appropriato alle necessità di quell’area, sia le conseguenze per lo straordinario paesaggio dello Stretto.  Non sono mai stato contrario all’umanizzazione del paesaggio ed alle sue trasformazioni, anche radicali, ma giudico questa non necessaria.
Infatti, le infrastrutture non sono neutrali, ma condizionano gli insediamenti. Pertanto, se costruiamo due infrastrutture diverse, queste determineranno anche due città diverse.
Quindi conviene che, prima di decidere quale infrastruttura realizzare, decidiamo quale città vogliamo costruire per il futuro dell’area interessata.
Questa è appunto la prima scelta che occorre fare per l’area dello Stretto: costruire la città dello Stretto o fornire un passante veloce al traffico che l’attraversa.

L’esperienza che mi ha radicato in questa convinzione è l’aver partecipato, negli anni 1992-94 alla progettazione dell’attraversamento dello Stretto mediante tunnel in alveo, proposta dall’ENI, come responsabile dell’ATI incaricata dal Consorzio ENI degli studi ed i progetti nel campo urbanistico, trasportistico e del disegno urbano.
L’ENI aveva riversato in questo studio la sua esperienza nei gasdotti sottomarini ed aveva risolto tutti i problemi tecnologici. I tunnel sarebbero stati costituiti da elementi modulari posati a circa 45 metri sotto il livello del mare, poiché questi elementi sono soggetti alla spinta idrostatica vengono ancorati al fondo marino con elementi tubolari in acciaio.
Si sarebbe trattato di manufatti assai complessi, realizzati con la sovrapposizione di più gusci in materiali diversi, in grado di soddisfare tutte le norme di sicurezza, anche in caso di gravi sismi o catastrofici incidenti di navigazione.
Il progetto fu poi abbandonato, nonostante i risultati tecnici molto positivi, ed è stato dimenticato, ma l’esperienza di quegli studi è stata fondamentale per chi l’ha vissuta ed essi hanno ancora qualcosa da insegnarci.
Il progetto si discostava radicalmente da quello del ponte perché collegando le due sponde con tunnel subacquei, che non sono condizionati dalla lunghezza del tracciato, si consentiva il collegamento diretto tra le città, in particolare per la rete ferroviaria.  I tunnel inoltre non avrebbero comportato alcuna intrusione nel paesaggio esistente.
Il ponte, invece, per raggiungere la quota d’imposta ed il punto più stretto del braccio di mare, non avrebbe potuto collegare direttamente le città (con il progetto del ponte di allora, il percorso Reggio-Messina, via Scilla-Ganzirri, sarebbe stato di circa 60-70 Km).  Pertanto il ponte sarebbe stato prevalentemente al servizio del traffico nazionale ed internazionale e non di quello urbano: le due città sarebbero rimaste ancora separate.

La ricerca progettuale per i tunnel si mosse su due filoni fondamentali: il primo e preponderante, a carattere tecnologico, il secondo -oggetto del nostro lavoro- a carattere macrourbanistico e trasportistico, che affrontò in modo globale i problemi territoriali dell’area dello Stretto.
Tuttavia, anche nel merito di questo secondo punto di vista, la diversità dell’approccio tecnologico consentì di ripensare globalmente la situazione insediativa dell’area dello Stretto e di trovare soluzioni urbanisticamente e trasportisticamente diverse da quelle fino allora proposte e praticate.
In altre parole, la diversa tecnologia consentì di concepire qualcosa di totalmente diverso.
Non tanto l’attraversamento, ma il problema dell’assetto urbanistico dell’area dello Stretto e delle sue possibilità di sviluppo diventò il punto centrale della ricerca.  La costruzione della “Città dello Stretto” (che avrebbe comportato di gran lunga maggiori e migliori opportunità di sviluppo per tutta l’area) si rivelò presto l’obiettivo prioritario della ricerca, per due ordini di motivi.
In primo luogo la quantità di traffico nazionale ed internazionale che attraversa lo Stretto, quella rilevata allora come l’attuale, non era e non sarà mai tale da non poter essere smaltita, anche se con tempi più lunghi, da un efficiente sistema di traghettazione.
I miglioramenti nella traghettazione, da allora fino ad oggi, lo hanno dimostrato. Ne conseguiva che la realizzazione del collegamento stabile non sarebbe stata giustificabile da nient’altro che dall’incremento del traffico urbano.
Pertanto l’opera era (e dovrebbe essere ancora) direttamente motivata non solo e non tanto dai livelli del traffico passante, ma dagli obiettivi e dalle necessità d’integrazione e sviluppo delle città, in termini sia di insediamenti sia di attività.
In secondo luogo un investimento così rilevante, come quello previsto per la realizzazione di un qualsiasi collegamento stabile (ponte o tunnel che sia), non può trovare giustificazione se non si traduce anche, ed innanzitutto, in nuove condizioni economiche e di vita, in particolare delle aree urbane coinvolte.

Quest’impostazione del problema portò ad un ribaltamento dell’ottica convenzionale: lo sviluppo urbano e l’integrazione delle tre città (Messina, Reggio e Villa S. Giovanni) nella “Città dello Stretto” diventò non una eventuale conseguenza della realizzazione delle infrastrutture, ma l’obiettivo principale e la condizione per realizzare il collegamento fisso attraverso lo Stretto.
Il sistema urbano dello Stretto, formato dalle tre città principali e dagli insediamenti minori, ha una struttura urbanistica complessa; questo vale in particolare per la città di Reggio, estesa su un vasto territorio.
In tutta l’area la mobilità, indotta anche dalla particolare conformazione urbana, è molto elevata.  La barriera fisica dello Stretto tuttavia incide molto sulle relazioni, infatti, la mobilità attraverso lo Stretto è molto meno sviluppata (dei 253 milioni di spostamenti/anno che si contavano allora nell’area dello Stretto, solo poco più di 2 milioni attraversavano).  Per contro, la città dello Stretto oggi è già una realtà almeno per il sistema universitario, distribuito sulle due sponde.
La situazione di mobilità rilevata consentì di prevedere (e di calcolare con modelli di traffico cui collaborò anche la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Reggio Calabria) che il superamento della barriera fisica avrebbe indotto un consistente aumento degli scambi tra le due sponde, con la creazione di un’unica area di mobilità e di un’unica città di 500.000 abitanti. 
In questo modo si sarebbero generati gli spostamenti necessari a sostenere il progetto: pertanto la condizione per la realizzazione del collegamento fisso era verificata, ma solo entro uno scenario di consolidamento e sviluppo degli insediamenti e delle attività urbane presenti nell’area.
In altri termini, le possibilità realizzare il collegamento fisso erano direttamente legate al recupero ed alla valorizzazione del sistema insediativo locale nella “Città dello Stretto”.
Conviene a questo punto illustrare con maggiore dettaglio i contenuti del progetto di attraversamento con tunnel in alveo.
Nella configurazione definitiva, il collegamento tra le due sponde sarebbe stato costituito da tre tunnel: uno dedicato al trasporto ferroviario, contenente un doppio binario, e due dedicati al trasporto stradale, contenenti ciascuno una carreggiata con due corsie di marcia ed una d’emergenza.

