Venezia, Ca’ Foscari: Eventi nell’ambito di Last Whispers di Lena Herzog

Nell’ambito di “Last Whispers” dell’artista Lena Herzog, presentato da Ca’ Foscari, una serie di eventi sulla fragilità della molteplicità linguistica e culturale

Identità ai confini: storie dall’Artico

Martedì 26 aprile
Ore 17:00

Yonaguni

Giovedì 26 maggio 2022
Ore 17:30

CFZ – Cultural FlowZone Zattere al Pontelungo, Dorsoduro 1392, Venezia

Nell’ambito di “Last Whispers” dell’artista Lena Herzog, presentato da Ca’ Foscari, una serie di eventi sulla fragilità della molteplicità linguistica e culturale

In occasione della presentazione del progetto artistico “Last Whispers” di Lena Herzog si terranno alcuni eventi aperti al pubblico sulla fragilità della molteplicità linguistica e culturale. Il primo è il talk “Identità ai confini: storie dall’Artico” con la fotografa Valentina Tamborra che si terrà martedì 26 aprile alle 17.00

Si prosegue con la presentazione del film “Yonaguni” di Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti giovedì 26 maggio alle 17.00. Le due iniziative si svolgeranno alla Tesa 1 CFZ – Cultural FlowZone Zattere al Pontelungo – Dorsoduro 1392, Venezia. Nello spazio espositivo si terranno inoltre degli incontri organizzati in collaborazione con il Padiglione Italia nel contesto del Public program sul tema arte e sostenibilità che si svolgeranno in forma di conversazione tra artisti e docenti universitari.

Nell’ambito di un progetto artistico che pone lo spettatore di fronte al fatto sbalorditivo che ogni due settimane sparisce nel Mondo una lingua parlata, coinvolgendolo emotivamente attraverso l’utilizzo della realtà virtuale e lasciandolo al contempo sorpreso ed interessato per il lavoro di ricerca culturale, storica, antropologica e semiologica nel quale si è impegnata l’artista, questi eventi collaterali permetteranno stimolanti approfondimenti sul tema della Mostra.

Valentina Tamborra, attraverso il suo lavoro fotografico e conversando con Silvia Burini e Maria Redaelli, presenterà la realtà dei minatori delle isole Svalbard, dei pescatori delle Lofoten fino al popolo nativo dell’estremo Nord, i Sami.

Nel film Yonaguni la scomparsa delle lingue e quindi della cultura delle popolazioni viene trattata attraverso la storia di Naho, Genki, Mau, Mimi e Ichika che vivono a Yonaguni, un’isola giapponese che sembra una roccia e dove si parla una lingua autoctona, che si apprestano ad andare al liceo. Dovranno quindi lasciare l’isola dove sono cresciuti in un mondo che non ha nulla a che fare con quello che dovranno affrontare. Le loro vite, i loro desideri, le loro parole potrebbero essere le ultime tracce di una realtà che scompare.


Per informazioni: arttalks.venice@gmail.com
CFZ – Ca’ Foscari Zattere / Cultural Flow
Zone Zattere al Pontelungo
Dorsoduro 1392

FG COMUNICAZIONE – Venezia
Davide Federici

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Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo
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Venezia, Spazio Thetis: DISINFORMATION di Yaroslav Kamolko

Spazio Thetis, luogo di promozione e d’incontro tra artisti contemporanei ubicato nell’ Arsenale di Venezia, è lieto di presentare DISINFORMATION, la nuova scultura dell’artista Yaroslav Gamolko, che entrerà a far parte della sua collezione permanente grazie alla generosa donazione da parte dell’Artista. 
L’opera sarà svelata al pubblico per la prima volta il 27 aprile 2022 alle ore 12.

DISINFORMATION

Yaroslav Gamolko

Inaugurazione 27.04.2022 ore 12.00
Spazio Thetis – Arsenale Nord, Venezia

Il titolo dell’opera, Disinformation, prende spunto dal periodo di pandemia che abbiamo vissuto durante questi ultimi due anni. Il tema della disinformazione viene interpretato dall’Artista attraverso il “Ready – Made” di Marcel Duchamp, in chiave Dadaista.

