18 – Anno Domini 1549

Dove il professore dimostra come costruendo uno schema con i dati esposti finora si riesca a mettere in ordine la sequenza contraddittoria degli avvenimenti. Si evidenzia così che il 1549 è l’anno fondamentale, durante il quale Pellegrina si ricongiunge al marito, ma non abbandona l’attività di magara. Al contrario, la consolida, tralasciando gli espedienti di scarso conto (che poco o nulla interessano l’Inquisitore), per concentrarsi sulla divinazione in estasi.

Il professore aveva atteso che gli studenti, terminata la lezione, fossero usciti dall’aula. Impaziente di precisare il ragionamento che da giorni montava e smontava nella sua mente, si tolse la giacca e cominciò ad arrotolarsi le maniche della camicia.
«Proviamo a elaborare uno schema…» e nel dirlo non fece alcun cenno alla ragazza, che silenziosamente si sedette fra i banchi.
Spezzò un cannello di gesso e si diresse alla lavagna. Quella tesi sembrava ormai averlo preso del tutto, come gli capitava ogni volta che si incaponiva su qualche ricerca.
«Costruiamo una matrice righe per colonne. Nella prima delle colonne segneremo gli anni riguardanti gli eventi che i testimoni raccontano. Nella seconda distingueremo il nome di ciascun teste. Nell’ultima, le magarie che Pellegrina ha fatto o disfatto».
La ragazza lo seguiva con attenzione, curiosa di capire cosa volesse dimostrare e quali sarebbero state le sue conclusioni.
«Potrai notare, come l’attività di magara subisca una variazione improvvisa a partire dal 1549…».
Sovrappensiero, si era rivolto all’allieva con inconsueto tono familiare, lui che, a differenza di molti colleghi, preferiva sempre mantenere le distanze; una sorta di barriera difensiva. Proseguì nel discorso, senza farci neppure caso.
«Sappiamo che le date desunte dalle testimonianze sono discordi.
Diamo per certo che Pellegrina abbia raggiunto Messina nell’anno 1547. Di sicuro lo rammenta bene, perché è il momento più rilevante di una vita. Scappa con Nardo a causa dei debiti contratti a Napoli. È forestiera in una nuova città. È cornificata e, per giunta, abbandonata dal marito. Deve preoccuparsi del sostentamento per lei e suo figlio. Ma fai attenzione… Il 1547, con probabilità, è anche l’anno in cui Pellegrina conosce Catharina la greca e inizia la sua attività di magara, un modo come un altro per tirare a campare…».
«Pellegrina, per essere precisi, sostiene d’averla conosciuta soltanto quattro o cinque anni prima del processo: non più tardi quindi del 1550».
«Non c’è da meravigliarsi… Non ti confondere! Se è per questo, sostiene anche d’avere conosciuto Chimento l’escofiaro sempre nello stesso periodo, mentre quest’ultimo affermerà d’averla incontrata appena arrivata a Messina, quando era ricorso a lei otto anni prima per certe pene d’amore. Specifica otto anni prima!».
«Come spiegare queste imprecisioni?».
«Sono inesattezze di Pellegrina, finalizzate a confondere i giudici sul suo reale operato. Astutamente attribuisce a tempi più recenti quelle magarie di poco conto di cui si occupava subito dopo essere stata abbandonata da Nardo».
La ragazza sfogliò alcuni appunti e con prontezza osservò:
«A ben considerare, che questi fatti si siano svolti a partire dal 1547 è confermato, in modo contraddittorio, dalla stessa Pellegrina. Nella medesima deposizione confessa, infatti, che la greca andava casa per casa, raccontando di conoscere una persona da poco venuta da Napoli che sapeva trovare e scacciare magarie».
«Anche un’altra testimone lo conferma…».
«Lo so: Elisabeta Affannato, la prima fra le beghine a denunciarla. Disse che saranno non più di otto o nove anni all’incirca…».
Sguardo tranquillo e penetrante, il professore, nel parlare, andava via via aggiornando lo schema tracciato alla lavagna. Nell’aula vuota il gesso scricchiolava come la penna del segretario dell’inquisitore Sebastiàn.
«Anche i fatti riferiti dagli altri testi hanno date incerte e improbabili. Prendi, ad esempio, la malattia di Geronima Danchano: per Elisabeta Afannato si è verificata otto o nove anni prima del processo. Per Catharina, serva di Petro Danchano, sono invece trascorsi dieci anni. Per Catarinella Artes, dieci o undici».
«Otto, nove, dieci, undici anni… eppure si riferiscono al medesimo episodio», rimarcò la ragazza, mentre appuntava nel suo quaderno le osservazioni del professore e le confrontava con le sue.
«Pertanto, segniamo la data più distante nel tempo: quella riportata da Antonella Chilena. Lei sostiene che erano trascorsi almeno quindici anni. Il fatto risaliva dunque al 1540. È una balla evidente».