Lo studio del collegamento ferroviario era strategico e fu particolarmente approfondito: era costituito dall’inviluppo di quattro assi ferroviari che si riunivano nel tunnel d’attraversamento.  I quattro assi ferroviari avrebbero costituito un sistema di totale accessibilità urbano-regionale dell’area dello Stretto:
– verso Gioia Tauro sulla costa tirrenica calabrese;
– verso Locri, sulla costa ionica calabrese;
– verso Milazzo sulla costa tirrenica siciliana;
– verso Taormina, sulla costa ionica siciliana.
L’esercizio di questo sistema ferroviario di area urbana sarebbe stato reso possibile dal transito sia dei treni nazionali sia di quelli regionali e locali, con margini di capacità per ospitare tutti i servizi.
Tutti i treni sarebbero confluiti in due stazioni principali a due livelli (uno sotterraneo per l’attraversamento ed uno in superficie, come l’attuale stazione centrale di Bologna con l’Alta Velocità) poste a Reggio/Gallico e Messina Centrale, dove era consentito lo scambio tra tutte le linee.
Nel tratto urbano queste linee avrebbero costituito un efficiente servizio di metropolitana delle tre città principali: Messina, Reggio e Villa S. Giovanni.  La presenza sulla linea dei treni nazionali, regionali e locali avrebbe consentito frequenze fino a cinque minuti sui rami più prossimi all’attraversamento (nell’urbano di Reggio e Messina).
Il servizio metropolitano sarebbe stato assai veloce ed efficiente per gli spostamenti urbani tra le città: il percorso Reggio Centrale-Messina Centrale sarebbe stato coperto in sedici minuti, ed il puro attraversamento, sul percorso Reggio Gallico-Messina Centrale, in cinque minuti.
Pertanto, la velocità del servizio ferroviario avrebbe consentito di collegare direttamente i centri delle città con i tempi di una metropolitana urbana.
Una volta sviluppato il progetto di attraversamento stabile risultò evidente come il concetto chiave per la realizzazione fosse l’equilibrio degli insediamenti e delle attività, associato a flessibilità e gradualità nella costruzione delle infrastrutture.
Apparve chiaro come la rete dei trasporti nell’area dello Stretto fosse un sistema necessariamente formato sia dai collegamenti marittimi (traghetti, aliscafi), sia dal futuro attraversamento fisso, il quale avrebbe dovuto aggiungersi al sistema integrandosi agli altri elementi, al fine di garantire una più elevata accessibilità complessiva.
Numerosi erano i pericoli insiti nella realizzazione del progetto: da quello di causare la rovina dell’industria del traghettamento a quello di creare nuove aree dismesse all’interno degli insediamenti urbani.  Non andava dimenticato lo squilibrio causato dalla rilevante massa di manodopera necessaria per la costruzione, che al termine delle opere non trovasse adeguata collocazione, come avvenne a Taranto all’epoca della costruzione del polo siderurgico.
Non a caso una delle parti più importanti della ricerca economica che ha guidato il progetto ha avuto come obiettivo quello di evitare squilibri nell’assetto economico e del mercato del lavoro.

La tecnologia individuata consentiva ampiamente di realizzare la flessibilità richiesta, si prevedeva, infatti, la realizzazione separata e scaglionata, in relazione alle necessità ed al livello di sviluppo dell’area urbana, dei vari collegamenti tra le due sponde.
Si previde, quindi, un’attuazione per gradi, di pari passo con lo sviluppo delle relazioni e degli insediamenti: in un primo tempo sarebbe stato realizzato il solo attraversamento ferroviario, con la costruzione di un solo tunnel. Questo avrebbe garantito la totale accessibilità urbana e regionale con un sistema di metropolitana ferroviaria ad alte prestazioni.
A questo punto l’armatura infrastrutturale della “Città dello Stretto” sarebbe stata già compiuta, senza aver inserito elementi di squilibrio urbanistico o economico.
Realizzare il collegamento sulla rete di trasporto pubblico, prima che su quella stradale, avrebbe inoltre consentito che l’accessibilità nella “Città dello Stretto” fosse ampia ed offerta a tutti senza limitazioni di condizione sociale.
Il passo successivo sarebbe stato la costruzione del secondo tunnel, destinato al trasporto stradale, con la realizzazione di un collegamento su unica carreggiata a due corsie, una per senso di marcia.
Quando la crescita del traffico avesse richiesto una superiore capacità di trasporto, si sarebbe potuto realizzare il secondo tunnel stradale, riorganizzando il collegamento su due carreggiate separate a sezione autostradale.
La gradualità offriva numerosi vantaggi.  Da una parte il nuovo collegamento non avrebbe sostituto totalmente i traghetti, che sarebbero stati parte integrante del sistema per tutti gli scenari intermedi.
La manodopera necessaria per costruire il collegamento sarebbe stata più limitata, ma impiegata per un tempo più lungo (con una durata minima di oltre quindici anni), quindi formata da addetti stabili.  Inoltre, i manufatti componenti i tunnel sarebbero potuti essere costruiti in qualsiasi cantiere italiano, per essere poi rimorchiati allo Stretto, con larga ripartizione dei vantaggi economici e minori squilibri.
Questo modo di realizzare le infrastrutture avrebbe fatto crescere l’offerta di capacità insieme alla crescita della domanda e quindi anche della capacità di investimento.
Infine, il sistema avrebbe potuto creare da solo una parte delle risorse necessarie al suo completamento; infatti, il tunnel ferroviario realizzato per primo avrebbe iniziato a produrre utili e ad eliminare gli ingenti costi di traghettazione dei treni che allora gravavano sulle FS, quindi a ripagare gli investimenti ancor prima che il sistema fosse completato.

Ma il più importante vantaggio sarebbe stato dato dalla configurazione urbanistica dei tracciati.  La centralità attribuita al problema degli insediamenti indusse a progettare le reti di trasporto sulla struttura urbanistica di Reggio e Messina: ne risultò un tracciato più razionale dal punto di vista trasportistico e più efficace in termini simbolici.
Il traffico passante nazionale non ne sarebbe stato per nulla penalizzato, anche se i tracciati avrebbero privilegiato le relazioni fra gli insediamenti.
La scelta di realizzare il collegamento ferroviario per primo fu anche dettata da preoccupazioni di ordine urbanistico, cioè dalla necessità di recuperare anche i quartieri dispersi nella vasta urbanizzazione reggina, obiettivo congeniale alle caratteristiche del trasporto ferroviario.
Si scoprì l’importanza di luoghi urbani estremamente significativi.  Catona e Gallico -ora insediamenti periferici- e la stazione di Messina con le aree adiacenti, sarebbero stai i privilegiati dall’accessibilità destinati a ricoprire un ruolo nella “Città dello Stretto”.
Anche tutti i luoghi toccati dalle numerose stazioni del servizio metropolitano avrebbero goduto di notevoli caratteristiche di accessibilità (anche se non confrontabili con quelle delle due stazioni di interscambio) e sarebbero potuti diventare altrettanti centri di sviluppo urbano.
Il contenuto del progetto era quindi costituito da più elementi: i manufatti dell’attraversamento, il sistema degli insediamenti, la rete di trasporto e le attività insediate erano inscindibilmente legati, il tutto con l’obiettivo di uno sviluppo globale.
Da ultimo, ma non per importanza, l’aspetto simbolico, in questo caso direttamente connesso con quello ambientale. I tunnel non sarebbero stati visibili all’esterno se non attraverso le poche, discrete emergenze delle prese d’aria, non intrusive nel paesaggio.
Il paesaggio naturale sarebbe rimasto invariato: l’aspetto più affascinante della sfida progettuale affrontata fu quello di unire funzionalmente conservando la separatezza e diversità paesaggistica.

Ho sempre pensato che non si debbano avere eccessive paure nei confronti delle trasformazioni del paesaggio causate dalla tecnologia dei trasporti.  Tuttavia sono profondamente convinto che la tecnologia che raggiunge risultati almeno uguali, ed anche superiori, lasciando il paesaggio invariato, sia sicuramente da preferire.
Questo progetto, ormai abbandonato e dimenticato, fece capire a tutti noi come fosse possibile costruire città in modo ben diverso e più accorto, impostando un rapporto più profondo tra gli insediamenti, la rete di trasporto e lo sviluppo economico locale.

Figura 1 – Tracciati ferroviari e stradali e del tunnel ferroviario di prima fase.
Figura 2 –Fase finale: tracciati ferroviari e stradali e dei tre tunnel.
Figura 3 – Dettaglio della sponda calabra.
Figura 4 – Dettaglio della sponda siciliana

BIBLIOGRAFIA: 
– Leonardo Cavalli, Un modello per prefigurare la città dello Stretto, KINEO 5 1994
Audizione del presidente dell’ENI, ingegner Gabriele Cagliari – seduta di mercoledì 15 maggio 1991 

Norvegia: il ponte di Archimede attua strategie per il futuro

L’ingegnere Arianna Minoretti, a fianco una delle strutture allo studio.

di Arianna Minoretti

I recenti studi norvegesi per gli attraversamenti lungo la strada europea E39 sulla costa ovest della Norvegia hanno dimostrato la fattibilita’ di nuove tipologie costruttive, come ponti strallati o sospesi su piattaforme galleggianti e ponti di Archimede. L’ideazione di questa struttura risale a fine ottocento ma solo dopo lo sviluppo delle recenti strutture in ambito offshore è stato possibile dimostrarne la vera fattibilita’. Il ponte di Archimede consente di realizzare un attraversamento nascosto alla vista, di ridurre l’impatto acustico rispetto ad una tradizionale struttura da ponte ed è competitivo per i lunghi attraversamenti. L’immersione della struttura consente inoltre di ridurre i carichi ambientali sulla struttura stessa. Attualmente il ponte di Archimede viene proposto per tre attraversamenti lungo la E39 in Norvegia.
Credendo nel suo elevato potenziale, dopo aver lavorato alle normative nazionali norvegesi, l’Amministrazione pubblica norvegese sta collaborando con un team internazionale di esperti alla stesura delle prime linee guida internazionali su questa struttura. Lo sviluppo tecnico-scientifico, permesso dagli studi effettuati per gli attraversamenti dei fiordi norvegesi, consente di rivalutare sotto una diversa luce le proposte fatte sin dagli anni ’50 per questa struttura. Tra queste, l’attraversamento dello stretto di Messina, con l’augurio che la condivisione della comunità scientifica in termini di ricerca possa contribuire a rafforzare la fiducia in questa tipologia strutturale, che oggi rappresenta una reale possibilita’ per il settore dei trasporti.

L’autostrada costiera E39 (clicca qui)

HUFFINGTONPOST PER CONOSCERE ARIANNA MINORETTI

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta dalla relazione di Arianna Minoretti al convegno “Le Macroregioni europee del Mediterraneo e l’area dello Stretto” (Roma 4 luglio 2019, Camera dei deputati Sala del Cenacolo)

Convegno alla Camera dei Deputati su Macroregione e Area dello Stretto

Del Prof. Cosimo Inferrera
Presidente Associazione Europea del Mediterraneo e del Comitato MMO

Il Mediterraneo, considerati i legami storici tra le popolazioni delle due sponde, rappresenta lo spazio ideale per realizzare nuove forme di governance che mettano insieme gli interessi comuni a più regioni attraverso azioni sinergiche: da luogo emblematico di conflitto tra civiltà, può diventare area della cooperazione economica e del dialogo. La Sicilia massimamente per storia, apertura alle diversità, capacità di metabolizzare l’ibridismo culturale si candida ad essere naturale centro di incontro, piattaforma logistica dove allocare servizi di interesse a disposizione delle diverse realtà. Si tratta adesso di promuovere azioni sinergiche da parte degli enti territoriali per favorire opportunità che i nuovi assetti geopolitici nel Mediterraneo possono offrire per dare alla centralità geografica una dimensione politica. Le Macroregioni rappresentano uno strumento idoneo ad agevolare la cooperazione transfrontaliera proiettata in un’ottica di maggiore coesione economica: dunque migliori relazioni tra regioni di confine per più efficaci garanzie di diritti e di iniziative di sviluppo congiunto che riannodino legami socio-culturali. Il convegno del 4 luglio, nella Sala Cenacolo della Camera dei Deputati, prosegue un percorso che coinvolge Associazioni, Sindaci oltre un centinaio di professionisti, di esperti e vuole essere occasione di approfondimento a più voci, con l’auspicio di poter contare in primo luogo sull’adesione dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci delle Città metropolitane, naturali protagonisti di un disegno di sviluppo dell’intero Mezzogiorno, del Mediterraneo e dell’Europa.

