Roma, Palazzo Bonaparte: ESCHER – circa 300 opere, nuove scoperte e grandi novità

Maurits Cornelis Escher
Autoritratto, 1929 Litografia, 264×203 mm Collezione Maurits, Italia All M.C. Escher works © 2023 The M.C. Escher Company.
All rights reserved www.mcescher.com

La sera (…) disegnavo la meravigliosa, bellissima architettura di Roma di notte, che mi piaceva di più di quella alla luce del giorno. Le passeggiate notturne sono il più meraviglioso ricordo che ho di Roma.
M. C. Escher

ESCHER”

31 ottobre 2023 – 1° aprile 2024
Palazzo Bonaparte, Roma

Dal 31 ottobre Palazzo Bonaparte ospiterà la più grande mostra di Escher mai realizzata sinora, con circa 300 opere, nuove scoperte e grandi novità.

Maurits Cornelis Escher (1898-1972), uno degli artisti più amati dal grande pubblico in tutto il mondo, nel 1923 si trasferì a Roma.
E proprio per festeggiare questo importante centenario, Arthemisia ha voluto rendergli omaggio con una mostra epocale che vedrà esposti tutti i più grandi capolavori del genio olandese.

Dal 31 ottobrea 100 anni dalla sua prima visita nella Capitale avvenuta nel 1923, Escher torna a Roma con la più grande e completa mostra a lui mai dedicata, a Palazzo Bonaparte.
Olandese inquieto, riservato e indubbiamente geniale, Escher è l’artista che, con le sue incisioni e litografie, ha avuto e continua ad avere la capacità unica di trasportarci in un mondo immaginifico e impossibile, dove si mescolano arte, matematica, scienza, fisica e design.
Artista scoperto in tempi relativamente recenti, Escher ha conquistato milioni di visitatori nel mondo grazie alla sua capacità di parlare ad un pubblico molto vasto. Escher è amato da chi conosce l’arte, ma anche da chi è appassionato di matematica, geometria, scienza, design, grafica. Nelle sue opere confluiscono una grande vastità di temi, e per questo nel panorama della storia dell’arte rappresenta un unicum.

La mostra di Roma si configura come un evento eccezionale che presenta al pubblico, oltre ai suoi capolavori più celebri, anche numerose opere inedite mai esposte prima.
Un’antologica di circa 300 opere che comprende l’ormai iconica Mano con sfera riflettente (1935), Vincolo d’unione (1956), Metamorfosi II (1939), Giorno e notte (1938), la celebre serie degli Emblemata, e tantissime altre.
Inoltre, a impreziosire il percorso espositivo, anche una ricostruzione dello studio che Escher aveva a Baarn in Olanda che, qui a Roma, espone al suo interno i vari strumenti originali coi quali il Maestro produceva le sue opere e il cavalletto portatile che lo stesso Escher portò con sé nel suo peregrinare per l’Italia.

Dopo vari viaggi in Italia iniziati nel 1921 quando visitò la Toscana, l’Umbria e la Liguria, Escher giunse a Roma dove visse per ben dodici anni, dal 1923 al 1935, al civico 122 di via Poerio, nel quartiere di Monteverde vecchio.
Il periodo romano ebbe una forte influenza su tutto il suo lavoro successivo che lo vide prolifico nella produzione di litografie e incisioni soprattutto di paesaggi, scorci, architetture e vedute di quella Roma antica e barocca che lui amava indagare nella sua dimensione più intima, quella notturna, alla luce fioca di una lanterna.
Le notti passate a disegnare, seduto su una sedia pieghevole e con una piccola torcia appesa alla giacca, sono annoverate da Escher tra i ricordi più belli di quel periodo.
In mostra a Palazzo Bonaparte, infatti, sarà presente anche la serie completa dei 12 “notturni romani” prodotta nel 1934 – tra cui “Colonnato di San Pietro”, “San Nicola in Carcere”, “Piccole chiese, Piazza Venezia”, “Santa Francesca Romana”, “Il dioscuro Polluce” – insieme ad altre opere che rappresentano i fasti dell’antica Urbe come Roma (e il Grifone dei Borghese) del 1927, San Michele dei Frisoni, Roma (1932) e Tra San Pietro e la Cappella Sistina (1936).

La mostra, col patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata e Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi, è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation e Maurits ed è curata da Federico Giudiceandrea – uno dei più importanti esperti di Escher al mondo – e Mark Veldhuysen, CEO della M.C. Escher Company.
La mostra vede come sponsorGenerali Valore Culturaspecial partnerRicolamobility partnerAtac e Frecciarossa Treno Ufficialemedia partner la Repubblica e Urban VisionpartnerMercato Centrale Roma e hospitality partnerHotel de Russie Hotel de la Ville.

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Maurits Cornelis Escher
Cavaliere, 1946 Xilografia, 239×449 mm Collezione M.C. Escher Foundation, Paesi Bassi All M.C. Escher works © 2023 The M.C. Escher Company.
All rights reserved www.mcescher.com

La mostra Escher rientra nel progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato con Komen Italiacharity partner della mostra.
Unire l’arte conla salute, la bellezza con la prevenzione: è questa l’essenza di un progetto che vede il colore rosadella Komen Italia fondersi con i capolavori esposti nelle mostre.
Nel concreto, una parte degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti di ingresso della mostra verrà devoluta da Arthemisia per la realizzazione di specifici progetti di tutela della salute delle donne.
Con questa partnership Komen Italia chiude ottobre, mese della prevenzione, e si prepara al grande evento nazionale per festeggiare il suo 25esimo anno della “Race for the cure” il prossimo maggio 2024.

Il catalogo è edito da Skira.


LA MOSTRA

Prima sezione – Gli inizi

Samuel Jesserun de Mesquita (1868 – 1944) è stato un esponente del movimento Art Nouveau olandese. Fu insegnante di Escher alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem e lo incoraggiò a diventare un grafico. I primi lavori di Escher risentono quindi dell’influenza dall’Art Nouveau, corrente caratterizzata da forme sinuose ed eleganti ed ornamenti decorativi ispirati a soggetti naturali. L’artista ha sempre nutrito un profondo interesse per la natura e ha eseguito numerose stampe con raffigurazioni realistiche di fiori e insetti. Dal 1922 al 1935, Escher intraprese molteplici viaggi nel Belpaese, disegnando monumenti, paesaggi, flora e fauna, che al suo ritorno in studio trasformava in opere grafiche. In questi lavori, per lo più caratterizzati da prospettive insolite, una meticolosa osservazione della natura si fonde già con vedute che spaziano verso orizzonti lontani, quasi anticipando i paradossi prospettici e le illusioni ottiche della maturità. In questa sezione sono riprodotte anche le 28 xilografie che compongono il libro XXIV Emblemata dat zijn zinne-beelden, cioè XXIV Emblemi, con massime in versi, una delle tre opere di Escher in qualità di illustratore.

Seconda sezione – Italia

Dal 1922 al 1935, Escher soggiornò in Italia, trasferendosi stabilmente a Roma dal novembre del 1923. La città eterna rappresenta una parte importante del corpus delle sue opere; oltre a vari monumenti e scorci della città, ci resta una serie di12 magistrali xilografie, realizzate a partire dagli schizzi abbozzati di notte grazie ad una torcia e un cavalletto da viaggio. Un altro riferimento a quel periodo, si trova per esempio nella celebre opera Mano con sfera riflettente dove viene riprodotto fedelmente il suo studio di via Alessandro Poerio 122. Ogni anno Escher intraprendeva un viaggio attraverso l’Italia e nel Mediterraneo per riprodurne i magnifici paesaggi: Campania, Calabria, Sicilia, Abruzzo ecc., spesso in compagnia dell’amico ed artista svizzero Giuseppe Haas Triverio. A seguito della crescente oppressione del movimento fascista, si trasferì dapprima in Svizzera nel 1935, poi nel 1937 a Uccle in Belgio, e infine nel 1941 a Baarn, nei Paesi Bassi. Quello tra Escher è l’Italia è un legame indissolubile. In Italia visse probabilmente gli anni più felici: qui si sposò, fondò una famiglia e raccolse i primi successi professionali; questo trapela dai suoi diari, dalle fotografie ma soprattutto dalle sue opere. Anche dopo la svolta artistica verso soggetti astratti, nella composizione dell’immagine ritroviamo frequenti rievocazioni del paesaggio italiano.

Terza sezione – Tassellature

Nel 1936, Escher soggiorna a Granada, in Spagna, dove visita nuovamente l’Alhambra, un complesso palaziale fortificato, costruito fra il secolo XIII e il XIV sul colle che domina la città dagli emiri nasridi, famoso per l’elaborata decorazione degli edifici. Questa visita si rivela essere uno punto di svolta nella sua carriera, le elaborate decorazioni geometriche in stile moresco lo affascino e lo spingono a interessarsi alle tassellature. In geometria, si dicono tassellature i modi di suddividere il piano con una o più figure geometriche ripetute all’infinito senza sovrapposizioni e senza lasciare spazi vuoti. Tali figure geometriche, dette “tasselli”, sono spesso poligoni, regolari o meno, ma possono avere anche lati curvilinei. Sono stati identificati 17 diversi tipi di simmetrie che permettono di suddividere il piano. Di queste simmetrie, Escher costituì un catalogo di 137 acquarelli, numerati e archiviati secondo un suo proprio schema logico, da usare come motivi per eseguire tassellature e metamorfosi. Come vedremo, l’uso delle tassellature diventerà un tratto distintivo della sua arte, in cui fantasia, geometria e soggetti figurativi sono sapientemente combinati. A partire da questo momento, Escher si dedicherà, a parte qualche sporadico caso, alla rappresentazione di scene astratte, di ispirazione geometrico-matematica, paradossali o illusorie.

Quarta sezione – Metamorfosi

Le tassellature sono alla base dei cicli e delle metamorfosi, il cui tema Escher affronta a partire dal 1937. Per Escher, una metamorfosi, ovvero dal greco una trasformazione, in particolare una trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, prende infatti le mosse dalla modificazione e successiva concatenazione di diverse tassellature (procedimento di divisione regolare del piano). Escher crea così un mondo in cui diverse figure danno vita a vortici di trasformazioni di forme astratte in forme animate e viceversa. La xilografia Metamorfosi II (1939-1940), uno dei suoi capolavori, è un universo circolare in cui un una lucertola può progressivamente diventare la cella di un alveare o un pesce tramutarsi in uccello che a sua volta si trasforma in un cubo e poi in un tetto ecc. A volte nelle metamorfosi interagiscono elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, intrecciando gli opposti all’interno di una stessa composizione. Lo studio delle tassellature e la realizzazione di cicli e metamorfosi (che per altro possono coesistere nella stessa stampa, come in CicloGiorno e NotteRettili o ancora Incontro) inducono in Escher il desiderio della rappresentazione dell’illimitato attraverso la suddivisione infinita del piano. Ci riuscirà formalmente grazie agli spunti forniti dallo studioso di geometria H.S.M. Coxeter, nelle opere Limite del cerchio I-II-II-IV.

Quinta sezione – Struttura dello spazio

Fin dalle sue prime opere, più ancora che per l’elemento pittorico, Escher dimostra un’attenzione particolare per l’organizzazione dello spazio compositivo. Come abbiamo visto a partire dalla metà degli anni ’30, Escher si staccherà progressivamente dalla rappresentazione euclidea dello spazio. Il suo crescente interesse per la matematica e la geometria passa attraverso lo studio e il fascino che esercitano su di lui sfere, superfici riflettenti, solidi geometrici o ancora superfici topologiche come il nastro di Möbius, un oggetto percepito come superficie a due facce ma che, ad una più attenta osservazione, ne dimostra una sola. Potremmo parafrasare un suo commento alla litografia Mano con sfera riflettente del 1935, una delle sue opere più celebri, in questo modo: la sfera, riflettendolo, racchiude in sé tutto lo spazio circostante, al cui centro si staglia proprio colui che la guarda; l’uomo è quindi il centro di questo universo. Escher qui non dissimula una certa ironia riguardo all’ego dell’artista, immortalato in una dinamica autoreferenziale. La disamina di questi concetti porterà Escher ad esacerbare il suo gusto per i paradossi, le distorsioni prospettiche e le illusioni ottiche che queste figure permettono.

Sesta sezione – Paradossi geometrici

Le conoscenze matematiche di Escher erano principalmente visive e intuitive. Le sue architetture e composizioni geometriche si caratterizzavano grazie a distorsioni prospettiche che, a prima vista, si presentavano come perfettamente plausibili ma che, dopo una più attenta ispezione, si rivelavano impossibili. Una svolta importante avviene nel 1954, anno in cui vengono esposte alcune stampe di Escher durante il Congresso Internazionale dei Matematici ad Amsterdam. Da quel momento il suo lavoro viene sempre più apprezzato dalla comunità scientifica e l’artista inizia un dialogo serrato con matematici e cristallografi che si rivela una vasta fonte di ispirazione per la sua ricerca sulle strutture impossibili, le illusioni ottiche e la rappresentazione dell’infinito. Questa sezione analizza come Escher abbia cercato di forzare oltre ogni limite la rappresentazione di situazioni impossibili, all’apparenza coerenti, attraverso una selezione di alcune delle sue opere più famose: Salire e Scendere, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe, o ancora Relatività. Questi capolavori riflettono un aspetto essenziale dell’arte del grafico olandese: il suo complesso rapporto con la matematica, la geometria e il tema della riproduzione grafica dell’infinito.

Settima sezione – Lavori su commissione

Come tutti gli artisti che vivono della propria opera, Escher, in qualità di grafico, riceve nel corso degli anni commissioni di vario genere. In questa sezione ritroviamo una carrellata di alcune di queste opere: ex libris (contrassegni da inserire in libri di collezioni o biblioteche private per attestarne la proprietà ed evitarne la perdita o lo scambio con copie identiche), biglietti d’auguri o ancora design per loghi, francobolli, articoli pubblicitari ecc. Per questi lavori, Escher fa un largo e sapiente uso delle tassellature, che non sono solo un suo tratto caratteristico, ma che si prestano per altro perfettamente all’uso: ideali per ottimizzare i tempi del processo creativo attraverso l’uso ripetuto di uno stesso elemento figurativo.

Ottava sezione – Eschermania

Dagli anni ’50 in poi la popolarità di Escher cresce. Grazie anche alle sue connessioni con il mondo scientifico ed accademico, varie riviste cominciano a dedicargli articoli e recensioni. A partire dalla metà degli anni ’60, inoltre, suo malgrado, una grossa visibilità gli sarà offerta, soprattutto negli Stati Uniti, dal movimento hippy che si approprierà delle sue opere, modificandole e riproducendole su poster e magliette, in chiave psichedelica. Questa ottava ed ultima sezione presenta una serie di opere d’arte ed oggettistica che dimostrano quanto Escher non sia stato solo un artista figlio del suo tempo, ma anche come, fino ai giorni nostri, tramite il suo lavoro avanguardistico e il suo linguaggio attuale, eserciti ancora una forte influenza sul processo creativo di molti artisti, musicisti, pubblicitari e fumettisti, per citare alcuni esempi. Certamente la sua passione per le tassellature nonché la creazione di modi impossibili e paradossali non hanno ancora cessato di essere fonte d’ispirazione per ulteriori sviluppi e rielaborazioni, nei settori più diversi.


Date al pubblico
31 ottobre 2023 – 1° aprile 2024

Orario apertura
dal lunedì al giovedì 9.00 – 19.30
venerdì, sabato e domenica 9.00 – 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Biglietti
Intero 
€ 16,00 (audioguida inclusa)
Ridotto
 € 15,00 (audioguida inclusa)

Informazioni e prenotazioni
T. + 39 06 87 15 111

Sito
www.mostraescher.it
www.mostrepalazzobonaparte.it
www.arthemisia.it

Social e Hashtag ufficiale
@arthemisiaarte
@mostrepalazzobonaparte

Ufficio stampa
Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 6938030

Relazioni esterne Arthemisia
Camilla Talfani | ct@arthemisia.it

Roma, Spazio Urano: SILVIO COIANTE. Ricorda qualcuno assomiglia a nessuno – Papiers collé

Silvio Coiante
ricorda qualcuno assomiglia a nessuno

a cura di Simona Pandolfi

4 – 18 novembre 2023

Inaugurazione Sabato 4 novembre 2023, ore 18.30

Spazio Urano, via Sampiero di Bastelica 12 – Roma (Pigneto)

Nella personale organizzata presso Spazio Urano, con il titolo “ricorda qualcuno assomiglia a nessuno“, Silvio Coiante presenta una selezione di lavori in cui recupera la tecnica del papier collé. 
Come spiega lo stesso artista, «lo strappo diventa l’interferenza tra la precisione innata e la casualità del gesto».

Nella personale organizzata presso Spazio Urano, con il titolo “ricorda qualcuno assomiglia a nessuno”, Silvio Coiante presenta una selezione di lavori in cui recupera la tecnica del papier collé. L’artista ha da sempre manifestato, anche in serie precedenti, un approccio alla pittura influenzato dalla sua formazione in arte grafica, sia pubblicitaria che editoriale; attraverso il dialogo tra arte classica e digitale, Coiante è solito procedere verso una sintesi che «lascia immaginare senza descrivere», come lui stesso riferisce.

Nei papiers collé, oltre al risultato finale, diventano determinanti i vari passaggi che contraddistinguono l’ideazione e la realizzazione dell’opera. Inizialmente Coiante si avvale di un personale “archivio di immagini” che ha raccolto nel tempo e in maniera casuale, attingendo da fotografie online, “prelievi” dal mondo della moda e della pubblicità e immagini scattate negli anni e in vari contesti. Da questo archivio, una sorta di realtà scorrente davanti i suoi occhi, seleziona due file, spesso un’immagine classica e una moderna, che fondendosi in forma digitale originano una terza e insolita iconografia.

Dopo questa prima ideazione visiva, Coiante ha bisogno di recuperare una tradizionale manualità e di ricorrere quindi al bozzetto, su carta o su tela, nel quale la matericità del colore sedimentato arricchisce l’immagine, prima solo digitale, di nuovi significati. È solo dopo questo ulteriore passaggio che l’artista arriva a sperimentare la tecnica del papier collé. La carta, prima dipinta, poi strappata e infine assemblata, crea un’opera stratificata in più livelli. L’impiego di immagini di “seconda mano”, spesso banali e riconoscibili, utilizzate per porre il proprio punto di vista visivo, rende la ricerca di Coiante affine all’estetica pop in generale e in particolare alla produzione italiana degli artisti della “Scuola di Piazza del Popolo”.

Nei vari papiers collé la cornice bianca diviene parte integrante dell’opera; l’immagine non “soffoca”, è immobilizzata sulla superficie e allo stesso tempo impaginata in un contesto-guida non isolante, anzi aperto, infinito. L’artista usa i segni bianchi e irregolari degli strappi, lasciati volutamente visibili, per aggiungere un senso di imperfezione all’immagine e per allontanare le forme ricavate da una mera rappresentazione della realtà. Come spiega lo stesso Coiante, «lo strappo diventa l’interferenza tra la precisione innata e la casualità del gesto». Il bordo, quindi, rappresenta quella paura dell’errore che viene esorcizzata lasciando alcuni frammenti dell’opera espandersi sul contorno bianco, quasi a manifestare una personale e dicotomica ricerca di equilibrio tra una maniacale precisione e una strabordante e libera urgenza espressiva.

Biografia

Silvio Coiante nasce nel 1982 a Roma dove attualmente vive e lavora. Dopo gli studi presso l’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma si dedica professionalmente all’arte della grafica prima pubblicitaria, poi editoriale. Durante la sua carriera come grafico editoriale decide di continuare parallelamente gli studi. Nel 2009 riceve la Laurea in Pittura, all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2019 frequenta a Londra il corso “Mixed media and drawing projects”.

Mostre

2023 Ventuno – NOA. Nuova Officina delle Arti, Roma, mostra collettiva
2022 Boh!ouse – Engel & Völkers, Open House Roma, mostra personale
2015 Il segno – Wo-ma’n Home Gallery Roma, mostra personale
2012 De Pictura transiti del sublime – Temple University Roma, mostra collettiva
2011 H.O.P.E. (a cura di) – Camera dei Deputati, Sala delle Regina, mostra collettiva
2007 De Pictura. Ricerca di un linguaggio – Accademia di Belle Arti di Roma, mostra collettiva

Sito web: www.silviocoiante.com
Instagram: silvio.coiante
Email: hello.silviocoiante@gmail.com


Informazioni
La mostra sarà visitabile fino al 18 novembre 2023
Visitabile su appuntamento: tel 3290932851 e-mail info@spaziourano.com

Ufficio stampa
Simona Pandolfi pandolfisimona.sp@gmail.com

Perugia: SGUARDI SU PERUGINO. Dall’età moderna al contemporaneo

Carlo Lasinio, Treviso, 1757/1759 – Pisa, 1838, Ritratto di Perugino, 1791-1796,
acquaforte, Milano, Civica Raccolta “Achille Bertarelli”

È ancora l’anno del Perugino!

PERUGIA, GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 14 GENNAIO 2024

SGUARDI SU PERUGINO.
DALL’ETÀ MODERNA AL CONTEMPORANEO

Nell’anno di Perugino, l’esposizione segue, attraverso 25 opere, le alterne vicende della sua fortuna in età moderna e contemporanea.

a cura di Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini

La presentazione si terrà Venerdì 27 ottobre 2023, ore 18.00
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria | Sala didattica | terzo piano
(Corso Vannucci, 19)

Dopo la grande mostra “Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo che gli ha ridato il ruolo di preminenza artistica che il suo pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato, la Galleria Nazionale dell’Umbria ospita un altro evento espositivo dedicato al maestro umbro.
Dal 28 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024, la nuova exhibition box della GNU accoglie una preziosa mostra dossier, Sguardi su Perugino, curata da Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini, che segue le alterne vicende della sua fortuna in età moderna e contemporanea.

Il percorso si compone di 25 opere, tra incisioni, disegni e un dipinto, provenienti oltre che dalla GNU, da prestigiose istituzioni pubbliche e private, come l’Istituto centrale per la Grafica di Roma, la Biblioteca Marciana di Venezia, la Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli – Castello Sforzesco di Milano, l’Ambasciata del Brasile a Roma, di autori quali Tommaso Minardi (1787-1871), artista affascinato dal colorismo veneto e fiammingo e dal disegno quattrocentesco, che divenne promotore del manifesto purista, Giovan Battista Cavalcaselle (1819-1897), fondatore dei moderni studi di storia dell’arte in Italia, il perugino Silvestro Massari (1794 – 1851), allievo di Minardi e docente di scultura all’Accademia di Perugia, che si dedicò alla riproduzione incisoria di monumenti cittadini.

Tre sezioni documentano la fortuna e il tramandarsi del ritratto dell’artista, la diffusione dei suoi capolavori e delle iconografie più note attraverso il medium della stampa di traduzione, gli errori di attribuzione di opere che, per l’adesione al linguaggio figurativo del “meglio maestro d’Italia”, erano considerate di sua mano.

A questi lavori si affianca una sezione virtuale che consta di due filmati: il primo offre la possibilità di sfogliare l’intero album di disegni di Tommaso Minardi esposto in vetrina; l’altro propone una selezione di opere ispirate da Perugino, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, dai Preraffaelliti come William Dyce agli autori francesi dell’Ottocento come Ingres o Delacroix, dalle fotografie di Julia Margaret Cameron alle opere astratte di Ian Davenport, per giungere a quegli artisti che sono stati protagonisti negli scorsi anni delle iniziative organizzate dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, da Brian Eno a Roberto Paci Dalò ad altri.

A partire dalla fine del primo decennio del Cinquecento, la fama di Perugino si dissolve a favore del suo fin troppo celebre allievo, Raffaello, modello indiscusso per molte generazioni di artisti e per un’intera corrente, il classicismo.

Nel Seicento, attraverso le incisioni e la grafica, le soluzioni e le opere peruginesche sono d’ispirazione per pittori dal personalissimo e particolare classicismo come Barocci, Sassoferrato o Cerrini. Saranno gli artisti e i letterati del Settecento e ancor di più dell’Ottocento a riscoprire Perugino e a dare nuovo impulso alle ricerche e agli studi.

L’onnipresente paragone con Raffaello, al quale vengono attribuite molte delle opere più belle e riuscite del Vannucci, genera comunque un interesse nei confronti di quest’ultimo. Attraverso questa lente, il pittore sarà “riscoperto” dall’Ottocento, sia dai neoclassici-romantici come Ingres o Chasseriau sia dai coloristi come Delacroix.

La corrente nazarena e purista, con Minardi e Overbeck in testa, attingerà all’universo compositivo di Pietro Vannucci, caratterizzato da quell’aura di armonica e astratta devozione che sarà fondamentale anche per i pittori francesi “cristiani” che facevano capo al teorico Alexis-François Rio. Nazareni, puristi e “cristiani” finirono per influenzare anche i pittori inglesi come William Dyce e i Preraffaelliti, i quali però, considerando Perugino troppo vicino a Raffaello, individueranno i loro modelli in altri artisti quattrocenteschi e nei cosiddetti “primitivi”.

Giovanni Paolo Lasinio, Firenze, 1788/1798 – Firenze, 1855, Annunciazione, 1826 circa, acquaforte colorata, Milano, Civica Raccolta “Achille Bertarelli”

Nella seconda metà dell’Ottocento la riscoperta di Perugino avviene grazie ai nuovi studi sulla luce e sul colore; la purezza e l’armonia degli accostamenti cromatici della sua tavolozza sollecitano le sperimentazioni più all’avanguardia di artisti che hanno segnato il passaggio cruciale verso la modernità: dai simbolisti (Moreau) agli impressionisti (Degas), sino ai puntinisti (Seurat, Signac).

Il secondo Ottocento è anche l’epoca nella quale si assiste al definitivo avanzamento degli studi degli storici dell’arte e dei connoisseurs che, con una sistematizzazione del catalogo e le conseguenti nuove attribuzioni, riconoscono finalmente il genio di Perugino e gli restituiscono la paternità di opere fino a quel momento ritenute erroneamente del giovane Raffaello. I taccuini e gli appunti di viaggio di Cavalcaselle, ad esempio, punteggiati da bellissimi disegni, documentano le ricerche che coinvolgono studiosi italiani e stranieri, in una fitta rete di scambi e dialoghi.

La riscoperta di Perugino nel contemporaneo è un fenomeno sorprendente, che ha permesso di intessere dialoghi attualissimi e ricchi di sollecitazioni. L’ultima opera, datata al 2023, dimostra questa continuità e si collega, simbolicamente, alle celebrazioni per il quinto centenario della morte dell’artista, che per la Galleria si conclude con questa rassegna.