«Pellegrina al momento del processo dichiara trent’anni, perciò nel 1540 ne contava solo quindici e di certo in quel periodo viveva a Napoli. È qui che si è sposata a quindici anni con Nardo», soggiunse la ragazza.
«Precisamente. Ciononostante, trascriviamo alla lavagna queste date, nell’ordine, anche se per logica non tutte sono esatte:
-1540, fatti raccontati da Antonella Chilena;
-1542, fatti raccontati da Pietrino Caruso…».
«Caruso? Chi, il presbitero?».
«Nell’incartamento troverai la sua testimonianza nelle prossime pagine. Le leggerai, ma per il momento segui il discorso… Caruso è l’anziano sacerdote con il quale sicuramente le cinque beghine si sono consultate prima di denunciare Pellegrina. Con tutta probabilità era parente di una di loro, l’Afannato».
«Quando riusciremo a scoprire… chi ha concepito il proposito di mandare Pellegrina in cella», sospirò la ragazza, «capiremo anche il movente principale di questa storia».
Il movente principale. Il professore rimase meravigliato da quell’espressione. Il movente principale… quasi si trattasse di un’inchiesta giudiziaria, anziché di una tesi di laurea. In verità – rifletté – non era lui stesso a sostenere che certe ricerche storiche mostrano analogie con le indagini indiziarie?
Preferì non ribattere e continuare:
«Proseguiamo ad annotare la successione delle deposizioni:
-1540, fatti raccontati da Antonella Chilena;
-1542, fatti riportati da Pietrino Caruso;
-1544/45, fatti dichiarati da Catarinella Artes;
-1545… da Catharina schiava di Petro Danchano;
-1546/47… da Elisabeta Afannato;
-1547… fatti esposti, infine, da Pellegrina e confermati sotto interrogatorio anche da quel tal Chimento».
«C’è ancora da considerare l’ultima delle bizzoche: Sebastiana de Romeo. La data del suo racconto è quella del 1549», aggiunse prontamente la giovane.
«Questo è un passaggio davvero importante. Tutte le deposizioni che, in seguito, prenderemo in considerazione richiameranno vicende successive al 1549. Dallo schema si evince, però, che tra il 1547 e il 1549 c’è un vuoto, come se paradossalmente non fosse accaduto assolutamente nulla».
«È improbabile! Proprio perché in questo periodo Pellegrina inizia a svolgere le sue pratiche magiche per guadagnarsi il pane… dopo che Nardo l’ha mollata», puntualizzò con irruenza la ragazza.
«Esatto. Nel 1547, giunta a Messina, Pellegrina va ad abitare a Montevergine, dove rimarrà fino a quando Vitello farà ritorno a casa e trasferirà la famiglia a San Giovanni. È proprio Sebastiana de Romeo a provarlo. Asserisce, infatti, di conoscere Pellegrina la Napolitana che stava a S. Ioanne, attestando implicitamente due fatti. Primo: nel 1549 il trasferimento nella nuova casa è ormai avvenuto e Pellegrina, all’epoca, è già conosciuta con il suo nome di battaglia di Napolitana.
Secondo fatto importante è che, nello stesso periodo, Leonardo ha già aperto la sua bottega di tessitore di seta. Nonostante la sorte abbia volto in positivo, Pellegrina decide di continuare ad esercitare le sue pratiche di magara. Anzi, da ora in poi lo farà alla grande».
«Perché alla grande?».
«Ragazza mia, dovresti dirmelo te…», rispose con tono giocoso, «Io sono il professore e tu l’allieva: io faccio le domande e tu dai le risposte…».
«Tu, evidentemente, sei più capace e preparato di me…».
Avrebbe voluto mozzarsi la lingua, per essersi espressa in modo tanto amichevole nei confronti del suo relatore.
Seguì appena un attimo di disagio, perché il professore, per rompere l’imbarazzo, ribatté disponibile:
«Va bene, concesso! Mettiamo da parte le formalità e diamoci pure del tu… Io ti ho già anticipato… forse è opportuno per facilitarci il lavoro».
Una soluzione per lui stesso inattesa. Aveva sempre escluso un linguaggio poco convenzionale con gli allievi. In verità, lo aveva fatto nei primi tempi d’insegnamento, da assistente, a imitazione di quelle pose confidenziali, volutamente contestatarie del sistema accademico, messe in pratica col Sessantotto in alcune Università. Passando gli anni e mutate le generazioni, s’era convinto, però, che un comportamento formale potesse più vantaggiosamente tornare a definire i rapporti fra studenti e professori.
Il nuovo atteggiamento, tuttavia, lasciava intuire al professore che, riguardo all’indagine su Pellegrina, stava a poco a poco oltrepassando il ruolo di relatore, per impegnarsi in prima persona come studioso. Lo intrigava coglierne gli sviluppi, come avrebbe fatto preparando una delle sue monografie. E la ragazza? Indubbiamente, la considerava migliore di qualsiasi assistente lo avesse mai affiancato.
«Quale era l’assunto di questo schema?», domandò il professore, per riallacciare il discorso rimasto in sospeso una manciata di minuti.
Non attese risposta e lui stesso continuò:
«Primo: chiarire che gli avvenimenti precedenti al 1547, secondo le dichiarazioni dei testimoni, in realtà si sono succeduti proprio nell’intervallo di tempo che va dal 1547 al 1549… gli anni della disperazione, segnati per Pellegrina dalla rottura con Vitello.
Secondo: dimostrare che, a partire dal 1549, pur potendo contare economicamente su Nardo, Pellegrina, anziché smettere, continuerà a esercitare il mestiere di magara. Addirittura, imporrà alla sua attività un impulso notevole. Tanto è vero che fino a questa data i sortilegi di cui si occupa consistono in pupattole di pezza infilzate di aghi e spilli, cuori di cera, sacchetti con polveri nere, chiare d’uovo versate nell’acqua…
Notiamo però che, per togliere la fattura alla de Romeo, Pellegrina utilizza latte di donna e acqua benedetta… L’ha sottratta in chiesa? Più facilmente, l’ha benedetta lei stessa con un generico segno di croce.
Finora, oltre tutto, nel pronunciare orazioni ha recitato solo qualche paternostro e qualche avemaria. Da adesso in poi mischia decisamente il sacro con il profano: acqua benedetta e latte».
«I fatti esposti da Pellegrina, durante l’udienza per la seconda ammonizione», commentò partecipe la ragazza, «sono riconducibili agli anni 1549/50 e, a ben pensare, sembrano anche questi di diversa natura…».
«Certamente. Pellegrina parla del figlio di un bottegaio al quale sanò mano e bocca che teneva torte. Fai bene attenzione: lo sanò! A differenza degli sventurati, che abbiamo sentito nominare nelle deposizioni delle beghine – sistematicamente tutti deceduti – questo è il primo ammalato guarito di cui veniamo a conoscenza.
Pellegrina afferma di averlo liberato dal male, ungendolo con olio d’incenso e olio di martoriato. Ancora una volta, forse in modo inconsapevole, mostra sprezzo e abuso dei sacramenti e dei suoi rituali.
Nella medesima deposizione Pellegrina parla di Chimento il canestraio… e raggiunge il colmo, tanto da mettere sicuramente in subbuglio gli inquirenti».
La ragazza, con grande interesse, aveva preso a sfogliare le pagine del libro dove erano riportati gli atti del processo, con l’intenzione di trovare il passo di cui si stava parlando.
«Pellegrina, secondo Chimento, dovrebbe vedere qualcosa nel gruppo di Salomone. Lei, al contrario, sostiene di non vedere niente. Così come non vedeva niente nella caraffa in cui, sempre Chimento, teneva sospeso un anello d’oro attaccato a un filo».
«Mi ricorda un’altra caraffa… quella in cui Geronimo Carcano notava galleggiare cose nere che parevano demoni».
Il professore, di rimando:
«Perfetto. Questi sono strumenti per la divinazione e interessano parecchio gli inquirenti…».
«Ma Pellegrina vuole far credere di non farne uso».
«Nell’ultimo episodio dichiarato ai giudici – a prima vista secondario – asserisce di aver provato a guarire, senza neppure spostarsi da casa, la figlioletta febbricitante di un panettiere; la quale è tanto grave da non poter essere mossa dal letto. Evidentemente, se i genitori sono disposti a pagare una prestazione così surreale… significa che la disperazione per la malattia della piccola è senz’altro compensata dalla fiducia nei poteri di Pellegrina».
«Poteri evidentemente riconosciuti anche da parte di molti altri clienti abituali».
Il professore, anziché assentire, tacque, quasi a rimarcare che quanto avrebbe detto non sarebbe stato da poco:
«Potremmo avanzare, però, un’altra ipotesi… Attraverso le sue divinazioni, Pellegrina garantisce a questi suoi clienti abituali un contatto diretto con il mondo ultraterreno».
«Secondo Pellegrina, tali avvenimenti particolari hanno luogo negli anni 1549/50» rimarcò la ragazza indicando la lavagna, per cui il professore riprese il gesso e continuò a scrivere:
«Aggiungiamo, dunque, questi nuovi fatti allo schema abbozzato:
-1546/47, fatti raccontati da Elisabeta Afannato;
-1547, fatti menzionati da Pellegrina Vitello;
-1549, fatti ricordati da Sebastiana de Romeo
-1550/51, episodio di Carcano, con i suoi demoni nella caraffa;
-1554, episodio dell’allume, riferito da Salvatore Escamare».
«Siamo ormai vicini al 1555, anno del processo», aggiunse la ragazza in sintonia come mai.
«Le deposizioni che seguono, vedrai, confermeranno l’enunciato di partenza», concluse il professore, posando il gesso.

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