A Padova fino al 21 gennaio “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”

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Padova, Centro culturale Altinate | San Gaetano
13 settembre 2023 – 21 gennaio 2024

Mostra a cura di Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in collaborazione con Kr8te ed il Comune di Padova, Assessorato alla Cultura.

INTRO – Concept della mostra

American Beauty è il nome di una meravigliosa rosa rossa creata in Francia, che, esportata negli Stati Uniti, è diventata la più diffusa del continente nordamericano, oltre che fiore simbolo della città di Washington.

American Beauty è una rosa magnifica e allo stesso tempo fragile. I suoi petali resistono a lungo prima di appassire, mentre il gambo marcisce rapidamente: metafora efficace della società statunitense e delle sue contraddizioni evidenti e nascoste. “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy” presenta, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo dedicato agli Stati Uniti d’America con una selezione di 130 opere che raccontano luci e ombre della nazione che più di ogni altra ha caratterizzato l’ultimo secolo a livello globale.

Ad offrire questo originale ritratto degli States sono ben 120 artisti. “American Beauty” esplora così alcuni aspetti centrali per la comprensione delle contraddizioni che attraversano la superpotenza statunitense. Un racconto serrato capace di dar voce ad alcuni tra i protagonisti assoluti dell’arte internazionale.

Ad avere un ruolo chiave nel percorso espositivo è la fotografia, chiamata a introdurre il visitatore alla lettura del trionfale e decadente universo statunitense. Ampiamente rappresentato è il bianco e nero, con maestri assoluti come Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Diane Arbus ed Elliott Erwitt, per passare alle immagini a colori di Steve McCurry, Vanessa Beecroft e Annie Leibovitz.  Il percorso si esalta, di sala in sala, accogliendo creazioni dei maestri della Pop Art come James Rosenquist, Robert Indiana e Andy Warhol, fino ai protagonisti della Street Art, Keith Haring, Mr. Brainwash, Obey e Banksy.

SALA 1

PRIMA SEZIONE – Patriottismo

L’inizio del percorso espositivo è dedicato al patriottismo. La bandiera è il simbolo per eccellenza chiamato a rappresentare l’attaccamento nazionalistico tipicamente americano. Dalla fine del Settecento, gli Stati Uniti si espansero rapidamente e, con l’aggiunta di nuovi stati, la bandiera si dovette evolvere assieme alla mutevole composizione del paese. Il Congresso valutò che era troppo complesso aggiungere nuove strisce per ogni stato e prese la decisione di mantenerne 13 (come le 13 colonie fondatrici) ed aggiungere una stella per ogni nuovo stato ammesso nella federazione. Il presidente Harry Truman, nel 1949, dichiarò ufficialmente il 14 giugno come Giorno nazionale della Bandiera (National Flag Day). Dal 1960, con l’integrazione delle Hawaii, è stata apposta la cinquantesima stella e la bandiera non è più cambiata. La prima sezione della mostra si presenta come una festa di colori e immagini in bianco e nero scattate da grandi fotografi internazionali, tutti impegnati a immortalare le numerose manifestazioni pubbliche o private di patriottismo statunitense. I fotografi Margaret Bourke-White, Elliott Erwitt, Jill Freedman, Vivian Maier, Ruth Orkin, Wegee, lo street artist Mr. Brainwash, il fondatore della Magnum Henri Cartier-Bresson e molti altri artisti ci trasportano idealmente nelle strade e nelle case in compagnia di veri patrioti americani.  Il senso di appartenenza di questo popolo al proprio paese è spesso sorprendente. La devozione per la bandiera e per l’inno nazionale è proverbiale.