Catalogo Aguaplano (serie Quaderni della Galleria Nazionale dell’Umbria n. 8)


SGUARDI SU PERUGINO. Dall’età moderna al contemporaneo
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19)
28 ottobre 2023 – 14 gennaio 2024
 
a cura di Carla Scagliosi e Benedetta Spadaccini
 
Orari:
Fino al 31 ottobre
Lunedì ore 12.00 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)  
Martedì – Domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
Dal 1° novembre al 14 gennaio 2024
Lunedì chiuso
Martedì – Domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
Biglietti: La visita alla mostra è compresa nel biglietto di ingresso al museo. Intero € 11; ridotto € 3 – 18-25 anni; gratuito fino a 18 anni.
 
Informazioni: Tel. 075.58668436; gan-umb@cultura.gov.it
 
Sito internet: www.gallerianazionaledellumbria.it

Ufficio Promozione e Comunicazione
Ilaria Batassa ilaria.batassa@cultura.gov.it
 
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Ufficio stampa
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Pistoia: IL GIARDINO INCANTATO. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori

Arazzo millefiori Museo dellAntico Palazzo dei Vescovi Pistoia – Photo Ela Bialkowska OKNO studio -Courtesy Fondazione Pistoia Musei, 1920×1281

PISTOIA, MUSEO DELL’ANTICO PALAZZO DEI VESCOVI

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 29 FEBBRAIO 2024

IL GIARDINO INCANTATO
Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori di Pistoia

La nuova installazione immersiva propone una esperienza inedita
del capolavoro di arte tessile fiamminga del XVI secolo, patrimonio della città.

L’occasione è data dal prestito del manufatto alla mostra dedicata a Italo Calvino, in corso alle Scuderie del Quirinale a Roma fino al 4 febbraio 2024.

Pistoia, 28 ottobre 2023 – L’arazzo millefiori come non si era mai visto.

Dal 28 ottobre 2023 al 29 febbraio 2024, il Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia accoglie Il giardino incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori: una installazione immersiva capace di offrire un’esperienza inedita di uno dei capolavori di arte tessile fiamminga del XVI secolo, permettendo di esplorarlo, per la prima volta, in tre dimensioni.
L’installazione è un progetto di Fondazione Pistoia Musei e Fondazione Caript ideato e realizzato in collaborazione con il collettivo artistico camerAnebbia, curato nei suoi contenuti scientifici da Annamaria Iacuzzi e Cristina Taddei, conservatrici di Fondazione Pistoia Musei, e Gaia Ravalli, storica dell’artedella Scuola Normale Superiore di Pisa con la supervisione di Monica Preti, direttrice di Fondazione Pistoia Musei.

L’arazzo millefiori di Pistoia detto “dell’Adorazione”, in lana e seta, di dimensioni considerevoli (267 x 790 cm), è una delle opere d’arte più importanti della città e raffigura un raffinato giardino fiorito popolato anche da animali selvatici e fantastici, come l’unicorno.

Il manufatto, di proprietà della Cattedrale di Pistoia e dal 2016 esposto nel Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, è in questo momento allestito in una delle sale più rappresentative della mostra Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte: Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri in corso alle Scuderie del Quirinale fino al 4 febbraio 2024.

All’interno della sala dell’Antico Palazzo dei Vescovi, il visitatore può interagire con un tavolo touchscreen, attraverso il quale può esplorare i contenuti multimediali, arricchiti da un apparato testuale che ne approfondisce le tematiche, i soggetti rappresentati, i segreti della storia e della fabbricazione dell’arazzo.

In contemporanea e in sincrono con la navigazione, sulla parete si attiva una proiezione di grande dimensione, che ripropone l’immagine su cui l’utente sta intervenendo, teatralizzando e spettacolarizzando sia gli elementi estetici che la dinamica interattiva.

Il Giardino Incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori, camerAnebbia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, Pistoia, Photo Lorenzo Marianeschi Courtesy Fondazione Pistoia Musei

Il giardino incantato propone un viaggio sempre diverso a seconda degli argomenti scelti: una esperienza creativa e immaginifica di alto coinvolgimento che rinnova il valore di questo favoloso manufatto.

Si può quindi intraprendere un duplice viaggio: da una parte, esplorare l’arazzo liberamente, andando a cercarne i minimi dettagli, dall’altra viaggiare attraverso la flora e la fauna in esso rappresentata da un punto di vista inusuale e innovativo.

Al termine della rassegna romana dedicata a Italo Calvino, con il rientro dell’arazzo nella sala del Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi l’opera digitale potrà essere condivisa con enti, istituti e scuole, per promuovere la conoscenza dell’opera e del museo, offrendo nuove opportunità educative e culturali.

“Sono felice di questo progetto – dichiara Antonio Marrese, Presidente Fondazione Pistoia Musei – perché utilizzando linguaggi innovativi propone un’esperienza rivolta a un pubblico ampio e non esclusivamente del settore. Un ringraziamento alle Scuderie del Quirinale per il prezioso sostegno e a coloro che a diverso titolo hanno collaborato a questa bella realizzazione”.

“L’installazione valorizza uno dei manufatti più rappresentativi dello straordinario patrimonio artistico pistoiese – sottolinea Lorenzo Zogheri, Presidente Fondazione Caript – permettendo agli spettatori di ammirarlo con un’esperienza molto suggestiva. Approfondimenti interessanti, inoltre, arricchiscono un progetto che abbiamo realizzato anche per contribuire, attraverso la cultura, a promuovere il nostro territorio”.

“Questo progetto, elaborato in collaborazione con Fondazione Caript, è in sintonia con il piano di azione che Fondazione Pistoia Musei intende proseguire – afferma Monica Preti, Direttrice Fondazione Pistoia Musei – impegnandosi ad ampliare l’offerta delle attività culturali, artistiche e creative per la comunità, anche grazie alle nuove tecnologie. Penso ai musei come luoghi dove le azioni di ciascuno si connettono in rete con quelle degli altri, per condividere storie e interpretazioni diverse. Luoghi in cui le persone sono costantemente invitate a contribuire, collaborare, co-creare esperienze e contenuti, e dove coltivare il senso di appartenenza attraverso le collezioni e il patrimonio comune”.

Il Giardino Incantato. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori, camerAnebbia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, Pistoia, Photo Lorenzo Marianeschi Courtesy Fondazione Pistoia Musei

“La sfida – secondo il collettivo CamerAnebbia – è quella di creare interazioni che non richiedano alcun sistema di apprendimento, che siano naturali e spontanee, come un corpo che esplora lo spazio o le mani che si muovono e navigano su un touchscreen”.

L’arazzo di Pistoia, straordinario per integrità, rarità e dimensioni, costituisce il più grande esemplare al mondo della tipologia ‘millefiori’ giunto sino a noi e si distingue per l’assenza di elementi araldici o narrativi: piante e fiori sono infatti i soli protagonisti della raffigurazione e compongono un rigoglioso prato, popolato da animali, che evoca il giardino paradisiaco dell’Eden.

Contro il fondo blu si stagliano oltre duecento cespi arricchiti da fiori variopinti, racchiusi sui lati da un fregio di margherite, violette e tralci d’uva.

Sono circa quaranta le piante raffigurate, più della metà realmente esistenti, tra cui spiccano tre cespugli di rose rosse, interpretati come allusione alla Vergine, attorno ai quali si trovano un mammifero, forse un cane, un grifo e un unicorno, che spesso simboleggiava Cristo.

L’arazzo presenta un ordito in lana non tinta, coperto dall’intreccio delle trame colorate in lana e in seta chiara che definiscono il disegno. La seta è impiegata per le venature delle foglie, le lumeggiature dei petali e i pistilli.

La sua storia è ancora in parte avvolta dal mistero. Lo stile suggerisce che sia stato realizzato nella prima metà del Cinquecento nelle Fiandre, probabilmente dalla città di Enghien, dove si sviluppò precocemente la produzione di arazzi millefiori. L’arazzo pistoiese, conservato tra gli arredi della Cattedrale di San Zeno, è detto anche “dell’Adorazione” perché almeno dal 1661 veniva usato durante le celebrazioni del Venerdì Santo, disteso a terra davanti all’altare maggiore per ospitare la liturgia dell’adorazione della Croce.


SABATO 28 OTTOBRE 2023 ORE 18
EVENTO INAUGURALE APERTO AL PUBBLICO
Ingresso libero, non occorre prenotazione
 
IL GIARDINO INCANTATO. Viaggio interattivo nell’arazzo millefiori
Pistoia, Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi (piazza del Duomo, 7)
28 ottobre 2023 – 29 febbraio 2024
Orari:
28 e 29 ottobre: ore 10-19
Dal 1° novembre: dal mercoledì alla domenica, ore 10-18
 
Biglietti: ingresso gratuito con il biglietto del museo (intero €6, ridotto €4)
Info: 0573 974267, info@pistoiamusei.itwww.pistoiamusei.it
 
COORDINAMENTO COMUNICAZIONE E UFFICIO STAMPA PISTOIA MUSEI
comunicazione@pistoiamusei.it
 
Responsabile relazioni esterne
Francesca Vannucci | francesca.vannucci@fondazionecaript.it
0573 974228
 
Digital e social media
Rachele Buttelli | rachele.buttelli@fondazionecaript.it
0573 974248
 
 
UFFICIO STAMPA MOSTRA
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it
Marta Pedroli | marta.pedroli@clp1968.it
T. 02.36755700 | www.clp1968.it

A Johannesburg va in scena l’Arte Povera

Giulio Paolini, Averroè, 1967.
Ph. Paolo Pellion. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Il Consolato Generale d’Italia a Johannesburg

presenta

ARTE POVERA 1967-1971

a cura di Ilaria Bernardi

JohannesburgWits Art Museum

 31 ottobre – 9 dicembre 2023

Al via la prima mostra sullArte povera nel continente africano per celebrare i 56 anni dalla sua definizione

Il 27 settembre 1967 a Genova, presso la Galleria La Bertesca, Germano Celant presenta la mostra “Arte povera Im-spazio” in occasione della quale conia la definizione di Arte povera per indicare, come scrive in catalogo, il processo linguistico di alcuni artisti italiani che “consiste nel togliere, nell’eliminare, nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.

La mostra “Arte Povera 1967-1971”, curata da Ilaria Bernardi presso il Wits Art Museum a Johannesburg, e promossa dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg, desidera celebrare i 56 anni da quella prima esposizione nel 1967, realizzando la prima mostra dell’Arte povera nel Continente africano e la prima mostra sull’Arte povera dopo la scomparsa del suo teorizzatore Germano Celant, avvenuta nel 2020. Ha dunque un’importante valenza dal punto di vista storico.

Germano Celant a Berna, alla Kunsthalle, in occasione di Live in your head. When attitudes become form, 1969.
Ph. (dettaglio) © Claudio Abate. Courtesy Archivio Claudio Abate

La mostra, grazie alla collaborazione con gli artisti, con i loro archivi, con importati collezionisti e musei che si sono resi disponibili a prestare le opere di loro proprietà, accoglie storici lavori dei 13 artisti che, dopo aggiunte e sottrazioni avvenute dopo il 1967, sono ormai considerati gli esponenti canonici dell’Arte povera: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

Ilaria Bernardi, curatrice della mostra “Arte povera 1967-1971”.
Ph. Guglielmo de’ Micheli. Courtesy Associazione Genesi

La curatrice Ilaria Bernardi, anziché proporre una retrospettiva generale sulle ricerche di questi 13 artisti, ha preferito adottare un concept maggiormente analitico e filologico, capace di restituire la vivacità e il dialogo esistenti tra artisti tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primissimi anni Settanta. Al Wits Art Museum saranno infatti esposte opere emblematiche della ricerca di ogni artista, datate tra il 1967 – anno in cui Celant conia il termine Arte povera – e il 1971 – anno in cui egli postula che l’etichetta Arte povera deve dissolversi affinché ogni artista possa assumere la sua singolarità. Mediante questa specifica circoscrizione temporale, la mostra desidera approfondire la prima fase dell’Arte povera, ma al contempo si propone di coglierne i comuni denominatori che hanno portato Celant a definire tale quella ricerca. Da qui l’aggiunta di alcune opere realizzate negli anni immediatamente precedenti al 1967.  

La maggior parte delle opere presenti in mostra sono state presentate in storiche esposizioni collettive dell’Arte povera e in mostre personali dei rispettivi artisti, tenutesi tra il 1967 e il 1971. Tra le opere esposte: Direzione (1967) di Giovanni Anselmo; Senza titolo (porte) (1966) di Alighiero Boetti; Piombo rosa (1968-2018) di Pier Paolo Calzolari; Pavimento (Tautologia) (1967) di Luciano Fabro; Senza titolo (1968) di Jannis Kounellis; Sitin (1968) di Mario Merz; Scarpette (1968) di Marisa Merz; Averroè (1967) di Giulo Paolini; Scoglio (1966) di Pino Pascali; Svolgere la propria pelle (1970-1971) di Giuseppe Penone; Orchestra di stracci – Quartetto (1968) di Michelangelo Pistoletto; Identico alieno (1967-1968) di Emilio Prini; Letto (1966) di Gilberto Zorio.

Accompagna la mostra un’area dedicata a una cronologia illustrata delle mostre collettive tenutesi in quegli anni da considerarsi cardini per la storia dell’Arte povera, corredata da teche con i relativi cataloghi.

