Dove il magnifico Promothore Advocato Fiscale legge il lungo elenco dei capi d’accusa, coperto dal segreto sui testimoni. Pellegrina si trova a rispondere solo immaginando chi possa averla accusata. Per non essere compromessa, ammette i reati meno gravi e nega tutto il resto.
Martedì 30 aprile 1555.
Il giorno successivo la scena si ripeté, come un incubo angoscioso e ricorrente.
Pellegrina fu nuovamente prelevata dalla cella per comparire alla presenza dell’inquisitore Sebastiàn.
Le chiesero, di nuovo, se avesse intenzione di dire la verità, perché si sarebbe usata con lei misericordia. Altrimenti si sarebbe fatta giustizia.
Rispose di avere già confessato e di non avere altro da dire.
Il magnifico Promothore Advocato Fiscale raggiunse il suo scranno. Scartabellò il fascicolo, poi rivolgendosi con parole d’ossequio verso l’Illustrissimo e Reverendissimo domino Episcopo et Inquisitore presentò la sua accusa contro la suddetta Pellegrina per iscritto, supplicando sua signoria reverendissima di disporne l’inserimento nei documenti del processo e chiese d’interrogarla.
Accusatio.
«Illustrissimo e reverendissimo seňor… Io, promotore fiscale di questo Sant’Officio dell’Inquisizione, compaio innanzi a vostra signoria e, nel miglior modo, cito e formalmente accuso penalmente la presente Pellegrina Vitello, moglie di Leonardo Vitello setaiolo, carcerata in questo Sant’Officio.
L’accusata stessa ammise d’essere cristiana naturale, la qual professione di fede io accetto, e affermo che così da ognuno era reputata e considerata, godendo di tutte le immunità ed eccezioni ai cristiani concesse.
Pur tuttavia, non tenendo odio, ha operato magarie incantatorie con l’invocazione dei diavoli, contro la nostra Santa fede Cattolica…».
Sottacendo nel modo più assoluto qualsiasi riferimento a persone, il promotore iniziò la sua lunga e dettagliata elencazione dei capi d’accusa.
«Per primo… pongo che la detta Pellegrina, trovandosi in una certa casa, nella quale voleva sanare una persona che diceva di essere soggetta a maleficio, disse: ecco la maya che io ho trovato e mostrò un cuore di cera, nel quale stavano conficcati certi spilli e polvere nera. Tolse, perciò, gli spilli e gettò via il cuore di cera.
Per secondo… pongo che, volendo un’altra volta guarire una persona, disse che teneva una fattura e che lei stessa l’avrebbe trovata, cosicché, a una ora della notte, con una candela in mano, cercando fuori della porta la fattura, all’improvviso spense la candela e gridò di averla trovata.
Per terzo… pongo che la detta Pellegrina disse a una certa persona che teneva un maleficio; sostenendo che, se avesse voluto, poteva mostrarglielo. Allora Pellegrina scappò a frugare sotto la scala e ne uscì una maya di cera con argento vivo, e le disse che era quello l’incantesimo che l’affliggeva. Per disfarlo, prese latte di donna e acqua benedetta, pronunciando certe parole.
Per quarto… pongo che, poiché una certa persona era in procinto di essere torturata, la detta Pellegrina le dette un pezzo di pane, scritto di certe lettere, e facendolo rimase incantata nel guardare una caraffa, nella quale erano contenute acqua e certe cose nere che pareva fossero demoni.
Per quinto… pongo che, avendo una persona perduto un anello e volendolo ritrovare, la detta Pellegrina guardò in uno specchio, posando la berretta della persona stessa sopra il detto specchio. Indovinò chi nascondesse l’anello e dove stava.
Per sesto… pongo che, volendo una persona sapere se le avessero fatto qualche legatura d’amore, andò dalla detta Pellegrina, la quale, fissando lo sguardo in un circolo, disse che non aveva niente, ma che era soltanto benevolenza.
Per settimo… pongo che una certa persona si recò dalla detta Pellegrina e la pregò di guarire una sua figlia. La suddetta Pellegrina le chiese un oggetto concordato, appartenente al marito della giovane. Lo prese e, posandolo sopra di uno specchio, disse che la figlia di questa persona stava bene e sana, ma che teneva una maya, che Pellegrina avrebbe rimosso.
Per ottavo… pongo che una certa persona pregò la detta Pellegrina di donarle qualche rimedio, affinché suo marito non se ne andasse, e detta Pellegrina le fornì certe polveri gialle, perché gliele desse da mangiare.
Per nono… pongo che, presentandosi in una certa casa, la detta Pellegrina disse che c’era una maya, fatta contro la persona di un tale. Indicò che la magaria stava in un angolo nascosto, nei pressi del pozzo interno alla casa. Dopo aver scavato, disse di aver visto l’oggetto avvolto in certe pezze, ed esclamò: ecco qua la magaria!
Per ultimo… pongo che la suddetta Pellegrina ha compiuto altre cose contro la nostra Santa fede Cattolica, e ciò intendo provare, così come la dichiaro e l’accuso di essere incorsa in una sentenza di scomunica maggiore.
Vostra signoria le fece le consuete ammonizioni processuali, offrendole la misericordia della Santa Madre Chiesa. L’accusata tutto rigettò, non volendo confessare la verità. Per questo insisto e supplico la vostra signoria di voler dichiarare la detta Pellegrina di essere una magara, che ha fatto uso d’invocazioni di demoni, com’è evidente. Tutto questo in seguito dimostrerò, a compimento di giustizia».
Il promotore avvocato fiscale terminò il suo atto d’accusa e sedette.
Enorme era la vaghezza di quelle imputazioni e difficilmente Pellegrina vi avrebbe potuto associare con certezza un volto. Cosa sarebbe accaduto non poteva immaginarlo, ma capiva che il processo si era spinto troppo avanti. Era giunto il momento di scegliere fra subire oppure opporsi agli eventi che il destino le aveva riservato.
«Responsio».
Il cancelliere aveva letto ciascun capo d’imputazione, parola per parola, affinché l’accusata bene intellecta – sana di mente – rispondesse alle accuse.
Pellegrina ammise la prima imputazione, dicendo che confessava di essere andata in diverse case a visitare donne e dava a intendere loro che tenevano una magaria. Lasciava la stanza e scendeva a cercarla al pianterreno dove la greca aveva detto d’averla facilmente nascosta e in quel luogo, altrettanto facilmente, la trovava. Furono tante da non ricordarsi se fossero cuori o papattole di pezza.
Rispetto al secondo capo d’accusa, vale a dire quando a un’ora della notte con una candela in mano andava scovando sortilegi, rispose come sopra. Era un sistema usato di frequente, per sfruttare suggestione e sorpresa nel far comparire dal buio l’oggetto nascosto.
Per quanto riguardava la terza imputazione, Pellegrina ricordava che un avvenimento del genere era accaduto in casa di Francesco Mòllica, essendo egli stesso malato da parecchio tempo. Trovò la maya fuori della porta. Aggiunse, con questo, che il suo accusatore non si riferiva a Mòllica, ma a un’altra volta. Pertanto, chi la denuncia ci pensi bene e in tutto dica la verità. Ripeté che essa stessa non si ricordava di nessun’altra volta e di nessun altro posto.
Con riferimento al quarto capo d’accusa, Pellegrina obiettò con decisione di non aver mai fatto nulla di simile.
Ciò valeva anche per la quinta, sesta, settima, e ottava imputazione. Negava risolutamente tutto, senza volere aggiungere nulla di più.
Riferendosi al nono punto disse: che è passato tanto tempo da non ricordarsi, e d’altra parte aveva più volte confessato d’aver fatto diverse magarie.
Quando terminò di parlare, si ritrovò in un bagno di sudore. Stremata. La corte decise di fissare la data ultima entro cui il magnifico promotore fiscale avrebbe fornito le prove definitive dell’incriminazione.
L’udienza fu conclusa e l’accusata ricondotta al carcere.
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