La pasta secca esportata viaggiava in barili

 

GENOVA E SICILIA
In atti notarili, databili al 1316 e 1329, in un testo culinario napoletano, viene citata una ricetta di Tria tipica di Genova. Pur non essendoci notizie su una ipotetica produzione genovese di pasta, è lecito pensare che la città ligure fosse impegnata in un’attività di commercializzazione in tutto il Mediterraneo di prodotti provenienti da Sicilia e Sardegna. A provarlo esistono dei contratti, stilati tra il 1157 e il 1160, di esportazioni dalla Sicilia normanna alla Repubblica genovese. Solo, infatti, nel XVI secolo si ha notizia di Fidelari, produttori di pasta secca, a Genova.

La pasta secca in esportazione viaggiava contenuta in barili. Questa attività non era sporadica, ma continua. Essa è ampiamente attestata dai Registi del dazio del Banco di San Giorgio a Genova, per un lungo periodo (dal 1497 al 1535). Oltre alla pasta secca, la Repubblica marinara di Genova otteneva dalla Sicilia anche grano, farina, semola e biscotti, cioè tutti ingredienti derivati da prodotti molitori siciliani. A sua volta le navi genovesi smerciavano i prodotti in tutto il Mediterraneo occidentale. Non solo Roma, Napoli e altri centri del tirreno, ma raggiungendo anche Barcellona e Marsiglia.

La pasta di produzione sarda, invece, subiva la concorrenza di Pisa e di importatori spagnoli, che godevano di privilegi fiscali. Questi originavano dalla conquista spagnola di Alfonso IV d’Aragona (del 1326). Proprio il re incitò i mercanti spagnoli a vincere la concorrenza pisana e genovese, favorendo gli imprenditori catalani in ogni maniera. Tra il 1351 e il 1397, infatti, i Registri annotano traffico in partenza da Cagliari diretto proprio verso la Catalogna di tutti i formati di pasta secca e dei relativi prodotti di molitoria.

In questo periodo, al di fuori della penisola italiana non si hanno notizie di una sostanziosa produzione di pasta, se non in Provenza. Da rilevare che in Spagna, in periodo medievale, non si aveva la necessità di produrla, in quanto la Sicilia e la Sardegna erano sotto la corona aragonese.

La pasta all’epoca dei pionieri

 

Le prime produzioni
IN SICILIA
La Sicilia e la Puglia erano nel medioevo luogo di coltura del grano, in particolare quello duro (veri e propri granai). Ne parla anche Plinio, in età romana, lodandone la quantità, che permetteva l’uso interno, ma anche la sua esportazione, e la sua qualità, preferita ad altre produzioni. Perciò, la tradizione araba della pasta attecchì facilmente in Sicilia. Il cartografo arabo-normanno Idrisi, nella sua descrizione dell’isola non manca di citare Trabia come luogo di intensa produzione di pasta secca. Questa viene associata alla tria, lo strumento per ottenerla. Ne parla anche Sebastiano Macaluso Storaci nel suo vocabolario siciliano-italiano. Nella modernità di quel tempo, la Sicilia era del tutto autonoma, non solo nella coltivazione del grano (per le grandi proprietà fondiarie), ma anche nella lavorazione di farine e semole, nei mulini ad acqua. Pertanto la fattura della pasta secca portò ben presto alla sua commercializzazione lungo le rotte di altri paesi.
Possediamo un documento, risalente al 1371, in cui l’amministrazione palermitana fissa un calmiere ed un costo massimo per la produzione e la vendita di pasta, secca (axutta) e fresca (bagnata). Se ne deduce che il suo commercio, quindi, era già a quel tempo elevato ed il suo consumo intenso.

 

ALTRE REGIONI E CITTA’
La Sicilia, tuttavia, non aveva l’esclusiva della pasta. Anche la Sardegna si evidenziava notevolmente. A Cagliari, i registri della Dogana ci riportano una forte attività d’esportazione del prodotto locale, già differenziato in tipi e formati vari, come (in spagnolo) i fideus, i maccarons e obra de pasta. Altre notizie ci riportano la presenza di mulini per la farina posti sulla costa amalfitana e l’uso di pasta a Napoli (in un testo del 1295) alla corte di Carlo d’Angiò. Sono le prime avvisaglie dell’espansione della pasta che avverrà a Napoli nei secoli successivi. La praticità d’uso inserì la pasta secca nell’alimentazione dei marinai impegnati in lunghi viaggi. Due repubbliche marinare, Genova e Pisa, vengono citate in documenti dell’epoca per l’uso di pasta distribuita alla flotta. In particolare apprendiamo che a Pisa (nel XIII e XIV secolo) esisteva già il formato dei vermicelli.

 

 

 

 

La pasta: utilizzata come primo piatto nel menù

 

 

La sua diffusione
Nel Mezzogiorno, in generale, ed in particolare in Sicilia anche anticamente si ha un consistente sviluppo della lavorazione della pasta. Dopo la dominazione araba, l’isola divenne punto di convergenza fra la tradizione mediorientale e l’Europa (Provenza e Renania). Nell’isola, la tradizione romana della lagana, sopravvissuta, si fuse con quella del Talmud palestinese. Si ritiene, infatti, che la pasta risalisse a molto tempo prima in Oriente. Gli arabi, semplicemente, portarono la sua lavorazione sia in Sicilia che in Spagna. Qui, è rimasta l’usanza di abbinarla al brodo. Testi antichi britannici, d’epoca medievale, ci riportano del famoso piatto dei macrows o lozens, sempre, comunque, fatti di pasta fresca, che veniva condita con formaggio e burro.

Tuttavia, in Italia, a differenza della penisola iberica, ebbe una diffusione maggiore, con più ricette e molti formati, lunghi o corti. Crebbe così una cultura della pasta. L’Italia, infatti, può considerarsi l’unico paese al mondo in cui sia prosperata un’usanza così forte da farne un piatto nazionale. La differenza maggiore sta nel suo consumo quale piatto singolo, utilizzato come primo all’interno di un menù. All’estero, invece, fa da contorno a portate di carne o verdure.
Pur se, nella nostra penisola, continua a consumarsi la pasta da brodo, ad essa si contrappone l’uso della cosiddetta pastasciutta. Dal medesimo impasto della lasagna, nacquero i vari formati, a partire dalle tagliatelle o vermicelli. Ugualmente i maccheroni, bucati all’interno, come ci riporta Maestro Martino.

Ebbero una nascita antica pure altri tipi, quali i croseti, formentine e quinquinelli, ma anche la pasta ripiena, come ravioli e tortelli. Il termine di “pasta”, prende in considerazione tutti i suoi tipi e formati: pasta da brodo, pasta fresca e pasta secca. La cosa si fa risalire già dal 14º secolo. Nel 15º secolo, a partire dai medici, nasce la dieta della pasta, consumata in grande quantità, essendo ritenuta ricca di salutari “umori vischiosi”.

Il termine di “pasta”, oggi prende in considerazione tutti i suoi tipi e formati: pasta da brodo, pasta fresca e pasta secca.

Vermicelli confezionati con la luna di agosto

 

I primordi della Pasta
Oggi, la pasta comune viene realizzata con la semola di grano duro, mentre quella fresca con la farina di grano tenero. I documenti antichi non ci riportano quale sia stato l’uso della semola, se non utilizzata per le pappe.
Tutto nasce, comunque, dalla sfoglia di pasta fresca, che oggi chiamiamo lasagna. Ad essa seguivano diverse lavorazioni casalinghe e vari tipi di formati di pasta fresca, da consumarsi in casa il giorno stesso della fattura. Essendoci, tuttavia, la necessità di sportarsi, o ritardare il consumo, già in epoca araba (e poi medievale), nacquero i vermicelli secchi, che si presentavano piccoli, filiformi o graniformi.
Erano essiccati al sole, per poi venire consumati secondo necessità. Le poche informazioni disponibili, ci tramandano una sua lunga durata, anche di due o tre anni. La precauzione per la loro giusta lavorazione, era di confezionarli “con la luna di agosto” (a dire di mastro Martino). Così potevano essere trasportati, acquistati o conservati. Un vero “prodotto industriale” già in epoca medioevale.