Conclude il percorso espositivo il video-documentario Arte povera, a cura di Beatrice Merz e Sergio Ariotti (Hopefulmonster, Torino 2011) che fornisce una panoramica dell’Arte Povera con ampio materiale d’archivio, filmati di mostre personali recenti e a spezzoni di interviste con Germano Celant, alcuni artisti, critici e galleristi.

La mostra fa parte di un più ampio progetto espositivo intitolato “Arte Povera and South African Art: In Conversation”, promosso dal Wits Art Museum a Johannesburg e dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg e che include, nelle stesse date della mostra curata da Ilaria Bernardi, un’altra mostra dal titolo “Innovations in South African Art, 1980s-2020s” a cura del curatore sudafricano Thembinkosi Goniwe dedicata ad artisti sudafricani che, per alcuni aspetti della loro pratica, si dichiarano o risultano affini all’Arte povera: Lucas Seage, Jane Alexander, David Thubu Koloane, Kagiso Pat Mautloa, Moshekwa Langa, Usha Seejarim, Bongiwe Dhlomo-Mautloa, Willem Boshoff, Kemang Wa Lehulere, Thokozani Mthiyane, Kay Hassan.

“Arte Povera and South African Art: In Conversation” sarà accompagnato da un libro/catalogo illustrato, edito da SilvanaEditoriale, bilingue (italiano/inglese) e “doppio”, da sfogliare in due versi, entrambi con presentazioni istituzionali dell’Ambasciatore d’Italia a Pretoria, Paolo Cuculi, e della Console Generale a Jogannesburg, Emanuela Curnis. Il primo verso del volume sarà dedicato alla mostra sull’Arte povera curata da Ilaria Bernardi e includerà un suo ampio saggio, approfondimenti sulle opere e sui 13 artisti e una cronologia delle più importanti mostre dell’Arte povera dal 1967 a oggi. Il secondo verso sarà dedicato all’esposizione curata da Thembinkosi Goniwe e includerà un suo saggio, nonché approfondimenti sulle opere e sugli artisti sudafricani esposti.


Wits Art Museum, Johannesburg

Wits Art Museum

Il Wits Art Museum (WAM), connesso all’omonima università (la Wits University), è il più importante museo d’arte di Johannesburg dedicato all’arte africana. La sua collezione comprende oltre 13.000 opere d’arte africana ed è nata da una piccola collezione didattica dipartimentale avviata all’inizio degli anni ’50 da due professori, Heather Martienssen e John Fassler, entrambi del Dipartimento di Architettura della Wits. Alla fine degli anni ’60, Norman Herber donò ingenti fondi per l’acquisizione di opere, consentendo alle collezioni storiche e contemporanee di crescere in modo sostanziale. Nel 1978 le prime opere d’arte classica africana furono donate da Vittorio Meneghelli e l’anno successivo fu avviata la Standard Bank African Art Collection e John Schlesinger donò una grande collezione di oltre 100 opere. Altre importanti aggiunte alle collezioni includono la Collezione del Wits Museum of Ethnology (2001), l’Archivio Neil Goedhals (1993), l’Archivio delle stampe di Robert Hodgins (2007), la Collezione Sekoto (2010), gli archivi di Walter Battiss (2017) e Judith Mason (2017). Attualmente il museo include anche il Jack Ginsberg Centre for Book Arts che ospita oltre 3000 libri d’artista, di cui 400 sudafricani, nonché un archivio unico di 3000 oggetti sulla storia e lo sviluppo di genere dell’arte del libro, oltre a una vasta biblioteca di monografie sull’arte sudafricana. L’edificio in cui si trova il Wits Art Museum è stato progettato dagli architetti Nina Cohen, Fiona Garson e William Martinson che sono stati premiati con il Visi Magazine Architecture Award 2012 proprio per il loro lavoro per WAM.


Contatti per la stampa
Studio ESSECI
di Sergio Campagnolo s.a.s
Ufficio Stampa, Pubbliche Relazioni e Progetti di Comunicazione
 
Indirizzo: Via San Mattia, 16 – 35121 Padova (PD)
Email: segreteria@studioesseci.net

Padova: Lo scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900

LO SCATTO DI GIOTTO.
La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900

Dal 28 ottobre 2023 al 7 aprile 2024

Museo Eremitani, Padova

Dal 28 ottobre 2023 al 7 aprile 2024, il Museo Eremitani di Padova propone la mostra Lo Scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900. Curata dai Musei Civici, Biblioteca Civica e Ufficio Patrimonio Mondiale e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, la mostra ricostruisce attraverso un percorso espositivo composito la straordinaria fortuna visiva della Cappella degli Scrovegni.

Nota in tutto il mondo per essere il capolavoro assoluto affrescato da Giotto, pochi sanno però che Cappella degli Scrovegni è stata fra i primi monumenti italiani a essere riprodotto in fotografia in modo sistematico e puntuale: fu Carlo Naya, uno dei pionieri italiani della fotografia, a ammortarla per la prima volta nell’estate del 1863, a meno di venticinque anni dall’invenzione ufficiale di questa tecnologia.  Il percorso espositivo de Lo scatto di Giotto parte dalle prime riproduzioni degli affreschi giotteschi, in uno scenario in bianco e nero creato grazie alle rare e preziose lastre fotografiche realizzate da Luigi Borlinetto a partire dal 1883, patrimonio della Biblioteca Civica di Padova. Queste portano il visitatore a scoprire dettagli poco noti e punti di vista inconsueti, restituendo all’osservatore contemporaneo l’esperienza di un visitatore della seconda metà dell’Ottocento.

La mostra si affaccia poi al Novecento attraverso le celebri campagne fotografiche Alinari e di Domenico Anderson, il cui valore si intreccia con quello dell’editoria d’arte e di divulgazione. Sarà proprio grazie alle campagne fotografiche della Casa Editrice Alinari di Firenze che le immagini di Cappella degli Scrovegni verranno inserite nei cataloghi d’arte a partire dal 1906 e faranno il giro del mondo grazie alle edizioni tradotte in lingua inglese e francese. Ad Alinari si deve anche la prima campagna di fotografie della Cappella degli Scrovegni a colori: siamo nel 1952 e il capolavoro di Giotto è già diventato soggetto di un’opera cinematografica.

Nel 1938 il giovanissimo regista Luciano Emmer realizza il primo film sulla Cappella degli Scrovegni: Racconto da un affresco. Girato in 35 mm utilizzando una vecchia macchina da presa Pathé del 1913 e una truka artigianale, utilizzata per realizzare animazioni, riprese speciali, effetti particolari, Emmer eseguì lo storyboard disegnando a carboncino sulle fotografie e riprendendo poi fotogramma per fotogramma, ammettendo che “il film su Giotto può essere considerato il primo film neorealista italiano perché a ben vedere le pareti della cappella degli Scrovegni sono di fatto una specie di storyboard: mi sono limitato a filmarlo”. Più tardi anche Pier Paolo Pasolini fece suo il capolavoro di Giotto, utilizzandolo esplicitamente nelle scene del Decameron del 1971.

L’affascinante immaginario della Cappella degli Scrovegni sviluppatosi nel corso dei secoli è anche tema delle più avanzate tecnologie di riproduzione fotografica. La mostra invita infatti l’osservatore anche ad immergersi nella ricostruzione digitale del capolavoro di Giotto, concretizzando in un’esperienza nuova la proposta più innovativa avanzata da Giotto nel quattordicesimo secolo: che l’osservatore potesse entrare nel racconto che egli stesso aveva realizzato, così come fra Ottocento e Novecento avevano già fatto quanti si dedicarono alla riproduzione dei suoi affreschi.

La mostra, che resterà aperta fino al 7 aprile 2024, è realizzata grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di AcegasApsAmga S.p.A.  in collaborazione con Scripta Maneant Editori, Factorcoop S.p.A., Emilro Service e con il patrocinio di Commissione Nazionale Italiana UNESCO, Ministero della Cultura, ICOMOS, ICCROM.


Da Studio ESSECI info@studioesseci.net ù

Lugano (Svizzera), MUSEC | Museo delle Culture: LUCA PIGNATELLI. ASTRATTO

Luca Pignatelli, Corpo di fabbrica, 2019. 171×146 cm © Luca Pignatelli. Ph. Michele Sereni

LUGANO (SVIZZERA)

MUSEC | MUSEO DELLE CULTURE

DAL 28 OTTOBRE 2023 AL 12 MAGGIO 2024

Luca Pignatelli Astratto

LA PRIMA GRANDE MOSTRA DEDICATA ALLA RICERCA SULL’ASTRATTISMO DEL CELEBRE ARTISTA MILANESE.

L’esposizione, nuovo appuntamento del progetto Global Aesthetics del MUSEC, presenta 49 opere di grandi dimensioni, per lo più inedite.

Dal 28 ottobre 2023 al 12 maggio 2024, il MUSEC | Museo delle Culture di Lugano (Svizzera) ospita una iniziativa dal grande valore storico-artistico.
Le sale del museo svizzero accoglieranno infatti la prima personale di Luca Pignatelli (Milano, 1962), dedicata esclusivamente alla sua ricerca astratta, a cui si è dedicato nell’ultimo decennio di attività.

L’esposizione, dal titolo Astratto, è nata da un lungo e continuo dialogo, iniziato due anni fa, tra l’artista milanese e Francesco Paolo Campione, curatore della mostra e direttore del MUSEC, condotto su un filo dialettico che univa ricordi e riflessioni direttamente suscitati dalle opere, dai libri, dalle fotografie e dagli oggetti che riempiono e animano il grande atelier di Luca Pignatelli.

Un confronto che ha permesso di far emergere il senso che assume per Pignatelli il lavoro sull’astrazione, che porta verso nuovi territori la sua personale e distintiva relazione alla materia e al tempo che caratterizza fin dagli inizi tutta la sua vasta ricerca.

La rassegna presenta quarantanove opere, per lo più inedite, di grandi dimensioni, ricavate da larghe porzioni di teloni ferroviari dismessi, giuntati, cuciti, forati, bruciati, e poi dipinti e lavorati con inserti di diversa natura. Una materia esausta e ulteriormente ridotta ai minimi termini per restituire, secondo le modalità espressive dell’astrazione, il sapore di un universo costruito da una molteplicità di significati.

Il percorso espositivo è ritmato da undici parole – persona, ricordo, memoria, impronta, frammento, relitto, abisso, grotta, spiaggia, terra, origine – che riassumono e puntualizzano i valori delle scelte espressive di Pignatelli; a ogni voce è associato un breve testo scritto dall’artista che conduce il visitatore lungo le varie sezioni della mostra.

Ogni termine è collegato a quello successivo – e l’ultimo al primo – per creare un itinerario a spirale che si estende verso un’infinita profondità spirituale.

“La ricerca di Luca Pignatelli – sottolinea Francesco Paolo Campione – permette infatti di comprendere come l’arte, prima di essere rappresentazione e decoro, sia tensione fondamentale verso il mondo spirituale, strumento primario di conoscenza che procede dal tutto verso le sue parti, compagna fedele dell’esercizio mitopoietico che traduce agli uomini la complessa struttura del cosmo, dando loro l’illusoria certezza di essere padroni del proprio destino”.

L’allestimento, pensato per i due piani dello Spazio mostre di Villa Malpensata a Lugano, sede del MUSEC, oltre a dare respiro alle grandi opere, trasferisce in alcune sale veri e propri angoli dello studio milanese dell’artista: tavoli, sedie, poltrone, divani e carrelli sopra o accanto ai quali, esattamente come nel loro ambiente originario, si trovano fotografie, carte, disegni, immagini ritagliate dai giornali, telai, mucchi di teloni ferroviari, cocci, chiodi, barrette di metallo, cordame, pennelli e latte di pittura. È questo il modo forse più semplice per mettere in evidenza la dimensione antropologica e il contesto sociale che fanno parte delle condizioni primarie di ogni creatività, anche la più astratta.

Luca Pignatelli, Parete ipogea, 2019. Dittico, 260×360 cm © Luca Pignatelli. Ph. Michele Sereni

L’iniziativa è il nuovo capitolo del ciclo «Global Aesthetics», con il quale il MUSEC esplora le varie forme e i diversi linguaggi della creatività contemporanea, “con l’ambizione – afferma Francesco Paolo Campione -, di andare controcorrente rispetto a una tendenza sempre più diffusa che trasforma l’arte contemporanea innanzitutto in un fenomeno di moda, per riportare al centro dell’attenzione le ragioni profonde e il contesto dei processi di creazione artistica e per porre il visitatore nelle condizioni ideali per vivere una esperienza estetica ricca di sfumature”.

Accompagna la mostra un catalogo in due edizioni, in italiano e in inglese di grande formato, a cura di Francesco Paolo Campione (Luca Pignatelli. Astratto Global Aesthetics/4, SKIRA Editore, pp. 164).

La Fondazione culture e musei pubblica inoltre un prezioso libro d’artista a cura di Francesco Paolo Campione intitolato Genesi e astratto, in 149 esemplari firmati e numerati, ciascuno corredato da un frammento di un’opera originale di Luca Pignatelli.

Il libro contiene la riproduzione su carta pregiata di tutte le opere in mostra più una selezione di altre opere, accompagnate da una conversazione tra Luca Pignatelli e Francesco Paolo Campione.

Note biografiche

Luca Pignatelli ritratto in studio © Luca Pignatelli.
Ph. Giuseppe Anello

Luca Pignatelli è nato nel 1962 a Milano, dalla psicologa Carla Autelli (1935-2022) e da Ercole Pignatelli (n. 1935), pittore e scultore di origini leccesi, nel cui atelier, sin da giovanissimo, egli ha mosso le sue prime esperienze. Completati gli studi superiori, nel 1981 si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dove l’interesse costante nei confronti di ciò che con il tempo egli definirà «crescita sedimentaria della storia» lo porta in particolare a confrontarsi con gli scritti e le visioni di Adolf Loos e Aldo Rossi. In particolare, Pignatelli sente forte il richiamo dell’idea di edificio e di città come sommatoria organica degli stili e delle epoche che si sono succedute, un’idea che non porta al rifiuto, ma al dialogo con il passato e al tentativo di integrarlo attraverso forme ricorrenti: gli «archetipi», incessantemente capaci di sintetizzare la tradizione e la modernità.

Dai disegni su carta e su masonite, esposti per la prima volta nel 1987 alla galleria di Antonia Jannone a Milano, la sua produzione si è sviluppata attraverso l’uso eterodosso e la diversificazione sperimentale di materiali e di tecniche, indirizzandosi sempre più verso opere di grande formato.

I luoghi privilegiati della sua ricerca sono le fabbriche, gli arsenali militari e i depositi anonimi delle città portuali che si integrano, accomunati dal fascino di un’infinita aggregazione di contenuti, ai grandi edifici – templi, cattedrali e monumenti – che hanno definito il paesaggio antropico della storia europea. A partire dagli anni Novanta, Pignatelli ha introdotto l’uso, come supporti, di materiali che hanno esaurito la loro precedente destinazione d’uso, e già di per sé pittorici, come la tela di canapa dei convogli ferroviari e, successivamente, le carte assemblate, i tessuti, le vecchie tavole di legno, le lastre di ferro zincato e i tappeti persiani. Al contempo, è emersa inoltre una pratica artistica fondamentalmente seriale. Hanno così preso vita veri e propri cicli concepiti in occasione di esposizioni personali e installazioni specifiche di un sito, come: Arazzi italiani (2007-2008), Atlantis (2009), Schermi (2009), Analogie (2010), Cosmografie (2014); Sculture (2010), Standard (2014), Migranti (2015), Imperatori (2017) e Persepoli (2017).

Per quanto riguarda la sua estetica, si è affermato da un lato un interesse precipuo al dialogo con la storia e con la natura, dimensioni incarnate da immagini della statuaria classica (muse, eroi e imperatori), dalle memorie archeologiche dell’antichità, da orme di paesaggi naturali e urbani, da calligrafie e da caratteristiche allegorie della modernità come i dirigibili,  gli aeroplani, le navi e i treni a vapore; dall’altro lato si è fatto via via strada un linguaggio astratto, fatto di porzioni di materia che si stratificano su supporti di recupero.

Fra le principali esposizioni temporanee che hanno consacrato a livello internazionale il lavoro di Luca Pignatelli ricordiamo: la XII Quadriennale d’Arte di Roma (1996), la 53a Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Italia (2009) e le personali tenute al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2009); al MAMAC – Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizza (2009); all’Istituto nazionale per la grafica di Roma (2011); al Museo di Capodimonte di Napoli (2014); alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (2014); alla Galleria degli Uffizi di Firenze (2015); al Gran Teatro La Fenice di Venezia (2017); al Museo Stefano Bardini di Firenze (2019); alla New York Historical Society (2022); e al MUSEC – Museo delle Culture di Lugano (2023).

Oltre che in prestigiose collezioni private europee ed americane, le opere di Luca Pignatelli sono conservate da importanti istituzioni museali, fra le quali ricordiamo: la New York Historical Society di New York; la Galleria degli Uffizi di Firenze; il Museo di Capodimonte di Napoli; la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; il CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma; il PART – Palazzi dell’Arte di Rimini.

Studio dell’artista © Luca Pignatelli. Ph. Giuseppe Anello

Castello di Rivoli: Michelangelo Pistoletto. Molti di uno

Michelangelo Pistoletto
Venere degli stracci, 1967 Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT
in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Foto Paolo Pellion
Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Michelangelo Pistoletto. Molti di uno
a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria
2 novembre 2023 – 25 febbraio 2024
Manica Lunga
Inaugurazione: 1° novembre 2023

Il Castello di Rivoli presenta una grande mostra dedicata a Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) in occasione del suo novantesimo compleanno. Allestita negli spazi della Manica Lunga, il progetto dell’artista Molti di uno reinventa l’architettura ortogonale della Manica Lunga trasformandola in uno stupefacente groviglio armonioso, un dispositivo urbano irregolare e libero attraverso il quale raccogliere e rileggere tutta la sua arte in un gigantesco autoritratto che funziona come la mappa di una Città ideale dell’avvenire.
 
“Pistoletto è una delle figure dell’arte contemporanea a livello globale più poliedriche, innovative, creative e aurorali”, afferma Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. “Attivo già nella seconda metà del ventesimo secolo, è capace di reimmaginare il mondo nel ventunesimo secolo attraverso la sua ‘formula della creazione’, all’insegna di un nuovo equilibrio trinamico tra naturale e artificiale che egli chiama Terzo Paradiso”.
 
Pistoletto è tra gli artisti che hanno ridefinito il concetto di arte a partire dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso attraverso l’Arte povera. Già dalla prima metà degli anni cinquanta, l’artista si interroga sul concetto di identità personale e intraprende la via dell’autoritratto come espressione emblematica del suo pensiero secondo il quale il soggetto individuale prende vita in relazione agli altri divenendo un soggetto plurale. Dal 1962 realizza quadri specchianti, nei quali chi guarda e il mondo entrano nell’opera. Il superamento delle frontiere segnate dalla dimensione solo pittorica ha rappresentato per Pistoletto l’apertura a un paesaggio che si affaccia sulla contemporaneità dell’esistenza.
 “Ideata per la Manica Lunga”, afferma Marcella Beccaria, “Molti di uno è una città dell’Arte strutturata come architettura percorribile e composta da 29 Uffizi o stanze. Disegnati come spazi aperti e collegati tra loro, gli Uffizi includono metaverso, arte, scienza, filosofia, legge, diritto, architettura, comunicazione, politica, ecologia, sorveglianza, sport, matematica, spiritualità, religione, mitologia, formazione, nutrimento, simbologia, cosmologia, design, sepoltura, storia, urbanistica, moda, spazio, scrittura, salute, informatica, natura. I 29 Uffizi espongono la struttura che secondo l’artista è alla base della vita civile e sociale proponendo una vasta rete di interrelazioni e una propositiva condizione dinamica tesa ad abbattere muri e separazioni”. 

I 29 Uffizi sono tra loro comunicanti e interconnessi attraverso una serie di porte, ciascuna recante sull’architrave l’indicazione dell’attività specifica. La forma delle porte riprende il Segno Arte. Concepito dall’artista nel 1976, il Segno Arte è dato dall’intersezione di due triangoli, inscrivendo idealmente un corpo umano con braccia alzate e gambe divaricate. Il primo concetto di una architettura nell’architettura risale a Porte – Uffizi al MuHKA – Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen di Anversa. Riprende e sviluppa un precedente (Le Porte di Palazzo Fabroni) del 1995 ed è un dispositivo espositivo utilizzato più volte da allora, ma sempre rispecchiando una classificazione che si potrebbe dare alla società di quel momento e proponendo contemporaneamente una città ideale. L’articolazione della città in Uffizi riprende una riflessione alla quale l’artista ha dedicato spazio in La Formula della Creazione, 2022, libro nel quale egli esamina il proprio percorso, identificando 31 passi che, conducendo alla genesi di una nuova società, diventano punti cardinali alla base della Formula della Creazione.

Terzo Paradiso “1+1=3”, 2003-2023
Polistirene, tessuti, legno, acrilico
35 x 300 x 135 cm
Foto: Andrea Rossetti

La mostra svelerà una nuova opera-azione partecipativa nell’Uffizio Sorveglianza.
“Ma questa città futura è anche una città tecnologica, dei social media, e dell’intelligenza artificiale,” afferma Christov-Bakargiev, “è un mondo in cui lo specchio di un controllo costante, invisibile e ubiquo può portare alla necessità di reimmaginare la nozione di libertà. Cosa significa un mondo di homo cellularis, i cui gesti minimi sono registrati, misurati, archiviati, “estratti” a scopi predittivi? Uno specchio tecnologico che può rendere gli umani schiavi delle macchine AI, oppure capaci di crescere verso paradisi inattesi, a seconda di come, più o meno responsabilmente ed eticamente, verranno usati questi strumenti dai nostri discendenti? A questo Pistoletto ci fa riflettere, più che umanamente”.
 All’interno della visione di una nuova comunità eticamente responsabile, la mostra è anche un dispositivo per coinvolgere le persone, a partire dai lavoratori che a vario titolo operano all’interno e orbitano attorno al Museo rendendolo un microcosmo di una possibile città ideale. Ogni giorno, una persona dotata di un sapere e di una prassi specifica in un’area per la quale esiste uno dei 29 Uffizi sarà il responsabile catalizzatore della giornata: ad esempio un addetto stampa sarà responsabile dell’Uffizio Comunicazione, mentre il medico competente potrebbe collaborare in una giornata dedicata all’Uffizio Salute, tanto quanto un’Artenauta potrebbe condurre una giornata sull’educazione, così come un responsabile della caffetteria potrebbe seguire la giornata dedicata all’Uffizio Nutrimento, il giardiniere essere responsabile dell’Uffizio Ecologia e un curatore quello dell’Uffizio Arte, mentre una bibliotecaria potrebbe occuparsi della giornata dedicata all’Uffizio Scrittura. In questa maniera l’artista revitalizza e reinventa il concetto di mostra temporanea e contribuisce a realizzare pragmaticamente un nuovo mondo basato sulla Demopraxia.

Biografia di Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto. Foto Pierluigi Di Pietro
Courtesy Cittadellarte

Michelangelo Pistoletto nasce a Biella nel 1933. Inizia a esporre nel 1955 e nel 1960 tiene la sua prima personale alla Galleria Galatea di Torino. La sua prima produzione pittorica è caratterizzata da una ricerca sull’autoritratto. Nel biennio 1961-1962 approda alla realizzazione dei Quadri specchianti, che includono direttamente nell’opera la presenza dello spettatore, la dimensione reale del tempo e riaprono inoltre la prospettiva, rovesciando quella rinascimentale chiusa dalle avanguardie del XX secolo. Con questi lavori Pistoletto raggiunge in breve riconoscimento e successo internazionali, che lo portano a realizzare, già nel corso degli anni Sessanta, mostre personali in prestigiose gallerie e musei in Europa e negli Stati Uniti. I Quadri specchianti costituiranno la base della sua successiva produzione artistica e riflessione teorica. Tra il 1965 e il 1966 produce un insieme di lavori intitolati Oggetti in meno, considerati basilari per la nascita dell’Arte Povera, movimento artistico di cui Pistoletto è animatore e protagonista. A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che rappresentano le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che Pistoletto svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Tra il 1975 e il 1976 realizza nella Galleria Stein di Torino un ciclo di dodici mostre consecutive, Le Stanze, il primo di una serie di complessi lavori articolati nell’arco di un anno, chiamati “continenti di tempo”, come Anno Bianco (1989) e Tartaruga Felice (1992). Nel 1978 tiene una mostra nel corso della quale presenta due fondamentali direzioni della sua futura ricerca e produzione artistica: Divisione e moltiplicazione dello specchio L’arte assume la religione. All’inizio degli anni Ottanta realizza una serie di sculture in poliuretano rigido, tradotte in marmo per la mostra personale del 1984 al Forte di Belvedere di Firenze. Dal 1985 al 1989 crea la serie di volumi “scuri” denominata Arte dello squallore. Nel corso degli anni Novanta, con Progetto Arte e con la creazione a Biella di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto e dell’Università delle Idee, mette l’arte in relazione attiva con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Nel 2003 è insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia. Nel 2004 l’Università di Torino gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze Politiche. In tale occasione l’artista annuncia quella che costituisce la fase più recente del suo lavoro, denominata Terzo Paradiso. Nel 2007 riceve a Gerusalemme il Wolf Foundation Prize in Arts, “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d’arte premonitrici che contribuiscono a una nuova comprensione del mondo”. Nel 2010 è autore del saggio Il Terzo Paradiso, pubblicato in italiano, inglese, francese e tedesco. Nel 2012 si fa promotore del Rebirth-day, prima giornata universale della rinascita, festeggiata ogni anno il 21 dicembre con iniziative realizzate in tutto il mondo. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, année un – le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura. Nel 2017 viene pubblicato il suo testo Ominiteismo e Demopraxia. Manifesto per una rigenerazione della società. Nel 2021 viene inaugurato a Cittadellarte l’Universario, spazio espositivo in cui l’artista presenta le sue più recenti ricerche, e nel dicembre del 2022 è pubblicato il suo ultimo libro, La formula della creazione, in cui ripercorre i passi fondamentali e l’evoluzione del suo intero percorso artistico e della sua riflessione teorica.


Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia
10098 Rivoli – Torino
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Trieste: da oggi la Biennale Internazionale Donna – 4° Esposizione internazionale d’Arte

Nataša Gregorič Nabhas
Šeherzada Ahmetović, Giorgio Rossi, Eunice Tsang

Biennale Internazionale Donna
4° Esposizione internazionale d’Arte – BID23ART

“Respirare con il mondo / Breathing with the World” 

Magazzino 26 – Porto Vecchio Trieste 

28 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024

Inaugurazione: 27 ottobre 2023

Dal titolo “Respirare con il mondo / Breathing with the World“, la Biennale Internazionale Donna 2023 nella sua 4° edizione apre al pubblico da sabato 28 ottobre 2023 a domenica 7 gennaio 2024 a Trieste, al Magazzino 26 del Porto Vecchio (con orari: giovedì 10 – 13 e 16 -19, venerdì 16 – 21, sabato, domenica e festivi 10 – 19; costo biglietto intero 5 euro, ridotto 3 euro). Inaugurazione: venerdì 27 ottobre 2023, ore 15.00.

Realizzata dall’Associazione Biennale Internazionale Donna, in coorganizzazione con il Comune di Trieste e il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia, BID23ART rappresenta un evento unico e di grande importanza per il panorama artistico e culturale, non solo a livello locale ma anche internazionale: i visitatori hanno l’opportunità di immergersi nell’arte contemporanea, scoprendo nuovi talenti e artiste affermate, lasciandosi ispirare dalle diverse prospettive e narrazioni.

Curata da Eunice Tsang” – ha sottolineato la presidente dell’Associazione Biennale Internazionale Donna architetto Šeherzada Ahmetović in occasione della conferenza stampa di presentazione – “BID23ART offre una piattaforma per celebrare e promuovere il ruolo delle donne nelle arti, nella cultura e nella società contemporanea. Durante il periodo di apertura della mostra, saranno organizzati eventi collaterali, tra cui incontri con le artiste, performance, presentazioni, eventi musicali e intrattenimento, nonché momenti formativi dedicati alla promozione dell’arte e della cultura. La nostra missione è creare un contenitore mirato a promuovere il lavoro della donna sotto molteplici aspetti” – continua Šeherzada Ahmetović – “e attraverso BID23ART, intendiamo creare un dialogo profondo tra l’arte contemporanea e il pubblico, stimolando riflessioni e connessioni che vanno al di là delle convenzioni”. 

“Trieste, da sempre crocevia di popoli e culture, città animata dall’ampio “respiro” del mare” – ha affermato l’Assessore alle politiche della cultura e del turismo del Comune di Trieste Giorgio Rossi – “pare essere il luogo ideale per questa mostra che, evocando poeticamente il tema de l’élan vital (la percezione intuitiva dell’esperienza e il fluire del tempo interiore), vuole celebrare il potere creativo della trasformazione e la capacità dell’arte di esprimere la speranza nel futuro, indagando contemporaneamente le dimensioni dell’ambivalenza, della criticità e dell’incertezza”.

Il titolo dell’esposizione di BID23ART “Respirare con il mondo / Breathing with the World” si ispira a un’immagine poetica tratta da uno dei Sonetti a Orfeo (1923) di Rainer Maria Rilke, il quale indagando l’intima connessione tra la vita e l’arte nelle sue varie forme espressive, ha cercato di mostrare quanto il potere evocativo della poesia sia in grado di tramutare i problemi dell’esistenza e di giustificare la realtà.

Questa Biennale intende dunque esplorare, mediante un innovativo approccio olistico, le molteplici forme espressive con cui artiste contemporanee di diverse generazioni e contesti culturali interrogano il loro rapporto con il mondo – inteso nel suo senso più ampio – dove il mondo esterno, visibile, è strettamente intrecciato con quello interiore. 

Il “respiro”, soffio vitale, poesia dell’invisibile, metafora di un’incessante e inesauribile forza rigeneratrice e ispiratrice, suggerisce simbolicamente un movimento di apertura e di connessione con il mondo attraverso modalità inesplorate di penetrazione delle sue diverse dimensioni: quella spazio-temporale, quella socio-culturale e, soprattutto, quella naturale di cui fanno parte tutti gli esseri viventi, verso la quale il consueto sguardo esclusivamente antropocentrico deve aprirsi alla consapevolezza che noi esseri umani siamo solo una delle infinite forme di vita da rispettare.

Ana Vivoda

L’esposizione propone in mostra 40 opere, scelte tra le molte candidate da tutto il mondo. La curatrice/artista Eunice Tsang presenta alcune opere di artiste affermate da lei selezionate, creando un dialogo con lo spazio e con il tema, invitando i visitatori a riflettere sulle suggestioni proposte dalla curatrice.

“È un grande onore unirmi a BID e immergermi nella scena creativa a Trieste e in tutta Italia” – ha dichiarato la curatrice Tsang. “Con BID23ART, spero di portare una visione basata sulle mie esperienze internazionali tra Hong Kong e l’Europa, per sfidare le narrazioni esistenti introducendo una moltitudine di voci creative, soprattutto dall’Asia, che amplificheranno l’interazione della Biennale con il pubblico. La parola respiro” – ha spiegato la curatrice Eunice Tsang – “evoca ritmi rigenerativi che sono finiti ma ciclici e incontri fisici che sono sensuali e a volte erotici; mentre “con il mondo” implica complesse interconnessioni che si estendono oltre i confini geopolitici che delimitano la nostra prospettiva antropocentrica, in un contesto di armonia e discordia”.

Nel contesto della sede della Biennale – il Porto Vecchio, un importante punto di riferimento della città che sta subendo una massiccia e complessa trasformazione – questa mostra cerca di immaginare la maschile e rumorosa vitalità del vecchio porto riempiendolo con una miriade di suoni e idee provenienti dalle 40 artiste. Tirando fuori le insidie e i cambiamenti delle correnti che sottendono alle tensioni transculturali di oggi, “Respirare con il Mondo” è un invito ad aprire le immaginazioni delle storie non scritte e dei sistemi matriarcali; a immergersi in lingue sconosciute che parlano di lavoro invisibile ed emotivo; e, ultimo ma non meno importante, a scoprire nuove modalità di cura e supporto per amici e estranei, non per respirare all’unisono, ma per concedersi reciprocamente lo spazio per respirare.

Loreto Buttazzoni

La curatrice/artista Eunice Tsang
Eunice Tsang è una curatrice/artista con sede a Hong Kong. Ha fondato e cura Current Plans, uno spazio d’arte sperimentale che promuove il dialogo interdisciplinare attraverso l’organizzazione di mostre. Durante il suo periodo a Tai Kwun Contemporary, ha istituito la Biblioteca di Artist Books Asiatici, dove ha condotto ricerche e costruito una nuova collezione di pubblicazioni moderne e contemporanee dedicate agli artisti asiatici. Fa parte del team curatoriale che organizza l’annuale Booked Art Book Fair, in cui, per le ultime 5 edizioni, ha presentato esposizioni speciali in stretta collaborazione con gli artisti. I suoi progetti curatoriali alla Current Plans variano in scala e forma, ma mantengono sempre un focus sull’offrire una piattaforma unica per le menti più fresche di Hong Kong e dell’Asia, con mostre vibranti e immaginative che superano i confini delle discipline creative. I suoi interessi curatoriali si concentrano su come gli artisti sviluppano nuovi linguaggi e simboli in periodi di cambiamento politico e su come manovrare lo spazio liminale tra legale e illegale, realtà e finzione, utilizzando il realismo magico, il sarcasmo, l’umorismo e la creazione di miti.
Alcune delle sue collaborazioni recenti includono ‘Fancy Creatures: The Art of the Wig’ con Tomihiro Kono e Sayaka Maruyama, ‘Witches Own Without’ co-curata con Ali Wong Kit Yi e Lok Wong, ‘Only a Joke Can Save Us’ con Tiffany Leung e presentazioni di libri con Three Star Books e Kurt Tong.Tsang ha tenuto programmi e conferenze presso Tai Kwun Contemporary, il Museo M+, il Centro per il Patrimonio, le Arti e il Tessuto/Mill6 Foundation, Art Central, la Fiera d’Arte S.E.A.Focus e altro ancora. Nel 2021 è stata una curatrice residente presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino. Ha conseguito una laurea in Belle Arti alla Slade School of Fine Art dell’University College di Londra e un master in Gestione Culturale all’Università Cinese di Hong Kong.

Savina Capecci

LE ARTISTE PROVENIENTI DA OLTRE DIECI PAESI

Asamer Ulrike
Gmunden, Austria; Bachel Nora Vienna, Austria; Burgard-Kaser Beatrix Vienna, Austria; Buttazzoni Loreto Santiago, Chile; Capecci Savina Roma, Italia; Célin Jiang Paris, Francia; Centa Lučka Ljubljana, Slovenia; Cink Asta Vienna, Austria; Culetto Lea Trbovlje, Slovenia; d’Aprile Marie-José La Chaux de Fonds, Svizzera; de Eccher Riccarda Udine, Italia; Epp Gabriele Vienna,  Austria; Faidiga Fabiola  Trieste, Italia; Fiabane Lidia Belluno, Italia; Gregorič Nabhas Nataša Sempeter pri Gorici, Slovenia; Gregorovich Nevia Trieste, Italia; Grilli Valentina Milano, Italia; Höller Barbara Vienna, Austria; Jazvic Paulina Zagreb, Croazia; Lau Hiu Tung Hong Kong, Cina; Leelee Chan Hong Kong, Cina; Middelmann Naomi Lausanne, Svizzera; Müller-Funk Sabine Munich, Germania;
Oreskovic Lara
Zagreb, Croazia; Patermo Bettina Modling, Austria; Pazzagli Francesca Cattolica, Italia; Ivana Putincanin Zug, Svizzera; Rosso Cicogna Caroline Eupen, Belgio; Sasaoka Yuriko

Osaka, Giappone; Tizian Chiara Vicenza, Italia; Vivoda Ana Rijeka, Croazia; Weinstein Daphna Tel Aviv, Israele.

EVENTI COLLATERALI 

Arti e Performance

Il partner ufficiale per la realizzazione degli eventi dedicati alle arti performative è il teatro La Contrada di Trieste. Inoltre, l’attrice e regista Sara Alzetta porterà in scena tra le opere alcuni spettacoli da lei ideati, il primo dei quali “In Fuga” si terrà sabato 28 ottobre, al Magazzino 26, tra le opere nelle sale espositive del primo piano, alle ore 17.00, così descritto dalla stessa Alzetta: una banda di eterogenea umanità attraversa spaesata e coatta le sale della Biennale Internazionale Donna. Chi si è perduta, chi cerca un riscatto, chi un omicidio… Disperate o buffe, svagate o folli, tutte alla ricerca di un approdo. Come noi

Arte, architettura e rigenerazione urbana

BID23ART per la prima volta ha introdotto il modulo espositivo satellite, un’occasione per connettere il Magazzino 26 e il centro città, attraverso un processo più ampio di rigenerazione urbana in collaborazione con Caterina Rosso, giovane imprenditrice donna alla guida di Seed, realtà del gruppo Rosso Srl, che ha fornito uno spazio espositivo temporaneo unico nel suo genere.
Ancora una volta, la BID si è posta come un faro guida: nel 2017, ha aperto le porte del Magazzino 26, e oggi nel 2023, vuole contribuire attivamente a un significativo progetto di rigenerazione urbana creando una connessione tra il Porto Vecchio e il tessuto urbano di Trieste.

Beatrix Burgard-Kaser

GIURIA e PREMI

Sarà assegnato un premio per l’Opera d’Arte/Artista più votata dal pubblico. All’interno dell’esposizione sarà possibile esprimere la propria preferenza in forma anonima tramite un apposito box. Con questa iniziativa, si mira a promuovere una maggiore partecipazione e interesse da parte del pubblico e dei visitatori, aprendo un dialogo sull’arte in un contesto più democratico.

Il Premio sarà intitolato a Barbara Fornasir, socia fondatrice e architetto delle prime edizioni che ha investito il suo impegno nell’apertura del Porto Vecchio verso la città di Trieste. 

La cerimonia di premiazione del premio – sostenuto e consegnato da ENAIP FVG – si terrà a dicembre 2023 al Magazzino 26.

L’OFFERTA EDITORIALE E IL PROGETTO GRAFICO

Il catalogo ufficiale, dal titolo “Respirare con il mondo / Breathing with the World“, a cura di Eunice Tsang, è dedicato all’esposizione BID23ART e comprende, oltre al contributo originale della curatrice, una serie di saggi critici di esperti. Il catalogo è dedicato alla raccolta delle opere esposte.

L’identità grafica della BID23ART e il design delle pubblicazioni sono curati da Eunice Tsang secondo l’immagine della mostra.

PARTNER E SPONSOR

BID23ART è realizzata dall’Associazione Biennale Internazionale Donna, in coorganizzazione con il Comune di Trieste e il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia, grazie al sostegno degli sponsor BBC Venezia Giulia, ENAIP FVG, Blasini Caffè by Antica Tostatura Triestina, Speranza Assicurazioni, Borgo delle Rose e dei partner Rosso Srl, La Contrada e iMagazine e con la collaborazione del Ministero della Cultura e Italia Nostra, nonché di Donatori ed Enti e Istituzioni internazionali.


Media relations e ufficio stampa
Aps comunicazione 040410910 / Federica Zar 3482337014 zar@apscom.it
Francesca Carmellino francesca@bid.trieste.it
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La Biennale Internazionale Donna è online sui canali social:
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Hashtag ufficiale: #BID23ART 

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di Aldo Poduie e Federica Zar
viale Miramare, 17 • 34135 Trieste
Tel. e Fax +39 040 410.910
zar@apscom.it

Firenze, Museo degli Innocenti: ALPHONSE MUCHA. La seduzione dell’Art Nouveau

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Alphonse Mucha, Les Amants, 1895
Litografia a colori, 106,5×137 cm
© Mucha Trust 2023

ALPHONSE MUCHA.
LA SEDUZIONE DELL’ART NOUVEAU”

27 ottobre 2023 – 7 aprile 2024
Museo degli Innocenti, Firenze

Per la prima volta a Firenze, una straordinaria mostra dedicata ad Alphonse Mucha, padre dell’Art Nouveau.