SECONDA SEZIONE – Potere

Gli Stati Uniti rappresentano la più grande potenza internazionale, sotto vari punti di vista. Molti osservatori imparziali sottolineano che l’America è attualmente in declino. Tuttavia, le altre potenze politiche e militari non appaiono ancora in grado di sostituirsi pienamente alla sua leadership. L’emergere della potenza americana si può collocare verso la metà dell’Ottocento. Dopo l’annessione di una parte del Messico e l’espansione decisiva verso le coste del Pacifico, la guerra di secessione diede identità ad una nazione che prima non esisteva in quanto tale, decretando il prevalere del nord repubblicano contro il sud aristocratico. Con la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti cominciarono ad imporsi a livello planetario, acquisendo vaste aree di influenza. Dalla fine del Novecento hanno completato il proprio dominio tramite l’esportazione di un modello politico-culturale a cui uniformarsi: quello della libertà, del libero mercato e della democrazia. L’ideologia della globalizzazione può essere letta quindi come l’imposizione definitiva dell’egemonia americana, evidente negli anni Novanta, apparentemente in crisi nel decennio che stiamo vivendo. La narrazione mediatica racconta la globalizzazione come una conquista dell’umanità e la diffusione spontanea della democrazia come conseguenza del libero commercio. Essa è in realtà impostata sul controllo americano, che si palesa nella gestione delle rotte marittime, su cui passa la maggior parte delle merci internazionali. Il potere e la grandezza americani sono rappresentati, in questa sala, da immagini evocative. Il Palazzo della Borsa di New York, l’obelisco di Washington e il dollaro simboleggiano il potere politico ed economico-finanziario. Lo sbarco sulla luna fu invece il compimento di un lungo percorso di sviluppo tecnologico, che ebbe importanti ripercussioni politiche in pieno clima di guerra fredda. La sezione si completa con i ritratti di alcuni tra i presidenti più influenti a livello globale. Le opere svelano il fascino popolare di Kennedy, il carisma di Nixon, l’aggressività internazionale di Bush e la divisiva figura del penultimo leader del paese: Donald Trump.

SALA 4

TERZA SEZIONE – Conflitti culturali

Le proteste seguite alla morte di George Floyd, in centinaia di città e piccoli centri urbani negli Stati Uniti, hanno messo in risalto una serie di punti critici che attraversano la società americana. La questione razziale – il fatto, cioè, che le minoranze e in particolare quella afroamericana siano vittime di abusi sistematici da parte degli apparati repressivi – è certamente centrale, ma non può essere considerata isolatamente. Le divisioni di razza in buona parte riflettono anche le sperequazioni socioeconomiche, dal momento che le comunità afroamericane e latine occupano gli strati più bassi della società ed esercitano professioni mal pagate e prive o quasi di garanzie sociali (per esempio la copertura assicurativa sulla salute). Questi squilibri alimentano un dibattito politico che è andato sempre più polarizzandosi negli ultimi anni e che sotto Donald Trump si è ulteriormente acuito. Questa sezione della mostra illustra alcune questioni che evidenziano la polarizzazione sociale interna agli Stati Uniti. La questione islamica ebbe certamente un grande impatto dopo l’11 settembre 2001, quando i toni spesso violenti della propaganda politica portarono ad una generale diffidenza nei confronti dei musulmani. Il movimento per le rivendicazioni politiche dei neri (a cui è dedicato uno speciale focus) e il dibattito ancora vivo sulla questione indiana sono temi capaci di scuotere le coscienze in tutto il mondo. Ampio spazio è riservato alle proteste sociali che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno fatto degli Stati Uniti un paese caratterizzato da una forte e strutturata contestazione interna. L’America è un paese caratterizzato da profonde iniquità sociali, ma al suo interno si sono sviluppati i più importanti movimenti sociali promotori di un profondo rinnovamento culturale.

FOCUS – Black lives matter

Nel 2013 ha iniziato a circolare l’hashtag #BlackLivesMatter, traducibile in “le vite delle persone nere contano”. Dall’hashtag ha preso il via un movimento per i diritti civili di grande attualità. Il Black Lives Matter si è sviluppato all’interno della comunità afroamericana statunitense, in reazione a svariati omicidi di persone nere da parte delle forze di polizia e, in particolare, contro l’assassinio (rimasto impunito) del diciassettenne Trayvon Martin. I sostenitori si sono scagliati, più in generale, contro le politiche discriminatorie ai danni della comunità nera. A partire dal 2020, il video del brutale arresto, culminato nell’omicidio, di George Floyd ha suscitato reazioni internazionali. La morte di Floyd è divenuta il simbolo della violenza sistemica della polizia, chiaro sintomi di un razzismo ancora endemico negli Stati Uniti. L’episodio è stato seguito da un’ondata di proteste senza precedenti in tutto il mondo, rendendo il Black Lives Matter un movimento internazionale. Il presidente Joe Biden ha parlato di “razzismo strutturale”, riportando l’attenzione su un tema che poteva sembrare superato. Il dibattito, in questi ultimi tre anni, si è allargato portando l’attenzione sulle vite di tutti gli immigrati in Occidente, fino alla discussione sulla restituzione delle opere d’arte ai popoli saccheggiati durante il periodo coloniale. Tali riflessioni non sono chiaramente inedite nella società americana. L’intera storia del paese è attraversata da contraddizioni a sfondo etnico, spesso rimaste irrisolte. I frequenti casi di brutalità e uso della forza da parte delle forze dell’ordine statunitensi determinarono la nascita del movimento per i diritti civili già a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. La novità nell’episodio dell’omicidio di Floyd sta nel medium con cui è stato diffuso: un video su YouTube. La potenza pervasiva del digitale ha determinato una visibilità del fenomeno impensabile nei decenni precedenti.

FOCUS – La guerra in casa

Le successive quattro opere portano la nostra attenzione su uno dei problemi endemici della società americana: la diffusione capillare delle armi. Gli Stati Uniti sono il paese in cui il numero di decessi prematuri causati da armi da fuoco è superiore a quello dei morti per incidenti stradali. Nel 2021, l’America ha registrato il record assoluto di sparatorie di massa (ovvero con più di 3 morti): 691. Nel paese si calcola che ci siano circa 357 milioni di armi per 332 milioni di abitanti. Il secondo emendamento, che vide la luce in un’epoca remota (1791), continua a recitare: “Una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero e dunque il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere violato”. Nel Settecento il diritto alle armi garantiva la possibilità di difendersi da nativi e banditi, in assenza di un esercito regolare. Oggi tale necessità sembra del tutto superata.

SALA 6

QUARTA SEZIONE – Imperialismo americano

Nel 1917 inizia il secolo americano. L’ingresso nella Grande Guerra diede il via al decisivo interesse americano nei confronti delle vicende politiche internazionali. La dottrina Monroe (1823), che sanciva la supremazia statunitense in tutte le Americhe, iniziò ad essere applicata al mondo intero. Il predominio americano venne sicuramente sancito a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Alla fine della prima, infatti, gli USA tornarono al loro isolamento, ma il loro intervento nella seconda fu definitivo. Essi divennero la potenza leader del pianeta, condivendo questa posizione a metà con la Russia. L’impero americano crebbe a dismisura tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, dando vita ad un sistema di dipendenze tra sé e gli altri paesi. Questa sezione della mostra porta idealmente i visitatori nel cuore del dibattito relativo alla guerra in Vietnam. Una delle operazioni militari più controverse dell’esercito statunitense. La guerra in Indocina svelò al momento il lato oscuro dell’imperialismo americano, che trovò nuovi sbocchi in Medio Oriente dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre. L’impero americano è stato ed è diverso da tutti gli altri imperi della storia. Esso, infatti, non è apertamente dichiarato, prevede il controllo delle rotte oceaniche e non è coloniale in senso tradizionale ma è presente in molti paesi attraverso il sistema delle basi militari. Secondo gli americani, l’unica sicurezza possibile per il paese sta nel dominio del mondo. La propaganda, destinata a cementare l’egemonia nelle coscienze di tutti, esalta i valori occidentali come la libertà e la democrazia in opposizione al resto del mondo. Di questi valori gli americani sono i paladini. Con l’avvento della globalizzazione, gli Usa hanno imposto un sistema economico internazionale sottoposto alla loro egemonia, impegnandosi spesso militarmente su diversi fronti. Negli ultimi anni, tra la presidenza Trump e la presidenza Biden, la nuova strategia sembra spingere gli americani a sottrarsi da vari fronti e a disimpegnarsi militarmente, finendo per lasciare spazio a nuovi e vecchi rivali imperialisti: come dimostra l’attacco russo in Ucraina e il rinnovato interesse cinese per Taiwan.

FOCUS – 9/11

Gli eventi dell’11 settembre 2001, e cioè la più devastante singola azione di guerra sul suolo americano, scossero New York ed ebbero ripercussioni in tutto il mondo, provocando un cambiamento politico globale. Gli effetti dell’attacco straziante furono contenuti solo grazie agli sforzi eroici delle persone che reagirono per prime all’emergenza. L’attentato terroristico, con il dirottamento di quattro aerei di linea, mise a nudo la fragilità del paese e portò all’imposizione di pesanti misure di controllo interno, spesso lesive dei diritti privacy e delle libertà individuali. Gli Americani vissero l’11 settembre come una dichiarazione di guerra e il presidente Bush giurò vendetta ai nemici della nazione. Vendetta che poté dirsi compiuta il 2 maggio 2011 con l’omicidio di Osama Bin Laden. Tra le conseguenze della distruzione delle Torri Gemelle e dell’attentato al Pentagono vi fu l’invasione dell’Afghanistan, da cui gli americani si sono effettivamente ritirati sono durante la presidenza Trump. Nel 2003, sulla scia della lotta al terrorismo internazionale, l’amministrazione Bush pianificò l’aggressione dell’Iraq, portando alla destituzione del dittatore Saddam Hussein.

QUINTA SEZIONE – Una vita a stelle e strisce

Dal Settecento, il Congresso americano ha adottato il motivo delle stelle e strisce per la bandiera nazionale. Le stelle in campo blu rappresentano una nuova costellazione, una nuova nazione dedicata alla libertà personale e religiosa. Le strisce rosse affermano il coraggio e l’integrità degli uomini, il loro sacrificio in nome degli ideali repubblicani. Le strisce bianche significano libertà e uguaglianza per tutti. Il blu allude alla lealtà e alla fede. La bandiera, nel suo complesso, incarna la libertà americana e simboleggia lo spirito indomabile della determinazione portata in quella terra da Cristoforo Colombo e dai colonizzatori come i pellegrini e i puritani britannici. La bandiera si trova in ogni edificio pubblico e migliaia di giardini americani possiedono un’asta per la sua esposizione. Gli statunitensi la adorano ed essa viene costantemente declinata su una varietà pressoché infinita di oggetti d’uso quotidiano. Nell’abbigliamento la bandiera è spesso protagonista, indossata nei modi più originali, come si evince dalle fotografie esposte in questa sala. Non manca, chiaramente, l’ironia: ad esempio nel trittico di Sergey Bratkov o nell’irriverente slip immortalato da Martin Parr. Il motivo a stelle e strisce è declinato come bikini, nelle immagini di Michael Dressel e Nina Berman. L’apice è raggiunto con la fotografia di Ben Brody, il quale immortala, nel 2017 a Buffalo, un improbabile uomo-bandiera.


Negli Stati Uniti di fine Ottocento, l’American Beauty era popolarmente conosciuta come la “rosa da un milione di dollari”. Espressione impiegata per indicare il costo, per molti irraggiungibile, necessario ad ottenere un mazzo da donare all’innamorata: 2 dollari per ciascuna delle rose dal lungo, elegante stelo. Cifra, all’epoca, davvero altissima.

Alfred Hitchcock ne mandò enormi mazzi a Vera Miles, per convincerla a recitare nei suoi film.

Questa fortunata cultivar di rose Tea era stata creata in Francia da Henri Lédéchaux, con il nome di Madame Ferdinand Jamin. Un ibrido che dava rose di un cremisi brillante, con un fiore ricco di una cinquantina di petali, molto profumato, posto su uno stelo lungo e rigido, Coltivate in serra, le American Beauty erano perfette per trarne elegantissimi mazzi. Nei giardini offre fioriture prolungate, molto appariscenti sul fogliame verde scuro. Esportata in America con il nuovo nome di “American Beauty”, la Madame Ferdinand Jamin conquistò il mercato, tanto da essere, negli anni Venti, la cultivar di rosa più venduta negli States. Una popolarità che l’ibrido non riuscì a conquistarsi altrove.

Alla America Beauty hanno reso omaggio numerosi compositori e musicisti. Frank Sinatra l’ha cantata in “America Beauty Rose”, del 1950. Josep Heller in “Comma 22” descrive un anziano italiano che ferisce a un occhio il maggiore de Coverly, lanciandogli contro una American Beauty. Impossibile poi non citare il film omonimo, Premio Oscar del 1999.

American Beauty è il fiore ufficiale della città di Washington nel Distretto della Colombia, nonché simbolo della catena di negozi della Lord & Taylor, oltre che di diverse confraternite americane.


A cura di
Daniel Buso

Mostra organizzata da
ARTIKA di Daniel Buso ed Elena Zannoni
 
In collaborazione con
Comune di Padova, Assessorato alla Cultura e Kr8te
 
Spazio espositivo
Centro culturale Altinate | San Gaetano, Padova
 
Periodo espositivo
dal 13 settembre 2023 al 21 gennaio 2024
 
Per informazioni
+39 351 809 9706
email: mostre@artika.it
www.artika.it
 
Ufficio Stampa: Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
tel. 049.663499 rif. Roberta Barbaro roberta@studioesseci.net

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