Il 21 giugno 1969 Georges Pompidou vince le elezioni della Quinta Repubblica francese. Il suo settennato presidenziale è rimasto incompiuto perché, colpito dalla Macroglobulinemia di Waldenström, scomparirà prematuramente nel 1974. Per un po’ di tempo la malattia è tenuta segreta e i particolari sono stati rivelati solo recentemente dal figlio Alain in Georges Pompidou – Lettres, notes et portraits1928-1974. Nonostante la tragica conclusione del mandato abbia interrotto la sua attività, gli anni del suo governo sono ricordati in Francia con l’espressione Années Pompidou ovvero gli anni in cui le scelte politiche ed economiche caratterizzano il benessere nazionale. Succede al generale De Gaule dimessosi dopo il referendum perduto del 1969, ma quando quel 21 giugno diventa Presidente della Repubblica, non è un idolo, un eroe nazionale, ma un uomo “normale”. In modo che appare ironicamente lapalissiano, spiega: «Un président qui n’est pas le général de Gaulle ne peut pas gouverner comme le général de Gaulle», un presidente che non è il generale de Gaulle non può governare come il generale de Gaulle. È scontato, dunque, il risultato delle scelte, a cominciare da quelle politiche. Nel “Nodo Gordiano”, il suo testamento politico, il Presidente ricorda come tutti gli anni del dopoguerra abbiano costituito il tentativo affannoso di un “ritorno alla normalità”. Per questo esorta il Paese: «In passato c’era speranza, che fosse speranza in questo mondo o nell’aldilà. Non è quello che ci manca e dobbiamo trovare?».
La storica Sabrina Tricaud delinea la situazione nei suoi anni di governo, successivi al “maggio francese”, alle contestazioni studentesche che hanno paralizzato la nazione. “Les Années Pompidou” (è il titolo del libro di Sabrina Tricaud) sono caratterizzati della piena occupazione, dalla nascita dei computer, dalla creazione di regioni, dalla mensilizzazione dei salari, dall’emergere di nuove città, dalla “fine dei contadini”, soprattutto dalla caduta di una società dove fino ad allora ha dominato sempre un’élite che detiene il controllo dell’apparato statale e delle grandi compagnie, espressione soprattutto del potere degli alti dirigenti provenienti dall’Ena (École nationale d’administration). Certo, non tutto è rose e fiori, e Pompidou muore proprio all’inizio della crisi petrolifera, dell’inflazione, dei problemi ambientali conseguenti alla crescita. Ma la storia si fa con i fatti (e non le ipotesi) in rapporto a un contesto specifico. E se i francesi ricordano floridezza e prosperità, come dare loro torto?
Quando pensiamo a Pompidou ricordiamo i grandi passi culturali di quegli anni. Si dice che molto si debba all’influenza della moglie Claude Cahour, donna dai vasti interessi, frequentatrice di gallerie d’arte, di esposizioni museali e concerti. Si dice che molto si debba anche ai suoi contatti con uomini illuminati, come André Malraux, che ad esempio caldeggia una legge per regolare le imposte di successione attraverso la cessione allo Stato di opere d’arte: di qui la creazione del Musée National Picasso. La realtà dei fatti è che Pompidou sa avvalersi di uomini strettamente legati a lui, capaci di condividere il suo stesso spirito propulsivo. È il caso del ministro della Cultura Jacques Duhamel, che suggerisce di bloccare la prestabilita demolizione della vecchia Gare d’Orsay, sul lungosenna, da anni dismessa, costruita in occasione dell’esposizione universale del 1900. Nasce così il museo d’Orsay, trasformando la stazione nella prima “opera” delle collezioni museali esposte. Nelle sale del museo d’Orsay troviamo l’arte prodotta nei decenni compresi tra il 1848 ed il 1914.
Non basta, perché alla fine degli anni Sessanta Pompidou sostiene l’ideazione di un centro pluridisciplinare dedicato all’arte francese nelle sue espressioni moderne, e con l’arte anche la musica contemporanea. Dal dopoguerra si sono individuate all’interno del tessuto parigino diciassette îlots insalubres, aree in condizioni di alto degrado. Una di queste aree insalubri è a pochi passi dal Louvre e da Notre Dame; è quello che – dopo le demolizioni che non hanno dato luogo alle ricostruzioni – è chiamato il plateau Beaubourg ridotto a uno spontaneo parcheggio all’aperto. Nei primi anni Sessanta è proprio André Malraux che dà avvio ad uno dei più intensi processi di rigenerazione urbana. Per risanare l’area si indice un bando di concorso internazionale che porterà alla costruzione dell’attuale Centre Pompidou su progetto dell’italiano Renzo Piano e l’inglese Richard Rogers, all’epoca del tutto sconosciuti. L’intitolazione al Presidente scomparso è indice della profonda dedizione dei francesi nei suoi confronti. La realtà che nel corso della sua carriera politica in Pompidou è stata sempre lontana ogni forma di “hỳbris”, quella tracotanza politica prevaricatrice che crea soltanto danno. È comprensibile dalle sue stesse parole, che vale meditare profondamente: «Nessuno può immaginare di governare senza operare una sorta di esame della coscienza politica, né senza ridefinirsi chiaramente a sé stesso; noi non siamo un programma, neppure una tattica adottata per raggiungere o mantenersi al potere, ma una concezione e, direi, una morale dell’azione».
GEORGES JEAN RAYMOND POMPIDOU (Montboudif, 5 luglio 1911 – Parigi, 2 aprile 1974) è stato un politico francese che divenne Primo ministro e successivamente Presidente della Repubblica. Nasce in un minuscolo comune dell’Alvernia, e per tutta la vita conserverà solidi legami con la sua regione. I suoi genitori sono una coppia d’insegnanti elementari. Il padre, Léon, diventerà in seguito professore di spagnolo nelle scuole medie, e a ottant’anni deciderà di imparare l’italiano per poter leggere Dante in originale. Studente brillante, compie gli studi superiori al liceo Lapérouse di Albi. Ottiene il primo premio nella versione di greco al Concorso generale indetto nel 1927 dal Ministero dell’Educazione Nazionale e le classi preparatorie al liceo Pierre-de-Fermat di Tolosa e al liceo Louis-le-Grand di Parigi, completando la sua formazione presso l’École Normale Supérieure e presso l’École libre des sciences politiques (progenitrice dell’attuale Institut d’études politiques de Paris). Partecipa quindi al concorso per l’agrégation in lettere, conquistando il primo posto. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).