“La missione enigmistica di Escher” – Testo critico di Vittorio Sgarbi

Allestimento
Il Palazzo dei Diamanti, emblema del Rinascimento italiano, ospiterà una grande mostra dedicata ad Escher, uno degli artisti più amati dal grande pubblico in tutto il mondo.

Dal 23 marzo al 21 luglio 2024 le sale espositive del Palazzo dei Diamanti di Ferrara accoglieranno per la prima volta le opere di Escher, artista geniale e visionario, da sempre amato dai matematici e ri-scoperto dal grande pubblico in tempi relativamente recenti.

Nato nel 1898 a Leeuwarden in Olanda, Maurits Cornelis Escher ha conquistato l’apprezzamento di milioni di visitatori grazie alla sua straordinaria capacità di trasportarli all’interno di mondi immaginifici e apparentemente impossibili.
Nelle creazioni del grande maestro olandese, che ha vissuto in ltalia fra le due guerre, confluiscono innumerevoli temi e suggestioni: dai teoremi geometrici alle intuizioni matematiche, dalle riflessioni filosofiche ai paradossi della logica.
Le sue inconfondibili opere, che hanno influenzato anche il mondo del design e della pubblicità, sono una sfida alla percezione e rappresentano un unicum nel panorama della storia dell’arte di tutti i tempi.

Con il Patrocinio della Regione Emilia-Romagna, la mostra ESCHER è organizzata da ArthemisiaFondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, in collaborazione con la M.C. Escher Foundation e Maurits ed è curata da Federico Giudiceandrea, uno dei più importanti esperti dell’artista, e Mark Veldhuysen, presidente della M.C. Escher Foundation.

La rassegna conta su ENI come partner della mostra e partner unico del progetto didattico “Le stanze delle meraviglie”, Frecciarossa Treno Ufficiale come mobility partner e la Repubblica come media partner.
Il catalogo è edito da Skira.

Con il biglietto d’ingresso di Escher si potrà visitare, nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti, una mostra dossier intitolata Mirabilia estensi che approfondirà la conoscenza di un particolarissimo genere di opere d’arte del Rinascimento, quello dei cofanetti istoriati “in pastiglia”, calati nella scenografica ambientazione creata dalle fotografie di Wunderkammer di Massimo Listri.


Allestimento

Ciò che ci affascina di Escher è la vertigine. Entrare in uno spazio come in un labirinto e non sapere come uscirne. Questo perdersi, questo cadere nel vuoto lega la sua esperienza a Möbius, il cui nastro ci consente di passare da una parte all’altra senza attraversarlo.
Le superfici ordinarie, ossia le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati ad osservare, hanno sempre due facce, per cui è sempre possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l’altra, se non attraversando una linea di demarcazione costituita da uno spigolo (chiamato “bordo”) o bucando la superficie: si pensi ad esempio alla sfera, al toro, o al cilindro. Per queste superfici è possibile stabilire convenzionalmente un lato “superiore” o “inferiore”, oppure “interno” o “esterno”. Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta. Solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Quindi si potrebbe passare da una superficie a quella “dietro” senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo ma semplicemente camminando a lungo.

Nessun dubbio che, nei suoi disegni per le fortunatissime incisioni, Escher abbia pensato a Möbius. Al nastro di Möbius, appunto. È quell’anello fatto in modo tale che una formica che ci si trovi sopra ne possa percorrere l’intera superficie trovandosi infine al punto di partenza senza mai scavalcarne il bordo, come immaginò Escher.

E come formiche noi stiamo entrando nel suo mondo. Le conoscenze matematiche di Escher erano essenzialmente intuitive. Le sue architetture e composizioni geometriche mostrano distorsioni prospettiche che, a prima vista, appaiono assolutamente attendibili ma che, a ben vedere, sono impossibili. “Una svolta importante – si legge in catalogo – avviene nel 1954, anno in cui vengono esposte alcune stampe di Escher durante il Congresso Internazionale dei Matematici ad Amsterdam. Da quel momento il suo lavoro è sempre più apprezzato dalla comunità scientifica e l’artista inizia un dialogo serrato con matematici e cristallografi, che si rivela una vasta fonte di ispirazione per la sua ricerca sulle strutture impossibili, le illusioni ottiche e la rappresentazione dell’infinito.”

Tra le due guerre Escher aveva viaggiato a lungo in Italia. Aveva visto, felice, l’intrico delle città: Genova, Siena, San Gimignano, Genazzano, Amalfi, Ravello, Atrani, Scilla, Tropea, Rossano. A San Gimignano fu travolto: “Mentre le 17 torri di San Gimignano si avvicinavano sempre più ero incredulo. Era come un sogno che non poteva essere vero”. Sono vedute di luoghi perfetti, intrinsecamente onirici. Ed Escher ne sente le profonde geometrie. A Ferrara Escher fu almeno una volta, il 5 giugno 1922, prima di raggiungere Venezia. Nel Palazzo dei Diamanti potrebbe aver trovato l’archetipo delle sue geometrie, delle sue metamorfosi, delle sue strutture paradossali. E percorrendo le strade di Ferrara, nelle direttrici della Addizione Erculea, giunse alla cattedrale di San Giorgio dove potrebbe aver visto le profetiche tarsie di Cristoforo e Lorenzo da Lendinara, prospettive di strade che finiscono nel nulla, interni, scaffali, gabbie, dodecaedri, ante semiaperte, nature morte di oggetti e di libri, solidi geometrici, in un campionario di immaginazioni, di invenzioni e di incastri che appare sorprendente. Sono veri e propri teoremi, un mondo di fantasie senza limite. E che ritroviamo tutti in Escher.