Cottura e condimento
I Vermicelli secchi, secondo le informazioni, venivano cucinati e conditi nel ragù stesso, che non poteva, però, essere come quello attuale, essendo il pomodoro non ancora importato dall’America.
Si utilizzava la pasta anche nei brodi molto grassi, ma pure unitamente al riso o nelle minestre con legumi. Secondo testi del 1200, esistevano per uso formati da brodo, con una misura simile ai legumi stessi, chiamati “chicchi da cuocere in brodo”. Inoltre, la pasta, spesso, si univa a carne o verdure. Praticamente, creando un couscous dove la pasta è uno degli ingredienti. Questa lavorazione era infatti diffusa in Spagna e nel Nord Africa. In Algeria viene consumata, tuttora, la “reshta”. È sostanzialmente un couscous, realizzato con pasta fresca, cotta al vapore, e gli altri ingredienti del tipico couscous arabo. In Spagna, invece, i piccoli vermicelli vengono inseriti nella paella fideria. Anche il gusto era molto diverso dall’attuale, tant’è che i vermicelli secchi venivano fatti rinvenire nel latte di mandorla unito a zucchero e zafferano.

Appunti sulla storia della pasta

 

Quelli che pubblicheremo da oggi sono appunti di lavoro sul progetto di una mostra dedicata all’alimento italiano per eccellenza: la pasta. Una mostra “in fieri”, ricca di curiosità, ma sostenuta da una documentazione storica attenta. Continuiamo a lavorarci, ma nella redazione manca una delle persone più importanti. Per questo ci piace riaprire gli appuntamenti di settembre come se Daniele fosse ancora con noi.

 

Il grano e la farina
La storia della pasta comincia necessariamente dalla storia del grano. Innanzitutto dalla sua divisione tra grano duro e grano tenero, cioè tra Triticum durum (duro) e Triticum aestivum (tenero). Il grano più comunemente utilizzato in cucina è quest’ultimo, in particolare nelle farine di qualità 00 e quelle di tipo 0. Esistono poi altre varietà di grano, più o meno conosciute. Tra queste viene inserito il cosiddetto grano saraceno (Fagopyrum esculentum), che però non fa parte della famiglia delle Graminee. Il nome, infatti, non è d’origine botanica, ma commerciale. In cucina, viene utilizzato per la preparazione di alcuni tipi di pasta, come i pizzoccheri e le manfrigole (in Valtellina), per la polenta saracena, le crespelle, oppure per dolci o biscotti. Così come il glutine, anche il grano saraceno può creare allergie.

IL GRANO DURO
Questo tipo di grano fu originato anticamente, come ibridazione tra due varietà selvatiche, in periodo neolitico. Già all’aspetto, il grano duro si differenzia da quello tenero, in quanto i semi non presentano involucri fiorali che li contengono (le glume). Tant’è che al momento della trebbiatura, non si ottengono paglie. Essendo la sua composizione proteica diversa dal grano comune (alla macinazione, vetrosa e non farinosa), dal grano duro si possono produrre solo semole e non farine. Ciononostante, rimacinata più volte, anche la semola di grano duro è adatta alla produzione del pane. Tra i diversi, ricordiamo il pane di Altamura, o il Pane di Matera. Pur presentandosi più consistenti e di colore giallo, i pani di grano duro, hanno il vantaggio di mantenere l’appetibilità per parecchi giorni, cosa che non avviene con il pane di farina bianca.

La semola, aggiunta semplicemente ad acqua, è, inoltre, particolarmente utilizzata per la produzione della pasta secca. Essendo il grano duro coltivato principalmente nel Mezzogiorno italiano, si capisce perché la pasta sia nata proprio nel Sud Italia. Di origine araba, il grano duro viene impiegato anche per la cucina del cuscus (nel Nordafrica) e del bulgur (nel Medio Oriente). Importato in Sicilia proprio dagli arabi, nel IX-XII secolo, questo grano ha lasciato, nella tradizione gastronomica dell’isola, la ricetta del rinomato cuscus siciliano. La varietà Creso, invece, è stata creata a Roma, nel 1974, incrociando grano messicano ed italiano. La sua particolare qualità ha reso la varietà tra le più coltivate in Italia.

IL GRANO TENERO
Il grano tenero, chiamato comunemente anche frumento (Triticum aestivum), deriva da un’ibridazione antichissima. È d’origine mesopotamica (tra il Tigri e l’Eufrate), detta anche Mezzaluna Fertile. Fu tra le prime coltivazioni intensive. Attualmente, la sua coltivazione è praticamente globale, in quanto, essendo resistente al freddo, può essere prodotto anche in climi nordici a temperature basse. Oggi, tra i maggiori produttori vi sono sia la Cina che il Canada. Il grano fu, infatti, introdotto dagli Spagnoli nel Nord America, durante il XVI secolo, che ne divenne il maggiore esportatore.

