Milano: L’Aeropittura futurista in mostra a ottobre da Bottegantica

Fortunato Depero, Ritratto Psicologico dell’aviatore Azari, 1922, olio su tela, 137×93 cm

AEROPITTURA FUTURISTA
L’avanguardia italiana tra Biennali e Quadriennali

Milano, Galleria Bottegantica
13 ottobre – 2 dicembre 2023

Dopo le importanti mostre monografiche dedicate a singole personalità del Futurismo italiano, tra cui Giacomo Balla. Ricostruzione futurista dell’universo (2018) e Il giovane Boccioni (2021), la galleria Bottegantica torna a proporre un’indagine sul Futurismo, in particolare sull’Aeropittura, un’avanguardia italiana che si sviluppa tra le due guerre, dagli anni Venti ai primi anni Quaranta del Novecento.

Curata da Fabio Benzi, tra i massimi esperti del Futurismo, la rassegna si concentra sulla partecipazione dei futuristi alle esposizioni ufficiali del periodo: le Biennali Internazionali d’Arte della città di Venezia (1926-1942) le Quadriennali d’Arte Nazionale di Roma (1931-1943). Si tratta di due appuntamenti di rilievo nel panorama espositivo nazionale, due occasioni di grande visibilità per gli artisti stessi. Tramite queste mostre, Filippo Tommaso Marinetti, alla guida del movimento, cercò di assicurare un riconoscimento ufficiale al Futurismo italiano e una sua definitiva consacrazione. Attraverso un’accurata selezione di una trentina di opere, pittoriche e scultoree – nella quasi totalità esposte nelle rassegne veneziane e romane – la mostra intende restituire la storicità del fenomeno futurista e la ricca varietà ed originalità delle ricerche artistiche al suo interno.

Nel 1926, Marinetti riesce ad ottenere l’ingresso dei futuristi alla Biennale di Venezia di quell’anno. Predomina in questa edizione l’arte meccanica futurista che s’ispira al linguaggio della meccanica per creare un’arte basata sulla solidità costruttiva dei volumi e delle linee. Questa tendenza è ben rappresentata in mostra dal bassorilievo Derivazione plastica da Bottiglie, Bicchiere, Ambiente (1926) di Ivo Pannaggi, firmatario con Enrico Prampolini e Vinicio Paladini de L’arte meccanica. Manifesto Futurista (1922). Dalle successive Biennali si coglie, invece, il progressivo emergere di una linea di ricerca attorno all’Aeropittura, i cui principi vengono espressi nella prima bozza del Manifesto dell’Aeropittura Futurista pubblicato nel 1929Già alla Biennale del 1926 alcune opere anticipavano il crescente interesse per il volo, tra cui il dipinto Prospettive di volo di Fedele Azari, pittore e aviatore, di cui Fortunato Depero nel 1922 realizza un iconico ritratto, presente in mostra.

Il succedersi delle partecipazioni futuriste alle Biennali e alle Quadriennali permette di cogliere l’evoluzione delle ricerche aeropittoriche. Attorno alla figura chiave di Prampolini, si sviluppa una corrente pittorica più lirica, che crea originali proiezioni cosmiche alla ricerca di una “nuova spiritualità extra-terrestre”, rappresentata in mostra da opere dello stesso Prampolini, di FilliaBenedetta e Augusto Favalli con Passaggio sulla base del 1935. Accanto alla componente cosmica, vi è l’altra declinazione dell’aeropittura, più attenta alla resa verosimile della realtà e alla celebrazione delle conquiste tecniche nel campo aviatorio. Ne è un esempio la scultura di ThayahtS.55 Architettonico (1935-1936), che celebra le forme geometriche e puntuali dell’idrovolante sul quale Italo Balbo compì la sua trasvolata atlantica tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931. In maniera simile, le dinamiche vedute dall’alto di Alfredo Gauro Ambrosi, come Virata sull’Arena di Verona (1932), o di Tato, come Paesaggio aereo (1932), o ancora le acrobazie aeree di Tullio Crali in Aerocaccia I (Duello di caccia) (1936) permettono di apprezzare inedite prospettive basate sulla pioneristica esperienza del volo degli stessi artisti.

Chiudono cronologicamente il percorso alcuni dipinti a soggetto bellico relativi alle conquiste coloniali in Africa, ad opera di Cesare Andreoni e Renato di Bosso, esposti alle cosiddette “Biennali di guerra” (1940-1942) durante gli anni in cui i legami sempre più stringenti con il Regime fascista producono opere di carattere più propagandistico e di esaltazione bellicistica. Ragioni e necessità politiche giocano, infine, un ruolo importante anche nella partecipazione alle ultime edizioni delle Quadriennali di quegli anni di alcuni artisti astratti di area lombarda in qualità di “astrattisti futuristi”, tra i quali spicca Mario Radice.

A sugellare il meticoloso lavoro di ricerca accompagna la mostra un catalogo, edito da Bottegantica e Grafiche Antiga edizioni, a cura di Fabio Benzi con contributi scientifici del curatore, di Alberto Cibin e Mariateresa Chirico.


AEROPITTURA FUTURISTA
L’avanguardia italiana tra Biennali e Quadriennali
 
Milano, Galleria Bottegantica
Via Manzoni 45
 
Orari: dal martedì al sabato, 10-13; 15-19
Ingresso libero
 
Info: (+39) 02 62695489 – (+39) 02 35953308
milano@bottegantica.com – info@bottegantica.com
www.bottegantica.com
 
Ufficio Stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
+39 049663499
Ref. Roberta Barbaro; roberta@studioesseci.net

Lecco, Palazzo delle Paure: NOVECENTO. Il ritorno alla figurazione da Sironi a Guttuso

Renato Birolli, Arlecchino, 1931, olio su tela, 74,5 x 59,5 cm, collezione privata

LECCO
A PALAZZO DELLE PAURE

DAL 22 LUGLIO AL 26 NOVEMBRE 2023

NOVECENTO
Il ritorno alla figurazione da Sironi a Guttuso

La mostra presenta oltre 60 opere di artisti quali Mario Sironi, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Felice Casorati, Arturo Martini, Giacomo Manzù, Mario Mafai, Renato Guttuso e molti altri che, nel periodo tra le due guerre, sostennero il Ritorno all’ordine, ovvero il richiamo alla figurazione senza rinnegare lo spirito delle avanguardie d’inizio secolo di cui erano stati fautori.

A cura di Simona Bartolena

Prosegue a Lecco il ciclo espositivo di Percorsi nel Novecento, programma ideato dalla Direzione del Sistema Museale Urbano Lecchese e affidato per la sua progettazione e realizzazione a ViDi Cultural che, fino a novembre 2024, analizzeranno la scena culturale italiana del XX secolo.

Il nuovo capitolo di questa narrazione, dopo la rassegna che ha esplorato l’universo futurista, è in calendario al Palazzo delle Paure, dal 22 luglio al 26 novembre 2023, con NOVECENTO. Il ritorno alla figurazione da Sironi a Guttuso.

La mostra, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi cultural, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, travel partner Trenord, presenta oltre 60 opere di artisti quali Mario Sironi, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Felice Casorati, Arturo Martini, Giacomo Manzù, Mario Mafai, Renato Guttuso e molti altri che, nel periodo tra le due guerre, sostennero il Ritorno all’ordine, ovvero il richiamo alla figurazione senza rinnegare lo spirito delle avanguardie d’inizio secolo di cui erano stati fautori.

Il percorso è punteggiato da approfondimenti sulle altre espressioni creative coeve, dal design all’architettura, con l’affermarsi dell’Art Déco e del Razionalismo, dal teatro alla letteratura. Come le altre mostre del progetto di Palazzo delle Paure, l’esposizione sarà corredata da un importante apparato didattico-narrativo, con cenni storici, informazioni e spiegazioni dal taglio divulgativo.

“Ritorna una grande mostra a Palazzo delle Paure proposta da ViDi – dichiara Simona Piazza, assessore alla Cultura del Comune di Lecco -, con cui con piacere, ormai da diversi anni, promuoviamo grandi mostre nel polo espositivo d’eccellenza della nostra città. Questa nuova mostra dedicata al Novecento segue quella dei Futuristi, che si è appena conclusa con un grande successo di pubblico e, pur ricalcando un analogo arco temporale, propone un percorso artistico più figurativo, classico. L’obiettivo è quello di proporre un excursus negli secoli 800 e 900 in grado di legarsi anche ai temi e alle opere ospitate presso la nostra galleria di arte moderna, per un percorso artistico di scoperta e conoscenza che arriva fino alla prima metà del secolo scorso”.

“Dopo la mostra Futuristi – afferma Simona Bartolena -, che indagava l’evoluzione dell’Avanguardia fondata da Marinetti, destinando particolare attenzione al secondo periodo del movimento, si apre ora Novecento, che ne prosegue idealmente il racconto. Gli anni sono i medesimi – dal primo dopoguerra agli anni Quaranta –, ma questa volta il focus è sugli artisti che hanno scelto un ritorno alla figurazione classica. Una tendenza che presenta un ventaglio di possibilità espressive e molteplici possibili sfumature. La complessità del periodo preso in esame si riflette nell’esperienza artistica dei protagonisti della scena culturale del tempo, tra contrasti, contraddizioni e interpretazioni possibili dell’idea di recupero della tradizione figurativa. I colori accesi, la dinamicità, la fantasia e il piglio provocatorio che caratterizzavano le opere della mostra precedente lasciano il passo a composizioni impostate sulla plasticità, la sintesi e la solidità della forma e su tavolozze che prediligono i colori della terra”.

“Come di consueto – prosegue Simona Bartolena – l’allestimento e il percorso sono studiati con una precisa idea narrativa che, opera dopo opera, sviluppa il tema, raccontandone i diversi aspetti e le diverse espressioni. Per rendere più fruibile la lettura, abbiamo immaginato oltre alle più classiche sezioni di inquadramento generale dei vari linguaggi, anche sezioni dedicate a specifici generi iconografici, che permettono confronti tra personalità e stili differenti”.

Ubaldo Oppi, Coppia di amanti – Fidanzati (L’addio), 1914, olio su cartone, collezione privata

Il Ritorno all’ordine ha rappresentato un desiderio comune a gran parte degli ambienti culturali del primo dopoguerra, che urlava l’esigenza di rientrare nei canoni consacrati dalla tradizione, senza perdere di vista lo spirito avanguardista e di rinnovamento culturale promossi dalle generazioni precedenti.

In Italia questa sfida venne raccolta da Margherita Sarfatti che fondò il movimento Novecento italiano di cui facevano parte Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, accumunati dalla volontà di rappresentare un’epoca con la loro pittura e di recuperare lo stile dei grandi maestri del passato.

Attorno al gruppo di Novecento gravitavano altri autori quali Felice Casorati, Massimo Campigli, Filippo de Pisis, Giorgio Morandi che, pur sposando gli stessi ideali, non vi aderirono mai del tutto.

Particolarmente suggestiva è la sala dedicata a Mario Sironi con opere che ben rappresentano lo stile dell’artista nel periodo preso in esame. Ma in mostra non mancano altri capolavori, quali un raro paesaggio di Giorgio Morandi o l’altrettanto straordinario Rovine dipinto da Afro negli anni trenta.

Un ruolo particolare lo occupa il cosiddetto Realismo Magico, di respiro più europeo, che partendo dal recupero di stilemi espressivi classici, si fa tuttavia espressione di una tensione emotiva ben distante dall’esibita monumentalità e solennità di tanta pittura novecentesca.

Accanto alle opere riferibili al Realismo Magico, si indagano anche diverse possibili declinazioni oniriche e visionarie della pittura del vero, dagli episodi di matrice surrealista ai retaggi metafisici ancora visibili in alcuni lavori.

La rassegna si chiude idealmente con la ricognizione su quegli autori che si posero all’opposizione, anche politica, dell’arte ufficiale, dal gruppo di Corrente di Milano, alla romana Scuola di via Cavour.

Trento Longaretti, Zingari, 1943, 35 x 25 cm, collezione privata

Accanto ai grandi nomi del tempo, la mostra propone anche, come di consueto, dipinti e sculture di artisti meno noti, che sapranno sorprendere i visitatori.

Costruita quasi esclusivamente da opere provenienti da raccolte private (con l’eccezione degli importanti prestiti dal Museo della Permanente di Milano e dalla collezione BPM), l’esposizione offre la possibilità di ammirare lavori ben raramente esposti, talvolta proposti al pubblico per la prima volta.

Accompagna la mostra un catalogo realizzato da Ponte43 per le edizioni ViDi cultural.


NOVECENTO. Il ritorno alla figurazione da Sironi a Guttuso
Lecco, Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre)
22 luglio – 26 novembre 2023
 
Orari:
martedì 10-14
da mercoledì a domenica 10-18
lunedì chiuso
La biglietteria chiude un’ora prima

Informazioni
Tel. 0341 286729
palazzopaure@comune.lecco.it | www.museilecco.org | www.vidicultural.com
 
Prenotazioni visite guidate con la curatrice, gruppi, scuole:
prenotazionimostrevidi@gmail.com
 
Ufficio stampa Comune di Lecco
Tel. 0341.481262 | ufficio.stampa@comune.lecco.it
 
Ufficio stampa ViDi
CLP Relazioni Pubbliche, T. +39 02 36755700
Marta Pedroli marta.pedroli@clp1968.it | www.clp1968.it
 

Rovigo: Tina Modotti prossima protagonista al Roverella – Una fotografa leggendaria

Tina Modotti, Campesinos che leggono “El Machete”, Messico 1929

TINA MODOTTI

Rovigo, Palazzo Roverella
22 settembre 2023 – 28 gennaio 2024

Mostra a cura di Riccardo Costantini.

Tina Modotti. Il fuoco delle passioni. Al Roverella, la più ampia monografica mai proposta in Italia sulla leggendaria fotografa.

Vernice per la Stampa: 21 settembre 2023

Tina Modotti (1896/1942), dopo Robert Capa e Robert Doisneau, nel grande autunno della fotografia di Palazzo Roverella. L’appuntamento con la più leggendaria delle donne fotografe è, dal 22 settembre al 28 gennaio 2024, in una estesa monografica – più di 200 immagini insieme a filmati e documenti – curata da Riccardo Costantini con la collaborazione di Gianni Pignat e Piero Colussi. La mostra è promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e si avvale della collaborazione di Cinemazero e della segreteria organizzativa di Dario Cimorelli Editore.

Donna che non ammetteva barriere o limiti, Tina affrontò la vita con la grinta di pasionaria, forte di una bellezza che intrigava uomini e donne e di un talento che la condusse, dalla povera casa di via Pracchiuso 89 della natia Udine ad Hollywood, dove fu protagonista in tre film muti, e poi nella vivacità culturale di Città del Messico.

Ad introdurla alla fotografia fu il grande fotografo americano Edward Weston, di cui fu modella e assistente, arrivando a costruire un suo personale percorso tematico e stilistico. Tina Modotti sperimenta l’uso della macchina fotografica, spaziando dalle architetture alle nature morte, per poi dedicarsi anima e corpo a raccontare la vita, il lavoro, la quotidianità dei ceti popolari, contadini e operai, cui lei sentiva di appartenere.

Tina Modotti, Donne di Juchitán con jìcara, Messico, 1929 ca.

L’esposizione documenta l’intera opera della Modotti facendo perno sulla ricostruzione dell’unica mostra da lei direttamente realizzata a Città del Messico, nel 1929, dove furono esposte una sessantina di opere oltre 40 delle quali saranno presenti in mostra.

Tina Modotti partecipa alla vivacità culturale della città, frequenta lo scrittore John Dos Passos, l’attrice Dolores Del Rio e diventa amica di Frida Kalho e Diego Rivera, e di quest’ultimo fotografa i murales.

Pablo Neruda colpito dalla morte improvvisa dell’amica, avvenuta la sera del 5 gennaio del ’42 mentre in taxi tornava da una cena con amici, le dedicò un accorato epitaffio: “Tina Modotti, sorella non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente sorella. Sul gioiello del tuo corpo addormentato ancora protende la penna e l’anima insanguinata come se tu potessi, sorella, risollevarti e sorridere sopra il fango”. Questi primi versi di Neruda compaiono nel pantheon degli artisti della capitale messicana. Gli ultimi dell’epitaffio: “Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:/di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,/d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,/la tua delicata struttura”, nella stele che alla Modotti è stata dedicata nella sua città natale.

L’opera di Tina Modotti fu per molti anni dimenticata fino alla sua riscoperta nell’occasione della mostra al Moma di New York, nell’inverno del 1977. Da quel momento la sua figura di donna intellettuale ed anticonformista, così come la sua opera fotografica, sono state oggetto di studi ed approfondimenti, confermandone il ruolo di grande protagonista del XX secolo.


Info: Fondazione Cariparo www.fondazionecariparo.it
 
Relazioni con i media:
dott.ssa Alessandra Veronese – 3483111144 (solo per i giornalisti)
Ufficio Comunicazione:
dott. Roberto Fioretto
comunicazione@fondazionecariparo.it
 
Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net;
simone@studioesseci.net, referente Simone Raddi

Genova, Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone: “La Grande Onda. L’importanza dell’acqua nella cultura giapponese”

Utagawa Kuniyoshi, Towara Toda ritorna da Palazzo del Dragone
Tsukioka Yoshitoshi, Genji e le pescatrici ama

Il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone riapre al pubblico dopo circa due anni di attesa con la mostra

“La Grande Onda. L’importanza dell’acqua nella cultura giapponese”

Fino al 24 settembre a Genova

Hokusai, La Grande Onda

Titolo/definizione dell’opera: “La Grande Onda”.
Nel cavo d’onda al largo di Kanagawa (Kanagawa oki namiura) dalla serie “Le Trentasei vedute del Monte Fuji” (Fugaku sanjurokkei)
Autore/cultura: Katsushika Hokusai (1760-1849)
Datazione: 1831
Materiale: Stampa xilografica policroma nishikie, inchiostro e colori su carta.
Dimensioni: 26 x 37,6 cm
N. inv.: MC (S-2582/32)

Qual è l’onda più famosa della storia dell’arte? Senza dubbio quella raffigurata nell’opera “Nel cavo d’onda al largo di Kanagawa” di Hokusai, una stampa xilografica ukiyoe pubblicata nella celebre serie “Le Trentasei vedute del Monte Fuji”, di cui il Museo Chiossone conserva orgogliosamente un magnifico esemplare.

Viene chiamata “La Grande Onda” ma il suo titolo originale è ben più preciso e ci indica sia il luogo che il tipo di onda ritratta. Ci troviamo circa tre chilometri al largo di Kanagawa, nella baia di Tokyo, trenta chilometri a sud dalla capitale, dove si è formata una grande onda alta oltre 10 metri. In passato è stata erroneamente indicata come uno tsunami, ma studi specifici hanno dimostrato che si tratta invece di un’onda di tempesta, tipologia che si può incontrare al largo dalla costa. La grande onda sovrasta tre imbarcazioni poste al centro della scena, dette oshiokuribune, barche piccole e veloci usate per il trasporto di pesce fresco e altri generi verso la capitale. In lontananza si erge il sacro monte Fuji, che con i suoi 3776 metri non solo è la vetta più alta, ma anche la figura più iconica del Giappone. Al tempo di Hokusai la semplice visione del Fuji, dal vivo o riprodotta su una stampa o un dipinto, era ritenuta una manifestazione divina e di estremo valore benaugurale.

Si stima che all’epoca fossero stati stampati circa 8mila esemplari dell’opera, ma ai giorni nostri ne sono giunte solo poco più di 100, tra cui anche quella conservata al Museo Chiossone, che si contraddistigue per una ottima conservazione, ampia gamma di colori e eccellente tiratura.

Dal punto di vista tecnico questa stampa rappresentò una vera e propria rivoluzione cromatica. Intorno al 1830 divenne infatti reperibile in Giappone un nuovo pigmento sintetico: il blu di Prussia o blu di Berlino (bero ai). Hokusai fu tra i primi artisti a riconoscere le potenzialità del nuovo blu, intenso e durevole, e lo impiegò nei suoi paesaggi.

La Grande Onda, oltre ad essere apprezzata in Giappone, ha profondamente influenzato gli artisti europei della fine dell’Ottocento sensibili al fenomeno del Giapponismo. Divenne ben presto un’opera di grande interesse per il collezionismo occidentale e si confermò simbolo dell’arte giapponese e icona del Giappone stesso. Nei secoli non ha mai smesso di essere apprezzata e reinterpretata, fonte di ispirazione per l’arte grafica, il design, la pubblicità, la moda.

Hokusai, Kajikazawa

Il Museo Chiossone

Il Museo Chiossone, ubicato nel centro di Genova all’interno del parco ottocentesco di Villetta Di Negro si trova un luogo dedicato all’Estremo Oriente. Rivolto verso il mare con tanto di terrazza panoramica ristrutturata, vanta la collezione di arte giapponese più grande e importante d’Italia, raccolta dall’artista e incisore genovese Edoardo Chiossone, durante il lungo periodo vissuto in Giappone alla fine del XIX secolo. Chiossone è noto in tutto il mondo per aver progettato le prime banconote e carte valori giapponesi.

Quella di Chiossone fu la prima collezione di arte orientale italiana ad essere aperta al pubblico, nel 1905, nella originaria sede presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti, mentre dal 1971 è esposta nell’attuale edificio, appositamente progettato dall’architetto genovese Mario Labò negli anni ’50.

Il patrimonio civico del Museo conta più di 15mila opere ed è formato per la maggior parte da capolavori di arte giapponese, ma conserva anche opere d’arte della Cina e del sud est asiatico. Il percorso permanente, ora rinnovato ma fedele all’ordinamento storico, propone una selezione delle categorie artistiche collezionate da Chiossone: nel salone a piano terra si trovano grandi sculture buddhiste in bronzo, mentre nelle gallerie sono esposte armi e armature da samurai, rari reperti archeologici, maschere teatrali, assieme a porcellane, smalti, lacche, sculture in legno e piccoli bronzi, tutti di elevato valore artistico e di grande interesse culturale. Gli eccezionali dipinti e le famosissime stampe xilografiche ukiyoe sono visibili durante mostre temporanee, organizzate per consentire la rotazione di queste delicate opere, che per preservare al meglio la loro integrità vengono conservate nei depositi.

L’evento di riapertura del museo e la mostra hanno ottenuto il patrocinio del Consolato del Giappone a Milano.


Info: Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone – piazzale Mazzini 4 – 16122 Genova – Tel 010 5577950 – museochiossone@comune.genova.it
http://www.chiossone.museidigenova.it/

Orario: da martedì a venerdì h 9 – 19. Sabato e domenica h 10 – 19.30
Ingresso: intero € 5 – ridotto € 3.

La mostra La Grande onda. L’importanza dell’acqua nella cultura giapponeseè inclusa nel biglietto d’ingresso.
Con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo e sponsorizzata da Iren.

Melina Cavallaro
Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma, Media Relations per la Città di Genova 
Valerio de Luca –  resp. addetto stampa
Via Piave 74, 00198 Roma

Reggio Emilia, Palazzo Magnani: Marionette e Avanguardia. Picasso • Depero • Klee • Sarzi 

Il prestigiatore cinese. Scene e costumi di Pablo Picasso per il balletto “Parade”; prima rappresentazione Parigi, 1917 Soggetto di Jean Cocteau; Musica di Erik Satie; Coreografia Léonide Massine Costume ricostruito da Anna Biagiotti nel 2007 per la rappresentazione al Teatro dell’Opera di Roma Ballerino Manuel Parucchini Primi Ballerini, Solisti, e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma © Teatro dell’Opera di Roma, Archivio Storico

MARIONETTE  E  AVANGUARDIA. PICASSO, DEPERO, KLEE, SARZI

Reggio Emilia, Palazzo Magnani
17 novembre 2023 – 17 marzo 2024

Quella proposta dalla Fondazione Palazzo Magnani a Reggio Emilia, dal 17 novembre 2023 al 17 marzo 2024, è una mostra-spettacolo assolutamente originale, nel senso che una mostra così in Italia non si è mai vista. E nemmeno all’estero.
Ad andare in scena sarà “Marionette e Avanguardia. Picasso · Depero · Klee · Sarzi“, seguita da James Bradburne, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Palazzo Magnani.

L’esposizione si sviluppa attorno al concetto di “quarta parete”, ovvero la capacità di coinvolgimento emotivo che fa di uno spettacolo ben riuscito una realtà capace di immergere lo spettatore nella storia messa in scena. Quando una marionetta rompe la quarta parete, conquista la fiducia del pubblico, dando allo spettacolo il potere di sfumare quella divisione tra palcoscenico e mondo, tra arte e vita.

A capirlo bene sono stati gli artisti che, piuttosto che liquidare le marionette come semplici giochi per bambini, hanno preso sul serio il loro entusiasmo e anzi, hanno guardato al gioco creativo come a una fonte di ispirazione estetica per cercare nuove modalità di espressione visiva. La nozione stessa di “bambino” come distinto dall’adulto si è manifestata in vari modi nel corso del Novecento e ha stimolato alcuni artisti a sfruttare il potenziale educativo del “teatro di figura”, spesso apparentemente legato ai bambini, per creare un mondo migliore e migliorare i cittadini in un momento cruciale del loro sviluppo.

Mentre alcuni artisti vedevano il potenziale delle marionette per immaginare un mondo migliore, i satirici usavano spettacoli trasgressivi e pungenti per attaccare l’establishment politico. Rivolgendosi a un pubblico adulto e attingendo a una solida tradizione di satira politica del “teatro di figura”, gli artisti moderni hanno usato i burattini per criticare le condizioni politiche e sociali. La miniatura di un burattino, infatti, lo rende un portavoce sicuro per una protesta a voce alta, perché la sua mordacità è mitigata dalla carineria. Chi potrebbe essere infastidito da un pupazzo? I burattini dicono la verità al potere in un modo in cui gli attori teatrali tradizionali non possono mai farlo.

A Palazzo Magnani ad accogliere i visitatori saranno i costumi a grandezza naturale disegnati da Pablo Picasso per Parade, balletto coreografico che i Ballets russes di Sergej Djaghilev portarono in scena a Parigi nel 1917.

Poi una folla di marionette “alte e basse”, ovvero manipolate dal basso, con le mani o attraverso un bastone, dall’alto, dagli esemplari più antichi, come i Pulcinella o gli Arlecchino della Commedia dell’Arte, a quelle di Otello Sarzi, reggiano di adozione, realizzate con materiali di recupero.

Due teatrini da fiera, allestiti nelle sale a piano terra, consentiranno ai più piccoli di cimentarsi con il teatro di animazione e nei fine settimana, sarà interpretato anche da alcuni degli ultimi burattinai italiani. Vedendoli all’opera c’è da chiedersi: “I burattini vanno in paradiso quando muoiono?”, domanda del tutto naturale, collocandosi le marionette in una zona grigia, tra creature viventi e oggetti inanimati.

Il modo in cui gli oggetti possono essere portati in vita e le conseguenze della loro autonomia hanno affascinato scrittori e artisti da Collodi a Capek, ma anche tanti artisti futuristi italiani come Ettore Prampolini e Fortunato Depero: le marionette esprimevano un’estetica macchinica, erano astratte e, dopo la devastazione della Prima guerra mondiale, catturavano la triste realtà dei soldati di ritorno amputati e mutilati, come illustrato da Sironi, Carrà e De Chirico.

Grazie alla riscoperta da parte di Oskar Schlemmer del classico di Kleist Sul teatro delle marionette (1810), le marionette, i giocattoli e i giochi per bambini divennero un elemento centrale della pratica del Bauhaus nella Weimar degli anni Venti: Paul Klee, Andor Weininger, Lothar Schreyer, Sophie Täuber Arp e Oskar Schlemmer.

Paul Klee, Senza titolo (Breitohrclown) / Clown dalle orecchie larghe; 1925 burattino, replica 9705; Ceramica fusa, dipinta, lino; Altezza 48 cm Collezione privata, Svizzera in deposito permanente al Zentrum Paul Klee, Berna

L’indagine si sposta quindi sull’avanguardia russa con “Le marionette e la Rivoluzione”. Quando Lenin e la moglie Natalia Krupskaya decisero di combattere l’analfabetismo e di formare il nuovo cittadino sovietico, capirono che l’uso delle marionette era l’ideale e, lavorando con artisti, architetti e scrittori di primo piano, figure come Natalia Sats, Samuil Marshak, El Lissitzky, Aleksandra Ekster, Nina Efimova, hanno sperimentato nuove forme di teatro per bambini.

Fino alla fine degli anni Venti, Vienna era una delle capitali culturali europee e, insieme a Berlino, una fucina di creatività nell’arte, nel teatro, nella musica, nella filosofia e nelle scienze.

Alla fine del XIX secolo, sull’onda dell’orientalismo, le classiche marionette giavanesi cominciarono ad apparire sulle scene europee. L’artista e illustratore austriaco Richard Teschner, in particolare, sviluppò l’arte della marionetta a bastone fino a raggiungere un punto culminante, che influenzò artisti da Parigi a Mosca. A raccontarlo in mostra la sezione “Sogni dell’Estremo Oriente – Espressionismo viennese”.

L’esposizione si completa con un Omaggio a Otello Sarzi (Vigasio, VR 1922 – Reggio Emilia 2001) e con lui a Fellini, Strehler e Rodari, grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Famiglia Sarzi. Nato da una tradizione di burattinai che durava da generazioni, Otello fu un giovane aiutante della compagnia itinerante di famiglia, per la quale vide il passaggio di novizi poi diventati famosi: tra gli altri, un giovane Federico Fellini. L’impegno della compagnia non venne meno nemmeno durante il difficile ventennio fascista. Nel novembre 1951 Otello inizia la collaborazione con Gianni Rodari a Novara, realizzando maschere per i bambini con i personaggi Cipollino, Atomino e altri inventati da Rodari. Da quel momento Otello si dedica esclusivamente al teatro dei burattini, drammatizzando Alfred Jarry, Samuel Beckett e Bertold Brecht e realizzando, con tecniche innovative, anche figure molto grandi.

Ritengo che l’obiettivo principale della mostra sia quello di aprire uno spazio dell’immaginazione in cui un bastone possa tornare a essere un cavallo, un drago o un flauto“, chiosa James Bradburne, che della mostra è il coordinatore scientifico.

Questa proposta assolutamente originale rappresenta un altro bel traguardo raggiunto da Palazzo Magnani nel segno non soltanto della qualità artistica, ma anche di una grande attenzione a due tratti distintivi della nostra comunità: l’estro, il genio e la fantasia del nostro territorio, qui testimoniati dalle opere di Otello Sarzi, e il sistema educativo, un’altra nostra eccellenza, pure protagonista di questo progetto“, dice il Presidente della Provincia di Reggio Emilia, Giorgio Zanni.

“Una mostra davvero unica – aggiunge l’Assessora alla cultura e al marketing territoriale del Comune di Reggio Emilia, Annalisa Rabitti – che parla di marionette e burattini come un mondo artistico, scoprendolo nel percorso dei grandi nomi dell’arte del Novecento come Picasso, Depero, Klee e mette in relazione questi grandissimi con Otello Sarzi, una figura poetica che ha segnato la storia artistica ed educativa di Reggio Emilia.  Questa, infatti, diventa un’occasione per valorizzare il nostro patrimonio cittadino e metterlo in connessione con il patrimonio internazionale del “teatro di figura”. Una mostra sognante, Marionette e Avanguardia parlerà un linguaggio trasversale, tanto ai bambini quanto al mondo degli adulti, che anche grazie a laboratori e incontri collaterali alla mostra, sarà l’occasione per far riemergere la parte più bella di noi adulti, la meraviglia tutta infantile che le marionette e i burattini sanno evocare”.

Rossella Cantoni, la Presidente della Fondazione Famiglia Sarzi, racconta: “Nel 2022, anno del centenario della nascita di Otello Sarzi, avevamo proposto alla Fondazione Palazzo Magnani una mostra che rendesse omaggio alla portata innovativa del lavoro dell’artista burattinaio. Successivamente la scelta compiuta dalla Fondazione Magnani e da James Bradburne, ha allargato molto gli orizzonti e gli obiettivi, accogliendo il nome di Otello Sarzi accanto ai prestigiosi Picasso, Depero, Klee, Teschner. Questa scelta ci rende pieni d’ orgoglio per il riconoscimento alla grande creatività, alla tecnica rappresentativa e all’impegno sociale espressi da Otello Sarzi nei tanti decenni di vita e di lavoro espressi nella nostra Reggio Emilia“.

Dopo il lavoro svolto con le mostre “What a Wonderful World” e “L’arte inquieta. L’urgenza della creazione”, con questo progetto espositivo – dice Davide Zanichelli, Direttore della Fondazione Palazzo Magnani – la Fondazione prosegue nel suo progetto di valorizzazione del patrimonio locale, ponendolo in dialogo con i grandi movimenti artistici europei. La mostra sarà anche l’occasione per riscoprire una parte importante della vocazione educativa della nostra città, quando personaggi straordinari si trovarono a lavorare fianco a fianco, sperimentando e innovando.”

Arricchiranno la mostra una serie di attività collaterali – visite guidate, conferenze, attività formative e didattiche per scuole di ogni ordine e grado, corsi di aggiornamento per insegnanti – progettati e realizzati dal Dipartimento didattico della Fondazione Palazzo Magnani in collaborazione con Fondazione Reggio Children Fondazione Famiglia Sarzi; eventi esclusivi per aziende nonché progetti speciali per soggetti con fragilità in collaborazione con FCR – Farmacie Comunali Riunite (progetto Reggio Emilia Città senza Barriere), ASP Reggio Emilia Città delle persone, Consorzio Oscar Romero (progetto Strade), AUSL di Reggio Emilia, con l’obiettivo di parlare a diversi pubblici, nella consapevolezza che l’arte, fruita e praticata, sia la strada maestra per coniugare sviluppo individuale e coesione sociale.


Ufficio stampa: Studio ESSECI di Sergio Campagnolo s.a.s.
Simone Raddi, tel. 049.66.34.99; simone@studioesseci.net

Ufficio stampa Fondazione Palazzo Magnani
Stefania Palazzo, tel.0522.444409 s.palazzo@palazzomagnani.it  

Nuove date e nuova veste per AMART a Milano

AMART 

Milano, Palazzo della Permanente

8 – 12 novembre 2023

Le nuove date della fiera dell’antiquariato di Milano.
Dall’ 8 al 12 novembre 2023

www.amart-milano.com

AMART annuncia le nuove date della quinta edizione della mostra annuale organizzata dall’Associazione Antiquari Milanesi in collaborazione con Promo.Ter Unione: si terrà dall’8 al 12 novembre, ancora una volta al Museo della Permanente nel cuore di Milano. Preceduta da una preview su invito nella giornata dal 7 novembre.

Cinque anni di attività portano ad alcune considerazioni su quanto fatto durante questo primo ciclo, ma soprattutto a una riflessione su come affrontare il prossimo quinquennio. È anche per questo che la comunicazione di AMART è stata completamente rinnovata, affidando il “rebranding”, che ne valorizza l’acronimo, all’agenzia Frova, Castori e Solcia.

Un progetto corale, che ha coinvolto l’intero consiglio dell’Associazione e la nota agenzia, volto a trasmettere la professionalità e il fascino molto contemporaneo degli oggetti offerti dagli antiquari che aderiscono alla manifestazione milanese.

Un rinnovamento che abbraccia ogni aspetto della mostra: dal logo, al sito, dall’immagine pubblicitaria a parte dell’allestimento della fiera.

Il logo è stato studiato per presentarsi in maggiore sintonia con il mondo dell’antiquariato, capace di esprimere una sintesi tra antico e contemporaneo e di sottolineare la centralità di Milano nel mondo dell’Antiquariato.

Il sito è stato ricostruito ex-novo per adeguarlo alla nuova grafica, più pulita ed elegante, e alle nuove tecnologie, con maggiori contenuti e informazioni sulle gallerie.

L’immagine della fiera è il vero punto di forza dell’intero progetto, con un messaggio visivo e testuale incisivo e attuale.

Gli spazi della mostra, ingresso, bar e loggiato, sono stati affidati allo studio Pelizzari per un complessivo riallestimento.

In questo ambiente rinnovato saranno accolte oltre una sessantina di gallerie milanesi e non, con alcune nuove proposte di spessore nazionale. Antiquari che non mancheranno di incuriosire il pubblico di collezionisti e appassionati d’arte della città e di quanti, da fuori, vogliano pianificare una visita a Milano e alla sua mostra dell’Antiquariato. Ad attenderli, una proposta elevata e studiata da un comitato di esperti che collaborano con gli espositori per offrire il meglio delle varie discipline artistiche: dagli arredi ai dipinti, dagli oggetti alle opere su carta, dai tappetti ai gioielli, agli orologi.  

“Partiamo dall’antico, ma vogliamo rinnovarci ogni anno – spiega Michele Subert, presidente della manifestazione – proprio perché coltiviamo l’ambizione di diventare un punto di riferimento per il mercato dell’arte nel nord Italia. Al tempo stesso vorremmo puntare a Oltralpe, ma questo solo nel prossimo quinquennio.”


www.amart-milano.com
 
Museo della Permanente
via Filippo Turati 34, Milano
amart-milano.com

PER INFORMAZIONI
Email: antiquari@unione.milano.it
Telefono: 02.7750447
 
Ufficio stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Ref. Roberta Barbaro, roberta@studioesseci.net
Tel. 049 663499, www.studioesseci.net

Gallarate (VA), Museo MA*GA – FASHION REPORT: da ALFA a MISSONI

Archivio Alfa Castaldi, 1968

GALLARATE (VA) | MUSEO MA*GA

DAL 16 LUGLIO AL 22 OTTOBRE 2023

FASHION REPORT: da ALFA a MISSONI

A cura dell’Archivio Missoni

Il MA*GA presenta il riallestimento della Sala Arazzi Ottavio Missoni con 22 scatti delle iconiche creazioni della Maison Missoni realizzati da Alfa Castaldi

Dal 16 luglio al 22 ottobre 2023, il MA*GA di Gallarate (VA), in collaborazione con l’Archivio Missoni, presenta FASHION REPORT: da ALFA a MISSONI, progetto espositivo di riallestimento della Sala Arazzi Ottavio Missoni a cura dell’Archivio Missoni.

La mostra si colloca nel programma di ARCHIVIFUTURI. Festival degli Archivi del Contemporaneo seconda edizione, all’interno del quale l’Archivio Missoni ha partecipato come sede d’evento, ospitando una visita guidata e una esperienza in realtà aumentata, a cura del direttore artistico Luca Missoni e della responsabile Nicoletta Bettolini.

L’allestimento propone 22 scatti, realizzati in studio tra il 1967 e il 1970, da Alfa Castaldi (pseudonimo di Alfonso Castaldi, 1926 – 1995), considerato tra i padri della fotografia di moda italiana.

Le immagini erano state scelte e ristampate dallo stesso artista nel 1978 per un omaggio ai Missoni in occasione del 25° anno di attività della Maison. Si tratta di una piena espressione della documentazione dell’affermazione dello Stile Missoni: le prime sperimentazioni di maglie-tessuto e jacquard, di lavorazioni a rete e zig-zag, esperimenti con tinture di filati fiammati, di jersey stampati e floccati nude-look.

Autoritratto stroboscopico, 1972, Archivio Alfa Castaldi

Alfa Castaldi, fa parte di quel gruppo di creativi che hanno documentato la trasformazione della vita culturale italiana negli anni Sessanta e l’affermazione nel mondo del Made in Italy. Frequentatore a Milano del mitico bar Giamaica, alla metà degli anni Cinquanta inizia l’attività di fotografo documentando le nuove espressioni artistiche, gli scrittori, i personaggi del cinema e della cultura in senso ampio.

Nel 1958 Castaldi incontra Anna Piaggi, giornalista e redattrice di moda, con la quale si sposa a New York nel 1962. Proprio grazie a lei, Alfa conosce Ottavio e Rosita Missoni, tra i principali pionieri del pret-à-porter italiano, e inizia a fotografare le loro creazioni. Le sue opere eleganti e spontanee allo stesso tempo entreranno a far parte degli annali della fotografia italiana e internazionale.


FASHION REPORT: da ALFA a MISSONI
Gallarate (VA), Museo MA*GA (via E. De Magri 1)
16 luglio – 22 ottobre 2023
 
Inaugurazione sabato 15 luglio 2023 ore 18.00
 
Ingresso:
Intero €7,00; ridotto € 5,00
 
Il biglietto d’ingresso dà diritto alla visita delle mostre: Il profilo dell’immagine. Arte e fotografia in Italia, FASHION REPORT: da ALFA a MISSONI e Stazione Celeste.
 
Informazioni
museomaga.it
info@museomaga.it
T +39 0331 706011
#archiviomissoni
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700; M +39 349 6107625
anna.defrancesco@clp1968.it | www.clp1968.it

Gallarate (VA), Museo MA*GA: Il profilo dell’immagine. Arte e fotografia in Italia

Armin Linke, Moltiplicazioni, 2018, Basilica di Santa Maria Assunta, Gallarate, Italy. Stampa cromogenica (c-print) montata su pannello Alu-Dibond con cornice di legno verniciato bianco, 150x200cm

MUSEO MA*GA | GALLARATE (VA)

DAL 16 LUGLIO AL 22 OTTOBRE 2023

IL PROFILO DELL’IMMAGINE
ARTE E FOTOGRAFIA IN ITALIA

Per la prima volta il MA*GA espone l’intera collezione di opere legate ai linguaggi fotografici e presenta le recenti acquisizioni: un fondo di 25 opere di Armin Linke e due opere di Bruno di Bello e Paola di Bello.

A cura di Alessandro Castiglioni ed Emma Zanella  

Dal 16 luglio al 22 ottobre 2023 il Museo MA*GA di Gallarate (VA) presenta Il Profilo dell’Immagine, un progetto di riallestimento della collezione del museo, curato da Alessandro Castiglioni ed Emma Zanella e, rispettivamente vicedirettore e direttrice del MA*GA, col fine di presentare le nuove acquisizioni, ottenute grazie all’assegnazione di due diversi avvisi pubblici promossi dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Con il PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, il MA*GA ha acquisito un fondo di 25 opere di Armin Linke e, grazie a Strategia Fotografia 2022, entrano nella collezione due lavori di Bruno di Bello e Paola di Bello.

“Il titolo della mostra – affermano i due curatori – evoca la particolare identità del linguaggio fotografico sospeso tra documentazione e rappresentazione, la sua natura “infrasottile”, così definita dal critico della fotografia Elio Grazioli, l’ambivalenza tra immagine tecnica e immagine artistica, interrogando il pubblico sul significato che l’immagine fotografica ha avuto nella nostra storia recente e nella nostra contemporaneità, poiché, usando le parole del critico americano David Levi Strauss, “la fotografia, in teoria, ha sempre voluto rendere l’immagine democratica, ma raramente ha funzionato in quel senso”.

Il progetto, di ricerca ed espositivo, permette di rivelare al pubblico per la prima volta nella sua completezza, la collezione di opere correlate ai linguaggi fotografici del MA*GA, in cui le nuove acquisizioni si inseriscono in modo organico.

La mostra si configura come una narrazione in cui diversi episodi e autori si alternano e susseguono, intrecciando le ricerche dedicate all’immagine la sua frammentazione con autori quali Emilio Isgrò e Valentina Berardinone, per proseguire con la MEC Art di Gianni Bertini, Bruno di Bello e Aldo Tagliaferro, il dialogo con la poesia visiva, la mail art e la performance con Mirella Bentivoglio, Maria Lai e Giuseppe Chiari fino alle ricerche linguistiche di Franco Vaccari. La mostra si completa affrontando la questione legata alla persistenza del paesaggio nelle identità e non identità dei luoghi con le opere di Luigi Ghirri e Marina Ballo Charmet, fino ai grandi cicli di produzioni fotografiche commissionati dal museo come il progetto Ex/post Orizzonti temporanei di Mario Cresci e Moltiplicazioni di Armin Linke.

Il percorso espositivo si divide in tre sezioni che analizzano diverse attitudini e metodologie di lavoro attorno all’immagine e ai linguaggi fotografici.

La prima, Frammenti del reale, analizza quei lavori realizzati tra gli anni ‘60 e ‘70 in cui l’immagine fotografica emerge come un frammento del reale, un dettaglio trasformato, estrapolato dal proprio contesto e a cui viene conferito un nuovo significato. Ne sono esempio l’opera di Emilio Isgrò, quella di Franco Vaccari o i collage di Mirella Bentivoglio.

La seconda accoglie ricerche dedicate invece all’idea di ripetizione, riproduzione e moltiplicazione, al cui centro vi è il lavoro di Armin Linke. La terza è invece riservata all’idea di una fotografia che indaga lo spazio come linguaggio e si muove alla ricerca di un altrove. Apre questa sezione La Disparition di Paola Di Bello, a cui si affiancano le opere di Maurizio Montagna, Mario Cresci, Francesco Bertocco e l’installazione di Marzia Migliora.


IL PROFILO DELL’IMMAGINE. Arte e fotografia in Italia
Gallarate (VA), Museo MA*GA (via E. De Magri 1)
16 luglio – 22 ottobre 2023
 
Inaugurazione: sabato 15 luglio 2023 alle ore 18.00.
 
Orari:
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: ore 10.00 – 18.00
sabato e domenica: 11.00 – 19.00
 
Ingresso:
Intero: €7,00; ridotto: €5,00
 
Museo MA*GA
T +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700; M 349 6107625| anna.defrancesco@clp1968.it

Rovigo: Le grandi mostre 2023 – 2025 a Palazzo Roverella e a Palazzo Roncale

Tina Modotti, Donna con bandiera, Messico, 1928 ca.

LE GRANDI MOSTRE DEL ROVERELLA E DEL RONCALE (2023 – 2025)

Il Presidente Muraro annuncia Tina Modotti e Henry Toulouse Lautrec al Roverella, mentre il Roncale accoglierà “Il Conte e il Cardinale. I Capolavori della Collezione de Silvestri”, “Cristina Roccati. La donna che osò studiare fisica” e “Antonio Cibotto e il gusto del racconto”.

Archiviata, con risultati estremamente soddisfacenti, “Renoir: l’alba di un nuovo classicismo“, mostra appena conclusa al Roverella, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo delinea il programma delle future mostre nelle due sue sedi espositive rodigine: Palazzo Roverella e il contiguo Palazzo Roncale. Il primo si conferma sede di eventi espositivi di livello e interesse internazionale, il secondo si qualifica come sede di approfondimento di vicende, personaggi e momenti della storia polesana.

“Un connubio ben rodato, che ha dimostrato di piacere sia ai polesani che ai turisti, sempre più attratti in città proprio dalle mostre”, afferma il Presidente della Fondazione professor Gilberto Muraro, ricordando i 73.198 visitatori di Renoir e gli oltre 12 mila di Milani. Mostra, questa seconda, che dopo una pausa estiva godrà di un secondo tempo, ricco di nuove proposte, dal 1° settembre al 5 novembre.

Il Presidente Muraro anticipa i programmi che Fondazione ha definito, e condiviso con il Comune di Rovigo, proprietario del palazzo, per le prossime stagioni espositive al Roverella: l’autunno, seguendo il filone molto apprezzato della grande fotografia, vedrà protagonista Tina Modotti. All’artista friulana-americana sarà dedicata – dal 22 settembre al 28 gennaio 2024 – un’ampia monografica curata da Riccardo Costantini con oltre 200 opere, la più grande rassegna mai proposta in Italia sulla fotografa.  

La primavera del Roverella sarà riservata, come è ormai tradizione, ad una grande mostra internazionale. Dopo Kandinskij e Renoir, il protagonista sarà Henry Toulouse Lautrec (24 febbraio – 30 giugno 2024), con un’ampia monografica affidata a Jean-David Jumeau Lafond, a Fanny Girard, direttrice del Museo Toulouse Lautrec di Alby, e a Francesco Parisi. Attraverso la puntuale ricostruzione di tutta l’opera dell’artista francese, verrà proposta un’affascinante panoramica sull’ambiente parigino fin de siècle, nel quale artisti realisti, impressionisti e simbolisti si incontravano, condividendo esperienze e momenti di vita quotidiana da trasporre poi nelle proprie opere. Verranno presentate anche opere mai esposte prima, nemmeno in Francia, e alla redazione del catalogo contribuirà anche il pronipote dell’artista.

“La Fondazione – anticipa il Presidente Muraro – ha già delineato anche il programma dei due anni successivi. Esso sarà annunciato non appena saranno perfezionati gli accordi con i musei prestatori internazionali”.

Dal Roverella al Roncale.

Tre le mostre che Fondazione ha in cantiere al Roncale. La prima, in ordine di tempo, sarà “Il Conte e il Cardinale. I Capolavori della Collezione de Silvestri“, (dal 1° dicembre 2023 alla primavera del 2024), da un’idea di Sergio Campagnolo e a cura di Alessia Vedova, in collaborazione con il Comune di Rovigo, l’Accademia dei Concordi e i il Seminario Vescovile. Presenterà un nucleo degli oltre 200 dipinti che il conte Girolamo e il fratello cardinale Pietro donarono a Rovigo, poi confluiti nella Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi e del Seminario Vescovile e solo in minima parte esposti. Ad essere raccontate in mostra saranno: la storia dell’illustre famiglia rodigina la singolare vicenda della suddivisione della “quadreria rifiutata”, le figure del Conte e del Cardinale e i loro atti di munificenza perché oltre alla quadreria e ad una importante collezione archeologica, hanno donato all’Accademia i 40 mila tra volumi e documenti della “Silvestriana”, alla città di Padova la Casa del Petrarca e alla Diocesi di Adria-Rovigo un ingente patrimonio da utilizzare per fini sociali.

L’autunno del ’24 e parte del ’25 saranno riservati alla celebrazione di “Cristina Roccati. La donna che osò studiare fisica“. Cristina Roccati (1732 – 1797) è la terza donna laureata al mondo. Si laureò in filosofia naturale all’Università di Bologna focalizzandosi soprattutto sulla fisica e sulle scienze naturali. Dopo la laurea bolognese decise di approfondire gli studi all’Università di Padova applicandosi alla fisica newtoniana. Fu chiamata dall’Accademia dei Concordi dove insegnò fisica e nel 1754 ne divenne Presidente. La vicenda della Roccati, il simbolo di quelle donne che nel Settecento andavano controcorrente, diventa il soggetto di una mostra-racconto.

L’ESA – l’Agenzia Spaziale Europea – ha, da parte sua, in progetto il lancio di un satellite nel nome della Roccati.

A cavallo tra il ’25 e il ’26, il Roncale proporrà “Gian Antonio Cibotto il gusto del racconto“, mostra curata da Francesco Jori, promossa in occasione del centenario della nascita dell’intellettuale rodigino. Giornalista, critico letterario e teatrale, scrittore che ispirò anche il cinema, Cibotto è stato uno straordinario conoscitore e interprete della sua terra e delle sue vicende, a partire dal racconto della grande alluvione del ’51. Rivivere la sua vicenda significa rivivere, con gli occhi di un poeta tenero e disincantato, storia e cronaca del Veneto, ma anche dell’intero Paese, dal dopoguerra alla fine del millennio.  

“Questa programmazione pluriennale condivisa con il Comune di Rovigo, l’Accademia dei Concordi e il Seminario Vescovile, rafforza il ruolo di Rovigo come città di riferimento culturale per il Veneto e l’Italia. Consente agli operatori del turismo di avvalersi di iniziative di riconosciuta attrattività intorno alle quali ideare nuove proposte di promozione e riunisce l’intero “sistema città” intorno a progetti culturali condivisi e qualificanti”, chiosa il Presidente Muraro.


Info: Fondazione Cariparo www.fondazionecariparo.it
 
Relazioni con i media:
dott.ssa Alessandra Veronese – 3483111144 (solo per i giornalisti)
Ufficio Comunicazione:
dott. Roberto Fioretto
comunicazione@fondazionecariparo.it
 
Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net;
simone@studioesseci.net, referente Simone Raddi

Venezia, Palazzo Ducale : Vita da Doge. L’Appartamento del Doge torna a far parte del percorso espositivo

Cronologia dei Dogi

VITA DA DOGE.

L’Appartamento del Doge torna a far parte del percorso espositivo di Palazzo Ducale
Intervento di Valorizzazione

Venezia, Palazzo Ducale

Da venerdì 14 luglio 2023

A cura di Valeria Cafà e Daniele D’Anza. Coordinamento scientifico Chiara Squarcina

Da oggi l’Appartamento del Doge torna a far parte del percorso espositivo, aperto a tutti i visitatori di Palazzo Ducale, con un nuovo allestimento creato per raccontare l’ultramillenaria storia di quella che è stata una delle figure istituzionali più solide e longeve di Venezia. Di Dogi, la Serenissima ne ha eletti ben 120, dal primo, Paoluccio Anafesto nel 697, fino all’abdicazione di Ludovico Manin, l’ultimo, nel 1797.

L’Appartamento del Doge era il cuore più riservato del Ducale. Racchiudeva spazi di rappresentanza preclusi ai più, riservati a riunioni e udienze ristrette, ed era strategicamente collocato nell’ala del Palazzo compresa tra il rio della Canonica, la Scala d’oro e la Basilica di San Marco. L’ubicazione dell’appartamento rimase più o meno la stessa nei secoli, pur cambiando di consistenza e aspetto durante le numerose ristrutturazioni del palazzo. L’aspetto attuale rinascimentale risale alla fine del secolo XVI.

Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia. Photo Elisa Chesini

Il nuovo allestimento intende presentare al pubblico di oggi la figura del doge, documentando l’affascinante racconto attraverso un centinaio tra dipinti, sculture, manufatti, mappe e testi manoscritti e a stampa, promissioni e commissioni ducali, medaglie e monete.
“Si tratta innanzitutto di un importante progetto di valorizzazione di opere provenienti dal patrimonio civico detenuto dalla Fondazione Muve e in gran parte solitamente non esposto – afferma la Presidente di Fondazione Muve Mariacristina Gribaudi – che raccontano i momenti salienti della storia dell’istituzione dogale. Con precise finalità didattiche, si è dato rilievo alle grandi vicende ma anche ad aneddoti e vicende minori, alla rigida etichetta cerimoniale, ad approfondimenti (anche lessicali) e curiosità, partendo proprio dalle testimonianze materiali in Mostra”.
“Si tratta di storie private e pubbliche, tradizioni, feste e cerimonie che, nell’insieme, presentano il doge in una prospettiva composita e a tratti insolita, sebbene sempre storicamente accreditata, capace di dare conto di una figura a tutto tondo, indissolubilmente legata a Venezia e alla la sua lunga storia”, chiosa il Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.

“Il doge, Capo di Stato di origine bizantina con connotazioni militari già nel titolo – doge deriva dal latino dux, comandante militare – a Venezia assurge, nel corso dei secoli, a rappresentante ufficiale agli occhi del mondo della Serenissima. “Monsignor il doge”, così è appellato negli atti pubblici, è il simbolo e l’incarnazione della potenza veneziana, il protagonista delle solenni cerimonie pubbliche, dei ricevimenti e delle feste”, sottolinea Chiara SquarcinaResponsabile della sede museale. “Il suo reale potere, tuttavia, è limitato e controllato dalla aristocrazia mercantile veneziana mentre la sua persona è sotto la costante vigilanza dei consiglieri ducali perché, pur essendo il “Serenissimo Principe”, egli è e rimane, a tutti gli effetti, il primo servitore della Repubblica. Con perfetta e franca sintesi, il doge è detto Princeps in solemnitatibus, in curia senator, in urbe captivus, extra urbe reus (principe nelle solennità, senatore in senato, prigioniero in città, colpevole fuori dalla città)”.

Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia. Photo Elisa Chesini

Il punto di partenza del percorso che dal 14 luglio sarà a disposizione dei visitatori, è l’elezione del doge: qui sono presentati gli strumenti, il metodo, i simboli dell’elezione a doge, cui si accompagnano alcuni aneddoti, come il più lungo conclave, e le tradizionali cerimonie di incoronazione. A seguire, in Sala Grimani, si affronta il tema della diplomazia e dei rapporti internazionali, essenziali alla salvaguardia e prosperità di Venezia. Nella sala successiva si raccontano alcune tra le più importanti battaglie combattute dai veneziani, prediligendo ancora, come punto di osservazione, la vita del doge: Sebastiano Venier per la battaglia di Lepanto (1571) e Francesco Erizzo per l’inizio della guerra di Candia (Creta), doge tra l’altro cui è dedicata la sala dell’appartamento (Sala Erizzo). Nella Sala degli Stucchi ad essere protagonista del racconto è la famosa cospirazione di Baiamonte Tiepolo, causa dell’istituzione del potentissimo Consiglio dei Dieci, organo nato dalla necessità di prevenire ribellioni e attentati contro lo Stato. La sala seguente presenta la figura del doge come committente e patrono delle arti. Nelle sale successive si esplorano invece gli aspetti più mondani e principeschi della vita del doge: il rapporto con la dogaressa, le feste e le cerimonie che scandivano il calendario della Serenissima. A seguire si affronta il tema degli abiti del doge e della dogaressa nei secoli, abiti che, in modo piuttosto eloquente, danno conto della origine bizantina della istituzione dogale e della trasformazione del doge in “Serenissimo Principe”.

Anche la morte del doge, cui è dedicata la sala successiva, sottostà a una rigida etichetta, sempre consapevoli che “Se l’è mort el Doxe, no l’è morta la Signoria“.

Il percorso si chiude con una sala che illustra le vicende degli ultimi dogi e un focus sull’ultimo doge Ludovico Manin, la cui abdicazione nel 1797 corrisponde alla caduta della Repubblica e alla fine della storia della Serenissima. L’ultima delle 12 sale del nuovo percorso tematico del Ducale è dedicata ad attività didattiche e di approfondimento a cura dell’Ufficio Attività Educative.

Si ricorda che per tutta l’estate Palazzo Ducale sarà aperto anche alla sera ogni venerdì e sabato fino alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00) e giovedì 1 giugno, lunedì 14 e martedì 15 agosto.



Contatti per la stampa
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
roberta@studioesseci.net
simone@studioesseci.net