De ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy
[Boîte-en-valise]
A corollario della mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, curata da Paul B. Franklin alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dal 14 ottobre 2023 al 18 marzo 2024, la sezione Marcel Duchamp: Un viaggio nella Scatola in una valigia presenta con un intento insieme scientifico e didattico i risultati dello studio e del restauro dell’opera De ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy [Boîte-en-valise], N°1 (1935- 1941), confluiti in un suggestivo allestimento multimediale progettato e curato dal Dipartimento di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim e dall’Opificio delle Pietre Dure e prodotto da Culturanuova S.r.l.
Marcel Duchamp: un viaggio nella “Scatola in una valigia”
Venezia, Collezione Peggy Guggenheim
14 ottobre, 2023 – 18 marzo, 2024
A cura di Luciano Pensabene Buemi, Collezione Peggy Guggenheim; Renata Pintus, Letizia Montalbano, con la collaborazione di Barbara Cattaneo, Opificio delle Pietre Dure, Firenze
La Bôite en valise I/XX di Peggy Guggenheim (1937-1941), esemplare numero uno della prima serie deluxe, è costituita da una valigia in compensato ricoperta di cuoio, con manico anch’esso in cuoio e serratura metallica sulla quale è impresso il marchio “Louis Vuitton; al suo interno è alloggiata una scatola in cartone grigio/azzurro. Come dichiarato dallo stesso Duchamp nella dedica a Peggy Guggenheim stampata sul fondo della scatola, e analogamente a tutti i 24 esemplari della stessa serie, questa Bôite en valise contiene sessantanove elementi e un originale.
L’originale è un coloriage original incollato all’interno del coperchio della valigia, ovvero una collotipia in monocromo sulla quale sono stati riportati dallo stesso Duchamp i valori cromatici di un’opera da riprodurre (il dipinto a olio su tela del 1912 Le Roi et la reine entourés de nus vites) per fornire una guida allo studio che avrebbe poi provveduto alla colorazione à pochoir di tutte le collotipie colorate tratte dallo stesso soggetto da includere nei diversi esemplari.
Tutti gli altri sessantanove elementi sono invece riproduzioni di opere realizzate da Duchamp tra il secondo e il terzo decennio del Novecento, miniature tridimensionali in diversi materiali (tela gommata, vetro, ceramica, stucco, legno, acetato di cellulosa) di alcuni celebri readymade o riproduzioni a stampa su supporti cartacei o in acetato di cellulosa realizzate con diverse tecniche (collotipia, stampa offset, stampa tipografica ecc…).
Le riproduzioni sono alloggiate all’interno della scatola, inserite in complessi elementi che si sviluppano verticalmente e in esterno mediante un meticoloso lavoro di assemblaggio che prevede un articolato sistema di binari in legno, cerniere, viti e ganci in metallo, nastri adesivi e colle. Le 14 cartelle (per lo più bifoli) sulle quali sono applicate o stampate le riproduzioni su carta trovano posto in un apposito scomparto ricavato sul lato destro del fondo della scatola stessa.
In relazione ad alcune opere, nella Bôite en valise sono contenute riproduzioni attestanti stadi diversi di ideazione, realizzazione e copia, in un processo continuo di trasformazione dell’oggetto e della sua immagine.
La quasi totalità degli elementi inseriti nella Bôite en valise è accompagnata da eleganti etichette adesive stampate che contengono il titolo dell’opera riprodotta (in carattere Banville Gras), le indicazioni sulla tecnica, le misure, il luogo e la data di realizzazione, l’eventuale collezione presso la quale l’opera stessa era conservata al momento della riproduzione.
Nella sezione Marcel Duchamp: Un viaggio nella Scatola in una valigia un video e un touch-screen offrono la possibilità di esplorare virtualmente la Boîte-en-valise, di esaminare singolarmente ciascuno degli elementi che la compongono e di comprendere il complesso sistema di costruzione e montaggio, oppure di cogliere l’opera in una visione unitaria ravvicinata a 360 gradi.
Il visitatore più interessato potrà inoltre addentrarsi più specificamente negli aspetti tecnico materiali: oltre alle diverse riflessioni che Duchamp ha affidato alla Boîte-en-valise sul piano del processo di creazione e moltiplicazione dell’immagine, del ruolo dell’artista e dell’arte e delle loro relazioni con istituzioni e mercato (destinate a una lunga eco), essa è infatti anche uno straordinario campionario di materiali e tecniche, spesso particolarmente ricercati: pelle di vitello, cartone, legno, tela rigida, tela cerata, velluto, ceramica, vetro, cellophane, gesso, elementi metallici, stampa tipografica, collotipia e litografia su carta, cartoncino, tela e acetato di cellulosa con tempera, acquerello, pochoir, inchiostro, grafite, resine vegetali e gomme naturali.
Per un lavoro che costringe programmaticamente a rivedere in un continuo cambio di fuoco il confine tra l’originale e la copia, invece di scegliere i mezzi di riproduzione a stampa o fotografici più rapidi e avanzati per l’epoca, Duchamp ha preferito ancora una volta una scelta spiazzante, optando in diverse occasioni per un mezzo obsoleto e laborioso come la collotipia, una tecnica fotomeccanica di grande raffinatezza in cui la matrice di stampa è caratterizzata da una particolare granulosità dovuta a uno strato di gelatina indurita grazie alla luce e a sali di cromo, che poco si presta a una produzione seriale.
