24 – «Ex processu Catharinelle Batello»

Dove è riportato lo stralcio da un altro processo contro una tale Catharinella Batello. È una testimone diversa dalle altre, tesa più a piangere la sua malasorte che non ad accusare Pellegrina. Ad interessare non è tanto ciò che racconta – ovvero che è stata abbandonata dal suo uomo convolato a nozze con un’altra donna – quanto ritrovare in seguito la testimone fra i condannati per stregoneria nel medesimo autodafé del 12 maggio 1555.

Sabato 20 aprile 1555.

Don Sebastiàn era convinto di conoscere la vera natura del Bene supremo e di questo Bene si considerava l’incarnazione in Terra di Sicilia. Riteneva che frenare l’espandersi di eresie, fosse la soluzione più giusta per evitare d’infettare, in modo irreparabile, la fede cattolica.
Con il trascorrere dei giorni, si andava perciò definendo quello che sarebbe stato il suo ultimo autodafé come inquisitore generale di Sicilia. Si controllavano e ordinavano incarti voluminosi. Fu così che fu trascritta la deposizione proveniente da un processo parallelo. Catharinella Batello, per la verità, era una testimone diversa dalle altre, perché in quel giorno d’aprile, era intenta più a piangere la sua malasorte che non ad accusare Pellegrina di malefatte.
La sua dichiarazione fu un nuovo capo d’accusa contro la Napolitana.
Interrogata Catharinella confessò che otto o nove mesi prima, il fatto avvenne l’agosto passato, tenia amicitia con un giovane di Reggio, in Calabria, che si chiamava Ioan Petro Sedare. Più che di un’amicizia si trattava di una convivenza, che durava ormai da un paio d’anni.
Un giorno il giovane decise di piantarla in asso per un’altra donna che diceva di volere sposare. Catharinella trascorreva le giornate lacrimando. Una vicina di casa, di nome Angelella di Esguarra, impietosita, la incoraggiò: vieni con me, ti voglio far conoscere una donna che si dice sa tanto e farà qualcosa a questo tuo innamorato perché non ti lasci.

Seguì il consiglio di Angelella, carezzando l’illusione di non essere abbandonata. Andarono dalla Napolitana che stava di casa all’abbeveratoio di San Giovanni e le raccontarono come e perché quel mascalzone avesse perso la testa per un’altra.
Pellegrina rassicurò le due donne che avrebbe trovato un rimedio perché l’uomo non si maritasse, e per farlo chiese un compenso di tre tarì. Di là in capo a due ore mandò a casa di Catharinella certe polveri simili alla sabbia. Doveva posarle dentro le scarpe dell’innamorato in modo che le toccasse. Era certo che non si sarebbe maritato.
Catharinella fece tutto, punto per punto.
Supplicò un’ultima notte d’amore, ma non servì a nulla, anzi il rimedio fu peggiore della malattia.
Al primo cantare del gallo, calzate le scarpe, l’uomo sentì sotto i piedi le polveri e andò su tutte le furie, perché scimunito non era.
Invelenito giurò di non volerla più incontrare.
Di là ad otto o dieci giorni si maritò.
Interrogata de odio, dixit:que non. Et fuit ei iniunctum silentium.

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About the author: Sergio Bertolami