Su un piedistallo in ferro è posizionato uno sgabello ribaltato con sopra un sacco di plastica e al suo interno ritagli di quotidiani del periodo giugno – luglio 2021, che ponevano un forte accento sulla “lotta al Covid“ e su quella alle grandi Navi in laguna. Disinformation rappresenta una denuncia del caos e dello spaesamento provocato nelle persone dalla pandemia, anche a causa delle informazioni discordanti che giungevano dai Governi Nazionali, che si sono trovati in difficoltà nel dover affrontare una situazione nuova, sconosciuta e dai risvolti inaspettati. L’opera dell’Artista sarà in dialogo con un altro lavoro attualmente esposto nel giardino di Spazio Thetis, una delle “sculture vestite” realizzate dall’artista Stefano Bressani, in particolare la sua Skultflower Maliumbas Ball, un’opera che affronta il tema dell’incoerenza attraverso l’uso di materiali molto diversi come il ferro, molto ruvido, e il tessuto, invece, assai morbido al tatto.

Spazio Thetis rappresenta la parte culturale e artistica di Thetis spa, società di ingegneria che sviluppa progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio e che vanta un’importante collezione permanente di arte contemporanea, che annovera installazioni come “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto, “L’uomo che misura le nuvole” di Jean Fabre, “Le Sentinelle” di Beverly Pepper, solo per citarne alcune. L’attività artistica di Spazio Thetis si concentra su alcune tematiche: land art, arte ambientale, arte e scienza promuovendo e sostenendo l’arte contemporanea attraverso diverse iniziative presso la propria sede nell’antico Arsenale veneziano con il lussureggiante parco giardino. In tanti anni di attività ha collaborato con importanti istituzioni come musei, gallerie e fondazioni per la realizzazione di mostre temporanee, eventi collaterali Biennale e Padiglioni nazionali, ma anche in qualità di promotore e organizzatore esso stesso. 

L’opera Disinformation

Testo curatoriale di Mauro Di Vito (Curatore e Storico Dell’Arte)

L’opera Disinformation nasce dall’idea del ribaltamento. Uno sgabello, disposto con la seduta a terra e le gambe all’aria, accoglie un sacco di ritagli di giornale scartati durante la lavorazione delle opere-collage. Esso prende spunto dall’ “Orinatoio” di Duchamp. Come in un alambicco alchemico in esso si conserva lo scarto dell’informazione e cioè la Disinformazione stessa, secondo il titolo dell’opera. L’artista mira a una presa di coscienza della realtà, superiore a quella proposta dai quotidiani e dai mezzi d’informazione. Egli si fa demiurgo del senso critico, e intrappola un mondo senza senso per metterci in guardia dalle spire della disinformazione. Anche se ci troviamo in una cornice in cui le notizie viaggiano in pochi secondi da una parte all’altra del mondo, sembra che il mondo sia tornato all’antichità, quando ci si basava sul sentito dire. Lo stile brutale e privo di pose estetizzanti cerca di dare un messaggio genuino di allerta. Nessuno tuttavia può salvarsi, se non l’artista stesso.


SCHEDA INFORMATIVA

DISINFORMATION
27.04.2022
di YAROSLAV GAMOLKO

www.gamolkoart.eu

INAUGURAZIONE
27 aprile 2022 ore 12.00

DOVE
Spazio Thetis, Arsenale Novissimo – Venezia VE
Vaporetto linea 4.1- 4.2 – 5.1- 5.2 Fermata: Bacini 

ORARI DI VISITA 
Da martedì a domenica dalle 10 alle 18 

PRODUZIONE e ORGANIZZAZIONE 
Spazio Thetis

UFFICIO STAMPA 
FG Comunicazione – Venezia 
Cristina Gatti 
+39 338 6950929 
cristina.gatti@fg-comunicazione.it

OPERA
Titolo: “DISINFORMATION “
Anno: 2021
Materiali: Carta, Plastica, Legno, Acciaio, Ferro, Resina

BIOGRAFIA

Yaroslav Gamolko

1995 Nasce a Krupki, Bielorussia
2000-2005 Ha vissuto a Kasnodar, Russia
2014 Si diploma in Industrial Design all’Istituto per l’educazione superiore A. Volta di Pavia
2020 Si laurea all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano in Industrial Design
2021 Diventa membro dell’Associazione Designer Italiani
Vive e lavora a Milano.

Mostre personali

2021 SPAZIO LIQUIDO – BELARUS PAVILION “Covid Prisons 19-21” Venezia
2021 Gamolko Art Gallery, Antica Osteria Bellaria, Vernate Milano
2020 Lombardy Prison Covid – 19”, Villa Racagni, Torrazza Coste, Pavia
2019 “POP ART CAPSULE” Arredamenti Lupo, Milano
2018 “La vita è troppo breve per essere trascurata” Art Prastora, Centro di Arte Contemporanea, Viitebsk
2017 “Drive 4 Dream” presentazione della Alfa Romeo 4c Spider, Hotel Magna Pars, Milano

Mostre collettive

2022 “GRANDANGOLO”, mostra fotografica di Paolo Torres, Spazio Arti Contemporanee, Broletto, Pavia.
2021 “FESTON DA CASURA” Sala Consigliare Città di Casorate Primo
2021 “Rebirth”, Just Cavalli, Milano
2020 “Lombardy prison Covid-19” Comune di Casorate Primo, Pavia
2020 “UNOVIS” 100 OPERE, Centro di Arte Contemporanea di Vitebsk
2019 “Rocks Art” Hollywood, Milano
2019 “L’arte si mostra” Editore Pagine, Palazzo Ferrajoli, Roma
2019 “Contest” Looking for Art, Milano
2018 “Salone d’Ottobre” Palaz Mastaztv, Minsk
2017 “B-art”, Villa Nagos, Milano 2017 “Belarus Fashion Week”, Showroom, Galleria, Minks.        

Gli amici Fauves di Matisse: André Derain

di Sergio Bertolami

43 – I protagonisti

Seppure legati da chiare analogie e da reciproci rapporti, gli espressionisti francesi, che molti preferiscono distinguere come Fauves, hanno visibilmente sostanziali differenze con gli espressionisti tedeschi: quelli della Brücke, ad esempio. Edonisti raffinati i primi, passionali e protestatari i secondi, i quali antepongono alla bellezza dell’immagine dei francesi le asprezze e le irritazioni che scaturiscono loro da una viva partecipazione emotiva verso una società in mutamento. Organizzati e coesi i tedeschi, sciolti e disinvolti i francesi. Denominatore comune è, comunque, una ricerca che supera la realtà oggettiva degli impressionisti, favorendo l’idea che l’arte sia espressione della visione interiore dell’artista. Gli uni e gli altri si rispecchiano nella definizione di Selvaggi, se non altro per i vivacissimi ed eccitati colori che caratterizzano le loro opere. Sono però dei Selvaggi intellettualmente raffinati. Matisse – a Collioure, ad un passo dalla Catalogna, o a Parigi, cuore della Francia e dell’Europa – predilige circondarsi di amici intellettuali, non necessariamente artisti, e di opere d’arte antica e moderna, di stoffe preziose, di quelle sculture in cui i neri della Guinea, del Senegal e del Gabon hanno raffigurato con schiettezza le proprie passioni più paniche. Incroci di sensibilità moderne e primitive. È a Collioure che Matisse si misura, non solo in una nuova pittura, ma anche in una nuova scultura: «Al tono che avevo in passato – evidenzia – ne succederà un altro che, con densità maggiore, lo sostituirà con vantaggio, sebbene sia meno piacevole all’occhio». E per condurre ancora più avanti l’opera di affinamento, fa notare Herbert Read, (Le sculpteur, Hommage a Henri Matisse) l’artista sceglie la scultura, la più “solida” delle arti. A Collioure lo fa lavorando a quattro mani con Aristide Maillol.