La maggior parte delle collotipie inserite nella Scatola in una valigia sono inoltre spesso colorate á pochoir, una tecnica simile allo stencil, e alcune di esse (in particolare quelle che riproducono dipinti a olio su tela) sono bordate con cornici in cartoncino dipinto con effetto finto legno e verniciate con resine vegetali e gomme naturali, come hanno dimostrato le indagini scientifiche che sono state svolte dal Laboratorio Scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure e dall’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Firenze.
Gli approfondimenti diagnostici si sono particolarmente concentrati sul coloriage original di Le Roi et la reine entourés de nus vites, anche mediante un confronto tra questo elemento definito dall’artista stesso “originale” e le altre riproduzioni in collotipia colorate á pochoir.
Alcune tecniche diagnostiche (in particolare quelle condotte mediante spettroscopia di fluorescenza a raggi X – XRF- e mediante spettroscopia infrarossa in modalità ATR – FTIR presso il Laboratorio scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure) hanno permesso di ricavare informazioni sulla composizione dei supporti cartacei e dei pigmenti utilizzati (tra i quali litopone, ocre e/o terre): in particolare è stato inoltre possibile rilevare un segnale proteico, non ulteriormente caratterizzabile con indagini non invasive, che ha consentito di ipotizzare l’utilizzo in alcune zone dipinte di una sostanza proteica con probabile funzione di legante e quindi di una tecnica a tempera.
L’analisi visiva al microscopio ha evidenziato una morfologia delle stesure di colore compatibili con una tecnica a pennello, così come a pennello è tracciata, con inchiostro ferro-gallico, la firma dell’artista.
Lungo i bordi interni del passe-partout in velluto nero che incornicia l’elemento sono visibili tracce della presenza di un sottile foglio di cellophane poi rimosso mediante taglio in loco, che doveva servire come elemento di protezione del foglio e ne sottolineava anche l’esclusività, accentuando l’effetto di un vero e proprio “dipinto in miniatura” dotato di cornice e vetro.
L’analisi multispettrale Vis-NIR dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Firenze ha permesso infine di differenziare i diversi materiali pittorici e di mapparli sull’intera superficie del coloriage, ottenendo così una mappa di correlazione spettrale SCM (Spectral Correlation Mapping).
Dal punto di vista più strettamente conservativo, la difficile convivenza di materiali diversi nello spazio angusto della valigia e la funzione espositiva con relativa usura delle diverse componenti funzionali hanno rappresentato le principali cause di degrado della Boîte-en-valise, accentuate dal clima umido lagunare.
Questo primo esemplare di Boîte-en-valise deve avere presentato problemi sin dalla sua creazione, soprattutto a carico delle parti soggette a movimentazione: in questo senso, quella della Collezione Peggy Guggenheim va considerata di fatto un prototipo rispetto al quale Duchamp ha individuato per le versioni successive nuove soluzioni atte a evitare l’insorgere dei medesimi danni. Un esempio è il sistema di aggancio dell’ampolla di vetro della’ Air de Paris, in questa valigia agganciata al fondo con una spirale in ferro, sostituita negli esemplari successivi con fascette elastiche
L’eterogeneità dei materiali e delle tecniche utilizzate per la sua realizzazione ha reso necessario un vero lavoro di squadra per consentirne il restauro, che di fatto ha implicato operare su 69 oggetti e sulla rifunzionalizzazione della valigia che funge anche da espositore, oltre che prevedere un adeguato sistema di conservazione preventiva. La possibilità di avere a disposizione le competenze di un istituto come l’Opificio delle Pietre Dure – che con 11 Settori di restauro, un Servizio dedicato alla conservazione dell’arte contemporanea e un Laboratorio Scientifico è in grado di intervenire su tutte le tipologie di materiali – ha rappresentato un insostituibile valore aggiunto e ha garantito un approccio unitario.
Gli interventi di restauro hanno avuto tre obbiettivi prioritari: analizzare lo stato di conservazione di tutti i pezzi, realizzare una campagna di indagini chimiche e fisiche, atta a individuare tecniche e i danni, e mettere infine in sicurezza tutte le parti, effettuando interventi minimi di pulitura, consolidamento, verifica degli agganci e dei punti di adesione alla struttura portante finalizzati ad una idonea conservazione futura. Gli interventi più impegnativi hanno riguardato il cuoio della valigia e le opere su acetato.
Il cuoio della valigia, in particolare, si presentava in uno stato di conservazione estremamente precario, dovuto a un fenomeno cosiddetto di red-rot avanzato, dovuto alla permanenza di residui di sostanze impiegate nel processo di concia, per cui sulla superficie, sotto le crepe del fiore del cuoio, si intravedevano ormai le fibre dello strato reticolare con aspetto spugnoso dal colore tendente al rossiccio.
Dopo un’attenta sperimentazione si è scelto di utilizzare il metodo della riconcia all’alluminio in solvente non acquoso, la cui azione è stata orientata sia al rallentamento del degrado del cuoio, sia a permettere le ulteriori azioni di restauro, che hanno necessitato un’estrema cautela.
Per quanto riguarda invece gli elementi in acetato di cellulosa, la pulitura ha permesso di ridurre le tracce di polvere e di ife fungine. Per ovviare invece alle deformazioni dovute all’invecchiamento e al deterioramento sono state messe in atto strategie di conservazione preventiva, separando gli elementi e predisponendo montaggi adattabili e facilmente reversibili.
Proprio in quanto si tratta di un prototipo, il restauro dell’Opificio è stato guidato dalla necessità di conoscere e conservare, per quanto possibile, ogni elemento, anche quelli con funzione meccanica o strutturale, che contribuisse a raccontare il progetto e la costruzione della Boite, in un affascinante viaggio a ritroso sulle tracce di Marcel Duchamp.
Da Studio ESSECI info@studioesseci.net |