Il grano consumato attualmente è frutto di attenti studi genetici, che ne hanno aumentato la forza, la resistenza alle malattie e, soprattutto, la produttività. Dal frumento, previa macinazione, si ottiene principalmente la farina, poi una sostanza bianca e farinosa, chiamata   amido, olio di germe di grano, ma anche alcol, dopo un’opportuna fermentazione. La maggior parte della produzione viene, comunque, impiegata per la produzione di farine per la panificazione. Ne esistono di vari tipi, quali: farine 00, 0, 1 e 2, tutte specifiche per determinate lavorazioni. La numerazione indica la purezza della farina da componenti di scarto, come, ad esempio, la crusca, che ne fanno variare il colore. La farina 00 è la più bianca e quindi la più pura. Crusca, Cruschello o Tritello e Farinaccio, sono tutti scarti, che vengono tuttavia anch’essi utilizzati, ad esempio, nella zootecnia.
La farina è classicamente usata per la fattura del pane (di tutti i tipi), pizze e creme, oppure per la pasta fresca. Come vedremo nelle prossime puntate.

Simbolismo: l’influenza della filosofia eclettica

 

Se storicamente la storia presenta dei punti di forte cambiamento, con la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, è con il ritorno allo status quo, che ha inizio la vera rivoluzione, sia politica che economica, dovuta all’industrializzazione massiccia. La filosofia, seguendo le tendenze, fa ricadere il nuovo pensiero sulla società del XIX secolo, con nuovi effetti.

La filosofia eclettica
, per quanto si crede, nacque nel periodo ellenistico-romano (nel II secolo a.C.). Fu ecclettica nella misura in cui fu sintetica di diverse dottrine filosofiche. Essa accorpò, infatti, l’epicureismo, lo scetticismo di Filone di Larissa e del così chiamato “stoicismo medio”. La sintesi delle diverse scuole, giungeva, con essi, al concetto unico di ricerca fondamentale dell’uomo, allo scopo del raggiungimento di una felicità priva di emozioni e passioni.
Nel XVIII secolo, nell’Enciclopedie di Diderot appare una voce che tratta proprio della metodologia della filosofia ecclettica. Questa viene contrapposta al dogmatismo, al sincretismo ed al settarismo. È proprio questo metodo riassuntivo di diverse tendenze, ad essere lodato e proposto come tecnica per la somma di filosofie antiche e moderne. A Diderot si aggiunse, a sostenere la tesi, anche il filosofo tedesco Johann Jacob Brucker. In età romantica, Victor Cousin fonda la corrente dello Spiritualismo, di cui faranno parte: C. Meiner, Johann August Eberhard e J. G. Feder. Nella sua dottrina, Cousin sostiene che i sistemi fondamentali nella storia possono riassumersi a quattro, e cioè: sensismo, idealismo, scetticismo e misticismo. Ognuno di questi sistemi possiede una parte di verità Il filosofo ecclettico le riassume in sé.

Nel periodo tardo illuminista appaiono filosofi di grande spessore. Infatti: Immanuel Kant e Jean-Jacques Rousseau, cronologicamente fanno parte del XVIII secolo. Tuttavia, il loro pensiero ebbe influssi molto forti per lungo tempo, interessando pure il secolo successivo: Rousseau con i suoi concetti di politica e società e Kant con il suo scetticismo assiomatico, il cui pessimismo verrà ripreso in seguito, da Hegel che formulerà la differenziazione tra l’inconoscibile e ciò che è nelle circostanze ignoto. Da ricordare tra i filosofi del Settecento, anche Pierre-Simon Laplace.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  IMMANUEL KANT

VIDEO SU:
1 Le filosofie ellenistiche – Eclettismo
IMMANUEL KANT (ragion pura) – Video 01 – INTRODUZIONE
Immanuel Kant – La conoscenza. prima parte. regia di Maria Teresa de Vito
Immanuel Kant: l’etica e l’estetica. prima parte. regia Maria Teresa de Vito

In copertina – Ritratto pittorico di Immanuel Kant, – estratta da Wikimedia Commons

 

Il Palazzo Reale di Amsterdam 2/2

 

