Roma, Cappella Orsini: “Anime Prive – in cerca di cibo” – Mostra dell’artista romano ANDREA MODESTI

Anime Prive – in cerca di cibo è la prima mostra dell’artista romano ventunenne Andrea Modesti.

Dal 27 maggio al 3 giugno, circa 30 opere di Modesti sono ospitate nella splendida cornice di Cappella Orsini in una mostra a cura di Claudia Rebecca Saso.

Nella continua ricerca di una tecnica personale, attraverso gli elementi naturali uniti all’attenzione e alla ricerca dell’energia della terra, l’artista spazia da percorsi cromatici a segnici, senza soluzione di continuità.

Dal chiaro allo scuro, dalla ricerca tonale all’uso del colore puro, sempre con lo sguardo rivolto alla realtà, Modesti modifica l’immagine attraverso la mente, esprimendo sentimenti ed emozioni. Non tralascia la rappresentazione di temi sociali, che rappresenta con grande perizia applicando gli studi di anatomia e di composizione usati dai grandi maestri del Cinquecento italiano, rivivendoli attraverso gli accadimenti del nostro tempo.
“Un artista giovane attento alla cronaca e alle tematiche sociali che non tralascia però la speranza nel futuro”, così lo definisce la curatrice della mostra Claudia Rebecca Saso.

Le opere dell’artista romano si distinguono per la loro composizione: la materia è il tratto caratteristico di Modesti che arricchisce di volta in volta l’olio su tela con materiali e vari elementi: attraverso la combinazione di materie come inchiostri, argilla, bitume, rovi, metalli preziosi, sabbia e acqua di mare, riesce a dar vita alle emozioni dei soggetti raffigurati. In mostra opere come Santa Teresa e Madonna della seggiola realizzati ad olio con impasto materico e Dafne realizzata con materia e rovi su tela.
I quadri, i bozzetti e le sculture in mostra sono stati realizzati tra il 2017 e il 2022 e raccontano il processo creativo e artistico con il quale Andrea Modesti si affaccia al mondo dell’arte: visti con gli occhi del ventunenne artista romano le opere raccontano malattie, la pandemia, l’olocausto, la violenza sulle donne senza però tralasciare il tema più intimo e introspettivo che guarda al rapporto con sé stessi.

Promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e dal Municipio Roma I Centro, la mostra è prodotta e organizzata da Fulcro Lucem, società che si occupa di eventi e management artistico composta da tutti giovanissimi imprenditori, con il supporto di Cappella Orsini, sede dell’evento.


UFFICIO STAMPA
ufficiostampa@fulcrolucem.com
M. +39 366 4435942

Gli amici Fauves di Matisse: Louis Valtat e Henri Manguin

di Sergio Bertolami

47 – I protagonisti

L’iniziatore e animatore ufficiale del gruppo dei Fauves, come si sa, èHenri Matisse. Al suo nome è consuetudine associare almeno quelli di Marquet, Derain, de Vlaminck, di cui ho già scritto nelle pagine precedenti. Poche note sommarie, si capisce, perché per approfondimenti non mi stancherò mai di rimandare alle fonti originali, quanto ai copiosi saggi critici. Derain e de Vlaminck sono gli artisti di Chatou, l’isola della Senna a un tiro da Parigi, dove hanno stabilito studio e residenza. Matisse di loro dice che usano il colore come “cartucce di dinamite”. Ma già dai primi anni del 1900 Matisse, aveva attratto a sé anche altri compagni. Quelli dei primi passi nell’atelier Moreau e nell’Académie Carrière, dove avevano fatto amicizia Rouault, Camoin, Manguin, Puy. A questi, aggiungono il proprio entusiasmo i tre giovani ex-impressionisti provenienti da Le Havre (Friesz, Braque, Dufy). Il denominatore comune dei Fauves si ricapitolava nella rivendicazione della libertà totale dell’artista di fronte ai fatti della natura. Di qui si apriva ogni nuova visione, a cominciare dalle possibilità da esplorare da parte dell’Espressionismo, del Cubismo, del Futurismo, dell’Astrattismo: cioè di quella serie di correnti alternative al fauvismo stesso che nel giro di soli sei anni, con decisione, prenderanno il sopravvento. Questo perché la lezione comune dei Fauves tendeva a sgretolarsi, per via delle diverse sensibilità artistiche manifestate all’interno di un gruppo niente affatto coeso. Non mancò di ravvisarlo Apollinaire, che riferendosi alla personale ricerca di Derain spiegava le compenetrate istanze fauviste e cubiste dell’artista suo amico con il recupero di un certo realismo classicista. Vista dall’esterno, la difficoltosa ricerca di una espressività autonoma può suscitare confusioni, facili e insorgenti equivoci. Non solo il pubblico, ma anche la letteratura critica, tende spesso a segmentazioni nette, rivelando incertezze di fronte ai ripensamenti dei singoli artisti. Le correnti non sempre riescono ad aggregare gli animi irrequieti.  

Ritratto di Louis Valtat 
intorno al 1904 (a 35 anni) opera di Auguste Renoir

Louis Valtat (Dieppe 1869 – Parigi 1952), ad esempio, è considerato un precursore dei Fauves, perché inizia usare tinte forti e vivaci fin dei primi anni del 900, influenzato com’era dal rapporto con i pittori Nabis, che frequentava al Caffè Volpini di Parigi. Aveva trascorso l’infanzia a Versailles, iscrittosi poi all’Académie Jullian, s’era legato a Nabis e ai pointilistes. Tra il 1899 e il 1913 aveva preso a dividere il proprio tempo fra Parigi e Anthéor. Qui, riassumendo i temi agresti suscitati dagli splendidi paesaggi che la natura esprimeva, li aveva restituiti attraverso una straordinaria tavolozza dai colori brillanti e luminosi. Colori che lo faranno collocare fra i precorritori del movimento nato nell’ideale “cage” del Salon d’Automne. Perché ideale? Semplicemente perché le cinque opere che Valtat aveva presentato vennero esposte nella sala XV, insieme a quelle di Kandinskij, Jawlensky e altri artisti. Tuttavia, la critica le accomunerà a quelle dei Fauves della sala VII. Le bestie feroci ruggivano, dunque, anche fuori della gabbia. Tuttavia, per l’artista Valtat, i colori brillanti e solari dei suoi paesaggi servivano a trasmettere sensazioni avvertite di serenità e pace interiore di fronte agli spazi ampi e assolati. A suo vantaggio concorreranno in seguito anche i luoghi in cui vivrà, dopo la Prima guerra mondiale, ovvero la Bretagna e la Normandia. Lo ispireranno ad opere lontane dagli influssi delle avanguardie, quanto piuttosto legate ad un linguaggio naturalistico, libero e personale.

Henri e Jeanne Manguin, 1900

Henri Manguin (Parigi 1874-Saint-Tropez 1948) è uno dei primi ad abbandonare la descrizione realistica, per avvicinarsi ad un uso libero e disinvolto dei colori, distinguendosi comunque per una maggiore coscienza della forma. Dal 1902 espone al Salon des Indépendants e dal 1904 al Salon d’Automne (Davanti alla finestra, 1904, Parigi, collezione L. Manguin). Anche nel suo caso, come in altri pittori del gruppo, il suo cromatismo vivace ha valenza espressiva ed emotiva, dapprima ispirato al puntinismo di Paul Signac, che Manguin ha conosciuto nel 1905 durante un soggiorno a Saint-Tropez. Vi trascorre le estati, lavorando alacremente “dal vero”, con l’utilizzo di tonalità più tenui rispetto al gruppo fauve, laddove prevalgono aranci e violetti, colori più adatti a rendere l’intensa luminosità dei paesaggi del Mezzogiorno francese (14 luglio a Saint-Tropez, 1905; Honfleur: il piccolo porto, 1924). Sono colori che continuerà a utilizzare anche quando la fase fauve si sarà affievolita. Così come manterrà anche i medesimi temi paesaggistici espressi con libertà di segno e di tratto. Non ha, però, il convincimento di proseguire fino in fondo la rivoluzione dimostrata dal movimento e, in quasi tutte le sue opere, mantiene la traccia di una tradizione convenzionale, che la critica riscontra immancabilmente nelle sue opere.

Altri nomi li scorreremo velocemente nelle prossime pagine (Continua).

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay