Dove si parla di quanto si nasconde fra le righe del processo. Pellegrina non corrisponde alle streghe descritte dal Malleus Maleficarum, ma è senza dubbio una “domina nocturna”, i cui caratteri sono tratteggiati dalla gran parte degli scrittori siciliani suoi contemporanei, e persino nei canoni episcopali. In modo intuitivo, innesta appropriatamente la sua rinnovata attività di magara su di un substrato culturale in progressiva trasformazione, tra culti agrari e sovrapposizioni cristiane. È l’espressione di una cultura popolare che tende ad essere confusa e repressa da parte dell’Inquisizione spagnola.
Il rumore della risacca giungeva da oltre il giardino. Di tanto in tanto i fari di un’auto fendevano il buio. Aprì le ampie vetrate e uscì sul terrazzo. La ragazza lo seguì e l’aria fresca servì a farle recuperare la vivacità affievolita. Il professore al contrario sembrava pienamente animato da quella notte di plenilunio.
«Cos’è questo profumo inebriante?».
«È la Datura, ricordata come l’erba delle streghe. Bruciavano le foglie per aspirarne i vapori narcotizzanti. In dosi controllate serviva a scopo terapeutico o per confezionare linimenti e balsami. Capitava però che qualcuno eccedesse…».
«Un’altra delle piante usate da Pellegrina…».
«Eppure, ragionavo, non è ciò che stava cercando Don Sebastiàn. Non gli interessavano, di certo, semplici preparati descritti in qualche manuale per farmacisti o profumieri».
Il professore si affacciò alla balaustra di pietra. Tacque per qualche minuto. La ragazza riprese:
«Pellegrina può essere considerata davvero una signora della notte?».
«Mi fai ricordare un passo del Satiricon di Petronio. Servirà a spiegarmi meglio. Siediti sulla panchina e ascolta…
Durante il famoso banchetto di Trimalcione, i commensali cominciarono a scambiarsi racconti di storie terrificanti, sicché anche l’ospite di casa narrò un suo lontano ricordo…
Morì un bambino. Durante la veglia notturna cominciarono a stridere le streghe. Un famiglio, sguainata la spada, si lanciò con coraggio fuori della porta al loro inseguimento. Ne ferì una a metà corpo… Si udì un gemito e le streghe all’improvviso sparirono.
In quel momento accadde il fatto straordinario e agghiacciante: la madre che abbracciava suo figlio si trovò a stringere un manichino di paglia.
Vi prego di credere – concluse Trimalcione – che ci sono donne che la sanno più lunga di noi, degli esseri notturni che vi fanno scambiare una cosa per un’altra».
«Esseri notturni, cioè donne della notte?», commentò la ragazza.
«Più strie che donne di notte. Le strie, come le chiamavano in Sicilia, erano streghe orride e perfide. Si diceva portassero via l’anima dei bambini. Con il buio, spaventavano i passanti che percorrevano strade solitarie, che si avventuravano nella selva inesplorata…».
Il professore alternava parole e silenzi:
«Le strie non sono le donne di notte, traduzione in volgare siciliano del latino medievale dominae nocturnae. Queste signore non erano malefiche, ma incantatrici, apportatrici di buone cose… Erano spiriti del benessere domestico, in un’epoca di penuria alimentare, di ristrettezze familiari, di contrasti matrimoniali…».
«Permettevano di coltivare speranze per fare fronte alle avversità della vita e della natura».
«Esatto! Perpetuavano culti d’origine radicati fra la popolazione. Trasferivano antiche tradizioni contadine all’interno di una cultura cittadina… Fornivano conforto nei momenti difficili, come alle scadenze stagionali dell’annata agricola: la semina, il raccolto, la vendemmia. Capitava con l’allevamento del baco da seta…
Tuttavia, col tempo, negli ambienti della città, questi momenti critici non coincisero più con i timori della collettività rurale, ma si identificarono con delle trepidazioni tutte personali».
«Ora che ci penso, lo credo anch’io… Solo così è possibile spiegare la scelta di Pellegrina di fondare l’attività di magara proprio sul terreno fertile dei drammi individuali».
A notte fonda, mirabilmente, non davano più segno di stanchezza. Condividevano un parlare vivace, come neppure in pieno giorno avrebbero immaginato.
«Bisognava rendere tollerabile l’incertezza», riprese la ragazza. «Per questo era necessario conoscere la buona o la mala sorte. Era possibile fare ricorso alla fede religiosa o, all’opposto, valersi delle arti divinatorie di maghi e magare. Non occorreva neanche scegliere: bastava usare ora l’una ora l’altra soluzione».
«Fra le differenti culture, però, c’erano profonde diversità. Una ci interessa da vicino. Nei culti agrari mancava la figura diavolo, ideazione del dogma cristiano. C’erano invece le figure dei morti: anime vaganti, benefiche…
Più che una vera mancanza di fede, è questa la cultura popolare che sosteneva e assicurava l’attività di Pellegrina. Su tale cultura, Chiesa e Inquisizione hanno inciso profondamente, snaturando e trasformando i culti agrari in culti demoniaci».
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