André Derain, subito dopo il servizio militare. Foto del 1904

Matisse non ama affatto isolarsi, ma partecipare, condividere. Insiste perché André Derain lo raggiunga per dipingere insieme dal vero, sia paesaggi sia ritratti. Dapprima Derain rifiuta l’invito con il pretesto di essere a corto di soldi, poi scrive che i suoi genitori si rifiuteranno di lasciarlo andare fino all’altro capo della Francia. Alla fine, Matisse vince la resistenza dell’amico. Naturalmente, giunto a Collioure, Derain corre a stabilirsi da Rosette, la locandiera dell’Hôtel de la Gare, la quale, «quando vide questa specie di gigante, magro, tutto vestito di bianco, con baffi lunghi e sottili, occhi da gatto e un berretto rosso in testa, ingombro di una quantità di bagagli e di un parasole più alto dell’ombrello di un doganiere, si rifiutò categoricamente di avere a che fare con questo spettacolo vestito come per il carnevale, ordinando in catalano al suo unico dipendente, Mateu Muxart, di buttarlo fuori. Per fortuna quest’ultimo, che parlava francese, prese le difese dello straniero, un tipo simpatico, sottolineando la sua cortesia, dicendo che si era rivolto a lui gentilmente e gli aveva persino dato familiarmente del “tu”. Rosette farà un’eccezione per il nuovo arrivato. Gli affitta una stanza al primo piano, con vista sul cortile ombreggiato da un fico, un’acacia e un pergolato. Resta inteso che il pasto sarà consumato nell’ampia sala al piano terra che funge da sala da pranzo». Dettagli raccontati da scrittori locali, che via via vengono fuori oggigiorno: Claude Lamboley, dell’Académie des Sciences et Lettres de Montpellier, li riprende da Hilary Spurling, che a sua volta si rifà alla testimonianza di François Bernardi, che ha sentito parlare di questa storia molto tempo dopo i fatti.

Andre Derain, Autoritratto con cappello, 1905

Derain, che allora aveva 25 anni, era, per sua stessa ammissione, alquanto depresso. Ma non passa molto che Amélie Matisse comunica per lettera: «Il signor Derain è con noi da otto settimane e, con mio marito, lavorano sodo nonostante il caldo forte. Quando vieni a trovarci? Ci stiamo divertendo sempre di più qui e abbiamo già fatto diverse escursioni; siamo stati anche in Spagna e siamo felicissimi del nostro soggiorno». Matisse aveva conosciuto Derain nel 1901, quando i due si impratichivano copiando opere dei maestri al Museo del Louvre. Interessato fin dagli esordi alle variazioni di luce e colore, Matisse si era formato alla scuola di Moreau, da cui aveva appreso l’incanto delle immagini, che producevano in lui un grande compiacimento visivo. Quali angosce ed “urli” tedeschi. Benché fosse solo un casaro che faceva anche gelati, il padre di Derain lo avrebbe voluto ingegnere, ma lui, dopo avere compiuto gli studi classici al liceo Chaptal di Parigi, nel 1898 preferì iscriversi all’Accademia Julian.

Andre Derain, Dintorni di Chatou, 1904

L’anno dopo passa all’Académie Camillo, diretta da Eugène Carrière, amico di Pierre Puvis de Chavannes. Nel 1900, viaggiando su di un treno come pendolare, conosce de Vlaminck; l’anno seguente, Matisse, e poi via via, Jean Puy, Albert Marquet, Georges Rouault, che lo convincono tutti ad occuparsi esclusivamente di pittura. Per questo, con Maurice de Vlaminck, Derain affitta una stanza a basso prezzo sull’Ile de Chatou, sulla Senna, dov’era nato. Il giovane de Vlaminck, che all’epoca ha appena sedici anni, lo segue dappertutto, entusiasta ed inquieto. La vecchia casa di pescatori era chiamata Maison Levanneur: fino ad allora ospitava un ristorante e un bar per accogliere gitanti che venivano a godersi la calma dell’isola. Ai piani superiori alcuni ambienti ospitavano inquilini e qualche artista. Derain e de Vlaminck, si stabiliscono nell’edificio ormai abbandonato da “papà Levanneur” dopo la morte del proprietario. Senza un soldo, realizzano i loro primi dipinti. Per riscaldarsi bruciano le sedie inutilizzate del ristorante. In breve, la vecchia casa risalente al 1775 torna a rianimarsi. Molti amici e belle ragazze vi soggiornano, e trasformano l’atelier dei due giovani pittori in uno dei poli fovisti di Parigi.