Convegno 4 luglio 2019
LE MACROREGIONI EUROPEE DEL MEDITERRANEO E L’AREA DELLO STRETTO
Camera dei Deputati
Vicolo Valdina 3/A, Sala del Cenacolo Roma,
4 Luglio 2019 – ore 9.00
Per partecipare, scrivere a info@vision-gt.eu
Per gli uomini sono obbligatorie giacca e cravatta

PROGRAMMA DEI LAVORI

La battaglia navale di Lepanto blocca l’espansionismo Ottomano nel Mediterraneo

Di Paolo Pantani

La battaglia di Lepanto (Lèpanto; chiamata Efpaktos dagli abitanti, Lepanto dai veneziani e İnebahtı in turco), detta anche battaglia delle Echinadi o Curzolari, fu uno scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell’Impero Ottomano e quelle cristiane (federate sotto le insegne pontificie) della Lega Santa che riuniva le forze navali la cui metà era inviata dalla Repubblica di Venezia e l’altra metà dall’Impero spagnolo formato totalmente dal Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, dallo Stato Pontificio, dalla Repubblica di Genova, dai Cavalieri di Malta, dal Ducato di Savoia, dal Granducato di Toscana, dal Ducato di Urbino, della Repubblica di Lucca (che partecipò all’armamento delle galee genovesi), dal Ducato di Ferrara e dal Ducato di Mantova.La battaglia, quarta in ordine di tempo e la maggiore, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d’Austria, su quelle ottomane di Mùezzinzade Alì Pascià, che morì nello scontro.Alla battaglia partecipò il grandissimo scrittore spagnolo Miguel Cervantes Saavedra che fu ferito e perse un braccio nello scontro, si fece chiamare dopo” El monco de Lepanto” e scrisse la famosa frase elogiativa di Napoli che è affissa nella via Cervantes omonima, sul palazzo della Banca d’Italia. E’ inutile dire che questa battaglia che salvò per la seconda volta l’Occidente fu organizzata a Napoli, la flotta partì dal nostro porto, con legni, equipaggi e soldati nostri imbarcati sotto le insegne del vicereame spagnolo. Dopo la prima in assoluto, la Lega Campana, per la seconda volta nella storia si usa il termine Lega nelle nostre terre ed è vittoria piena e totale, non come successe alla lega lombarda che con la Pace di Costanza del 25 giugno del 1183 firmò lo scambio con Federico Barbarossa in seguito al quale i comuni medievali dell’Italia settentrionale si assoggettarono a restare fedeli all’Impero in cambio della mera giurisdizione locale sui loro territori. Nei fatti rimasero gregari e subalterni a Federico Barbarossa, Imperatore del sacro romano impero, cosa che potrebbe succedere ancora oggi se si approva la loro autonomia rafforzata, saranno la succursale della Baviera. Da noi invece, con le nostre coalizioni, fu vittoria piena e totale nel Mediterraneo, non siamo finiti come l’Ungheria, i Balcani e la Grecia, il nostro indomito stato cuscinetto d’Europa ha salvato l’intero Occidente ed il papato ben due volte, ma nessuna storiografia italiana ed europea ce lo ha mai riconosciuto, solo il papato ha celebrato le vittorie delle nostre coalizioni con il culto mariano, celebrato in tutti dipinti che raffigurano la Battaglia di Lepanto e con la festa del 7 Ottobre della Madonna della Vittoria o del Santo Rosario.Pochi sanno che i colori, i simboli, le stelle, la disposizione in tondo della bandiera europea, sono un omaggio a Maria di Nazareth, la madre di Gesù. Per dirla più esplicitamente: la bandiera europea è nata come un simbolo mariano. Quindi Il colore azzurro della bandiera europea deriva da manto di Maria che si dice avvolse e protesse le navi cristiane a Lepanto.Come pure l’acquisizione ufficiale (1572) della fascia azzurra per gli ufficiali in servizio delle forze armate italiane. la Sciarpa subì leggere modifiche sia nella foggia che nel modo di essere indossata, prima alla vita, quindi a tracolla dalla spalla sinistra al fianco destro sino a che, il 25 agosto 1848, ne vennero stabilite le caratteristiche definitive. Fu, però, solo nell’ottobre 1850 che assunse la forma di segno distintivo di servizio eguale per tutti i gradi degli ufficiali. 

Napoli e il suo ducato baluardo estremo dell’Occidente contro la conquista Araba

Di Paolo Pantani

A partire dall’anno 827 (data del loro primo sbarco a Mazara del Vallo) gli Arabi, dopo avere esteso il loro dominio a tutta l’Africa settentrionale e parte della Spagna, cominciano la progressiva conquista della Sicilia che utilizzano come base per compiere razzie in tutta l’area del Tirreno.
Nell’estate dell’849 una flotta costituita dalle navi dei ducati di Amalfi, Gaeta, Napoli e Sorrento riunite nella Lega Campana, sotto la guida del console Cesario di Napoli (figlio secondogenito del duca di Napoli Sergio), sbaragliò una flotta di navi saracene che si apprestava a sbarcare presso Ostia con l’intento di operare l’invasione e la devastazione di Roma.
Il console Cesario, giunto in soccorso, si presentò a Roma; si fece annunziare al pontefice Leone IV, che lo accolse in Laterano e che riaccompagnatolo ad Ostia benedisse i guerrieri della Lega Campana con una preghiera ch’è rimasta nella storia della liturgia cristiana cattolica.
Quando, la mattina seguente, s’appressarono le navi africane, Cesario le investì vigorosamente, affondandone parte. Lo scontro tra le due flotte fu violentissimo e durò un’intera giornata con esito incerto, fin quando un’improvvisa tempesta non sopravvenne creando lo scompiglio tra le navi saracene. I più esperti marinai campani ebbero allora il sopravvento infliggendo al nemico gravi perdite e catturando numerosi prigionieri.
Fu, secondo vari storici, la più insigne vittoria navale dei cristiani sui musulmani prima della battaglia di Lepanto, la quale rappresentò la fine dell’espansionismo islamico in Europa e salvò la capitale dell’Occidente cristiano da una sicura devastazione saracena. La Battaglia di Ostia è stata rappresentata da Raffello Sanzio in un affresco databile 1514 situato nella Stanza dell’Incendio di Borgo, una delle Stanze Vaticane.L’immagine dell’affresco è allegata al post.

La Battaglia di Ostia di Raffaello Sanzio


Anche una delle più belle, panoramiche e marittime strade di Napoli è dedicata a Cesario Console, peccato che il monumento è dedicato ad Augusto Imperatore, il quale non c’entra assolutamente nulla, è un abusivo, sono solo reminiscenze da arredo urbano di origine del ventennio.
La coalizione del console Cesario sicuramente tratta della prima coalizione di Stati italiani opposta vittoriosamente alla prepotente minaccia straniera, anticipando di circa tre secoli la più pubblicizzata, enfatizzata, esagerata e strumentalizzata, lega lombarda. E non sarà la prima e unica volta, siamo stati uno stato cuscinetto di tutto il continente europeo. Tale territorio è del tutto omogeneo e, pur avendo perso per un periodo abbastanza lungo la Sicilia, ha mantenuto la sua identità, la sua lingua, la sua cultura, la sua sovranità e l’idem sentire cristiano.Se ciò non fosse accaduto ci saremmo addormentati come la penisola balcanica e la Grecia.

Autonomia Differenziata. Effetti sul Mezzogiorno e sullo sviluppo del Paese

Di Carmelo Cutuli da C-Blog.it

“Autonomia Differenziata: quali gli effetti sul Mezzogiorno e sullo sviluppo del Paese”, è il titolo del convegno che affronterà questi temi lunedì 3 giugno 2019 alle 9 nella Sala Cinese del Dipartimento di Agraria in via Università,100 a Portici. Le trattative con il Governo sono riprese nella legislatura in corso, con l’indicazione del 15 febbraio 2019 come termine per la firma delle Intese. Nonostante il silenzio che le ha avvolte, alcune notizie sono, in parte, trapelate: integrale regionalizzazione della sanità, una altrettanto completa regionalizzazione del sistema scolastico e un riparto delle risorse basato su una stretta connessione tra fabbisogni e capacità fiscale territoriale. Tra intellettuali e commentatori l’allarme è divenuto alto. Molti si sono impegnati per informare e sensibilizzare classi dirigenti e parlamentari allo scopo di affermare la necessità di coinvolgere il Parlamento ed il Paese in un confronto sulla opportunità e sulle modalità di trasferimento delle funzioni richieste. Nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio, contrariamente a quanto era stato annunciato, le Intese non sono state approvate.
Oggi a che punto siamo? Le trattative proseguono e solo in parte è caduta la nube di silenzio che le circonda. Per tale motivo è importante promuovere iniziative che consentano di ampliare la conoscenza dei diversi aspetti del processo in corso grazie ai contributi di studiosi del federalismo e delle sue conseguenze per lo sviluppo del Paese e del Mezzogiorno. In continuità con la tradizione meridionalista del Centro “Manlio Rossi-Doria”, il Dipartimento di Agraria e l’Associazione Scientifica Centro di Portici, hanno promosso questo convegno come contributo alla discussione. E’ proprio vero che il federalismo fiscale comporta una maggiore efficienza allocativa? Quali i presupposti affinché questo avvenga senza mettere in discussione l’unità nazionale e i principi di uguaglianza e solidarietà sanciti in Costituzione? Ne parleranno i Professori Adriano GiannolaCarmelo Petraglia e Alberto Zanardi. Le considerazioni conclusive saranno a cura del Presidente della Regione Campania On. le Vincenzo De Luca. Seguirà la Tavola Rotonda con la partecipazione del Professore Sandro Staiano, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II, del dott. Roberto Napoletano, Direttore de “il Quotidiano del Sud” e degli On.li Vincenzo Presutto Paolo Russo, Vicepresidenti della Commissione Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale.

L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale

#Europa – #Europae
L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale
, che si terrà giovedì 9 maggio, dalle 9:00 alle 14:00, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica, 72 – Senato della Repubblica
ROMA

Il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa, il giorno in cui, nel 1950, il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman presentava un piano di cooperazione economica europea, la nota “dichiarazione Schuman”, che generò la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, primo mattone per la costruzione dell’attuale Unione Europea.

Il processo di unificazione sociale, culturale e politico dei paesi membri dell’Unione, nel corso degli ultimi venti anni è progredito tra accelerazioni e improvvise frenate. Ha subito i contraccolpi della globalizzazione dei mercati e i terremoti geopolitici. Oggi, alla vigilia della prossima tornata elettorale, l’Unione sembra essere in cerca di una sua identità.

La crescita del peso elettorale dei partiti “populisti” e “sovranisti”, l’uscita di alcuni Paesi dall’Unione Europea, tra i quali il Regno Unito, e le ricorrenti proposte di referendum contro l’Euro o la stessa Unione, ci presentano una Europa frammentata e divisa, proprio in un momento storico in cui i maggiori attori globali presentato le caratteristiche dello Stato-continente, come gli Usa, la Russia, la Cina e l’India.

Pertanto, proprio nel giorno della Festa dell’Europa, Vision & Global Trends – International Institute for Global Analyses, nell’ambito del Progetto Platform Europe, ha inteso organizzare, in collaborazione con la Senatrice Laura Garavini, presidente del Gruppo interparlamentare Federalisti Europei, un seminario di studio dal titolo “#Europa – #Europae. L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale”, al fine di riflettere su tali temi e individuare gli elementi che caratterizzeranno il futuro e il destino dell’Unione Europea.


Per registrarsi all’evento scrivere a: info@vision-gt.eu
WEBSITE www.vision-gt.eu

PARTECIPANO

Laura Garavini, Presidente Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Ettore Rosato, Vice Presidente della Camera dei Deputati
Tiberio Graziani, Presidente Vision & Global Trends
Paolo Ponzano, Segretario generale del Movimento Europeo Italia
Maria Grazia Melchionni, Cattedra Jean Monnet, Università Sapienza di Roma, Direttore RSPI, Rivista di Studi Politici Internazionali
Giuseppe Bettoni, Università “Tor Vergata” di Roma, Institut Français de Géopolitique
Valeria Fedeli, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Fabrizio Noli, Caposervizio Esteri Radio Rai
Dieter Steger, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Filippo Romeo, Analista, Vision & Global Trends
Gianni Pittella, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Lisa Caramanno, Analista, Vision & Global Trends

La costruzione sociale del valore – Il Museo dell’innocenza a Istambul

Il premio Nobel Orhan Pamuk nel suo Museo dell’innocenza ad Istanbul

di Sergio Bertolami

Valorizzare il territorio della Macroregione Mediterranea, le sue differenti culture e i beni che la caratterizzano, è l’obiettivo della sezione “Cultura e Turismo” dell’Associazione Europea per il Mediterraneo. “Valorizzare”, ovvero attribuire o accrescere valore. Cercherò, dunque, di focalizzare il discorso su come sia possibile costruire valore. Il tema, non solo è articolato, ma andrebbe considerato sotto differenti ambiti disciplinari. Questo perché, come afferma l’economista Franco Archibugi, «il valore non è una proprietà fissa e inerente delle cose. È piuttosto una proprietà variabile la cui grandezza non dipende solo dalla natura della cosa in sé, ma anche da chi la valuta e dalle circostanze in cui è valutata. Una cosa può avere valori differenti secondo differenti scopi, in differenti momenti, per differenti persone, sotto differenti condizioni (cioè ambiente fisico in cui si trova chi la valuta), insomma secondo differenti circostanze (personali, fisiche, psicologiche, sociali e politiche) del valutatore nel momento in cui valuta».

Per tentare di comprendere meglio il concetto di valore espresso con chiarezza sintetica da Archibugi, utilizzerò come esempio un museo che dal 2012 si può visitare in una importante città del Mediterraneo. La città è Istanbul. Il Museo è situato nel quartiere di Çukurcuma, nella parte europea della città, e si affaccia sul Bosforo. Si tratta del “Museo dell’innocenza”, perché lo scrittore turco Orhan Pamuk lo ha realizzato raccogliendo oggetti che di per sé stessi sono innocenti, ma per lui hanno un potere evocativo tale da rendere tangibili le pagine dell’omonimo romanzo e le memorie che vi sono racchiuse. È, dunque, l’autore che conferisce un valore di testimonianza agli oggetti esposti. Per quale motivo? Lo spiega Pamuk stesso nelle ultime pagine del libro: «Quello che desidero insegnare con il mio museo, e non solo ai turchi ma a tutti i popoli del mondo, è di essere orgogliosi della propria vita. Ho girato parecchio e ho visto una cosa: mentre gli occidentali ne sono orgogliosi, della propria vita intendo, il resto del mondo, perlopiù, se ne vergogna. Però, se le cose di cui ci vergogniamo nelle nostre vite venissero esposte in un museo, diventerebbero qualcosa di cui andare fieri».

Questi oggetti innocenti servono, perciò, a tracciare un percorso di riscatto e di orgoglio, che va dalla vita al racconto, espresso non solo con parole. Orhan Pamuk, insignito nel 2006 del Premio Nobel per la letteratura, afferma orgoglioso: «Ho inventato il romanzo-museo». È, infatti, l’unico caso al mondo di «museo di un romanzo». Un unicum espositivo, perché esistono musei letterari, esistono case di letterati trasformate in museo. Tuttavia, non conosciamo un museo realizzato perché il protagonista di un racconto, Kemal, una notte ha capito che gli oggetti conservati per ricordare il proprio amore perduto dovevano essere uniti da una narrazione, come un catalogo dettagliato dove registrare il passato di ogni singolo pezzo. «Uno scrittore – considera Kemal – avrebbe dunque potuto redigere il catalogo del mio museo scriverlo come fosse un romanzo? Da parte mia io non volevo nemmeno provarci a scrivere un libro del genere. Chi avrebbe potuto farlo per me?». Solo Pamuk, agli occhi di Kemal, conosceva alla perfezione il contesto di questa storia. Una vicenda pirandelliana, senz’altro, che nel caso specifico si materializza nel «museo di un romanzo».

Così, nel 1998, Pamuk compra e ristruttura, nel quartiere vecchio di Cukurcuma, un modesto edificio che fronteggia la strada che porta al consolato italiano. L’acquisto è sottoscritto con un mutuo bancario che lo impegna a consegnare i diritti di Istanbul, un libro che ancora deve scrivere. Le prime pagine di questo libro, per la precisione il secondo capitolo intitolato “Le fotografie della casa-museo buia”, riecheggiano Palazzo Pamuk: «Mi intristivano… le credenze sempre chiuse a chiave e piene zeppe di porcellane cinesi, tazzine, servizi d’argento, zuccheriere, tabacchiere, bicchieri di cristallo, contenitori per l’acqua di rose, piatti, incensieri… e io pensavo che tutti questi oggetti che riempivano ogni buco del nostro palazzo fossero esposti non per la vita, bensì per la morte». Anche questi oggetti sono legati al ricordo, ma i salotti borghesi, musealizzati per stupire gli occasionali ospiti in visita, non corrispondono all’idea che ha Pamuk di un luogo che al contrario dovrebbe esprimere felicità.

Per comprendere questa felicità leggiamo l’incipit del romanzo “Museo dell’innocenza”, il primo pubblicato dopo essere stato insignito del Nobel: «Era l’istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto. Se l’avessi capito, se allora l’avessi capito, avrei forse potuto preservare quell’attimo e le cose sarebbero andate diversamente? Sì, se avessi intuito che quello era l’istante più felice della mia vita non mi sarei lasciato sfuggire una felicità così grande per nulla al mondo». Quando questa felicità sfugge, cosa fare? «L’unica cosa che rende questo dolore sopportabile è possedere un oggetto, retaggio di quell’attimo prezioso. Gli oggetti che sopravvivono a quei momenti felici conservano i ricordi, i colori, l’odore e l’impressione di quegli attimi con maggiore fedeltà di quanto facciano le persone che ci procurarono quella felicità».

Fermiamoci a riflettere sul concetto di valore, come l’abbiamo formulato finora. L’oggetto innocente ha assunto un valore strettamente legato al bisogno o al desiderio che è riuscito a soddisfare: più grande è questa capacità, maggiore sarà il valore del bene. Ma se il valore non è una proprietà intrinseca degli oggetti, allora questo valore può rivelarsi mutabile. Pamuk stesso scrive: «Nei musei fatti con passione e ben organizzati, a confortarci non è la vista degli oggetti che amiamo, ma questa eternità di cui facciamo esperienza visitandoli». Il valore è, quindi, una proprietà variabile. La sua grandezza dipende da almeno tre fattori, come ha spiegato Franco Archibugi. Sicuramente, in primis, dalla natura del bene in sé, poi da chi lo valuta e, infine, dalle circostanze in cui è valutato.

Gli oggetti esposti nel “Museo dell’innocenza” potrebbero essere visti come un percorso nella memoria degli anni Settanta della Turchia, un espediente per raccontare la città di Istanbul, il modo di palpitare e di vivere delle persone. Il romanzo esprime le valutazioni del personaggio Kemal, ma sono anche le valutazioni dell’autore Pamuk? Una domanda meramente letteraria è quella di chiedersi quanto i personaggi rispecchino la personalità dell’autore. Ma in questo discorso sono le riflessioni di carattere museografico e museologico a doverci interessare – anche se non potremo farlo tutto questa volta – ovvero il rapporto museo-città oppure i piccoli e i grandi musei. Cominciamo descrivendo questa casa-museo, o meglio questo museo-casa… presto capiremo perché. La farfalla è il logo del museo. S’ispira alla forma dell’orecchino di Füsun che cade nel corso dell’amplesso descritto nel primo capitolo. Idealmente fa da guida ai visitatori nei tre piani espositivi. Pamuk intervistato spiega: «Ho ritenuto di procedere come nel libro e cioè che la mostra degli oggetti dovesse seguire capitolo per capitolo. Il romanzo ne conta 83, e allora il museo avrà 83 contenitori in cui verranno esibiti gli oggetti. Ognuno come un quadro a sé stante».

Romanzo e vetrine del museo narrano la storia d’amore fra Kemal e Füsun. Kemal ha trent’anni, è ricco, opera nell’azienda di famiglia, vive agiatamente in un quartiere eccellente della città, si è fidanzato da poco (e al ricevimento ha partecipato persino lo stesso Pamuk) e sta organizzando le nozze con Sibel, che appartiene al suo stesso ceto sociale e ha studiato alla Sorbona. I due fidanzati hanno visto in una vetrina una bella borsa europea. Il giorno seguente Kemal entra nel negozio per acquistarla. La commessa che lo serve è Füsun, una lontana cugina, bellissima quanto povera, che vive in una casa del vecchio quartiere di Çukurcuma. È un amore travolgente che sconvolgerà ogni programma di matrimonio. Una felicità smisurata che il giovane non sa afferrare, perché Kemal crede di potere portare avanti due relazioni parallelamente e Füsun rifiuta un rapporto come questo.

Un racconto di 532 pagine che si concluderà con la morte di Füsun. Kemal decide di esporre una collezione di oggetti nella casa della donna amata, dove lui è andato a vivere in soffitta con l’intento di allestire il museo nei piani sottostanti. «Capii che dovevo raccogliere in un unico luogo tutto ciò che riguardava Füsun, sia quello che, senza esserne del tutto consapevole, avevo accumulato in nove anni, sia quel che ora trovavo nella sua camera o, addirittura, nel resto della casa. Ma come fare? Trovai risposta a questa domanda solo quando cominciai a viaggiare in giro per il mondo e a visitare i piccoli musei, le collezioni private, le raccolte più eccentriche e particolari di cui fossi a conoscenza».

La collezione ha un valore incommensurabile per Kemal. Il fatto ci fa comprendere che la problematica del valore si sposta dal bene che deve essere valutato alla persona che si trova a valutarlo. Occorre infatti sapere apprezzare il bene, operare scelte, prendere decisioni. Ad esempio, quale bene conservare? Concerne la sfera individuale, come quella affettiva di Kemal; tuttavia, nel caso della esposizione che vuole allestire, la problematica assume risvolti più complessi. Per quale motivo esporre al pubblico beni individuali? Si comprenderà che, in tal caso, il valore del bene dovrà essere connesso con un certo grado di “utilità sociale”. Ad esempio, con il recupero delle aree urbane circostanti, come è avvenuto per molti altri musei. Nello specifico del museo di Pamuk si tratta addirittura di circa 1100 oggetti che non hanno un valore propriamente artistico, bensì costituiscono testimonianze (immaginarie, ma pur sempre prove di vita materiale). Sono state pazientemente accumulate negli anni, tra beni personali e acquisizioni fatte attraverso donazioni o acquisti in negozi di antiquari e mercatini bric-à-brac. Addirittura, sono delle ricostruzioni, come la borsa adocchiata nella vetrina del negozio in cui lavora, da commessa, Füsun. Vari artigiani hanno riprodotto alcuni degli oggetti presenti nel libro: «Oggetti immaginati – spiega Pamuk in una intervista – come il portacenere o le bottigliette. Abbiamo prodotto gli articoli di giornale descritti. Oppure marchi inesistenti, come Meltem o Sat-Sat. O il profumo Spleen. Tutte cose che di solito il lettore non nota, ma che, quando la gente verrà, vedrà davvero. Capita ai lettori di pensare ai personaggi di un romanzo come a persone in carne e ossa».

In questo museo di Istanbul la realtà degli spazi espositivi rende esplicita la dimensione letteraria del romanzo: giocattoli, bambolotti rotti, un cuore spezzato di porcellana, ritagli di giornale, musiche e brani audio, vecchie foto d’epoca e spezzoni di video, orologi, pettini, animali impagliati, bicchieri di the o bicchierini di liquore, tazzine… memorabilia di ogni genere d’interesse esclusivamente privato. Come spiegare, però, l’esigenza di costruire un valore d’interesse pubblico, come un museo? Osserviamo alcune date. Nel 2006 Pamuk riceve il Premio Nobel. Due anni dopo esce il romanzo “Il Museo dell’innocenza”. L’apertura del museo è inizialmente programmata per il 2010, anno in cui Istanbul ricopre il ruolo di Capitale della Cultura europea; ma l’inaugurazione del museo non avverrà prima dell’aprile 2012. Si può comprendere come l’opera di Pamuk abbia permesso di sostenere il valore istituzionale della cultura turca in un momento di massima visibilità mondiale. Una comunità, come l’Unione Europea, spesso, crea eventi istituzionali allo scopo di incentivare una identità condivisa fra i propri membri. Per esprimere la valutazione di un evento, ogni comunità nazionale si basa sulla conoscenza di come i suoi singoli membri valutano quell’evento. Nel contempo occorre determinare come tale evento sia percepito dal resto della comunità internazionale. Emerge, quindi, che la valutazione pubblica è il prodotto dell’aggregazione di una molteplicità di valutazioni interne ed esterne, che costituiscono la percezione sociale del valore. Ecco perché il valore sociale si manifesta in modo differente in ambienti differenti e per comunità differenti. È pressoché un assioma.

Nel sito internet del “Museo dell’innocenza” Pamuk non si limita a illustrare i contenuti dell’opera, ma arriva a proclamare un manifesto moderno per i musei. «Grandi musei nazionali come il Louvre e l’Hermitage hanno preso forma e sono diventati mete turistiche essenziali accanto all’apertura al pubblico di palazzi reali e imperiali. Queste istituzioni, ora simboli nazionali, presentano la storia della nazione-storia, in una parola, come molto più importante delle storie degli individui. Questo è un peccato perché le storie degli individui sono molto più adatte a mostrare le profondità della nostra umanità». I musei nazionali, sostiene ancora Pamuk, dovrebbero essere come dei romanzi, ma non lo sono. Occorrerebbe che si raccontasse non solo “la Storia” ma “le storie”, poiché sappiamo tutti che le storie ordinarie e quotidiane degli individui sono più ricche, più umane e molto più gioiose. «È imperativo che i musei diventino più piccoli, più individualisti e meno costosi… Le risorse dovrebbero anche essere utilizzate per incoraggiare e sostenere le persone nel trasformare le loro piccole case e le loro storie in spazi “di mostra” … Abbiamo bisogno di musei modesti che onorino i quartieri e le strade e le case e i negozi nelle vicinanze, e li trasformino in elementi delle loro mostre».