Da Municipio a Reggia di Amsterdam
Il Palazzo Reale di Amsterdam dell’architetto van Campen si ispira al Classicismo del Palladio. Tecnicamente, essendo in Olanda, la fondazione fu progettata con la presenza di 13.659 pali di legno, infissi nel terreno, per dare stabilità alla costruzione. Questa è formata da un quadrilatero perfetto con due chiostri interni e due prospetti uguali, quello su piazza Dam (il principale) e l’opposto. Ambedue sono segnati da un avancorpo con frontone triangolare classico. È suddiviso in quattro ordini di finestre, ognuno con un proprio stile, ritmate da due ordini di lesene. La facciata d’ingresso è segnata da una torre ottagonale con cupola, che veniva utilizzata come torre d’avvistamento delle navi che passavano in porto.
Il timpano del prospetto principale è decorato da statue di bronzo e da rilievi marmorei. Il tema generale è incentrato sulla Pace, ispirata, probabilmente, alla Pace di Vestfalia. Incorniciata da due statue ai lati, le raffigurazioni della Prudenza e della Giustizia. Tutta la composizione rappresenta il benessere economico prodotto dalla Pace.

Curiosamente l’importante palazzo non è fornito di un grande portale d’ingresso, come ci si aspetterebbe, ma da sette piccole porte, segnate da altrettante arcate a tutto sesto. Il numero può essere simbolico delle sette province olandesi, che allora erano quelle di Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Frisia, e Groninga (oggi sono tutte indipendenti).
Tutto il livello scultoreo del Palazzo venne affidato, tra il 1650 e il 1664, ad Artus Quellinus il Vecchio, che fu coadiuvato da diversi artisti.

Anche la facciata posteriore presenta un timpano triangolare. Questo, centralmente porta una statua di Atlante che regge il globo terrestre con i quattro continenti allora conosciuti (Africa, Europa, Asia e America). Ai lati il timpano ha due statue, che rappresentano la Sobrietà e la Vigilanza. Al centro è raffigurata la Vergine urbana con ai piedi i fiumi Amstel e l’IJ. Sullo sfondo una nave da carico olandese, come era allora il simbolo della città.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: AMSTERDAM

VIDEO SU AMSTERDAM::
Holland…i canali di Amsterdam. 15/06/2013
Una crociera per i canali di Amsterdam
Amsterdam – Diario di viaggio

 

Simbolismo: la psicanalisi di Sigmund Freud 2/2

 

Il successo della psicanalisi
Con il nuovo secolo, la marea psicoanalitica si diffuse in vari paesi velocemente. Tanto che, nel 1909, furono invitati negli Stati Uniti oltre a Freud, lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, l’ungherese Sándor Ferenczi e, poco dopo, lo scienziato, Ernest Jones dall’Inghilterra. Il ciclo delle conferenze che ne presero vita furono denominate le “Cinque conferenze sulla psicoanalisi“. In quella occasione la Clark University insignì Freud del titolo di Dottore.
Nel 1910, al ritorno dagli Stati Uniti, fu organizzato da Jung il Congresso di Norimberga del 30 e 31 marzo, che diede vita ad una organizzazione internazionale coordinatrice di tutte le associazioni psicoanalitiche nazionali nate e quelle in fase di istituzione. Già in quel momento erano stati aperti circoli medici legati alla psicoanalisi, oltre che a Berlino, Vienna e Zurigo anche a Budapest, Bruxelles, negli Stati Uniti, in Russia, Francia, Italia e Australia.
Al Congresso, Freud stesso si dichiarò favorevole all’affidamento della presidenza dell’internazionale della psicoanalisi a Jung (che già allora era considerato il suo successore). Del giornale dell’associazione, lo “Zentralblatt für Psychoanalyse” (Rivista centrale di Psicoanalisi), furono incaricati Adler e Stekel. Alla rivista “ufficiale” si aggiunse in seguito la rivista di psicoanalisi “Imago“, diretta dallo stesso Freud, che pubblicava questioni non direttamente mediche della psicoanalisi.
Nel 1926, compiuti settant’anni, festeggiato da colleghi da ogni parte del mondo, giunto a Berlino per rivedere figli e nipoti, Freud ebbe ad incontrare Einstein e sua moglie. I due geniali scienziati (di scienze diverse) familiarizzarono molto amabilmente.

Nel 1933, grosse nubi nere iniziavano a coprire l’Europa. Adolf Hitler giunge, in quell’anno, al potere, la questione ebrea comincia a scottare e molti libri iniziano ad essere messi all’indice e bruciati, tra questi proprio quelli di Freud. A partire dal 1938, con l’annessione dell’Austria da parte nazista, lo scienziato ebreo è minacciato, tanto che sua figlia Anna è arrestata dalla Gestapo. Rilasciata, Freud e la sua famiglia partono, immediatamente, per la Gran Bretagna (alcuni ritengono che a permettergli la partenza fu l’intervento personale di Benito Mussolini). A Londra prende abitazione vicino al centro di psicoanalisi, dove, dopo la guerra, lavorerà sua figlia Anna.
In quell’anno, in una intervista della BBC, Freud ammette che la strada per la Psicoanalisi è ancora lunga. Una ventina di giorni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale (nel 1939), Freud muore: come se non volesse assistere alla notte dell’inconscio umano che travaglierà il mondo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  SIGMUND FREUD

VIDEO SU SIGMUND FREUD:
Le Grandi Biografie Sigmund Freud 1 3
visionari Sigmund Freud .Umberto Galimberti e Corrado Augias
PSICOTERAPIA – Sigmund Freud

In copertina – Ritratto fotografico di Sigmund Freud – estratta da Wikimedia Commens

Simbolismo: la psicanalisi di Sigmund Freud 1/2

 

La vita di Freud fu alquanto travagliata, ma segnata da una forte volontà nella ricerca di risultati sia scientifici che privati. Il suo nome era Sigismund Schlomo Freud, che lui abbreviò, nel 1877, in Sigmund Freud. D’origine ebrea nacque da una famiglia di non grandi possibilità economiche (1856-1939). A questo si aggiunse che, in quel periodo nella Vienna asburgica, erano diffuse forti discriminazioni antisemitiche. La sua istruzione fu portata avanti, tuttavia, con significativi risultati a causa del suo temperamento, tanto che l’Istituto Superiore “Sperl Gimnasyum”, dove studiò per otto anni e ottenne la maturità, motivata dal profitto che Sigmund otteneva, gli assegnò una menzione d’onore. Laureatosi in Medicina (il corso di laurea fu ritardato dal suo carattere critico e polemico) nel marzo del 1881, ebbe esperienze lavorative nel laboratorio di zoologia, diretto da Carl Claus a Vienna, ma non ne fu entusiasta, tanto che, successivamente, entrò nell’Istituto di Fisiologia di Ernst Wilhelm von Brücke, dove portò avanti studi di neuro-istologia. Egli stesso scrisse, poi, dell’importanza di quegli anni accanto a Brücke, di grande influenza sulla sua personalità.

Alla ricerca della stabilità economica, entrò nell’Ospedale Generale di Vienna, dove lavorò tre anni, seguendo malati affetti da turbe neurologiche. Fu proprio in questi anni, a partire dal 1884, che Freud sperimentò su sé stesso e sui malati la cocaina, che in America veniva usata come analgesico, in alternativa alla morfina. Purtroppo sperimentò sulla sua pelle, che questa, che non sembrava avere controindicazioni collaterali, dava però una fortissima dipendenza. È noto come Sigmund ne rimase affetto per tutta la vita.
Nel 1885 raggiunse la libera docenza e questa l’aiutò nell’esercizio della professione medica. Stimato da tutti, contemporaneamente, percorse una facile carriera accademica, che lo portò alla cattedra di professore ordinario.
Nel biennio 1885-86 si recò a Parigi, ottenuta una borsa di studio, presso lo scienziato Jean-Martin Charcot. Questi, per curare i malati, utilizzava l’ipnosi, che Freud, molto colpito, utilizzò una volta tornato a Vienna.

Il 13 maggio 1886 si sposò con Martha Bernays, che gli diede cinque figli di cui l’ultima, Anna, percorse la stessa carriera del padre, divenendo un’importante psicoanalista. Sempre in quell’anno aprì lo studio privato, dove utilizzò per le cure l’ipnosi unitamente a cure termali, l’elettroterapia e l’idroterapia, non ultima l’applicazione dei magneti, già in uso dal 1700.
Fondamentale fu per Freud il conoscere Josef Breuer, fisiologo conosciuto, che portava avanti importanti ricerche, ad esempio il caso di “Anna O”, affetta da isteria con varie derivazioni anche invalidanti. Nel 1895 il Breuer pubblicò Studi sull’isteria, dove si fa cenno del metodo catartico, e, cioè, l’analisi dei ricordi traumatici.
Nella notte tra il 23 e il 24 luglio 1895, Freud fece un sogno che lo colpì, tanto che fu riportato come “il sogno dell’iniezione di Irma” nella pubblicazione de L’interpretazione dei sogni. È dall’interpretazione di quel sogno che Freud, abbandonando l’ipnosi, passa ad un nuovo tipo di studio, che caratterizzerà il suo metodo innovativo. È ritenuto questo, da alcuni, l’anno della nascita della psicoanalisi moderna.

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Da municipio a Reggia di Amsterdam 1/2

 

Ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, sulla piazza Dam, sorge il Palazzo Reale, detto anche “Municipio di Amsterdam”. Questo, infatti, venne costruito per la municipalità, per poi essere ristrutturato in residenza Reale. L’edificio, in effetti risale già al Trecento ed era in stile gotico. Poiché si logorò nel tempo, nel 1639, se ne intraprese la ristrutturazione.
Dopo la Guerra dei Trent’anni, con la Pace di Vestfalia (nel 1648), nacque la Repubblica delle Sette Province Unite che sanciva l’indipendenza dalla Spagna, dando origine così al “Secolo d’oro del Paesi Bassi. La costruzione del Palazzo Reale, quindi, segna e simboleggia questo “Secolo d’oro” storico

L’edificio
Il Palazzo è in stile barocco olandese e fu progettato dall’architetto Jacob van Campen (allora assai noto). La sua visione molto ampia lo portò a presentare un progetto grandioso, mai realizzato prima in Europa, e cioè un palazzo municipale enorme, che voleva simboleggiare una nuova grandezza di un impero, non più militare, ma commerciale. Nonostante qualche ritrosia ed un costo folle, l’edificio fu realizzato e fu definito l’Ottava meraviglia dell’epoca.
Ciononostante, a metà dell’opera, l’architetto ebbe dei dissapori con il Consiglio comunale. Fu pertanto rilevato dal compito e il progetto fu assegnato a Daniël Stalpaert. Nonostante il Palazzo non fosse ultimato, nel 1655, venne inaugurato con una grande festa. La costruzione dell’edificio, però, fu terminata nel 1665. La sua importanza simbolica era tale, che il poeta Joost van den Vondel vi compose sopra un poema. Alla sua ricchezza si deve invece il posizionamento sulla torre di un grande orologio con un carillon a 9 campane. Avvenne nel 1664, grazie al lavoro dei mastri campanai François e Pieter Hemony.

La lunga storia del Municipio di Amsterdam termina con la rivoluzione francese quando venne instaurata la Repubblica Batava. Nel 1808, però, Napoleone trasformò i Paesi Bassi in regno d’Olanda, che fu retto dal fratello minore Luigi Bonaparte. Questo si spostò all’Aia e poi a Utrecht. Infine si stabilì ad Amsterdam, dove si alloggiò nel municipio. Per portarlo a livello di residenza Reale fece iniziare la trasformazione dell’edificio. Vennero eseguite, soprattutto, modifiche interne. Così le gallerie furono divise in stanze, cambiò lo stile interno (in stile Impero) e aggiunti mobili nuovi dell’epoca. Poco dopo se ne stancò e trasformò il Palazzo in Museo Reale”. Nel 1810, con l’annessione dell’Olanda alla Francia, i lavori ripresero al Castello per trasformarlo, stavolta, in Palazzo imperiale. Uguale destino ebbero i Palazzi del Castello di Fontainebleau, di Laeken a Bruxelles e del Quirinale a Roma. La nuova Reggia olandese svolse, allora, il compito di residenza del governatore generale del paese.
Con la Battaglia di Lipsia, avvenuta nel 1813, i francesi furono scacciati e per breve tempo il Palazzo tornò ad essere un municipio. Il compito finì del tutto. nel 1815, con la Restaurazione, quando il re Guglielmo I dei Paesi Bassi tornò sul trono. Da qui l’appellativo di Palazzo Reale. Attualmente l’edificio è utilizzato dalla casata reale per i ricevimenti ufficiali ad Amsterdam.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: PAESI BASSI

VIDEO SULLA REGGIA DI AMSTERDAM:
Palazzo Reale, Amsterdam – dovevado.com
Documentario Amsterdam: [TOP 10] COSA VEDERE in un week end?