Oltre 170 opere di incomparabile bellezza – tra cui manifesti, disegni e oggetti d’arte applicata della produzione di Mucha e una selezione di opere italiane che raccontano il contesto dell’evoluzione dello stile Art Nouveau – accompagneranno i visitatori in un viaggio nella Belle Époque quando Parigi, tra fine ‘800 e inizio ‘900, è al centro del mondo e Mucha l’artista più famoso.

Prodotta da Arthemisia, la mostra aprirà le porte il 27 ottobre 2023 al Museo degli Innocenti.

Dal 27 ottobre 2023 al 7 aprile 2024 il Museo degli Innocenti accoglierà la prima mostra a Firenze dedicata ad Alphonse Mucha, il più importante artista ceco, padre dell’Art Nouveau e creatore di immagini iconiche.
Alphonse Mucha nasce a Ivančice, nella Repubblica Ceca, nel 1860.
Fervente patriota e sostenitore della libertà politica dei popoli slavi, si dedica all’arte e nel 1887 si trasferisce a Parigi dove affina le sue arti e incontra la donna che cambierà per sempre la sua vita, Sarah Bernhardt, l’attrice più bella e famosa dell’epoca, che affida a Mucha la sua immagine rendendolo popolarissimo.
Nasce il mito delle “donne di Mucha”, e le aziende se lo contendono per reclamizzare i propri prodotti, dando vita alle intramontabili campagne pubblicitarie come quella del cioccolato Nestlé, dello champagne Moët & Chandon, e ancora delle sigarette, della birra, dei biscotti e dei profumi.
Mucha però non dimentica l’impegno patriottico e sociale. Nel 1910 torna a Praga e si dedica per quasi venti anni a quello che è considerato il suo più grande capolavoro, l’Epopea slava, opera colossale composta da venti enormi tele in cui racconta i principali avvenimenti della storia slava.

Mucha morirà a Praga nel 1939.

Alphonse Mucha
Mucha seduto davanti a “Gismonda”
Stampa digitale su carta,18×13 cm
© Mucha Trust 2023

Tra fine Ottocento e inizio Novecento Parigi era considerata il centro del mondo dell’arte. È la cosiddetta Belle Époque, c’è un grande entusiasmo, e Alphonse Mucha, anche grazie all’incontro con Sarah Bernhardt, diventa il più famoso e conteso artista dell’epoca. Le sue opere, le sue illustrazioni, i poster teatrali e la nascente pubblicità sono accessibili a tutti. Nasce con lui una nuova forma di comunicazione: la bellezza di fanciulle in fiore, ritratte in una commistione unica tra sacro e profano, voluttuose e seducenti figure, rappresentate con uno stile compositivo unico, sono diventate caratteristiche del famoso “stile Mucha”. Le sue immagini diventano subito famose in tutto il mondo, il suo stile è il più imitato, la potente bellezza delle sue donne entra nell’immaginario collettivo di tutti.

Un tuffo straordinario nell’Art Nouveau attraverso le opere di uno degli artisti più iconici e imitati – ha detto la vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini –, ma anche un modo per ripercorrere le istanze dei popoli slavi di cui Mucha fu portatore per tutta la vita. Un importante collegamento anche con il nostro Galileo Chini, uno dei protagonisti dell’Art Nouveau in Italia.

Con il patrocinio del Comune di Firenze e dell’Ambasciata della Repubblica Ceca, la mostra è organizzata in collaborazione con la Fondazione Mucha e In Your Event by Cristoforo ed è curata da Tomoko Sato in collaborazione con Francesca Villanti.

La mostra vede come sponsor Generali Valore Cultura, partner Mercato Centrale FirenzeI GigliSamsonite e Unicoop Firenze, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale, media partner QN La Nazione, educational partner Laba, technical support Mucha Trail e Prague City Tourism.

Con la mostra Alphonse Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau riparte anche il progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato da Arthemisia con Komen Italia, charity partner della mostra.
Unire l’arte con la salute, la bellezza con la prevenzione: è questa l’essenza di un progetto che vede il colore rosa della Komen Italia fondersi con i capolavori esposti nelle mostre.
Nel concreto, una parte degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti di ingresso della mostra verrà devoluta da Arthemisia per la realizzazione di specifici progetti di tutela della salute delle donne.
Con questa partnership Komen Italia chiude ottobre, mese della prevenzione, e si prepara al grande evento nazionale per festeggiare il suo 25esimo anno della “Race for the cure” il prossimo maggio 2024.

LA MOSTRA
Il percorso dell’esposizione, tematico e cronologico, presenta oltre 170 opere: manifesti, libri, disegni, olii e acquarelli, oltre a fotografie, gioielli, opere decorative, che permettono al visitatore di approfondire la complessità e l’eclettismo di Alphonse Mucha accanto a un nucleo di opere italiane che raccontano il contesto dell’evoluzione dello stile Art Nouveau in Italia.
Questa mostra vuole mettere in luce oltre al suo talento, il grande lavoro di ricerca e riflessione che ha accompagnato l’evolversi della sua arte, senza mai perdere di vista l’attaccamento alla sua terra d’origine, per la cui indipendenza lotterà tutta la vita.
Mucha credeva che l’arte non dovesse limitarsi a essere piacevole alla vista: doveva comunicare un messaggio spirituale, elevare gli spettatori e soprattutto parlare a tutte le persone.

Quando giunse a Parigi, l’incontro con la grande Sarah Bernard nel 1895 e la realizzazione del suo primo manifesto per la commedia Gismondalo rese famoso da un giorno all’altro. Da quel momento ideò tutti i manifesti per gli altri spettacoli di Sarah Bernard, da quello per La Dame aux CaméliasLa SamaritaineMedea fino a La Princesse Lointaine, scritto per la famosa attrice da Emond Rostand. Il manifesto, che ebbe grandissimo successo, ispirò poi Alphonse Mucha per la realizzazione della copertina della versione romanzata della stessa opera, dal titolo Iilsée. Princesse de Tripoli (1897).
Tutti questi manifesti sono esposti in mostra, come pure quello ideato per pubblicizzare le cartine per le sigarette JOB, considerato l’immagine iconica della“donna alla Mucha”: figura di una donna sensuale contrastata dal monogramma JOB sullo sfondo. L’arabesco creato dai suoi capelli e dalle spire di fumo che si alzano dalla sua sigaretta crea un ricco effetto decorativo. Qui Mucha introduce un motivo bizantino, simile a quello dell’affiche per Gismonda, con una cornice ispirata ai mosaici che aggiunge un tocco di solennità alla composizione finale.

L’arte prodotta in serie lo attraeva, perché poteva raggiungere e ispirare più persone. Nei manifesti per profumi, birra, biscotti, biciclette e sigarette, ha reso meno netta la barriera tra belle arti e arte commerciale, tra commercio e filosofia.
Nel 1894 venne aperto a Parigi il Salon des Cent dal poeta Léon Deschamps, editore dell’influente rivista d’avanguardia La Plume.  Scopo del salone era quello di promuovere le opere di artisti vicini alla pubblicazione bimestrale, inclusi Jules Chéret (1836–1932), Eugène Grasset, Toulouse-Lautrec, Georges de Feure (1868–1943) e i Nabis. Mucha, invitato da Deschamps a unirsi al gruppo nel 1896, come regalo di debutto e a dimostrazione della propria gratitudine, disegnò il manifesto della ventesima esposizione ospitata dal salone. L’anno seguente a Mucha fu concesso ampio spazio al Salon des Cent, dove ebbe modo di esporre l’incredibile numero di 448 opere.
Durante l’elaborazione dell’affiche per la mostra, nei suoi motivi decorativi Mucha incorporò vari elementi moravi, come il tradizionale copricapo ricamato indossato dalla ragazza e la corona di margherite, che rievoca i pascoli della madre patria. Inoltre, la giovane tiene in mano una penna e il disegno di un cuore sovrastato dall’incrocio di tre ghirlande (una di spine, una di fiori e una di frutti) allude al destino del proprio paese natale.

In corrispondenza dell’esibizione dedicata alle opere di Mucha presso il Salon des Cent, fu pubblicata un’edizione speciale della rivista La Plume perché fungesse da catalogo. Come si può vedere in mostra, la copertina fu disegnata dallo stesso Mucha e poi riutilizzata in molti numeri successivi della pubblicazione. La Plume si organizzò quindi per trasformarla in una mostra itinerante, poi portata a Vienna, Praga, Monaco, Bruxelles e New York, promuovendo l’artista sul palcoscenico internazionale.
In ragione della sua fama, a Mucha fu presto commissionato di disegnare vari manifesti pubblicitari e tra questi quello della Bicicletta Perfecta, prodotta da un’industri britannica. Nel manifesto esposto, la composizione è dominata da una figura femminile con lunghi capelli scompigliati dal vento, mentre della bicicletta se ne vede solo parte della ruota e del manubrio, a cui la ciclista si sta appoggiando. Con il suo sguardo sicuro e diretto, rappresenta il nuovo ideale di donna, che si gode il senso di libertà ed euforia.
Tutte le donne che Mucha rappresenta nelle sue opere, sono fluide, bellissime e leggere, ma lo sguardo è sempre diretto e forte, segno di un’emancipazione, che in quegli anni inizia a manifestarsi.
È lo sguardo di una donna nuova, che rivendica il diritto di una libertà e dignità che fino ad allora le è stata negata. È l’inizio della modernità, di cui Mucha, pur con un linguaggio influenzato dai Preraffaelliti di Hans Makart, dalle xilografie giapponesi, dalla bellezza della natura, dalla decorazione bizantina e da quella slava, si fa portavoce.

Nel 1896, mentre lavorava a un manifesto per il lancio del profumo Rodo, Lance Parfum Rodo, gli fu anche richiesto di creare l’etichetta e la scatola della fragranza. Lo stesso anno Mucha cominciò a collaborare con un famoso produttore di biscotti francese, Lefèvre-Utile (LU), arrivando a realizzare diverse grafiche per i materiali pubblicitari della società, nonché la decorazione di una latta per biscotti e di alcuni incarti.
Come si potrà vedere nelle opere e oggetti sopra citati, Mucha integrò intenzionalmente vari richiami tra le confezioni e i manifesti da lui realizzati tramite la riproduzione della stessa donna in qualità di “personaggio” associato ai prodotti, oppure riutilizzando lo stesso stile per i caratteri delle scritte. Così facendo, presentava gli articoli tramite messaggi visivi coerenti che ne aumentavano la visibilità sul mercato, una strategia ancora oggi ampiamente adottata dagli artisti grafici.

Nel 1899 Mucha ricevette l’incarico per il prestigioso champagne Moet & Chandon di creare le grafiche di tutta la pubblicità di due tipologie di champagne, note come Imperial e White Star. Il primo fu commercializzato con il nome di Crémant Impérial, nonché come Dry Imperial Grand Crémant Impérialsempre qui esposti.
Mucha realizzò i design come coppia, ricorrendo allo stesso formato verticale lungo e al suo stile inconfondibile per entrambi i prodotti. Incluse la figura di una donna e di un motivo circolare ma, trattandosi di due champagne diversi, li presentò tramite immagini femminili differenti.

Un altro manifesto disegnato per PLM (Chemins de Fer de Paris à Lyon et à la Méditerranée), MonacoMonte-Carlo, proponeva un viaggio di sedici ore da Parigi a Monte Carlo a bordo di un treno di lusso. La ragazza raffigurata è colta a fantasticare dei piaceri che l’attendono presso il luogo di vacanza. La gioia evocata dall’esperienza turistica è sottolineata dalle sontuose ghirlande e dall’incurvarsi degli steli di fiore, che sembrano alludere alle ruote e ai binari del treno, così come dal panorama costiero mediterraneo che completa lo sfondo.

Pur prendendo ispirazione per le sue raffigurazioni dalle caratteristiche ornamentali di un’ampia selezione di stili e culture, incluse quelle di origine celtica, egiziana, greca, islamica, giapponese, ebraica, gotica, rococò e bizantina lo stile Mucha si è evoluto in modo organico dalle sue radici slave.
A partire dal 1896 cominciò a integrare nei suoi disegni elementi decorativi tradizionali della sua madre patria. In mostra il celebre calendario Champenois del 1898, la cui composizione include una giovane donna dall’aria sognante con un meraviglioso abito ricamato d’ispirazione slava, intenta a sfogliare le pagine di un libro di design decorativi. Il suo profilo spicca sullo sfondo creato da un’aureola (simbolo, per Mucha, dell’armonia universale) decorata con un motivo floreale elaborato.

Mucha riteneva che l’arte e la civiltà bizantine costituissero la culla spirituale della cultura slava. Nelle sue opere integrò una grande varietà di motivi decorativi ispirati all’arte bizantina, come mosaici, icone e sontuosi esemplari di abiti e gioielli come si può vedere dalla coppia di pannelli decorativi esposti Têtes Byzantines: Blonde e Têtes Byzantines: Brunette.

