Al Palatino l’opera con Il viaggio mitopoietico da Creta a Roma di Giancarlino Benedetti Corcos

Giancarlino Benedetti Corcos, L’albero della vita lungo i sentieri del Mediterraneo

Presentata a Roma sul Palatino l’opera di Giancarlino Benedetti Corcos: “L’albero della vita lungo i sentieri del Mediterraneo”, 2020.

Per Giancarlino Benedetti Corcos è stato innanzitutto un gesto d’amore per Maria Maddalena Scoccianti. Così ieri l’Artista durante l’evento di presentazione della sua opera in ceramica, ricordando in un misto di “commozione e felicità” l’architetta della Soprintendenza Archeologica di Roma (oggi Parco del Colosseo), una vita dedicata alla conservazione e tutela del patrimonio archeologico e monumentale di Roma e d’Italia, cui era dedicato l’incontro. Approda grazie a lei infatti, e al successivo interessamento del Direttore del Parco Archeologico del Colosseo, la Dottoressa Alfonsina Russo, e dei funzionari e maestranze tutti del Parco, lunedì 29 maggio, “L’albero della vita, lungo i sentieri del Mediterraneo”, formelle in ceramica, 2020, alla Domus Praeconum, edificio di età severiana appendice del palazzo di Domiziano sul colle Palatino, in Via dei Cerchi a Roma. A raccontare insieme all’Artista l’opera e l’approdo in questo luogo la Dottoressa Alfonsina Russo stessa, con l’architetto Piero Meogrossi e il Prof. Lucio Altarelli.

Piero Meogrossi e Claudio Grandoni
con Giancarlino Benedetti Corcos

Meogrossi descrive l’opera come l’esito del “viaggio neoantico dell’Europa approdata a Creta e ora testimoniato sul colle Palatino dall’opera mitopoietica di Giancarlino, cha affabulando i simboli ed il segno rimette in gioco il sogno di Roma“. Una imago mundi immaginifica e composita per recuperare un senso collettivo attraverso miti dimenticati, a partire da quello di Europa rapita da Zeus. Tanti i simboli nell’opera, ben descritti nella sua legenda. Composta da più formelle bianche scolpite da Giancarlino e posate poi insieme a formare un’unica parete grazie all’artigiano Claudio Grandoni, l’opera riflette la dimensione quantistica dello scorrere fluido del tempo tra passato, presente e futuro. E l’albero della vita vede inerpicarsi sui suoi rami leggende, fatti storici, miti, simboli senza tempo, uniti insieme per provare a rispondere a quelli che Meogrossi ha definito i bi-sogni, tanto di realtà quanto di fantastico, degli Uomini.  E a rappresentare il “sogno di Roma, una Roma Mediterranea. Collocata nell’area destinata ai servizi, è una parete secretata e nel contempo aperta al mondo e ai suoi bisogni, fisici e spirituali. 

Lo stesso Giancarlino è costantemente in bilico tra realtà e fantasia. L’opera nasce da un intento didascalico si, di recupero della memoria, ma anche di unione, unione di culture nella e attraverso la cultura, per il tramite di un coacervo di richiami, di simboli e figure, umane, animali, vegetali, architettoniche, mitologiche, appese tutte insieme all’albero della vita allo scopo di riunire le culture del Mediterraneo, come è necessario – e gli artisti da più parti lo rivendicano – al mondo di oggi. 

Se vivere e lavorare a Roma, per un artista, non è indifferente, certo non è per Giancarlino. Ne è persuaso il Prof. Lucio Altarelli, parlando dell’uso dei colori del pittore – anche se l’opera in questione invece è bianca – e soprattutto del colore rosso scuro, che dimostra attenzione alla tradizione romana e la volontà dell’Artista di dialogare con le sue vestigia per rispondere alle loro domande e a sua volta porre loro le sue.  Un’attenzione alla memoria, attraverso segni e citazioni, una memoria che però riesce “a trasformare in poesia”. “L’Albero della vita lungo i sentieri del Mediterrano” il Prof. Altarelli la legge sia in modo orizzontale che verticale. Nel primo caso gli appare come un liquido amniotico, un magma indistinto dal quale vede emergere figure e archetipi, nel secondo un muro sul cui passano veloce come sospinte da un vento (della Storia?) le stesse figure e archetipi. 

Tra i commenti alle ceramiche di Giancarlino, quello di Achille Bonito Oliva: non frutto di un’arte minore, ma l’estensione di una poetica che trova nella ‘craqueler’, nella rottura, nella disseminazione, nella memoria di un’unità perduta, la sua matrice. Una ceramica policroma, una scultura che usa un materiale sostanzialmente flessibile e morbido che sotto gli occhi sviluppa una tendenza verso l’umiltà, la riduzione o l’espansione, una mobilità, un respiro….che gioca tra l’ampolla, il pieno e lo svuotamento. Quello che interessa a Giancarlino è la rovina, ciò che resta, la memoria di una unità perduta mai agognata mai desiderata….. nella ricerca di un principio di “veritas” nel senso di svelamento del potenziale di un materiale come quello della ceramica, passando per la prova del fuoco; la ceramica come linguaggio “santone”, che sa camminare sui carboni ardenti, attraversare la distanza e giungere fino a noi“. 

Enrico Alleva rileva invece la grande capacità interpretativa dell’albero della vita che si inerpica verso l’alto, verso l’astro, quale metafora della visione darwiniana, ma gli sembra in questo caso “non un elegante abete natalizio“, quanto piuttosto “un intricatissimo cespuglio, dove rami ramoscelli rametti si biforcano, correndo e irradiandosi verso località cangianti, spunti di luce, di nutrimento, di vitale ispirazione generativa“. A sostenere la candidatura della realizzazione di un pannello in ceramica di Giancarlino a compimento dell’opera avviata a suo tempo da Maria Maddalena Scoccianti per la realizzazione di un ambiente “modesto”, ma indispensabile per l’accessibilità e la fruibilità dei monumenti c’è stato anche Carlo Severati, che lo vede come una “trascrizione illetterata, apocrifa, di un improbabile albero della vita, devitalizzato dal bianco assoluto. Che evoca fantasmi della sopraffazione imperiale, lente per guardare Roma“, “piombata lì, nell’antibagno della nostra presente inciviltà, fra Vasarely e distributori di bevande, casse d’acciaio, memore dei ramage Augustei“.

Festina lente (lat. “affrettati lentamente”), un ossimoro che ossimoro non è, celebre frase attribuita da Svetonio ad Augusto, esortazione a ad agire presto, ma con cautela. È l’invito di Giancarlino Benedetti Corcos, riportato inciso su una delle formelle sulla sinistra della parete di ceramica. Non c’è tempo, bisogna affrettarsi, sembra dire, per recuperare il meglio di noi come è stato consegnato all’Umanità dalla Storia, dalle Leggende, dal Mito che ci hanno preceduti. E allo stesso modo c’è invece tutto il tempo del mondo, se sappiamo prendercelo, se sappiamo ascoltare. Per vivere meglio. Tra Terra e Cielo. Dove siamo.  

Giancarlino Benedetti Corcos

Alfonsina Russo e Giancarlino Benedetti Corcos

Giancarlino Benedetti Corcos, è un artista (ma preferisce pittore). Diplomato presso L’Istituto Nazionale per la Grafica, studia poi architettura nei corsi di Bruno Zevi. Espone in molte gallerie romane, spesso accompagnando le mostre con sue performances basate su testi teatrali (“commediole” scritte a quattro mani con la compagna, oggi scomparsa, Laura Rosso, storica dell’arte, sua musa) o su figure immaginarie. Diversi i supporti su cui dipinge: ceramica, tela, legno, carta, materiali semplici o di recupero, lenzuola. Da otto anni usa la ceramica come campo di sperimentazione del progetto di architettura. Le sue opere sono state esposte tra l’altro alla Biennale di Venezia nel 2012 a cura di Vittorio Sgarbi, nell’appartamento di Innocenzo X e Olimpia a Sant’Agnese in Agone in occasione del 350esimo compleanno del Borromini, a cura di Achille Bonito Oliva e Francesco Giulio Mazzeo, a Neuss nel Castello di Benrath, New Orleans performance al Gary Keller, Macro Asilo a Roma.


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