Dopo l’Italia è il mondo arabo che ispira Escher: decorazione e moltiplicazione.
Nel 1936 visita per la seconda volta l’Alhambra, edificata fra il XIII e il XIV secolo sul colle che domina Granada. Questa esperienza si rivela fondamentale: le elaborate decorazioni geometriche in stile moresco lo affascinano e lo inducono alla procedura della “tassellatura”, in geometria, il riempimento del piano attraverso figure ripetute all’infinito senza sovrapposizioni e spazi vuoti. I cosiddetti “tasselli” sono spesso poligoni o figure a contorni curvilinei. Come sappiamo “sono stati identificati diciassette diversi tipi di simmetrie che permettono di suddividere il piano. Di queste simmetrie, Escher costituì un catalogo di 137 acquerelli, numerati e archiviati secondo un suo proprio schema logico, da usare come motivi per realizzare tassellature e metamorfosi”. Con questo metodo Escher si dedicherà alla rappresentazione di immagini astratte, paradossali o illusorie.

Da Leonardo a Luca Pacioli, a Möbius, a Savinio, a Magritte, a Escher, a Luigi Serafini, visioni che cercano il sorprendente nel quotidiano, rovesciando la realtà in paradossi. È quella vertigine che ci attrae per come ribalta la nostra visione delle cose. Escher crea così un mondo in cui diverse figure generano vortici di trasformazioni di forme astratte in forme animate e viceversa. Uno dei suoi capolavori, la xilografia del 1939-1940 Metamorfosi II, “è un universo circolare in cui una lucertola può progressivamente diventare la cella di un alveare o un pesce tramutarsi in uccello, che a sua volta si trasforma in un cubo e poi in un tetto”. La superficie ha il rilievo di una parete di Palazzo dei Diamanti. Com’è stato rilevato: “A volte nelle metamorfosi interagiscono elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, intrecciando gli opposti all’interno di una stessa composizione. Lo studio delle tassellature e la realizzazione di cicli e metamorfosi (che peraltro possono coesistere nella stessa stampa, come in Ciclo, Giorno e notte, Rettili o ancora Incontro)” determinano in Escher il desiderio della rappresentazione dell’illimitato. Sin dalle sue prime opere dimostra un’attenzione particolare per l’organizzazione della composizione. Grande fascino esercitano su di lui sfere, superfici riflettenti, solidi geometrici o ancora percorsi rovesciati come il nastro di Möbius. Lo dimostra una delle sue opere più celebri, Mano con sfera riflettente del 1935: la sfera ingloba tutto lo spazio circostante, al cui centro si pone colui che la guarda.

“L’ego [dell’artista] è invariabilmente al centro del suo mondo”, ironizzò. La fonte diretta è lo specchio nei Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck.
Escher porta la rappresentazione oltre il limite del possibile: ne escono Salire e scendere, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe, Relatività. Il mondo delle tarsie è esplicitamente citato in Natura morta e strada, del 1937, in Cristallo, in Stelle. La piena consapevolezza della sua ricerca è in Altro mondo, capolavoro di un’architettura sognata, spazio perfetto per un mondo surrealista, che si prolunga nelle visioni di Su e giù, Relatività e Convesso e concavo. Le tarsie lignee si incrociano con Piranesi. Escher sperimenta così la vertigine dello spazio e la vertigine del tempo. Tutto il pensiero, che si traduce in forme, è contemporaneo. Escher lo capisce dentro l’arte, mentre la critica scopre l’attualità di Piero della Francesca. Lo mostra in modo esemplare un altro suo capolavoro: Mani che disegnano, e si disegnano. Un cortocircuito logico che spiega il senso dei paradossi di Escher. Le sue immagini non rappresentano la realtà, fanno pensare, attivano ragionamenti, come rebus.

Perfettamente coetaneo di Magritte, nato come lui nel 1898, Escher ha la stessa vocazione, meglio, missione enigmistica del pittore, lo stesso mistero da rendere visibile, e usa solo l’incisione per sottolineare il primato della ragione, anzi del ragionamento, del calcolo. Il disegno attiva la mente, chiede soluzioni, più di quante ne offra. Proprio come l’enigmistica.

Per entrambi l’inarrivabile modello resta Leonardo, pittore eluso o improprio, sperimentatore instancabile, che lo aveva capito per primo: “la pittura è cosa mentale”. L’occhio senza la ragione è imperfetto. Escher propone immagini come rebus. Ed è questa coincidenza fra immagini e concetti che rende la sua impresa coerente con la nostra attrazione per i cruciverba, per i virtuosismi dei prestigiatori, per i labirinti, per le clessidre, per il gioco degli scacchi. C’è gioco, c’è pensiero, c’è attesa. Escher gioca con noi, ha bisogno di noi.

L’obiettivo, suo, nostro, è lo scacco matto.



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