Per concludere, a noi – che vorremmo provare a leggere in modo differente la cultura del territorio della Macroregione Mediterranea dalle poliedriche sfaccettature – Il percorso avviato da Pamuk è parso adatto a poter chiarire identità e alterità. Abbiamo tante storie da raccontare, ma non ne siamo consapevoli del tutto, esperienze già vissute e tante altre ancora in cui cimentarsi. Sono il nostro vero tesoro al quale dare valore: è costituito dal patrimonio dei padri e dalle industrie culturali e creative dei figli. Pamuk indica una prospettiva d’orizzonte: «Il futuro dei musei è dentro le nostre case».

La presentazione filmata (di cui la relazione pubblicata in questa pagina costituisce il testo), così come la traduzione del video che segue, sono disponibili soltanto per i componenti che operano attivamente all’interno del laboratorio di progettazione “Per una rete dei Piccoli Musei della Macroregione Mediterranea”.

Al Museo di “Messina nel Novecento” l’Ensemble di chitarre “Arcangelo Corelli”

La collaborazione tra il conservatorio “Arcangelo Corelli” e il Museo di “Messina nel Novecento” si inserisce in una più ampia attività di promozione dell’Istituto musicale che sempre più afferma la propria presenza quale polo d’eccellenza nel territorio. «La rassegna – afferma il direttore del Conservatorio M° Antonino Averna – si pone l’obiettivo di proporre al pubblico, oltre che programmi solistici, Originali scelte di repertorio interpretati da ensemble cameristici Meno consueti, talvolta proposti dagli stessi studenti che, Nel rispetto della propria autonomia, Hanno il piacere di condividere con i compagni la gioia di fare musica». Domenica 14 aprile 2019, si è esibito l’eccezionale Ensemble di Chitarre “Arcangelo Corelli”. La formazione nasce nel 2016 all’interno del Conservatorio della città di Messina da un’idea del maestro Nicola Oteri, docente di chitarra presso il medesimo Istituto che ne cura la preparazione musicale. La formazione è composta da otto giovani chitarristi: Emanuele Barillaro, Alessandro Ariosto, Antonino Salerno, Rosario De Gaetano, Gabriele Calabrò, Paolo Magazù, Daniele Ruta, Angelo Forganni. Scopo del gruppo è quello di divulgare non soltanto un repertorio tradizionale, ma anche presentare nuove composizioni di autori contemporanei. Il successo che l’inedita formazione sta riscuotendo ha già spinto diversi compositori a scrivere per loro. Presentiamo il brano Vocalise di Michele Amoroso, incluso nel disco “Sei Corde Sullo Stretto”, progetto discografico promosso dal Conservatorio “Arcangelo Corelli”. Il brano che segue, intitolato Tunis, Tunisie è opera del compianto compositore tunisino Roland Dyens, fra i chitarristi classici più apprezzati al mondo. In queste note possiamo ascoltare le sonorità del Mediterraneo, che accomunano i popoli che si affacciano sulle sue sponde.

IMMAGINE IN APERTURAGli applausi finali ai musicisti e agli organizzatori della serata, fra i quali il Kiwanis Messina rappresentato dal presidente Mariella Di Giorgi. Apprezzati dal pubblico gli interventi del compositore M° Michele Amoroso e del Prof. Cosimo Inferrera, presidente dell’Associazione Europea del Mediterraneo. (Nella foto, da sinistra a destra: Amoroso, Inferrera, Di Giorgi, Caristi, sullo sfondo alcuni dei chitarristi).

L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale

#Europa – #Europae
L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale
, che si terrà giovedì 9 maggio, dalle 9:00 alle 14:00, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica, 72 – Senato della Repubblica
ROMA

Il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa, il giorno in cui, nel 1950, il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman presentava un piano di cooperazione economica europea, la nota “dichiarazione Schuman”, che generò la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, primo mattone per la costruzione dell’attuale Unione Europea.

Il processo di unificazione sociale, culturale e politico dei paesi membri dell’Unione, nel corso degli ultimi venti anni è progredito tra accelerazioni e improvvise frenate. Ha subito i contraccolpi della globalizzazione dei mercati e i terremoti geopolitici. Oggi, alla vigilia della prossima tornata elettorale, l’Unione sembra essere in cerca di una sua identità.

La crescita del peso elettorale dei partiti “populisti” e “sovranisti”, l’uscita di alcuni Paesi dall’Unione Europea, tra i quali il Regno Unito, e le ricorrenti proposte di referendum contro l’Euro o la stessa Unione, ci presentano una Europa frammentata e divisa, proprio in un momento storico in cui i maggiori attori globali presentato le caratteristiche dello Stato-continente, come gli Usa, la Russia, la Cina e l’India.

Pertanto, proprio nel giorno della Festa dell’Europa, Vision & Global Trends – International Institute for Global Analyses, nell’ambito del Progetto Platform Europe, ha inteso organizzare, in collaborazione con la Senatrice Laura Garavini, presidente del Gruppo interparlamentare Federalisti Europei, un seminario di studio dal titolo “#Europa – #Europae. L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale”, al fine di riflettere su tali temi e individuare gli elementi che caratterizzeranno il futuro e il destino dell’Unione Europea.


Per registrarsi all’evento scrivere a: info@vision-gt.eu
WEBSITE www.vision-gt.eu

PARTECIPANO

Laura Garavini, Presidente Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Ettore Rosato, Vice Presidente della Camera dei Deputati
Tiberio Graziani, Presidente Vision & Global Trends
Paolo Ponzano, Segretario generale del Movimento Europeo Italia
Maria Grazia Melchionni, Cattedra Jean Monnet, Università Sapienza di Roma, Direttore RSPI, Rivista di Studi Politici Internazionali
Giuseppe Bettoni, Università “Tor Vergata” di Roma, Institut Français de Géopolitique
Valeria Fedeli, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Fabrizio Noli, Caposervizio Esteri Radio Rai
Dieter Steger, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Filippo Romeo, Analista, Vision & Global Trends
Gianni Pittella, Gruppo interparlamentare Federalisti europei
Lisa Caramanno, Analista, Vision & Global Trends