Andre Derain, Il porto di Collioure, 1905

De Vlaminck e Derain si muovono e dipingono per l’isola e lungo le rive della Senna, da Chatou a Carrières, paesaggi con colori puri, senza neppure mescolare i colori del tubetto. Risale a questo periodo la prima opera importante di Derain: il Ballo a Suresnes (Museo di Saint-Louis, 1903). Il 1905 è l’anno della svolta. Espone al Salon des Indépendants e al Salon d’Automne, ritrovandosi improvvisamente incluso tra i Fauves. Anche se già nelle prime opere, Derain non è del tutto convinto di aderire, pienamente, alla nuova corrente. Ma ne ha un vantaggio: lo stesso anno 1905 firma il contratto col mercante d’arte Ambroise Vollard ( Bougival , olio su tela, 41 × 33  cm , 1905, museo di Le Havre), che lo consiglia di recarsi in Inghilterra. Derain il 24 novembre 1905 gli vende tutto il suo studio (89 fra dipinti e acquerelli) e parte nei primi giorni del marzo successivo. Il progetto imbastito tra artista e mercante prevede di dipingere una cinquantina di vedute di Londra e del Tamigi, che Vollard provvederà a piazzare al suo ritorno. Durante questo primo soggiorno, nella capitale inglese, Derain visita le collezioni del British Museum e della National Gallery. Tuttavia, dipinge molto poco sul posto, per cui i quadri saranno realizzati in massima parte al rientro, nel suo studio di Parigi. Trenta saranno completati tra la primavera del 1906 e la primavera del 1907. A Londra scopre anche l’arte primitiva. Acquista qualcosa, come una scultura lignea dei Fang, un gruppo etnico bantu tra Guinea e Gabon in Africa. Di ritorno, insieme a de Vlaminck inizia a collezionare quella che allora chiamano “arte negra”, oggetti eterogenei di arte popolare, madonne lignee, modellini di navi, strumenti musicali, bronzi del Luristan e del Benin. Ma non si limita a raccogliere esemplari esotici. Prova la scultura a intaglio su legno, interesse che allarga all’incisione e alla pittura su ceramica, conosciuta nell’atelier di André Metthey ad Asnières.

Andre Derain, Donna in camicia, 1906

È sicuramente per Derain un momento di grande rivolgimento artistico. Dipinge Donna in camicia (1906), dal frizzante sensualismo, che anticipa la magistrale Marzella di Kirchner (1909). Intraprende una corrispondenza epistolare con Matisse, che lo indurrà a sperimentare una nuova ricerca espressiva incentrata su linea, colore, forma, luce, e sulla concordanza tra emozioni e sensazioni secondo una modalità armonica musicale. All’inizio del 1907 soggiorna nuovamente a Londra, per la terza volta, e passa poi l’estate a Cassis. Daniel-Henry Kahnweiler diventa il suo nuovo mercante. Sempre nel 1907 incontra anche Braque, Picasso, André Salmon, interessati inizialmente al movimento dei Fauves, ma che presto apriranno la nuova strada del Cubismo. «Mi sento muovere verso qualcosa di meglio, dove il pittoresco conterebbe meno dell’anno scorso per affrontare solo la questione della pittura – scrive a de Vlaminck – cose più raffinate, meno primitive». Per questo motivo ritorna alle sue grandi composizioni decorative (La strada rotante a L’Estaque, Houston Museum) e in autunno riprende ad interpretare i temi preferiti di Cézanne. Il critico Louis Vauxcelles non aveva tutti i torti quando lo rimproverava di “marmorizzare” il maestro di Aix-en-Provence.

Andre Derain, Ritratto di Alice Géry, 1920-1921

Per stare più vicino ai suoi nuovi amici, l’anno successivo si trasferisce a Montmartre e comincia a frequentare il Bateau-Lavoir, sulle pendici della collina, nel quartiere di Clignancourt, dove s’è formato un quartiere d’artisti – non solo pittori e scultori francesi o stranieri, ma anche mercanti d’arte, scrittori e gente di teatro – che vi risiedono e vi svolgono la loro attività. È qui a Montmartre che, a ottobre, incontra per la prima volta Alice Géry, allora sposata con il matematico e teorico del cubismo Maurice Princet. La collezionista Gertrude Stein nelle sue Mémoires la descrive come una «Madonna con i capelli sciolti». Posa come modella per Picasso. Organizza insieme a suo marito produttive serate durante le quali Apollinaire, Max Jacob, Picasso stesso, confrontano modi di vedere e si abbandonano al piacere dell’oppio e dell’hashish. Commentava Maurice de Vlaminck: «Ho assistito alla nascita del cubismo, alla sua crescita, al suo declino. Picasso era la partoriente, Guillaume Apollinaire la levatrice, Princet il padrino» (Comédia, 1942). Più che a Princet, Derain è interessato a sua moglie. Dipingerà più volte il suo volto severo ed elegante. Alice diventerà presto la sua compagna e nel 1926, una volta separata dal marito, i due si uniranno in matrimonio.

