Natale e Fine anno 2023 con Guy de Maupassant: oggi “Notte di Capodanno”

Acquaforte di Henri De Toulouse-Lautrec

Suggeriamo d’iniziare questo nuovo anno 2024 con un racconto pieno di umorismo di Maupassant. La versione originale si intitola “La notte di Natale”, ma la situazione descritta si può ripetere anche la notte di fine anno, poiché non è legata ad alcun evento religioso. Anzi, tutt’altro… Il racconto è uscito per la prima volta nel 1882 nella raccolta “Mademoiselle Fifi” con il titolo di “Nuit de Noël” che naturalmente noi abbiamo trasformato in Notte di Capodanno.

Guy de Maupassant (1850–1893) è stato tra gli autori francesi più conosciuti e apprezzati dell’Ottocento. È reputato dall’attuale critica letteraria come l’ideatore del racconto moderno e maestro del romanzo letterario. Aderì alla scuola realista, incentrata sulle vicissitudini umane, i destini e le spinte sociali, con uno sguardo disilluso e spesso pessimistico.

Maupassant fu l’allievo favorito di Flaubert, e le sue storie sono caratterizzate da uno stile scarno e scorrevole. Molti dei soggetti dei suoi racconti fanno riferimento alla guerra franco-prussiana del 1870, dove descrive l’inutilità dei conflitti che colpiscono civili innocenti, coinvolti in eventi estranei al loro controllo, così da trovarsi a mutare improvvisamente la propria esistenza. Maupassant ha scritto circa 300 racconti, sei romanzi, tre racconti di viaggio e un volume di versi. La sua pubblicazione, Boule de Suif (Palla di sego, 1880), è considerata il suo capolavoro. La storia narra di dieci persone in fuga da Rouen, invasa dai prussiani, su una carrozza diretta a Dieppe. Una storia senza tempo, dove emerge la figura morale di Elisabeth Rousset, una prostituta soprannominata “Boule de Suif” a causa del suo sovrappeso, disprezzata inizialmente dai suoi compagni di viaggio.

«Vigilia di Capodanno! Vigilia di Capodanno! Ah! ma no, non mi sveglierò!».
Il grasso Henri Templier lo disse con voce furiosa, come se gli fosse stata proposta un’infamia.
Gli altri, ridendo, gridavano: «Perché sei arrabbiato?»
Lui rispose: «Perché la notte di Capodanno mi ha giocato lo scherzo più sporco del mondo, e ho conservato un disprezzo imbattibile per questa stupida notte d’imbecille allegria.
– Che cosa?
– Che cosa? Volete saperlo? Bene, ascoltate:
Ricordate quanto faceva freddo due anni fa in questo periodo? Un freddo da uccidere i poveri nelle strade. La Senna gelava, i marciapiedi ghiacciavano i piedi attraverso le suole degli stivaletti; il mondo sembrava sull’orlo del collasso.
Avevo molto lavoro in quel periodo e rifiutai ogni invito per Capodanno, preferendo passare la notte davanti a un tavolino. Ho cenato da solo; poi mi sono messo al lavoro. Ma ecco che, verso le dieci, il pensiero dell’allegria che correva per Parigi, il vocio delle strade che mi arrivava malgrado tutto, i preparativi per la cena dei miei vicini, ascoltati dall’altra parte dei tramezzi, mi agitavano. Non sapevo più cosa stessi facendo; stavo scrivendo sciocchezze, e ho capito che dovevo rinunciare alla speranza di produrre qualcosa di buono, quella notte.
Ho camminato un po’ per la mia stanza. Mi sono seduto, mi sono alzato. Stavo subendo, certamente, l’influenza misteriosa della gioia dall’esterno e mi sono rassegnato.
Ho chiamato la mia cameriera e le ho detto: «Angèle, vai a comprarmi qualcosa per una cena a due: ostriche, pernice fredda, gamberi, prosciutto, dolci. Portami due bottiglie di champagne: apparecchia la tavola e vai a letto».
Lei obbedì, un po’ sorpresa. Quando tutto fu pronto, mi misi il cappotto e uscii.
Rimaneva una grande domanda da risolvere: con chi avrei festeggiato il Capodanno? I miei amici erano invitati ovunque. Per averne uno avrei dovuto procurarmelo in anticipo. Quindi ho pensato di fare allo stesso tempo una buona azione. Mi sono detto: Parigi è piena di ragazze povere e belle, che non hanno da mangiare e che vanno in giro alla ricerca di un ragazzo generoso. Voglio essere la Provvidenza delle Feste di una di queste poverette.
Andrò in giro, entrerò nei luoghi di piacere, chiederò, caccerò, sceglierò quella che mi piace.
E mi sono messo a girovagare per la città.
Certo, ho conosciuto tante povere ragazze in cerca di avventura, ma erano tutte brutte da farne scorpacciata, o così magre da congelare in piedi se si fossero fermate.
Ho un debole, lo sapete, mi piacciono le signorine grassottelle. Più sono in carne e più le preferisco. Una donnona mi fa perdere la testa.
All’improvviso, davanti al Théâtre des Variétés, ho visto un profilo che mi piaceva. Una testa, poi, sul davanti, due protuberanze, quelle del petto. Bellissima. Il di sotto sorprendente: la pancia di un’oca grassa. Sono rabbrividito, mormorando: “Dio santo, che bella ragazza!” Mi restava un punto da chiarire: il volto.
Il viso è il dessert; il resto è … è l’arrosto.
Affrettai il passo, raggiunsi questa donna errante e, sotto un lampione a gas, mi voltai all’improvviso. Era affascinante, molto giovane, bruna, con grandi occhi neri.
Ho fatto la mia proposta che lei ha accettato senza esitazione.
Un quarto d’ora dopo eravamo seduti nel mio appartamento.
Entrando disse: «Ah! Stiamo messi bene qui».
E si guardava attorno con la visibile soddisfazione di aver trovato la tavola e il posto giusto in quella notte gelida. Era superba, così carina da stupirmi, e abbastanza grassottella da deliziare il mio cuore per sempre.
Si tolse cappotto e cappello, si sedette e cominciò a mangiare; ma non sembrava di buon umore, e talvolta il suo viso un po’ pallido si contraeva come se soffrisse di un dolore velato.
Le chiesi: «Sei nei guai?».
Lei rispose: «Bah! dimentichiamo tutto».
E ha iniziato a bere. Vuotò il bicchiere di champagne d’un fiato, lo riempì e lo vuotò di nuovo, incessantemente.
Presto un po’ di rossore le salì alle guance e cominciò a ridere.
Già l’adoravo, baciandola a bocca piena, scoprendo che non era né stupida, né comune, né maleducata come le ragazze sul marciapiede. Le domandai dettagli sulla sua vita. Lei rispose: «Piccolo mio, questo non ti riguarda!».
Ahimè! un’ora dopo…
Finalmente arrivò il momento di andare a letto, e mentre io toglievo la tavola apparecchiata davanti al fuoco, lei si spogliò frettolosamente e si infilò sotto le coperte.
I miei vicini facevano un baccano terribile, ridevano e cantavano come matti, e mi sono detto: «Ho fatto bene ad andare a cercare questa bella ragazza; Non avrei mai potuto lavorare».
Un gemito profondo mi fece voltare. Domandai: «Che ti succede, gattina mia?». Non rispose, ma continuò a emettere sospiri dolorosi, come se avesse sofferto terribilmente.
Continuai: «Non ti senti bene?». E all’improvviso gettò un grido, un grido straziante. Mi precipitai, una candela in mano.
Aveva il viso scomposto dal dolore, e si torceva le mani, ansimava, mandando dal fondo della gola quella specie di gemiti sordi che sembrano dei rantolii e che fanno mancare il cuore.
Ho chiesto sconvolto: «Ma che ti succede? dimmi, che ti succede?».
Lei non rispose e si mise a urlare.
All’improvviso i vicini tacquero, ascoltando cosa stava accadendo a casa mia.
Ripetevo: «Dove soffri, dimmi, dove soffri?».
Balbettò: «Oh! La mia pancia! la mia pancia!». All’improvviso ho sollevato la coperta e ho visto…
Stava partorendo, amici miei.
Allora ho perso la testa; Mi sono precipitato sul muro per colpirlo con dei pugni, con tutte le mie forze, gridando: «Aiuto, aiuto!».
La mia porta si aprì; una folla si precipitò a casa mia: uomini in giacca e cravatta, donne scollate, Pierrot, Turchi, Moschettieri. Questa invasione mi spaventò così tanto da non riuscire più nemmeno a spiegarmi.
Loro credevano in un qualche incidente, forse un crimine, e non capivano più.
Alla fine, dissi: «È… è… questa… questa donna che… che sta partorendo».
Allora tutti presero ad esaminarla, fornendo la propria opinione. Un cappuccino in particolare affermava di saperlo fare e di voler aiutare la natura.
Erano grigi come gli asini. Pensavo che l’avrebbero uccisa; e mi precipitai a capo scoperto, giù per le scale, per cercare un vecchio dottore che abitava in una strada vicina.
Quando tornai col dottore, tutto lo stabile era in piedi; era stato riacceso il gas delle scale; gli abitanti di tutti i piani occupavano il mio appartamento; quattro scaricatori seduti stavano finendo il mio champagne e i miei gamberi.
Alla mia vista scoppiò un grido tremendo, e una lattaia mi presentò in un lenzuolino un terribile pezzetto di carne rugosa, increspata, piagnucolosa, miagolante come un gatto; e lei mi disse: «È una bimba».
Il medico visitò la piccola appena data alla luce, dichiarò problematiche le sue condizioni, poiché il parto era avvenuto subito dopo cena, e se ne andò dicendo che a breve mi avrebbe mandato un’infermiera e una bambinaia.
Le due donne arrivarono un’ora dopo, portando un pacchetto di medicine.
Ho passato la notte su di una poltrona, troppo sconvolto per pensare al seguito.
Al mattino il dottore ritornò. Trovò la paziente molto sofferente.
Mi disse: «Sua moglie, signore…».
Lo interruppi: «Non è mia moglie».
Continuò: «La sua amante, mi interessa poco». Ed elencò le cure di cui aveva bisogno, la dieta, i rimedi.
Cosa fare? Mandare questa disgraziata in un ospedale? Sarei passato per uno zotico in tutto il palazzo, in tutto il quartiere.
L’ho tenuta. È rimasta nel mio letto per sei settimane.
La bambina? L’ho mandata presso dei contadini di Poissy. Mi costa ancora cinquanta franchi al mese. Avendo pagato all’inizio, sono costretto a pagare fino alla morte.
E, più tardi, crederà che io sia suo padre.
Ma, come se non bastasse, quando la ragazza fu guarita… lei mi amava… mi amava perdutamente, la mendicante!
– Ebbene?
– Beh, era diventata magra come un gatto randagio; e l’ho buttata fuori casa, questo scheletro, che ora mi aspetta per strada, si nasconde per vedermi passare, mi ferma la sera quando esco, per baciarmi la mano, infine mi dà fastidio fino a farmi impazzire.
Ed è per questo che non mi sveglierò mai più.

26 dicembre 1882


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