La confusione di questi giorni, dettata da tre crisi che si sono accavallate inaspettatamente, sta creando un clima arroventato, non solo sui mezzi d’informazione, ma soprattutto sui social network. Ognuno è portato a sostenere la propria opinione, sulla base di notizie frammentarie, non verificate e spesso addirittura inventate. Ognuno tratta la crisi politica come farebbe al bar con gli amici, la crisi istituzionale non avendo mai letto per intero la costituzione, e infine la crisi economica avendo partecipato al massimo alle discussioni del proprio condominio. È vero quello che diceva Pericle che già nella Atene dei suoi anni, tutti avevano una capacità di giudizio, benché in pochi fossero in grado di dare vita ad una politica. Ma oggi sembra che ciascuno voglia rifarsi la politica, le istituzioni, l’economia, adottando un metro di giudizio del tutto individuale. Lasciamo dunque i lettori a discutere liberamente, perché sempre come diceva Pericle “un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile”. Consiglieremmo tuttavia di obiettare, confutare, ribattere, con meno superficialità. Ecco perché oggi, in questa pagina di FLIP, proponiamo un tema complesso legato ad un pensiero complesso, chiedendo a ciascuno di noi di considerare che, siccome “io penso” (come diceva Cartesio), non sempre “io penso” comunque bene.
Riprendiamo quindi un articolo dal Corriere della Sera, che non tratta gli argomenti all’ordine del giorno, ma che a noi pare si attagli efficacemente al nostro difficoltoso momento. Il tema è quello del sacrificio di Isacco; tema talmente lontano da non potere essere considerato una intromissione nel pensiero di nessuno dei lettori. Serve unicamente per indurre a riflettere, perché è un argomento estremamente complesso, dal momento che intervengono due concetti fondamentali: il primo è quello della fede e il secondo è quello della morale. La storia la conoscono tutti. I protagonisti sono tre: Dio che dà un ordine che moralmente contraddice il suo stesso dettato di non uccidere. Abramo, il quale è messo alla prova di rispettare per fede la volontà di Dio padre. Ma c’è anche Isacco che consapevolmente accetta di farsi uccidere per rispettare, a sua volta, l’imposizione fatta a suo padre Abramo di sacrificarlo al Signore. Una vicenda apparentemente assurda alla luce di noi contemporanei. Ecco perché non saremo noi a trarre le fila del discorso, ma lasceremo ad uno scrittore di spicco come Claudio Magris di esporre il tema. Lo fa, in modo puntuale, attraverso la filosofia di Soren Kierkegaard, che al racconto biblico ha dedicato una delle sue opere più importanti, ovvero Timore e tremore. Con lo pseudonimo di Johannes de Silentio, Kierkegaard analizzò il personaggio di Abramo, esponendo le ragioni etiche e religiose della sua abnegazione, apparentemente inspiegabile sotto il profilo etico, in ossequio alla fede verso Dio.
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IL SACRIFICIO DI ISACCO è un episodio del libro biblico della Genesi. Il suo racconto si trova in Genesi 22,1-18. Dio, per mettere alla prova la fede di Abramo, gli ordina di sacrificare il proprio figlio Isacco. Abramo si reca senza esitazioni sul monte Moriah. Mentre Abramo sta per compiere diligentemente il sacrificio, impugnando già il coltello, un angelo del Signore scende a bloccarlo e gli mostra un ariete da immolare come sacrificio sostitutivo. La scena, interpretata come prefigurazione del sacrificio di Cristo, è uno degli episodi salienti del Pentateuco. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).