Ispirato anche da motivi celtici realizzò nel 1902 sempre altri due pannelli: Il brugo delle scogliere e Il cardo delle spiagge, dove le fanciulle rappresentate indossano nel primo abiti popolari bretoni, nel secondo il tipico abito nero e copricapo bianco della Normandia, entrambi però condividono nella composizione e decorazione la continuità culturale con le radici celtiche.

Le stagioni fu il primo set di pannelli decorativi prodotto da Mucha, pubblicato per la prima volta nel 1896 e destinato a trasformarsi immediatamente in una delle sue serie più popolari.
Nei quattro pannelli Mucha personifica le stagioni in diversi tipi di donne simili a ninfe, contornate dai quattro paesaggi stagionali. Il grande successo della serie ha portato alla realizzazione di molte varianti, tra cui il Calendario qui esposto che integra tutti e quattro i pannelli in una singola cornice ornamentale.
L’artista ceco realizzò anche un secondo set di pannelli raffiguranti i quattro momenti in cui è divisa la giornata: La Mattina, col volto fresco, è circondata da un bosco primaverile; Il Giorno vivace si gode un momento su una spiaggia estiva, la malinconica La Sera è persa in contemplazione tra il fogliame autunnale e, infine, La Notte riposa in una radura invernale illuminata dalla luce lunare Tutti i pannelli, in formato verticale identico, sono decorati con squisiti motivi floreali inseriti nell’arco a sesto acuto delle cornici, che rievocano l’architettura delle finestre in stile gotico.

In mostra si trovano anche alcune delle numerose litografie dei lavori realizzati dall’artista per la stampa di tessuti e carte da parati, prodotte in Francia e nel Regno Unito, oltre a una serie di esempi ornamentali, riprodotti sia per L’ Album de la Décoration (Album delle decorazioni) pubblicato a Parigi nel 1900, sia  in Combinaisons ornementales (Combinazioni ornamentali) pubblicato nel 1901 da Librairie Centrale des Beaux-Arts, Parigi, come libro in folio composto da sessanta litografie, oltre che di Mucha, di George Auriol (1863–1938) e Maurice Pillard Verneuil (1869–1942).
Documents décoratifs (Documenti decorativi) invece del solo Mucha è stato pubblicato nel 1902 da Librairie Centrale des Beaux-Arts, Parigi, come libro in folio composto da settantadue litografie. Mucha concepì il volume come manuale per artigiani, designer e studenti di belle arti, e presentava tutti gli aspetti del suo processo artistico. Non solo includeva dei campioni di design pronti all’uso per produttori ma anche una varietà di disegni che mostravano agli artisti l’intera procedura di stilizzazione, trasformando gli studi realistici ispirati al mondo naturale in motivi decorativi che potevano essere applicati ai prodotti.

I tre disegni mostrati qui sono stati preparati per Figures decoratives (Figure decorative), pubblicato nel 1905 come complemento del precedente Documents décoratifs. Il libro in folio composto da quaranta litografie si concentra sul tema dell’utilizzo del corpo umano come fonte di motivi decorativi ed esplora le figure di donne, ragazze e bambini in una varietà di pose integrate in cerchi, triangoli, rettangoli e molte altre forme geometriche.

Tra le molteplici attività di Alphonse Mucha, è da ricordare anche il suo interesse per la fotografia, che iniziò a metà degli anni ’80 del XIX secolo, mentre studiava presso l’Accademia di belle arti di Monaco.
A Parigi acquistò la sua prima fotocamera e iniziò a utilizzarla finché non divenne una parte importante del suo processo creativo. Durante la seconda metà degli anni ’90 del XIX secolo, per Mucha la fotografia cominciò ad assumere la connotazione di diario e quaderno degli appunti visivo, completando le sue bozze e i suoi disegni.
Le immagini dei modelli di studio costituiscono una grossa parte delle numerose fotografie scattate durante questo periodo e che qui si possono vedere in numerosi esempi. Spesso Mucha non lavorava coi modelli orientandosi sulla base di un piano specifico per un progetto preciso, ma si lasciava guidare dall’istinto, improvvisando una varietà di pose. Più avanti, avrebbe utilizzato molte di queste immagini per integrare i suoi studi o come fonte d’ispirazione per design e dipinti.

Mentre lavorava al design dei gioielli e degli espositori per Georges Fouquet (18621957) in vista dell’Esposizione di Parigi, Mucha si vide commissionare, sempre da Fouquet, le decorazioni del nuovo negozio, situato in rue Royale 6 e aperto nel 1901. Per questo compito, Mucha si occupò non solo degli interni, di cui si possono ammirare alcuni suoi disegni, ma anche della facciata dell’arredo, dell’illuminazione e di un’ampia selezione di oggetti ornamentali.

In mostra troviamo anche dei pannelli decorativi prodotti per la Boutique Fouquet che rappresentano quattro pietre preziose personificate da un corrispondente numero di sensuali figure femminili. Con questa serie, Mucha introdusse un nuovo stile compositivo, che incorpora l’idea di palette. Dividendo il formato lungo verticale in due parti, nella sezione superiore rappresentò una donna maestosa seduta, completando la scena con il suo distintivo motivo circolare sullo sfondo; nella parte inferiore, invece, raffigurò dei fiori in stile realistico. Il colore di ciascuna pietra (ocra per il topazio, rosso per il rubino, violetto per l’ametista e verde per lo smeraldo) determina l’atmosfera di ogni pannello e crea un richiamo visivo ai fiori che adornano l’abito della donna.
Durante gli anni ’90 del XIX secolo, parallelamente alla sua ricerca spirituale alimentata dalle influenze del misticismo, dell’occultismo e della teosofia, Mucha cominciò a interessarsi alla Massoneria, una fratellanza che proclamava di operare per il bene dell’umanità attraverso attività di beneficenza, solidarietà tra persone e la ricerca di valori intellettuali, morali e spirituali più elevati. Condividendone gli ideali, Mucha si unì alla Massoneria il 25 gennaio 1898 presso la loggia del Grande Oriente di Francia di Parigi, l’ordine massonico più antico e importante dell’Europa continentale.
L’influenza dello spiritualismo di Mucha, e soprattutto della filosofia massonica, si manifestò in un lavoro visionario pubblicato sotto forma di libro, Le Pater (Il Padre). Era un manifesto che esprimeva la sua visione personale sul progresso dell’umanità attraverso le parole della preghiera cristiana. Considerato dallo stesso Mucha una delle sue opere migliori, arrivò a esporne sia una copia che i disegni originali all’Esposizione di Parigi del 1900.
In mostra sono visibili alcuni degli studi preliminari, in cui si evidenzia come in questo caso Mucha sia ricorso a uno stile molto diverso da quello che aveva sempre distinto i suoi manifesti. Le Pater segnò il suo inizio come “artista” visionario”.

Alphonse Mucha fu un artista poliedrico. Era infatti capace di cercare fortuna nel mondo del commercio, ma anche di nutrire aspirazioni artistiche alte.
Non solo: la sua ambivalenza si nota anche nel fatto che tanto era moderno nel rappresentare i prodotti dell’industria francese, tanto era legato alla tradizione del suo popolo. Pur avendo vissuto per gran parte della sua vita all’estero, Mucha restò infatti sempre profondamente legato alla Moravia.
Disegnò alcuni manifesti, visibili nell’esposizione, sia per un per il coro degli insegnati moravi, che quello per la pubblicizzazione della sesta (Praga 1912) e ottava edizione (Praga 1926) del festival Sokol, un evento di rilevanza nazionale dedicato allo sport e alle attività patriottiche, a cui parteciparono anche organizzazioni Sokol di altre nazioni.

Di più, in lui non c’era solo un patriottismo filo-ceco, ma più in generale un ideale panslavista che voleva puntare all’unione di tutti i popoli slavi. Anche perché questi popoli erano spesso minacciati da vicini fin troppo aggressivi.
Per questo motivo, quando aveva ormai raggiunto la fama, decise di mettersi all’opera sul progetto che ribattezzò Epopea slava, composta da venti murali dipinti su tele enormi, rappresentando le sofferenze e le conquiste di tutti i popoli slavi nel corso di mille anni di storia.
Il suo obiettivo era quello di dipingere una serie di tele ispirate ai grandi momenti della storia dei popoli dell’est, che potesse servire da monito e lezione per le future generazioni. Un progetto assai ambizioso, che lo tenne occupato – tra viaggi, studi e ricerche – dal 1911 al 1928.
Alla fine, riuscì a completare venti tele, che donò alla città di Praga in occasione del decimo anniversario della formazione della Stato Cecoslovacco. Parlò delle sue idee dietro quest’opera: “Volevo parlare a modo mio all’anima della nazione, ai suoi occhi, che trasmettono pensieri istantaneamente alla coscienza. Una foto, credo, agisce in modo aggressivo. Senza ostacoli, penetra attraverso gli occhi dello spettatore nella sua anima… Sedotto dalla sua forma esteriore, si fermerebbe davanti ad essa, e forse ne cercherebbe il contenuto e il significato, trovandone infine l’essenza – Bellezza o Verità – per la quale un’opera d’arte si crea… Lo scopo del mio lavoro era costruire, creare ponti; perché dobbiamo tutti nutrire la speranza che l’umanità si unisca, e quanto più facile sarà tanto più si capiranno. Sarò felice se toccherà a me aver contribuito con le mie modeste forze a questa comprensione, almeno nella nostra famiglia slava”.

Ma ormai erano passati trent’anni dal suo momento di massimo successo, e l’Europa era profondamente cambiata.

A complemento dell’esposizione, una sezione a cura di Francesca Villanti, offre uno sguardo sullo sviluppo del nuovo linguaggio artistico nel nostro Paese. Un omaggio al fiorentino Galileo Chini (1873-1956), uno dei protagonisti dell’Art Nouveau in Italia, e alla città che ospita la mostra.

Pur con un leggero ritardo, anche l’Italia abbraccia la necessità di dar vita a un modello stilistico e iconografico capace di interpretare la modernità contemporanea. La fanciulla eterea, dai movimenti aggraziati e armoniosi, più volte immortalata da Mucha, diventa il simbolo dello stile Liberty – declinazione italiana dell’Art Nouveau – nel manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per la Prima Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna Torino del 1902, la manifestazione che sancisce l’ingresso ufficiale dell’Italia sulla scena europea.
Tra gli artisti che partecipano all’Esposizione di Torino, spicca Galileo Chini che aderisce ai principi innovatori del Liberty a partire dalla fine degli anni ’90 del 1800.
L’artista fiorentino, viaggiando da sempre in tutta Europa, è profondamente attento agli sviluppi artistici e partecipa alle principali esposizioni internazionali, dove ha modo di confrontarsi con realtà differenti, di percepire lo spirito innovativo del nuovo e rivoluzionario linguaggio. Chini, pur restando testimone della tradizione antica, capace di cogliere gli stimoli, di elaborarli e declinarli con uno stile personale, diventa pioniere nella sperimentazione di forme audaci e innovative, rielabora con grande maestria le linee del passato arricchendole con le linee sinuose che dominano i principi di rinnovamento e di modernità espressiva dell’Art Nouveau.

Tra questi principi dettati dall’Art Nouveau e dalle secessioni mitteleuropee, ciò che affascina maggiormente l’artista toscano è la possibilità di estendere l’esperienza dell’arte a tutti i campi della vita quotidiana, come Mucha e artisti coevi condivide la convinzione della necessità di diffondere la bellezza a tutti gli strati sociali e di annullare il pregiudizio tra arti “maggiori” e “minori”.

Chini si dedica con grande fervore all’arte della ceramica, tanto che nel 1896 fonda l’Arte della Ceramica, una piccola fabbrica a Firenze che in breve tempo si fa interprete del gusto moderno, aggiornando i materiali tipici della sua manifattura secondo i dettami estetici del nuovo linguaggio.

Nelle opere pittoriche di quegli anni, pur conservando ancora tracce di una formazione simbolista, è evidente il fascino che le suggestioni moderniste esercitano sull’artista fiorentino.
Il tema del pavone, molto diffuso nell’Art nouveau, è un motivo iconografico che ha affascinato molti artisti modernisti fin dagli esordi, a partire dalla Peacock Room realizzata da James Whistler in Inghilterra o la decorazione di Alphonse Mucha nella gioielleria Fouquet a Parigi. Questo tema diventerà anche uno dei soggetti più frequenti nell’arte di Chini, soprattutto nella ceramica. In mostraappare in Allegoria della Pittura, un’opera su tela del 1895, nel Bozzetto per piatto-pavone (1899 ca.) e, tra le sue stupende ceramiche esposte, anche in Vaso con occhi penna di pavone (1919-1925).
Chini continuerà a rielaborare la figura del pavone nel corso degli anni, partendo dalla rappresentazione in chiave naturalistica delle prime opere fino ad arrivare a trasformarlo in un puro motivo ornamentale come dettaglio dell’occhio della coda piumata.


Sede
Museo degli Innocenti
Piazza della SS. Annunziata,13
50121 Firenze

Date al pubblico
27 ottobre 2023 – 7 aprile 2024

Orari
Tutti i giorni dalle ore 9.30 alle ore 19.00
La biglietteria chiude un’ora prima

Biglietti
Mostra + Museo degli Innocenti
Intero € 16,00 (audioguida inclusa)
Ridotto € 14,00 (audioguida inclusa)

Informazioni e prenotazioni
T. + 39 055 0981881

Informazioni didattica
didattica@arthemisia.it

Sito
www.arthemisia.it
www.museodeglinnocenti.it

Hashtag ufficiale
#MuchaFirenze

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