Nel corso dell’estate 1909, a Montreuil-sur-mer, prepara le incisioni per il primo libro di Kahnweiler come editore, L’incantatore putrescente (L’enchanteur pourrissant) di Guillaume Apollinaire: colori accesi e smaglianti, senza ombre o chiaroscuri. A settembre Kahnweiler allestisce una mostra che riunisce Derain, Braque e van Dongen. Con Braque ha appena dipinto a Carrières-Saint-Denis. Tirando le somme, Derain, affianca fauves e cubisti, ne sperimenta i toni e le forme, ma non aderisce pienamente ai movimenti. La critica lo descrive come un uomo di cultura vasta e profonda, ammiratore delle opere dei grandi maestri antichi, che in fin dei conti continuano ad influenzare l’armonia della sua composizione. Anche quando, nel 1910, trascorre alcuni giorni con Alice a Cadaques insieme a Picasso e Fernande Olivier, non cede alle audaci tecniche del cubismo. Era reduce dalle esposizioni al Salon des Indépendants di Parigi e al Salon de la Toison d’or di Mosca. Al Salon d’Automne dell’anno precedente aveva presentato una nuova versione monumentale di Baigneuses. Aveva trascorso alcuni mesi a Martigues, per dipingere una nuova serie di paesaggi, eppure in una lettera a Matisse confessava: «Vado a fare paesaggi, ma a malincuore. Ho un’emozione molto bella, molto nobile di fronte al paesaggio che scelgo. Ma nel profondo della mia comprensione, non vedo alcun collegamento tra la visione diretta di questo paesaggio, la sua rappresentazione e l’emozione che provo».

Andre Derain, L’ultima cena, 1911

Derain si svincola dalle correnti. Nel 1911 partecipa a svariate esposizioni a Colonia, Amsterdam, Berlino. Nel 1912 è presente alla mostra Blaue Reiter di Monaco e Berlino, quindi alla mostra internazionale Sonderbund di Colonia. Dal 1911 avvia il periodo detto “gotico”, durante il quale rappresenta figure ieratiche e severe nature morte, come il Sabato (Museo d’arte occidentale di Mosca), le Due sorelle, la Cena, le Saline di Martigues, il Ritratto di Paul Poiret. Sono dipinti ormai lontani dai Fauves e dai Cubisti. Nondimeno, continua a scrivere a Matisse e a dipingere con Braque durante l’estate del 1913 a Sorgues e con Picasso l’estate dopo ad Avignone e Montfavet.

Andre Derain, Les salins de Martigues, 1913

Quando nel 1914 Derain è richiamato alle armi, come artigliere, Picasso accompagna lui e Braque alla stazione di Avignone. Dipinge pochissimo durante la guerra (Ritratto di Paul Poiret , 1916, Museo di Grenoble) e ha problemi finanziari. Matisse aiuta Alice, rimasta a Parigi, a trovare acquirenti interessati alla sua pittura. Dal fronte, Derain scrive a de Vlaminck nel 1917: «Dipingo quadri solo con l’immaginazione. Vorrei fare solo ritratti, ritratti veri, con le mani, i capelli: tutta la mia vita». Ad Alice, nel 1918, confessa il suo sconforto: «La mia testa è piena di gente che non vuole uscire». Saranno proprio Alice e l’amico Apollinaire ad aprirgli la nuova strada del dopoguerra, organizzando la prima personale alla galleria Paul Guillaume ad ottobre del 1916. Derain è ormai tornato alla figurazione classica, lasciando di nuovo spazio al disegno. Si è riconciliato con una pittura chiaroscurata, si rivolge alla migliore cultura italiana e francese, tenendo sempre presente la lezione di Cézanne. «Derain ha studiato appassionatamente i maestri – elogia Apollinaire nella prefazione del catalogo – Allo stesso tempo, e con impareggiabile audacia, è andato al di là delle cose più audaci dell’arte contemporanea per riscoprire con semplicità e freschezza i principi dell’arte e le discipline che da essi scaturiscono».

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay