I Vincitori del Bando Internazionale Residenze Festival del Tempo/Genova BeDesign Week 2022

La Giuria della Call Internazionale promossa da Dide Distretto del Design e Festival del Tempo composta da Anna Daneri – Curatrice, Maria Cristina Finucci – Architetto e Artista, Luca Gibello – Direttore Il Giornale dell’Architettura, Marco Guarino – Architetto_Ordine Architetti PCC Genova, Gianluca Peluffo – Architetto_Peluffo & Partners-, dopo attente valutazioni dei 30 progetti partecipanti al Bando Internazionale Residenze, ha nominato i 4 progetti vincitori delle residenze che si svolgeranno a Genova (GE) dal 14/16 maggio al 22 maggio 2022 e che verranno inaugurate durante la Genova BeDesign Week il 18 maggio 2022.

I quattro vincitori del Bando Internazionale Residenze sono:

Jonida Xherri con il progetto “Intrecci di sogni”

Charlotte Coquelicot Mafille Esposito con il progetto “Corpi danzanti”

Diego Repetto con il progetto “Flow time_the next step”

Ars Ruralis con il progetto “Pòrtàle Altrove”

La Giuria ha evidenziato la qualità che contraddistingue la maggior parte dei progetti in concorso, attenti alle caratteristiche dei luoghi e con la specifica volontà di stabilire un percorso di partecipazione e coinvolgimento con gli abitanti e con i visitatori. In particolare, i quattro progetti selezionati presentano un’alta aderenza al tema della call e allo spirito della design week insieme a innovazione nelle pratiche artistiche e a nuovi indirizzi di linguaggio.

Ai vincitori 500,00 euro di premio e ospitalità per tutto il periodo della residenza.

Inoltre è stata conferita una menzione speciale, da parte della direttrice artistica del Festival del Tempo Roberta Melasecca, al progetto Sotto sforzo di Anahi Mariotti che potrà essere realizzato in altro tempo e luogo sempre nell’ambito del Festival del Tempo.


INFO

Genova Design Week
Associazione Distretto del Design APS
Via Chiabrera, 33 R – Genova
Tel.: +39 0102367619
segreteria@didegenova.ithttps://www.didegenova.it

Festival Tempo
Associazione culturale blowart
Direttrice artistica Roberta Melasecca
tel. +39 3494945612
info@festivaldeltempo.itwww.festivaldeltempo.it

Ufficio stampa DiDe Distretto del Design
mail: tomaso.torre@libero.itpress.didegenova@libero.it

Ufficio Stampa Festival del Tempo
mail: press@festivaldeltempo.it

Roma: Rosso20sette presenta la mostra “When the walls become canvas”

Sabato 7 maggio 2022 Rosso20sette arte contemporanea presenta la mostra When the walls become canvas, a cura di Tiziana Cino e Stefano Ferraro, con un testo ed interviste di Giorgio Silvestrelli. In questa collettiva 13 street artist internazionali -Daniel Eime (Portogallo), Lidia Cao (Spagna), Solo (Italia), Diamond (Italia), Ligama (Italia), Oniro (Italia), Luogo Comune (Italia), Alessandra Carloni (Italia), MauPal (Italia), Jerico (Filippine), Chekos’Art (Italia), Fabio Petani (Italia), Motore Fisico+Mafm (Italia)- realizzano su tela alcuni dei loro più importanti murales; saranno, inoltre, esposti alcuni bozzetti originali e un modellino di un murale dei Motore Fisico realizzato insieme ai Mafm.

When the walls become canvas

A cura di Tiziana Cino e Stefano Ferraro
Testo ed interviste di Giorgio Silvestrelli

Artisti: Daniel Eime (Portogallo), Lidia Cao (Spagna), Solo (Italia), Diamond (Italia), Ligama (Italia), Oniro (Italia), Luogo Comune (Italia), Alessandra Carloni (Italia), MauPal (Italia), Jerico (Filippine), Chekos’Art (Italia), Fabio Petani (Italia), Motore Fisico+Mafm (Italia)

Opening sabato 7 maggio ore 18.00

Rosso20sette arte contemporanea
Via del Sudario 39 – Roma

Fino al 24 giugno 2022

“Un’opera d’arte nasce sempre da un’idea. L’idea inizia a prendere forma in uno sketch. Una matita, un foglio di carta o un pc sono gli strumenti per trasformarla in realtà. A questo punto l’artista è chiamato a scegliere il supporto definitivo dove la sua idea vivrà. Gli street artist sono quella particolare categoria di creativi che ha deciso, razionalmente o meno, che le loro opere vivranno in mezzo alla gente, sui muri delle città. Fare un murale è sempre una vera impresa. Non importano le dimensioni, dipingere in strada è sempre un’avventura. Sono tante le incognite e poche le certezze.

Il meteo è uno di quei fattori con cui ognuno di noi deve fare sempre i conti, ma per gli street artist è un elemento decisamente non trascurabile. Chi dipinge in strada ha la consapevolezza che starà sotto al sole o al freddo per molte ore al giorno. Alle volte il caldo intenso e il freddo pungente si alternano nella stessa giornata. Per non parlare della pioggia che può distruggere in pochi minuti ore di lavoro. Quando si realizza un murale, l’ambiente circostante non è un elemento da sottovalutare. L’opera dovrebbe incastonarsi in quel determinato spazio urbano, quasi come se ne avesse sempre fatto parte. Altrimenti il tutto verrebbe percepito come una forzatura, un esercizio di stile o, peggio, uno “sgarbo” nei confronti delle persone che vivono in quel luogo. Affinché ciò non avvenga, gli artisti si sentono quasi obbligati a studiare il territorio e le sue storie. Dipingere in strada significa rinunciare a tutte le comodità del lavoro in casa o in studio. Non ci sono sedie, i bagni sono sempre un’incognita e c’è sempre tanta confusione. C’è il frastuono del camion elevatore che porta gli artisti a vette vertiginose, il caratteristico suono delle bombolette che vengono agitate, il rumore provocato dallo spostamento di scale, secchi pieni di vernice o acqua e, naturalmente, il traffico e le voci dei passanti. Complimenti, parole di ammirazione, curiosità, stupore, gioia e a volte anche rabbia o amarezza. Il confronto con il pubblico, che ogni artista vive in maniera assai personale, avviene immediatamente, senza filtri, senza censure o pudore. Forse è proprio questo stretto contatto con la gente uno dei tanti fattori che spinge sempre più persone a produrre opere di street art o ad appassionarsi a questo movimento artistico.

Quando un murale è finito, dopo le foto di rito, si ritorna a casa con le ossa rotte, sporchi, con uno zaino pieno di sorrisi e con le occhiaie, ma anche con tante storie. Quelle vissute sulla propria pelle in quei lunghi giorni folli e quelle che le persone sentono la necessità di raccontare a chi dipinge. E sono molte. Ancora oggi resta, per me, un mistero il perché la gente empatizzi immediatamente con chi dipinge un muro e senta la necessità di fare domande o esporre la propria opinione. La street art ha il dono di parlare a tutti, nessuno escluso, e molti sentono il diritto/dovere di esprimersi in merito a quanto sta avvenendo davanti ai loro occhi. L’insieme delle storie e delle esperienze fa sì che ogni murale sia unico e irripetibile, per gli artisti ma anche per le persone e quindi, a tutti gli effetti, è un’autentica opera d’arte.” (dal testo di Giorgio Silvestrelli)


INFO
When the walls become canvas
A cura di Tiziana Cino e Stefano Ferraro
Testo ed interviste di Giorgio Silvestrelli

Artisti: Daniel Eime (Portogallo), Lidia Cao (Spagna), Solo (Italia), Diamond (Italia), Ligama (Italia), Oniro (Italia), Luogo Comune (Italia), Alessandra Carloni (Italia), MauPal (Italia), Jerico (Filippine), Chekos’Art (Italia), Fabio Petani (Italia), Motore Fisico+Mafm (Italia)

Opening sabato 7 maggio ore 18.00

Fino al 24 giugno 2022
Orari: dal martedì al sabato 11-19.30 – domenica su appuntamento

Rosso20sette arte contemporanea
Via del Sudario 39 – Roma
info@rosso27.com
tel.06 64761113
www.rosso27.com

Ufficio stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next
roberta.melasecca@gmail.com / 349.4945612
www.melaseccapressoffice.it
www.interno14next.it

Gli amici Fauves di Matisse: Jelka Rosen

di Sergio Bertolami

44 – I protagonisti

La mostra al Salon d’Automne del 1905, aperta al Grand Palais di Parigi, destò, dunque, scandalo. Colpì per l’audacia nell’uso dei colori veementi. Lo scrittore Camille Mauclair disse che «un barattolo di vernice era stato buttato in faccia al pubblico» e col termine “vernice” intendeva proprio il materiale adoperato dagli imbianchini per tinteggiare le pareti di uno stabile. Si può chiamare comunemente pittore un imbianchino, ma fare il contrario, chiamare imbianchino un pittore, è sicuramente segno di disprezzo. Né più né meno che denominare fauves questi pittori in mostra, come fece Louis Vauxcelles. Scrisse che il candore dei busti marmorei presenti nella medesima sala – come il candore delle imbiancature delle maestranze, sottintese da Mauclair – sorprendevano «in mezzo all’orgia dei toni puri», quanto Donatello tra le bestie feroci. Matisse facilmente avrebbe potuto ottenere l’approvazione del pubblico, che nell’applaudirlo come a teatro lo avrebbe incitato con bene! … bravo! e magari esortato al bis! Aveva, invece, preferito farsi sbranare dalle belve del circo come una verginella. Derain, dal canto suo, s’era rivelato «più un artista di manifesti che un pittore». Ho provato a descrivere la ricerca espressiva di Matisse e Derain in quella calda estate del 1905 a Collioure. Ma chi erano gli altri pittori saltati all’occhio critico di Vauxcelles? Marquet era il primo. Gli facevano compagnia i signori de Vlaminck, Ramon Pichot, Girieud, Manguin, Camoin. Fra tanti uomini, non mancava una donna, Jelka Rosen.


Jelka Rosen, Frederick Delius nel giardino della sua casa a Grez-sur-Loing,

Jelka Rosen

Comincerei da lei, perché incontrare un’artista donna che ufficialmente espone al Grand Palais non è certo consueto. Infatti, Vauxcelles le dedica poco meno di un accenno: «La signorina Jelka Rosen usa colori ribes molto acidi, la sua fantasia è comunque decorativa». Influenzata delle sue radici impressionistiche, frammiste ormai all’estetica del puntinismo, l’artista dipinge i fiori del giardino della sua casa a Grez sur Loing; ma anche suo marito, il musicista Frederick Delius, ha evocato quello stesso giardino nel poema sinfonico In a Summer Garden (1908).

Jelka Rosen, Ritratto di Frederick Delius, 1912

Hélène Sophie Emilie Rosen, amichevolmente chiamata Jelka, nata nel 1868 a Belgrado (importante centro dell’Impero Austro-Ungarico), era figlia di un diplomatico prussiano e, da parte di madre, nipote di un noto compositore. Aveva trascorso gran parte della sua infanzia in Vestfalia, in Germania, e già dalla prima infanzia parlava tre lingue. Quando nel 1891, accompagnata dalla madre appena rimasta vedova, Jelka si stabilì a Parigi per studiare arte affittò una stanza nel quartiere di Montparnasse e qui conobbe musicisti come Maurice Ravel – compositore del famosissimo Boléro – o artisti come Auguste Rodin, Paul Gauguin, Henri Rousseau, Edvard Munch, le cui opere orneranno più tardi la sua casa da sposata.

Conobbe anche donne come Camille Claudel o Ida Gerhardi, i cui contributi artistici non sono sovente riportati nelle comuni Storie dell’arte. Questo a dimostrazione dell’eccezionalità di trovare una donna in ambienti tipicamente maschili. Scrivere, infatti, che a Parigi Jelka Rosen studiò arte, sottintende che frequentò privatamente uno dei tanti studi che preparavano a sostenere l’esame di accesso all’Académie des Beaux-Arts. Una conquista culturale ottenuta da poco, perché solo dal 1900 – ben undici anni dopo la prima formale richiesta di ammissione alle Beaux-Arts presentata da Madame Bertaux – le donne potevano seguire un laboratorio loro riservato all’interno dell’Accademia. Dal 1903, le donne furono persino autorizzate a presentare domanda per concorrere al prestigioso Prix de Rome. Jelka Rosen studiò solo all’Accademia dello scultore italiano Colarossi, ma non entrò mai alle Beaux-Arts. l’Académie Colarossi, come l’Académie Julian, aveva corsi misti. Insegnamenti privati, dunque, che offrivano possibilità di sviluppare i propri interessi artistici anche alle donne, ma a costi elevati: solitamente il doppio di quelli richiesti agli studenti maschi.

Jelka Rosen e  Ida Gerhardi nella classe di pittura dell’Accademia Colarossi a Parigi intorno al 1892/93

Dell’arte di Jelka Rosen non avremmo parlato affatto se non l’avessimo incontrata nella sala VII del Salon d’Automne del 1905, perché dopo qualche anno abbandonerà gradualmente la pittura. Sposatasi nel 1903, si dedicherà alla casa e al marito ammalato, come sovente accadeva. Ma come si era trovata fra gli artisti della mostra scandalo? Semplice, attraverso le sue esposizioni al Salon des Indépendants. Jelka Rosen rappresentava paesaggi ariosi – tutt’altro che fauves – con colori pastello ispirati dalle sue vacanze in Inghilterra e Norvegia, oppure attratta dai colori dei fiori del suo giardino. Dipingeva in compagnia di Ida Gerhardi. Le due donne trascorrevano l’estate applicandosi insieme (com’era uso fra gli artisti) e in alcune occasioni avevano esibito le loro opere in mostre pubbliche, dove erano state accolte con successo. In particolare, l’annuale Salon des Indépendants, dove Matisse l’aveva notata e invitata a frequentare la sua cerchia di artisti che a lui facevano capo. Il Salon des Indépendants era un trampolino di lancio per molti e lo fu anche per Jelka Rosen. Fernand Léger – pittore anche lui indipendente che sceglierà il cubismo – raccontava il Salon così: «È soprattutto una fiera di pittori per pittori, una fiera di dimostrazioni d’arte, il suo eterno rinnovamento, che è poi la sua ragion d’essere. Il Salon des Indépendants è un salone per dilettanti, il salone degli inventori. I borghesi che vengono a ridere di queste palpitazioni non sospetteranno mai che si stia recitando un dramma completo, con tutte le sue gioie e le sue storie. Se ne fossero consapevoli, perché in fondo sono brave persone, vi entrerebbero con rispetto, come in una chiesa». Jelka Rosen, anche se per breve tempo, entrò a fare parte di questa chiesa.

Jelka Rosen, The Garden at Grez,
Jelka Rosen in età avanzata

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay