ENIT al Giro d’Italia sulle bici elettriche per un turismo sostenibile

L’Ente più antico d’Italia all’evento più storico d’Italia

Venti tappe per 20 partecipanti: la squadra Enit sarà composta da giornalisti, influencer, blogger, instagrammer e operatori turistici selezionati dalle 28 sedi estere ENIT in tutto il mondo. Capitano il campione Max Lelli

DAL 4 AL 25 OTTOBRE

di Francesca Cicatelli
Enit – Direzione Esecutiva – Comunicazione e Ufficio Stampa Enit

Il ciclismo per raccontare al mondo l’Italia e la sua bellezza. Enit – Ente Nazionale del Turismo raddoppia il suo impegno nel mondo delle due ruote e quest’anno sarà partner al Giro d’Italia oltre che del Giro-E, con una massiccia campagna per promuovere il turismo in Italia.

Già protagonista con un proprio team al Giro-E 2019, Enit nel 2020 firmerà una serie di contenuti video che daranno visibilità alle località toccate dalla Corsa Rosa, che tra il 3 e il 25 ottobre attraverserà l’Italia da Monreale a Milano nelle tv di tutto il mondo. Sui canali digitali e social del Giro, saranno trasmessi video video che presenteranno il territorio attraversato quel giorno dal Giro d’Italia.

Confermata anche la presenza del team Enit al Giro-E, l’evento organizzato da RCS Sport, sulle strade e nei giorni del Giro d’Italia con le bici a pedalata assistita. Enit parteciperà con un proprio team di ciclisti non professionisti, composto – a rotazione sulle 20 tappe – da 20 partecipanti fra giornalisti, influencer, blogger, instagrammer e operatori turistici selezionati dalle 28 sedi estere Enit in tutto il mondo e provenienti dai seguenti Paesi: Francia, Germania, UK, Spagna, Olanda, Polonia, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Svizzera, Austria e Italia. L’obiettivo è raccontare le eccellenze italiane, promuovere il turismo sostenibile ed esportare la conoscenza anche dei territori meno noti.
Il capitano del team Enit sarà Max Lelli, ex ciclista professionista su strada italiano.

La partecipazione di Enit al Giro ha un significato particolare: l’ente che ha compiuto 101 anni ha la stessa età del Giro d’Italia – dichiara il Direttore Enit Giovanni Bastianelli. Un appuntamento che segna la ripartenza della promozione dell’Italia nel mondo e consente di mostrare il territorio italiano in modalità slow. La bici è un modo straordinario per scoprire l’Italia. Piace la vacanza attiva, fare movimento anche quando si è in vacanza. E piace soprattutto agli stranieri: il 61 per cento dei cicloturisti che percorrono l’Italia viene dall’estero. La bici è un’opportunità straordinaria per il turismo italiano” conclude Bastianelli.

Oltre all’impegno con il proprio team, quest’anno Enit sponsorizzerà la Maglia Arancione del Giro-E (classifica Regolarità) e sono previste forme di collaborazione con le Regioni coinvolte, momenti istituzionali in cui i testimonial appartenenti al team Enit verranno coinvolti in visite turistiche, cene tipiche ed eventi, allo scopo di immergere i testimonial nella cultura e tradizioni italiane. È previsto anche il posizionamento di una mongolfiera brandizzata “Italia – beauty to treasure” a Rimini, lungo gli ultimi chilometri della decima tappa del Giro-E.

IMMAGINE DI APERTURA Enit al Giro d’Italia sulle bici elettriche per un turismo sostenibile

Alla poetessa Louise Glück il Premio Nobel per la Letteratura 2020

Il premio Nobel per la Letteratura 2020, la cui prima assegnazione risale al 1901, quest’anno è andato a Louise Glück. L’autrice americana, classe ’43, ha già vinto, tra gli altri, il Pulitzer nel 1993 e il National Book Award per la poesia nel 2014

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I vincitori del premio Nobel per la Letteratura dal 1901 al 2020

1901 – Sully Prudhomme (Francia):
“in riconoscimento della sua composizione poetica, che dà prova di un alto idealismo, perfezione artistica ed una rara combinazione di qualità tra cuore ed intelletto”

1902 – Theodor Mommsen (Germania):
“al più grande maestro vivente della scrittura storica, con speciale riferimento al suo maggior lavoro, Storia di Roma”

1903 – Bjørnstjerne Bjørnson (Norvegia):
“un tributo alla sua nobile, magnifica e versatile poeticità, con la quale si è sempre distinto per la chiarezza della sua ispirazione e la rara purezza del suo spirito”

1904 – Frédéric Mistral (Francia):
“in riconoscimento della chiara originalità e della vera ispirazione della sua produzione poetica, che splendidamente riflette gli scenari naturali e lo spirito nativo del suo popolo, e, in aggiunta, al suo importante lavoro come filologo provenzale”

1904 – José Echegaray y Eizaguirre (Spagna):
“in riconoscimento delle numerose e brillanti composizioni che, in maniera individuale ed originale, hanno fatto rivivere la grande tradizione del dramma spagnolo”

1905 – Henryk Sienkiewicz (Polonia):
“per i suoi notevoli meriti come scrittore epico”

1906 – Giosuè Carducci (Italia):
“non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”

1907 – Rudyard Kipling (Regno Unito):
“in considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo”

1908 – Rudolf Christoph Eucken (Germania):
“in riconoscimento della sua seria ricerca della verità, il suo potere di penetrare il pensiero, la sua enorme capacità di visione, il calore e la forza delle sue opere con le quali ha trasmesso una filosofia idealistica della vita”

1909 – Selma Lagerlöf (Svezia):
“per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere”

1910 – Paul Johann Ludwig Heyse (Germania):
“un tributo alla consumata capacità artistica, permeata dall’idealismo, che egli ha dimostrato durante la sua lunga carriera produttiva come poeta lirico, drammaturgo, novellista e scrittore di storie brevi famose nel mondo”

1911 – Maurice Polidore Marie Bernhard Maeterlinck (Belgio):
“per le sue molte attività letterarie, specialmente per la sua opera drammatica, che si distinguono per la ricchezza d’immaginazione e la poetica fantastica, che rivela, a volte sotto forma di favola, una profonda ispirazione, mentre in un modo misterioso si rivolge ai sentimenti propri del lettore e ne stimola l’immaginazione”

1912 – Gerhart Hauptmann (Germania):
“in riconoscimento della sua fertile, varia ed eccelsa produzione nella sfera dell’arte drammatica”

1913 – Rabindranath Tagore (India Britannica):
“per la profonda sensibilità, per la freschezza e bellezza dei versi che, con consumata capacità, riesce a rendere nella sua poeticità, espressa attraverso il suo linguaggio inglese, parte della letteratura dell’ovest”

1914 – Non assegnato

1915 – Romain Rolland (Francia):
“un tributo all’elevato idealismo della sua produzione letteraria, alla comprensione ed all’amore per la verità con le quali ha descritto i diversi tipi di esistenza umana”

1916 – Carl Gustaf Verner von Heidenstam (Svezia):
“in riconoscimento della sua importanza come esponente rappresentativo di un nuovo tempo nella nostra letteratura”

1917 – Karl Adolph Gjellerup (Danimarca):
“per la sua varia e ricca poeticità, ispirata da elevati ideali”

1917 –  Henrik Pontoppidan (Danimarca):
“per le sue reali descrizioni della vita moderna in Danimarca”

1918 – Non assegnato

1919 – Carl Spitteler (Svizzera):
“in riconoscimento al suo poema epico, Olympischer Frühling”

1920 – Knut Hamsun (Norvegia):
“per il suo monumentale lavoro, Il risveglio della Terra”

1921 – Anatole France (Francia):
“in riconoscimento della sua brillante realizzazione letteraria, caratterizzata da nobiltà di stile, profonda comprensione umana, grazia, e vero temperamento gallico”

1922 – Jacinto Benavente (Spagna):
“per il felice metodo col quale ha proseguito la tradizione illustre del dramma spagnolo”

1923 – William Butler Yeats (Irlanda):
“per la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un’intera nazione”

1924 – Władysław Stanisław Reymont (Polonia):
“per il suo grande romanzo epico, I contadini”

1925 – George Bernard Shaw (Regno Unito):
“per il suo lavoro intriso di idealismo ed umanità, la cui satira stimolante è spesso infusa di una poetica di singolare bellezza”

1926 – Grazia Deledda (Italia):
“per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”

1927 – Henri Bergson (Francia):
“in riconoscimento delle sue ricche e animate idee e della brillante capacità con la quale ha saputo esprimerle”

1928 – Sigrid Undset (Norvegia):
“principalmente per la sua imponente descrizione della vita nordica durante il medioevo”

1929 – Thomas Mann (Germania):
“principalmente per i suoi grandi romanzi I Buddenbrook e La montagna incantata”

1930 – Sinclair Lewis (Stati Uniti):
“per la sua arte descrittiva vigorosa e grafica e per la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi”

1931 – Erik Axel Karlfeldt (Svezia):
“la poesia di Erik Axel Karlfeldt”

1932 – John Galsworthy (Regno Unito):
“per la sua originale arte narrativa, che trova la sua forma più alta ne La saga dei Forsyte”

1933 – Ivan Alekseevič Bunin (Russia/Francia):
“per la precisione artistica con la quale ha trasposto le tradizioni classiche russe in prosa”

1934 – Luigi Pirandello (Italia);
“per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”

1935 – Non assegnato

1936 – Eugene Gladstone O’Neill (Stati Uniti):
“per la forza, l’onestà e le emozioni profondamente sentite dei suoi lavori drammatici, che incarnano un concetto originale di tragedia”

1937 – Roger Martin du Gard (Francia):
“per la forza artistica e la verità con la quale ha dipinto il conflitto umano così come gli aspetti fondamentali della vita contemporanea nel suo ciclo di romanzi Les Thibault”

1938 – Pearl Sydenstricker Buck (Stati Uniti):
“per le sue ricche e veramente epiche descrizioni della vita contadina in Cina e per i suoi capolavori biografici”

1939 – Frans Eemil Sillanpää (Finlandia):
“per la sua profonda comprensione dei contadini del proprio paese e la squisita arte con la quale ha ritratto il loro modo di vivere e la relazione con la natura”

1940 – Non assegnato

1941 – Non assegnato

1942 – Non assegnato

1943 – Non assegnato

1944 – Johannes Vilhelm Jensen (Danimarca):
“per la sua fervida immaginazione poetica con la quale ha combinato una intellettuale curiosità e uno stile fresco e creativo”

1945 – Gabriela Mistral (Cile):
“per la sua lirica, ispirata da forti emozioni, che ha fatto del suo nome un simbolo delle aspirazioni idealistiche dell’intero mondo latino americano”

1946 – Hermann Hesse (Germania/Svizzera):
“per la sua forte ispirazione letteraria coraggiosa e penetrante esempio classico di ideali filantropici ed alta qualità di stile”

1947 – André Gide (Francia):
“per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica”

1948 – Thomas Stearns Eliot (Regno Unito):
“per il suo notevole e pionieristico contributo alla poesia contemporanea”

1949 – William Faulkner (Stati Uniti):
“per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”

1950 – Bertrand Russell (Regno Unito):
“in riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero”

1951 – Pär Fabian Lagerkvist (Svezia):
“per il suo vigore artistico e per l’indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l’umanità affronta”

1952 – François Mauriac (Francia):
“per il profondo spirito e l’intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana”

1953 – Winston Churchill (Regno Unito):
“per la sua padronanza delle descrizioni storiche e biografiche, nonché per la brillante oratoria in difesa ed esaltazione dei valori umani”

1954 – Ernest Hemingway (Stati Uniti):
“per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”

1955 – Halldór Laxness (Islanda):
“per la vivida potenza epica con la quale ha rinnovato la grande arte narrativa dell’Islanda”

1956 – Juan Ramón Jiménez (Spagna/Porto Rico):
“per la sua poesia piena di slancio, che costituisce un esempio di spirito elevato e di purezza artistica nella lingua spagnola”

1957 – Albert Camus (Francia):
“per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo”

1958 – Boris Pasternak (URSS):
“per i suoi importanti risultati sia nel campo della poesia contemporanea che in quello della grande tradizione epica russa” (rifiutato su pressione del regime sovietico)

1959 – Salvatore Quasimodo (Italia):
“per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”

1960 – Saint-John Perse (Francia):
“per il volo sublime ed il linguaggio evocativo della sua poesia che in modo visionario riflette gli stati del nostro tempo”

1961 – Ivo Andrić (Jugoslavia):
“per la forza epica con la quale ha tracciato temi e descritto destini umani tratti dalla storia del proprio Paese”

1962 – John Steinbeck (Stati Uniti):
“per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”

1963 – Giorgos Seferis (Grecia):
“per i suoi scritti eminentemente lirici, ispirati da un profondo legame con il mondo della cultura ellenica”

1964 – Jean-Paul Sartre (Francia):
“per la sua opera che, ricca di idee e pregna di spirito di libertà e ricerca della verità, ha esercitato un’influenza di vasta portata nel nostro tempo” (rifiutato)

1965 – Michail Aleksandrovič Šolochov (URSS):
“per la potenza artistica e l’integrità con le quali, nella sua epica del Don, ha dato espressione a una fase storica nella vita del popolo russo”

1966 – Shmuel Yosef Agnon (Israele):
“per la sua arte narrativa profondamente caratteristica con i temi della vita della gente ebrea”

1966 – Nelly Sachs (Germania/Svezia):
“per la sua scrittura lirica e drammatica eccezionale, che interpreta il destino d’Israele con resistenza commovente”

1967 – Miguel Ángel Asturias (Guatemala):
“per i suoi vigorosi risultati letterari, profondamente radicati nei tratti distintivi e nelle tradizioni degli Indiani dell’America Latina”

1968 – Yasunari Kawabata (Giappone):
“per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l’essenza del pensiero giapponese”

1969 – Samuel Beckett (Irlanda):
“per la sua scrittura, che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell’abbandono dell’uomo moderno acquista la sua altezza”

1970 – Aleksandr Isaevič Solženicyn (URSS):
“per la forza etica con la quale ha proseguito l’indispensabile tradizione della letteratura russa”

1971 – Pablo Neruda (Cile):
“per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino ed i sogni del continente”

1972 – Heinrich Böll (Germania Ovest):
“per la sua scrittura che con la relativa combinazione di vasta prospettiva sul suo tempo e di un’abilità sensibile nella descrizione ha contribuito ad un rinnovamento della letteratura tedesca”

1973 – Patrick White (Australia):
“per un’arte narrativa epica e psicologica che ha introdotto un nuovo continente nella letteratura”

1974 – Eyvind Johnson (Svezia):
“per un’arte narrativa, lontana da vedersi negli anni e nei paesi, al servizio della libertà”

1974 – Harry Martinson (Svezia):
“per una scrittura che cattura le gocce di rugiada e riflette il cosmo”

1975 – Eugenio Montale (Italia):
“per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”

1976 – Saul Bellow (Canada/Stati Uniti):
“per la sensibilità umana e la sottile analisi della cultura contemporanea che si trovano combinati nella sua opera”

1977 – Vicente Aleixandre (Spagna):
“per una scrittura poetica creativa che illumina la condizione dell’uomo nell’universo e nella società attuale, allo stesso tempo rappresentando il grande rinnovamento delle tradizioni della poesia spagnola tra le guerre”

1978 – Isaac Bashevis Singer (Stati Uniti):
“per la sua veemente arte narrativa che, radicata nella tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale”

1979 – Odysseas Elytīs (Grecia):
“per la sua poesia, che, contro lo sfondo di tradizione greca, dipinge con forza e chiarezza intellettuale la lotta dell’uomo moderno per la libertà e la creatività”

1980 – Czesław Miłosz (Polonia):
“che con voce chiara e lungimirante espone la condizione degli uomini in un mondo di gravi conflitti”

1981 – Elias Canetti (Bulgaria/Regno Unito):
“per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico”

1982 – Gabriel García Márquez (Colombia):
“per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i conflitti di un continente”

1983 – William Golding (Regno Unito):
“per i suoi romanzi che, con l’acume di un’arte narrativa realistica e la diversità e universalità del mito, illuminano la condizione umana nel mondo odierno”

1984 – Jaroslav Seifert (Cecoslovacchia):
“per la sua poesia che, dotata di freschezza, sensualità ed inventiva, fornisce un’immagine di liberazione dello spirito e della versatilità indomita dell’uomo”

1985 – Claude Simon (Francia):
“che nei suoi romanzi fonde la creatività del poeta e del pittore nella profonda conoscenza del tempo e la descrizione della condizione umana”

1986 – Wole Soyinka (Nigeria):
“che in un’ampia prospettiva culturale e con una poetica fuori dagli schemi mostra il dramma dell’esistenza”

1987 – Iosif Aleksandrovič Brodskij (Russia/Stati Uniti):
“per una condizione di scrittore esauriente, denso di chiarezza di pensiero e di intensità poetica”

1988 – Nagib Mahfuz (Egitto):
“che, attraverso gli impianti ricchi di sfumatura – ora con limpide vedute realistiche, ora evocativamente ambiguo – ha formato un’arte narrativa araba che si applica a tutta l’umanità”

1989 – Camilo José Cela (Spagna):
“per una prosa ricca ed intensa, che con la pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell’uomo”

1990 – Octavio Paz (Messico):
“per una scrittura appassionata, dai larghi orizzonti, caratterizzata da intelligenza sensuale e da integrità umanistica”

1991 – Nadine Gordimer (Sudafrica):
“che con la sua scrittura epica magnifica – nelle parole di Alfred Nobel – è stata di notevole beneficio all’umanità”

1992 – Derek Walcott (Saint Lucia):
“per un’apertura poetica di grande luminosità, sostenuto da una visione storica, il risultato di un impegno multiculturale”

1993 – Toni Morrison (Stati Uniti):
“che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica dà vita ad un aspetto essenziale della realtà statunitense”

1994 – Kenzaburō Ōe (Giappone):
“che con forza poetica crea un mondo immaginario in cui vita e mito si condensano per formare uno sconcertante ritratto dell’attuale condizione umana”

1995 – Séamus Heaney (Irlanda):
“per gli impianti di bellezza lirica e di profondità etica, che esaltano i miracoli giornalieri e la vita passata”

1996 – Wisława Szymborska (Polonia):
“per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana”

1997 – Dario Fo (Italia):
“seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”

1998 – José Saramago (Portogallo):
“che con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà elusiva”

1999 – Günter Grass (Germania):
“le cui giocose fiabe ritraggono la faccia dimenticata della storia”

2000 – Gao Xingjian (Cina/Francia):
“per un’opera dal valore universale, intuito pungente e ingegnosità linguistica che hanno aperto nuove strade al romanzo e al teatro cinese”

2001 – Vidiadhar Surajprasad Naipaul (Trinidad e Tobago/Regno Unito):
“per aver unito una descrizione percettiva ad un esame accurato incorruttibile costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse”

2002 – Imre Kertész (Ungheria):
“per una scrittura che sostiene l’esperienza fragile dell’individuo contro l’arbitrarietà barbarica della storia”

2003 – John Maxwell Coetzee (Sudafrica):
“che in innumerevoli maschere ritrae il sorprendente coinvolgimento dello straniero”

2004 – Elfriede Jelinek (Austria):
“per il flusso melodico di voci e controvoci in romanzi e testi teatrali, che con estremo gusto linguistico rivelano l’assurdità dei cliché sociali e il loro potere”

2005 – Harold Pinter (Regno Unito):
“perché nelle sue commedie [egli] scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione”

2006 – Orhan Pamuk (Turchia):
“perché nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture”

2007 – Doris Lessing (Regno Unito):
“cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, fuoco e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”

2008 – Jean-Marie Gustave Le Clézio (Mauritius/Francia):
“autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante”

2009 – Herta Müller (Romania/Germania):
“con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati”

2010 – Mario Vargas Llosa (Perù/Spagna):
“per la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo”

2011 – Tomas Tranströmer (Svezia):
“attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”

2012 – Mo Yan (Cina):
“che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”

2013 – Alice Munro (Canada):
“maestra del racconto breve contemporaneo”

2014 – Patrick Modiano (Francia):
“per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”

2015 – Svjatlana Aleksievič (Bielorussia):
“per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”

2016 – Bob Dylan (Stati Uniti):
“per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”

2017 – Kazuo Ishiguro (Giappone/Regno Unito):
“che, in romanzi di grande forza emotiva, ha scoperto l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo”

2018 – Olga Tokarczuk (Polonia):
“per un’immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita”

2019 – Peter Handke (Austria):
“per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana”

2020 – Louise Glück (Stati Uniti):
“per la sua inconfondibile voce poetica che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”

IMMAGINE DI APERTURA – Louise Glück – Ill. Niklas Elmehed. © Nobel Media. (Fonte: Pagina del sito ufficiale del Premio)

Mandanici 2020: Sergio Bertolami – I colori del colera

di Sergio Bertolami

«Ne abbiamo viste di tutti i colori». Quante volte abbiamo utilizzato questa espressione? Anche col covid-19 ne stiamo vedendo di tutti i colori. Ma quali sono i colori di una pandemia? Sono quelli dei mille fatti vissuti direttamente o indirettamente. Quelli descritti dai mezzi d’informazione o dagli instant book, oppure quelli che ritroviamo sui libri di una biblioteca, se concernono la storia. Allora comprendiamo, più che mai, che esiste una continuità tra passato e presente, che non c’è bisogno di inventare ogni giorno l’ombrello, ma semmai di migliorarne l’efficacia. Il “distanziamento sociale”, ad esempio, non è invenzione dei nostri giorni. Agli inizi dell’Ottocento il dibattito sulla natura parassitaria delle malattie epidemiche si sviluppò col sopraggiungere in Europa della prima grande ondata epidemica di colera (1817-1823) dopo la conquista dell’India da parte delle truppe coloniali inglesi. Rispetto all’India, però, il “distanziamento” fra le città europee era minore, così come tra i centri rurali e le rispettive città. Anche la seconda pandemia di colera (1826-1837) ebbe origine ancora una volta in India. A differenza, tuttavia, delle pandemie di peste, febbre gialla o malaria, la propagazione del colera non dipende dai roditori o dagli insetti, ma dagli spostamenti delle popolazioni umane. In tutta Europa il treno a vapore era diventato un simbolo di progresso, un veloce ed efficiente mezzo di trasporto. La ferrovia Napoli-Portici è stata la prima linea ferroviaria italiana, realizzata sotto Ferdinando II delle Due Sicilie. Fu inaugurata il 3 ottobre 1839.

A quelle già citate dobbiamo aggiungere altre tre pandemie prima di arrivare alla fine del secolo. Napoli, su cui vorrei soffermarmi, è passata dalle pesti secentesche ai colera più moderni. Solo da metà Ottocento ha subito il colera del 1855, del 1866, del 1873 e ancora quello del settembre 1884 che con estrema violenza divampò nei quartieri bassi, quelli di Mercato, Vicaria, Pendino e Porto.  Era giunto il momento di risolvere veramente i problemi sociali. La rivoluzione di Pasteur e l’isolamento dell’agente patogeno da parte di Koch (proprio nel 1884) permettevano la giusta diagnosi batteriologica, quindi efficaci controlli sanitari, una altrettanto efficace opera di prevenzione supportata dall’adozione della quarantena. Ma a Napoli non poteva bastare. I quartieri degradati versavano in pessime condizioni igienico-sanitarie. Questa tragedia di risonanza nazionale fu denunciata da Matilde Serao (scrittrice, giornalista, fondatrice e direttrice del quotidiano Il Mattino). Il libro di Matilde Serao si intitola Il ventre di Napoli nel quale descrisse una realtà umana, materiale, spirituale, ormai infetta e insostenibile. Questo l’incipit: «Efficace la frase, Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto».

Continuiamo a leggere: «Il governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il governo che sa tutto: quanta carne si consuma in un giorno e quanto vino si beve in un anno, in un paese; quante femmine disgraziate, diciamo così, vi esistano, e quanti ammoniti siano i loro amanti di cuore, quanti mendichi non possano entrare nelle opere pie e quanti vagabondi dormano in istrada, la notte; quanti nullatenenti e quanti commercianti vi sieno; quanto renda il dazio consumo, quanto la fondiaria, per quanto s’impegni al Monte di Pietà e quanto renda il lotto. Quest’altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere?».

Il problema era che i Governi succedutesi nel tempo avevano trascurato il risanamento urbano particolarmente in quelle città (come Genova, Palermo, Napoli) dove la pressione demografica era più alta e i quartieri si erano trasformati in ghetti malsani. Con l’epidemia del 1884 le province italiane colpite furono 44, ma solo Napoli contò 7994 morti. Ecco dunque che, dopo il clamore suscitato dalle condizioni di vita aberranti, Agostino Depretis, presidente del Consiglio, dichiarò la necessità di “sventrare Napoli”, utilizzando il neologismo “sventramento” ripreso dal libro della Serao.

La terribile epidemia di colera evidenziava l’urgenza di un intervento decisivo sul tessuto urbano. Nell’area dei cosiddetti quartieri bassi gran parte della popolazione napoletana versava in misere condizioni abitative: sporcizia, sovraffollamento, immobili inadatti a ospitare una popolazione di 200.000 abitanti, senza servizi igienici e con sistema fognario inadeguato per la raccolta di acque nere e acque meteoriche. Pasquale Villari, in un Discorso al Senato del 10 gennaio 1885 denunciava che in quei fondaci “non si può entrare per il puzzo delle immondizie ammassate da tempi immemorabili, si vede spesso solamente un mucchio di paglia, destinata a far dormire un’intera famiglia, maschi e femmine tutti insieme. Di cessi non se ne parla, perché a ciò bastano le strade vicine ed i cortili”.

Matilde Serao scriveva: «[Onorevole Depretis…] Vi avranno fatto vedere una, due, tre strade dei quartieri bassi e ne avrete avuto orrore. Ma non avete visto tutto; i napoletani istessi che vi conducevano, non conoscono tutti i quartieri bassi. La via dei Mercanti, l’avete percorsa tutta? Sarà larga quattro metri, tanto che le carrozze non vi possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello: le case altissime la immergono, durante le più belle giornate, in una luce scialba e morta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato, è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce. In questa strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, v’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio. Da questa via partono tante altre viottole…».

Luigi Settembrini proponeva di «bonificare i quartieri popolari gradatamente e diradando man mano quelle affollate abitazioni». Proponeva, in altri termini, una azione mirata con sottinteso riferimento ad un preciso modello urbanistico. Tale modello è il grande piano per la modernizzazione di Parigi (1852-1869), realizzato dal barone Haussmann, prefetto del dipartimento della Senna sotto il regno di Napoleone III.

Urgeva dunque un ripensamento totale, non una operazione di maquillage urbano: costruzione di nuove infrastrutture, alloggi popolari, pianificazione di nuovi quartieri d’espansione. La risposta del Governo in materia apparve estremamente sollecita: il 15 gennaio 1885 è emanata la Legge pel risanamento della città di Napoli, nel 1888 è adottato il Codice di igiene e salute pubblica e costituita la Società pel Risanamento di Napoli. Questa legge per Napoli segnò un punto di svolta urbanistico: ne usufruirono oltre una sessantina di comuni in Italia: a Sud come Caltanissetta, Trapani, Catania ma anche a Nord come Genova, La Spezia, Torino, Milano.

Cercherò di sintetizzare ciò che avvenne. A pochi anni dall’unificazione d’Italia, è promulgata la prima Legge urbanistica (25 giugno 1865 n. 2359) che porta il titolo Disciplina sull’espropriazione forzata per pubblica utilità. L’esproprio avveniva a prezzi di mercato per la realizzazione di opere pubbliche (quali strade, ferrovie, canali). Con tale legge si prevedeva, inoltre, che i Comuni con una popolazione riunita di 10.000 abitanti potessero dotarsi di un Piano Regolatore, grazie al quale tracciare precisi allineamenti nella costruzione di nuove abitazioni, con il duplice scopo di rimediare alla “viziosa disposizione degli edifici” e per “provvedere alla salubrità degli abitati”.

Anche con la Legge pel risanamento della città di Napoli (15 gennaio 1885 n. 2892) si prevedeva la possibilità di risanamento dell’abitato. Ma a differenza della legge del 1865 il sistema espropriativo aumentò fortemente i valori di indennizzo, ciò con lo scopo di non penalizzare i proprietari espropriati. Infatti, gli immobili oggetto di esproprio nei quartieri vecchi della città avevano un basso valore venale (a causa del loro degrado), ma erano invece capaci di produrre dei redditi derivanti dai fitti. Motivo per cui il legislatore ritenne di non calcolare l’indennità soltanto sul valore venale dell’immobile, ma facendo una media tra questo e il coacervo dei fitti (cioè la somma). Con tali provvedimenti legislativi furono, però, facilitati gli investimenti finanziari di molte società appaltatrici (banche, imprese immobiliari e di costruzione), in gran parte provenienti dal Nord Italia. Quelle stesse imprese che nel dicembre 1888 avevano istituito il consorzio della Società pel Risanamento di Napoli. Si scatenò di conseguenza una vera e propria speculazione edilizia che portò a edificare, nelle aree del piano di risanamento urbano, come nelle zone libere e di espansione della città.

Corso Umberto I (detto ‘Rettifilo’) in una vista dall’alto della città di Napoli

Cambiò il volto di Napoli, ma a quale prezzo?  Scriveva Matilde Serao: «L’impressione che si aveva, entrando in Napoli, dalla stazione ferroviaria, venti anni or sono, era di giungere in una città angusta, male odorante, sporca, affogata di case di tutte le altezze, di tutti i colori, portanti, tutte, il marchio del decadimento e del sudiciume».

Il principale obiettivo del piano – affidato nell’ottobre 1884 agli ingegneri Gaetano Bruno e Adolfo Giambarba – fu in effetti quello di avviare la bonifica igienico-sanitaria dell’area racchiusa tra il litorale e i quartieri meridionali del centro storico, l’attuazione di un moderno sistema fognario e di una rete idrica potabile, la realizzazione di infrastrutture e servizi collettivi, soprattutto il ridisegno della rete viaria incentrato su di un asse portante soprannominato dai napoletani “Rettifilo” e che noi conosciamo col nome di corso Umberto I. Un vero boulevard hausmanniano.

Ascoltiamo ancora Matilde Serao: «Il Rettifilo ha tagliato in due il ventre di Napoli, attraversando i quattro quartieri popolari e popolosi di Mercato, Vicaria, Pendino e Porto; questo Rettifilo non è stato fatto solo per arrivare più presto e meglio alla stazione ferroviaria; non è stato fatto solo per i grandi industriali che vendono tessuti di lana e di cotone; non è stato fatto solo per avere una larghissima via; ma è stato fatto in nome di un criterio assoluto d’igiene e quindi di civiltà… Il Rettifilo era, doveva essere, dovrebbe essere l’apportatore dell’aria, della salute, della pulizia di migliaia e migliaia di popolani napoletani».

Parigi, a differenza di Napoli, si era rinnovata attraverso un processo di funzionalizzazione e di qualificazione del territorio cittadino, dotandosi di nuovi grandi viali, piazze, spazi collettivi, giardini pubblici, vasti polmoni verdi, luogo di svago. Parigi era diventata un autentico modello di città borghese europea, uniformando l’edilizia privata alle nuove tipologie residenziali disegnate per il ceto medio. A Napoli avvenne il contrario, si verificò l’insuccesso dell’ambizioso programma del “Risanamento”.

«Sapete che è accaduto? – spiegava Matilde Serao – Che il popolo, non potendo abitare il Rettifilo, di cui le pigioni sono molto care, non avendo le traverse a sua disposizione, non avendo delle vere case del popolo, è stato respinto, respinto, dietro il paravento! Così si è accalcato molto più di prima; così il Censimento potrebbe dirvi che tutta la facciata del Rettifilo, è poco abitata, e tutto ciò che è dietro, disgraziatamente, è abitato più di prima; che dove erano otto persone, ora sono dodici; che lo spazio è diminuito e le persone sono cresciute; che il Rettifilo, infine, ha fatto al popolo napoletano più male che bene! In quell’intrico che va da Porto a Mercato, a Vicaria, si aggroviglia una folla spaventosa; non vi sono che poche fontanelle di acqua e le case, che debbono essere demolite (?), ne mancano; non vi sono fognature regolari, non vi sono lampioni, poiché il piano stradale è assolutamente dissestato: tutto ciò che serve alla vita, vi manca. Se una epidemia, lontana sia, dovesse capitarci, impossibile circoscriverla, impossibile dominarla: in quei quartieri farebbe novellamente strage, come venti anni or sono; e i nostri edili nulla ne sanno; e nessuno vuol saperne niente».

Tirando le somme, anziché abbatterli, i focolai di infezione aumentarono. È una tipica storia italiana, fatta di luci e ombre. Le luci, in campo medico, dove attraverso una ricerca continua si è passato dal concetto di “salute” a quello attuale di “sicurezza”. La salute è la resistenza alla malattia, mentre la sicurezza è l’esigenza di non dovere sperimentare la malattia. La luce, in campo urbanistico, è l’introduzione di un nuovo strumento quale il Piano Regolatore. A tutto questo fanno riscontro le ombre. In campo urbanistico l’assalto della speculazione edilizia e l’impossibilità di applicare un «piano di ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti» per le amministrazioni Comunali con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, che in verità costituiscono l’oggettività del Paese. Occorrerà attendere, perciò, la legge urbanistica del 1942 (n. 1150).

Per tornare a Napoli dobbiamo ricordare che nel 1893 la città fu ancora una volta colpita dal colera, che interessò pochissimo gli altri centri urbani italiani. Volendo, però, concludere questa relazione guardando alle luci, si potrebbe sottolineare che il 3 ottobre 1888 il municipio di Napoli si impegnò a «realizzare case di tipo esclusivamente economico per metri quadri 45.000 di suolo, e tutto ciò nel primo biennio dal 6 giugno 1889 al 6 giugno 1991». Il complesso fu progettato dall’architetto Piero Quaglia (noto già per aver realizzato il palazzo dell’Università) il quale nei tempi stabiliti dette a Napoli uno dei primi esempi di case economiche popolari in condominio.

Come avrete compreso, con responsabilità e competenza, dedizione e senso del dovere, si possono affrontare epidemie e pandemie, ma non solo, si potranno sempre curare anche IL CORPO, LA MENTE E L’ANIMA – delle persone come delle città – giacché (e chiudo citando ancora una volta Matilde Serao): «Tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, solo perché, chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall’inerzia, dall’ignavia e ha fatto quel che doveva».

IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO

IMMAGINE DI APERTURA Elaborazione grafica della locandina del Convegno

 

Mandanici 2020: Il Corpo, La Mente e L’Anima

Questo evento è un tentativo di “rivisitazione critica” dei concetti di spazio, luogo, ambiente, territorio e paesaggio attraverso una prospettiva antropologica e storica della percezione dei “comportamenti umani” e dei “fenomeni” che in essi avvengono. Un occasione culturale di confronto tra aree del sapere apparentemente distanti tra loro come le neuroscienze e la psicoanalisi, l’architettura e il design, le scienze musicali e l’archeologia, l’economia e il diritto, la filosofia e la geografia, l’antropologia e la storia. La vera conoscenza di un “territorio” da parte di chi lo abita ma anche di chi lo visita non può continuare ad essere sostenuta solo da motivazioni di tipo individuale e consumistico, ma dovrebbe sempre tendere ad una “esplorazione cognitiva delle memorie” dalla quale possa emergere una nuova coscienza collettiva dell’abitare e attraversare i luoghi, non solo in senso fisico ma anche in senso spirituale, immaginario, metafisico e simbolico.

SFOGLIA IL PROGRAMMA

Programma-Mandanici-2020

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica della locandina del Convegno

La Compagnia dei Tedofori ricorda il passaggio della fiaccola olimpica da Messina nel 1960

 La suggestiva cornice del Marina del Nettuno ospiterà mercoledì 5 agosto (ore 18) la riunione preparatoria delle iniziative ideate per ricordare il passaggio della fiaccola olimpica da Messina nel 1960. Sessant’anni fa si celebravano le XVII Olimpiadi a Roma – momento indimenticabile nella storia sportiva e civile del Paese – e anche Messina ebbe un suo ruolo: offrì la sua “meglio gioventù” per portare il fuoco partito dalla Grecia e destinato ad ardere ai Giochi olimpici romani.

Una lunga staffetta di 46 tedofori portò, il 19 agosto del 1960, la fiaccola da Giardini Naxos – dove fu eretto nell’occasione un tempietto in fronte al mare – a Messina, attraversando gli undici centri della costa jonica. Di quei tedofori, portatori agili della fiaccola, alcuni purtroppo son venuti a mancare, ma nei viventi è acceso ancora il fuoco della passione sportiva e dell’amor civico verso la propria comunità. S’è formata così la “Compagnia dei Tedofori” ed è questa ad aver convocato la riunione di mercoledì 5, nel corso della quale sarà esposto il programma delle manifestazioni del 60° anniversario alla stampa e a tutti i cittadini interessati.

L’incontro servirà anche a mettere a punto la complessa macchina organizzativa delle manifestazioni, che vedono coinvolti i Comuni di Giardini-Naxos, Taormina, Letojanni, S. Alessio Siculo. S. Teresa di Riva, Furci Siculo, Roccalumera, Nizza di Sicilia, Alì Terme, Itala, Scaletta Zanclea e Messina. Alcuni di questi hanno già adottato la delibera relativa alla dichiarazione di “Comune Olimpico” e tutti sono pronti a ricevere la bandiera con i cinque cerchi arcobaleno. Nei giorni passati sono stati frequenti i contatti della Compagnia dei Tedofori con sindaci e assessori alla cultura, perché ogni Comune sia protagonista dell’evento. Inoltre è stato predisposto il testo per le lapidi che ricorderanno quel “momento magico” del ’60 a memoria per ciascuna comunità e che saranno affisse una per ogni Casa municipale.

Dopo mercoledì 5 gli appuntamenti si susseguiranno fino all’epilogo del 19 agosto con la partecipazione del sindaco metropolitano, della Marina Militare, della Capitaneria di Porto, oltre che del CONI, il Comitato Olimpico Nazionale.

IMMAGINE DI APERTURA: Torcia Olimpica Roma 1960, completa di supporto originale e stoppino combustibile in cera, collezione Fabio Ferrari (Fonte Wikipedia)

Quali criteri scientifici hanno indirizzato il Governo nella gestione dell’epidemia di Covid-19?

di Paolo Ferrara

Leggendo il dossier dei Tecnici, si comprende come le decisioni politiche siano dettate dall’elaborazione di una larghissima messe di dati raccolti in periferia dalle Regioni e inviati al Ministero della Salute o al ISS per averne validazione e interpretazione. Dalle pagine del Comitato Tecnico Scientifico traspare chiaramente che, al contrario delle balbettanti comunicazioni in merito del Governo, un metodo e una strategia sono invece presenti.

Dott. Paolo Ferrara

Il passaggio dalla Fase1 alla Fase 2 della pandemia ha scatenato nella popolazione italiana una diffusa sensazione di ansia. Il sogno di una “liberazione” dopo il lunghissimo periodo di lockdown si è infranto contro la realtà di un rischio che non è per niente cessato, mentre al contempo cresce sempre di più la coscienza del disastro economico che progressivamente ci sta franando addosso. Le modalità di comunicazione attuate dal Governo e dal Presidente del Consiglio poi, abbastanza confuse, generiche e piene di accenni ai soli rischi senza però indicare una chiara crono-strategia di uscita, non hanno fatto altro se non aumentare lo stato di ansia e di sgomento.

Leggendo però con attenzione il Dpcm si capisce invece che il Comitato Tecnico Scientifico, che ha studiato e proposto quelle decisioni (poi cosi mal esposte dal Presidente Conte) ha in effetti indicato un preciso percorso capace di garantire una ripresa delle attività produttive entro margini di relativa sicurezza.

La strategia identificata dal Comitato, punta precisamente a due obiettivi: in primis i cittadini ai quali richiede, con un atto di fiducia, un senso di responsabilità di tutti, poiché è obbligo di ogni cittadino contribuire alla non diffusione dell’epidemia, e successivamente responsabilizza le Regioni alle quali viene dato obbligo di “monitorare con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori  e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle Regioni al ministero della Salute, all’Istituto Superiore di Sanità e al Comitato Tecnico Scientifico. Nei casi in cui dal monitoraggio emerga un aggravamento del rischio sanitario, il Presidente della Regione propone tempestivamente al Ministero della Salute le misure restrittive necessarie e urgenti per le attività produttive “.

Si capisce così come siano state istituite per la gestione dell’epidemia e delle sue ricadute sulla vita del Paese due grandi strutture funzionali in strettissimo coordinamento e interazione.  Una Struttura Centrale, costituita dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, con funzione di “Hub”, che sintetizza ed elabora tutti dati raccolti, trasformandoli in indirizzi e proposte operative, e le Regioni, che fungono tutte da “Spot” periferici, cui è devoluto il compito di monitorare in continuo sia l’andamento dell’epidemia nei loro territori, che la “tenuta” dei sistemi sanitari locali.

Il controllo sulle Regioni per stabilire se siano più o meno in linea con la possibilità di una riapertura progressiva e graduale, si fonda essenzialmente sull’elaborazione quotidiana di 5 specifici fattori:

  1. Stabilità di trasmissione del virus
    Basata sull’Indice di trasmissione del virus (Ro) che fornisce una informazione sintetica su quanti casi secondari vengono generati, per trasmissione interpersonale, da un caso primario. Una epidemia si instaura quando per ogni caso primario si generano più casi secondari che, a loro volta genereranno altri casi. Al contrario, se ogni singolo caso non ne contagia più nessun altro, la circolazione dell’infezione si andrà progressivamente estinguendo.  All’inizio dell’epidemia l’Ro in Lombardia era 2.6 e 4.0 (cioè ogni ammalato ne contagiava circa altri 3-4!) ma, nel corso dell’epidemia, tale indice tende a modificarsi sia per l’efficacia delle terapie e sia per l’efficacia dei provvedimenti di distanziamento sociale e di lockdown.  Attualmente il Fattore Re (Fattore riproduttivo virale effettivo) è circa 0.7.  Per poter riprendere una normale circolazione delle persone su tutto il territorio nazionale e avere una quasi completa riapertura di tutte le attività produttive, serve un Fattore Re stabilmente sotto 1.0 (preferibilmente tra 0.2 e 0.4).
  1. Condizione di saturazione dei servizi sanitari
    La soglia massima accettabile di occupazione di posti letto da parte di pazienti Covid19, è stata stabilita nel 30% per le Terapie Intensive, e del 40% per i posti letto totali di Area Medica. Se una Regione dovesse mostrare, all’interno del proprio sistema sanitario locale, il superamento di uno o di entrambi questi valori soglia, allora automaticamente scatterà lo stop del programma di apertura graduale, con un ritorno ai livelli di guardia precedenti.
  1. Attività di readness
    Testa la capacità di riconoscimento ed intervento in caso di rischio mediante il controllo della capacità e della tempestività di reazione.
  1. Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti
    Misura essenzialmente la percentuale di tamponi effettuati, nonché la possibilità di aumentare rapidamente tale percentuale, in caso di aumentato bisogno
  1. Capacità di monitoraggio
    Misura la capacità di rilevare tutti i casi sintomatici insieme a tutte le informazioni riguardanti la loro storia clinica: “inizio dei sintomi; storia del ricovero in ospedale; ricovero in terapia intensiva; numero dei casi divisi per Comune di residenza”.

La Regione che non riesce a raggiungere questi requisiti base, torna alla Fase 1, con impossibilità di aprire strutture turistiche o di accettare l’arrivo di non residenti e con l’imposizione di chiusure focali o generali a seconda che presenti dei focolai infettivi localizzati o dipendenti da una circolazione virale generalizzata.

Inoltre, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, per affinare le proprie capacità di analisi e giudizio dei dati, ha previsto anche l’uso di alcuni algoritmi. Il primo, rivolto all’analisi della probabilità di crescita dei casi positivi si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati nella Regione nuovi casi negli ultimi 5 giorni?
  • C’è evidenza di un aumento di trasmissione virale? (trend di casi in aumento; Re>1; aumento del n° di focolai)
  • C’è evidenza di una trasmissione diffusa, non gestibile con misure locali, cioè “zone rosse”?

Il secondo, rivolto a misurare l’impatto del virus pure si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati negli ultimi 5 giorni, casi di età superiore a 50 anni?
  • C’è sovraccarico dei servizi sanitari?
  • Sono stati segnalati negli ultimi 7 giorni nuovi focolai nelle RSA, Case di Riposo o altre residenze di soggetti fragili?

Se in entrambi gli algoritmi le risposte sono tutte o in maggioranza affermative, allora la probabilità di rischio risulta alta e richiede interventi di chiusura selettiva, mentre di fronte a risposte con profilo di rischio basso o medio si deve solo continuare lo stretto monitoraggio.

È perciò evidente che la risposta dei Tecnici, dopo un primo momento di colpevole sbandamento dovuto ad una generale impreparazione, è stata ampia e incisiva. Gli scienziati hanno dato le migliori evidenze alla politica, che ha preso le sue decisioni e così in due mesi è stato quasi completamente recuperato il gap iniziale sia da un punto di vista organizzativo-gestionale che per quanto riguarda la necessità produttiva dei dispositivi di protezione individuale che, in modo improvvido era stata, in precedenza, tutta completamente delocalizzata. La coscienza che ci siano dei sistemi di monitoraggio e controllo a supporto delle decisioni prese, certamente può aumentare il nostro senso di fiducia, facendoci comprendere come non sia possibile stabilire “a priori” un preciso crono-programma delle progressive aperture, poiché queste decisioni possono unicamente derivare dalla elaborazione dell’enorme messe di dati che le Regioni devono raccogliere sui loro territori.  

In questo momento così complesso, dobbiamo però comprendere che la maggiore quota di responsabilità è proprio quella che ricade su noi stessi!!

Siamo noi cittadini che, riprendendo progressivamente le nostre attività, siamo coinvolti in un numero estremamente maggiore di contatti sociali, per cui dobbiamo in modo cosciente e rigoroso, osservare tutte le norme del distanziamento e della protezione personale.

 Mai come ora il paradigma “aiutando noi stessi, aiutiamo anche gli altri ascoltato all’inizio del lockdown risulta essere attuale. Camminando per strada con la nostra mascherina ben indossata e il giusto distanziamento di almeno un metro dagli altri passanti, non dobbiamo sentire gli altri come i nuovi “nemici” contro cui combattere, o gli “untori” da cui guardarsi, ma come persone che come noi che (considerando che il Covid-19 può anche essere completamente asintomatico )  si stanno proteggendo, e al contempo proteggono anche noi, in una identica lotta contro quello che è il nostro comune nemico. Per “attrezzarci” a convivere con il virus, dobbiamo avviare un cambiamento culturale, consapevoli che ognuno di noi può contribuire a rallentare il contagio, e contemporaneamente contribuisce anche a proteggere le fasce di popolazione più a rischio. Serve una “mappa mentale” per riorganizzare la nostra vita intorno alle nuove priorità che il Coronavirus ci impone. Dobbiamo rifare i nostri percorsi, muovendoci molto di meno ma molto più intelligentemente. Non potremo più stringerci le mani… ma dovremo lavarle molto frequentemente!  L’applicazione rigorosa delle stesse regole di protezione, da parte di tutti, è la comune strategia della lotta contro il virus!  Dobbiamo avere la coscienza che facendo con attenzione un atto di “protezione individuale”, contemporaneamente attuiamo anche una strategia di “protezione collettiva”!

 Speriamo che la coscienza di ciò possa anche spingerci ad aumentare il nostro senso di solidarietà, in questa grande, comune tragedia che è al contempo sanitaria, economica ed umana.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Fernando Zhiminaicela da Pixabay 

Yom HaAzmaut: un compleanno molto speciale

di Daniele Coppin

Yom Ha’Azmaut è la festa dell’indipendenza israeliana . Celebra il giorno della proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948), che generalmente cade il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico. A causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut quest’anno si è festeggiato il 29 Aprile.

La settimana che va a concludersi si è celebrato un compleanno molto speciale, Yom HaAzmaut, il giorno dell’Indipendenza di Israele. Lo Stato d’Israele fu proclamato il pomeriggio del 14 Maggio 1948, corrispondente al 5 di Yiar del calendario ebraico, in seguito alla Risoluzione 181 dell’ONU del 29 Novembre 1947 che sanciva la divisione dei territori del Mandato britannico sulla Palestina in due entità nazionali, una araba e l’altra ebraica. Come è noto, gli Ebrei accettarono quella spartizione, pur se assegnava loro una porzione estremamente modesta del territorio che, in base agli accordi della Conferenza di Sanremo del 1920 per il destino dei territori appartenuti alle potenze sconfitte nella I Guerra Mondiale, avrebbe dovuto essere sede del “focolare ebraico”. Infatti, dal 1920 fino al 1947, una serie di decisioni prese soprattutto dalla Gran Bretagna, aveva visto via via ridursi il territorio destinato ad uno Stato ebraico fino al 20 % dell’estensione originariamente prevista.

Ma il popolo ebraico, reduce dalla tragedia dello sterminio nazista, accettò quel residuo territoriale come un naufrago si aggrappa ad un relitto, ma con fede e coraggio incrollabili, sperando in un futuro migliore e con la consapevolezza che vivere nel proprio Stato, per quanto piccolo potesse essere, sarebbe stato sempre preferibile che vivere altrove, spesso considerati come ospiti o, comunque, come cittadini si serie B e, di conseguenza, soggetti a ondate di antisemitismo se non di vere e proprie persecuzioni.

Lo Stato di Israele nacque come un sogno, un sogno di fede, quella fede incrollabile che da duemila anni, a Pesach, fa ripetere ad ogni Ebreo, che sia religioso oppure laico, la frase “L’Shanà HaBahà B’Yerushalaim” (l’anno prossimo a Gerusalemme). Il pomeriggio di un giorno di maggio di 72 anni fa quel sogno diventava realtà e quest’anno, a causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut è caduto il 29 Aprile.

La ricorrenza è stata celebrata come sempre con gioia, in Israele e nelle comunità ebraiche di tutto il mondo, pur nelle limitazioni imposte dalla pandemia del Sars-Cov2. In Italia, tanto l’Ambasciata di Israele quanto le comunità ebraiche hanno organizzato eventi “virtuali” per festeggiare i 72 anni di Israele. Per l’occasione, l’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, ha diffuso un messaggio video in Italiano nel quale, ricordando come l’impegno degli Ebrei nei secoli per il Tikkun Olam, la riparazione del mondo, non abbia rinviato la riparazione di una nazione dispersa e divisa tra i vari Stati del mondo, ha citato la profezia di Ezechiele sulla valle delle ossa secche raffiguranti il popolo ebraico che sarebbe stato ricondotto dal Signore alla terra di Israele e di come la potenza della speranza presente in quella profezia, nel XIX secolo abbia ispirato il poeta Nafatli Herz Imber nella composizione delle parole di HaTikvà, l’inno dello Stato di Israele. Le parole profonde dell’Ambasciatore Eydar riportano al valore miracoloso della nascita di Israele, lo Stato di una nazione vissuta per duemila anni in esilio prima di riuscire a ritornare alla propria terra e creare un proprio Stato.

Come affermò David Ben Gurion, primo premier di Israele, nel discorso con il quale veniva proclamata la nascita dello Stato degli Ebrei, “in Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri”.

Israele, nel corso di questi 72 anni di vita, si è trasformato in un Paese moderno ed è potenza regionale che crea sviluppo, promuove la ricerca scientifica e tecnologica, sostiene la trasformazione delle idee in attività concrete grazie all’elevato numero di start-up. Grazie anche a questo suo spirito di iniziativa questo piccolo Stato, quanto l’Emilia-Romagna, è riuscito a superare molte di quelle barriere che, in passato, le sono state poste davanti da altri Stati della regione, avviando anche collaborazioni un tempo impensabili e che si spera possano rappresentare la premessa ad un nuovo clima di convivenza e pace nella regione.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Ri Butov da Pixabay

Coronavirus Fase 2: il Decreto che sembra scontentare tutti

di Paolo Ferrara

Il Decreto che in molti aspettavano come una “liberazione”, ha in effetti deluso TUTTI. Lo stesso Giuseppe Conte con il suo discorso televisivo lungo e confuso di domenica sera non ha aiutato a migliorare la situazione, non riuscendo neanche a far capire su quali criteri logico-scientifici fossero basate le scelte che disordinatamente andava raccontando, anche se, proprio per elaborare quelle decisioni, si era avvalso di un “Comitato Scientifico di Esperti” di ben 240 membri!

Paolo Ferrara

In effetti i criteri scientifici in base ai quali il Comitato Tecnico-Scientifico ha suggerito le scelte operative, sono essenzialmente 3:

  1. Il Fattore R0 che indica la capacità infettante del virus sia in base alle sue intrinseche doti di invasività, che in base al numero di persone con cui esso viene in contatto. È ovvio quindi che, in corso di una pandemia, più persone vengono contemporaneamente in contatto tra loro, maggiore sarà il rischio di contagio, con conseguente crescita del Fattore R0. Infatti per i tecnici, l’attuale R0 italiano medio di 0.5, con le sole aperture dei cantieri edili e della fabbriche stabilite per il 4 maggio, potrebbe già aumentare a 0.63. Per questo, per poter mantenere l’R0 il più basso e stabile possibile, le riaperture dovrebbero essere graduali, differenziate per aree, e progressive, e, nel caso si dovessero ripresentare delle nuove impennate dell’R0, oltre il “limite soglia” di 1, immediatamente si dovrebbe ritornare a dei lockdown selettivi. Basti pensare che in Germania che ha allentato il lockdown un po’ prima di noi, l’R0 è già passato da 0.7 a 1.0!
  2. Il criterio analogicico in base al quale si può programmare la riapertura di attività anche molto differenti tra loro, ma che, per analogia, hanno in comune il parametro dell’entità dell’assembramento di persone che possono determinare. Per questa ragione possiamo trovare accomunate in un identico destino attività che non hanno alcun significato o funzione in comune tranne che il fatto di poter “mobilizzare” simili quantità di persone, come per es. i cinematografi e le chiese!
  3. Il grado di necessità di riapertura, che viene applicato ad aziende che sono parte integrata di particolari filiere produttive, di interesse collettivo.

Conte per rendere comprensibile l’apparente totale incomprensibilità di alcune scelte, avrebbe dovuto semplicemente spiegare questi tre punti.  Lui però ha preferito la strada di un discorso nebuloso, pieno di retorica e ripetizioni, con l’effetto finale di aggiungere ansia all’ansia e lasciare una miriade di scontenti.

Sono scontente le famiglie dove frequentemente entrambi i coniugi da lunedì 4 maggio dovranno riprendere il lavoro non sapendo a chi affidare i figli che, visto che non possono più affidarli ai nonni, rischieranno di rimanere soli a casa! Questo è forse il problema sociale di maggior impatto pratico che si sarebbe potuto facilmente “tamponare” con dei turni di lavoro sfalsati tra i due genitori, o, nell’impossibilità di realizzare ciò, con il congedo parenterale per uno dei due.

 Sono scontenti tutti gli operatori delle filiere della ristorazione che non apriranno ancora per parecchio tempo con il concreto rischio di non poter riaprire più, anche quelli che avevano già riorganizzato i loro locali per permettere un corretto distanziamento tra gli avventori. Sono scontenti tutti gli Operatori del Commercio che avrebbero voluto riprendere le loro attività, specie quelli che, con esercizi di dimensioni più grandi, erano riusciti a creare dei percorsi per i loro clienti confacenti con le regole del distanziamento. Ma sarebbe stato corretto fare aprire soltanto gli esercizi più grandi, condannando alla chiusura definitiva quelli più piccoli? E se invece si fosse fatta una apertura totale ed indifferenziata, come da qualcuno invocato in base ad un criterio di “giustizia sociale”, ma questa poi avesse condizionato una forte ripresa della circolazione virale, quale ulteriore rimedio si sarebbe dovuto prendere?

Sono scontenti i Vescovi della CEI che, nonostante Papa Francesco nel corso della Messa mattutina a S. Marta  avesse detto “ Prudenza e obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni ” hanno invece scelto, forse “contagiati” non dal virus ma dallo stile e dai modi dell’attuale mondo politico italiano, la strada dell’urlo e dello sbattimento dei pugni sul tavolo, arrivando addirittura  a minacciare l’annullamento del Concordato qualora le Chiese non fossero state subito riaperte al culto, accusando il Governo italiano di “impedire la libertà di Culto” e di entrare arbitrariamente in questioni non pertinenti alla sua giurisdizione, quasi che le Chiese avessero lo status di luoghi extra-territoriali! Probabilmente questa differenza tra le parole del Pontefice e quelle dei Vescovi dipende dal fatto che il Papa ha un ruolo mondiale, mentre la Conferenza Episcopale Italiana ha un ruolo nazionale, ma purtroppo, in questo modo, i Vescovi italiani, difronte all’immane tragedia di quasi 30000 morti in due mesi, hanno perso una occasione d’oro di dimostrare con un atteggiamento più equilibrato e rassicurante come le vie dello Spirito possono avere una loro forza autonoma immensamente più grande di quelle del piccolo potere delle caste e della politica spicciola! Purtroppo sembra che i Vescovi italiani, abbiano momentaneamente “dismesso” la loro vocazione di Pastori e di Educatori per prendere anche loro le vesti di “guerrieri”, in questa confusa guerra del tutti contro tutti, acuendo in tal modo le ansie e le sofferenze delle persone.

Sta così rapidamente montando nel nostro Paese un clima molto negativo, caratterizzato da polemiche tra il Nord e il Sud, continui scontri di basso sciacallaggio politico tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione, ma anche lotte e divisioni all’interno delle stesse forze di maggioranza e di opposizione, lì dove la condizione di emergenza esigerebbe invece una profonda unità nazionale.

La sensazione complessiva è di sconcerto. L’ansia e l’angoscia della popolazione, estremamente provata da due mesi di lockdown, ora, di fronte allo spettro di anche un collasso economico senza precedenti pur senza aver ancora debellato la pandemia, si sta trasformando in una rabbia sorda, in uno scontento generalizzato. Nella fase dell’emergenza sia il Governo che le Regioni hanno già fatto molti, gravi errori, ma ora, passando alla fase della programmazione di come dovremo per lungo tempo convivere con il virus pur cercando di riattivare almeno una parte delle nostre attività produttive, bisogna sicuramente cambiare metodi e strategie. Servono sia chiarezza sulle norme e sui comportamenti che dobbiamo seguire, che un monitoraggio continuo della mappa dei contagi, pronti a rapide chiusure selettive in caso di risalite dell’R0. Serve quindi una leadership politica con una maggiore capacità di autonomia propositiva e di sintesi, nell’ambito di una ritrovata coesione parlamentare, ma, sulla base delle “inedite” esternazioni degli ultimi giorni, serve anche una leadership spirituale che, forse un po’ meno concentrata sulla sola enfatizzazione della frequentazione liturgica, riprenda con forza la sua vocazione pastorale focalizzandola sulle fragilità, che purtroppo mostrano un costante e continuo aumento.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Omni Matryx da Pixabay

L’emergenza Covid19 rafforza solo i poteri esecutivi

di Paolo Pantani

Questa pandemia ci ha colpito a livello sociale, andando oltre alle cifre attinenti ai contagiati, ai morti e ai guariti, e quindi strettamente al settore sanitario, infatti la precarietà ci circonda.
Gli anziani e i malati si sentono sempre più soli e il Covid-19 sembra aver livellato le differenze sociali tra i vari ceti.
Questo virus colpisce tutti, non chiede l’estrazione sociale, né il conto in banca, né l’età.
Sono settimane difficili per tutti.  Inoltre, l’emergenza rafforza tutti i poteri dell’Esecutivo, mentre pone un evidente blocco a tutto il dibattito politico fra le diverse componenti della società. Non possiamo spostarci, non possiamo riunirci, non possiamo interloquire direttamente, solo mediaticamente, ma solo fra chi ne possiede gli strumenti tecnologici e le competenze.  Siamo in un gigantesco “digital divide”, un enorme divario fra chi è “info-ricco” e chi è ” info-povero”.  Infatti, grazie ai poteri della rete avanzati, sono riuscito ad intervistare il dottore Paolo Antonio Ascierto, medico dell’Istituto Pascale, senza muovermi di casa, utilizzando gli strumenti telematici e l’aiuto di persone esperte amiche, ma a quanti giornalisti sarebbe stato possibile?
Le complicazioni burocratiche denotano carenze nell’ambito della pubblica amministrazione, aumentano le persone che si rivolgono al nostro Difensore Civico Campano, il quale diventa sempre di più, giorno dopo giorno, un riferimento essenziale per i cittadini campani. Molte attività commerciali e produttive sono state costrette alla chiusura e la limitazione alla circolazione mette i cittadini a dura prova. Cosa succederà se le strutture sanitarie diventeranno sature se aumenta questa pandemia? I cittadini sentono la necessità di sentirsi più tutelati in questo clima di paura e di sconforto. Intanto sempre più persone fanno ricorso al Difensore Civico Campano per lamentarsi di inefficienze e mancanze della pubblica amministrazione.

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Pasqua? L’immensa processione di persone positive al Coronavirus

Una Pasqua particolare e terribile, quella di quest’anno. Per questo motivo lasciamo la parola a un religioso, che ha scritto un testo doloroso e quanto mai veritiero. Gira sui Social e ve lo proponiamo tradotto dal catalano, quale testimonianza dei nostri giorni, che mai avremmo immaginato.

di Don Miguel Àngel Ferres
Chiesa di Sant Joan Baptista de Tarragona (Spagna). 

«Chi dice che non ci sarà Settimana Santa quest’anno, né Pasqua?… Non avete visto l’immensa Processione di persone risultate positive al Coronavirus? Non vedete la Via Crucis del personale sanitario che risale il Calvario della pandemia, sopraffatto e con l’angoscia nel cuore per la paura di non riuscire a resistere? Non avete visto i medici con il camice bianco portare la croce dolorosa delle persone contaminate? Non vedete tanti scienziati sudare acqua e sangue, come al Getsemani, per trovare un trattamento o un vaccino? Per favore, non dite che Gesù non passa nelle strade quest’anno…mentre tanta gente deve lavorare per portare cibo e medicine a tutti noi. Non avete visto il numero di Cirenei offrirsi in un modo o nell’altro per portare le pesanti croci? Non vedete quante Veroniche, sono esposte all’infezione per asciugare il volto di persone contaminate? Chi può non vedere Gesù cadere a terra, ogni volta che sentiamo il freddo conteggio delle vittime? Non vivono forse la Passione le case di riposo piene di persone anziane e il personale con il fattore di rischio più elevato? Non è come una corona di spine per i bambini obbligati a vivere questa crisi rinchiusi, senza capire troppo bene… senza poter correre nei parchi e nelle strade? Non si sentono ingiustamente condannate, le scuole, le università, e tanti negozi obbligati a chiudere? Tutti i paesi del mondo non sono colpiti, frustati, dal flagello di questo virus! E non manca in questa via di dolore Ponzio Pilato che si lava le mani… chi cerca semplicemente di trarre un vantaggio politico o economico dalla situazione, senza tenere conto delle persone? Non soffrono, impotenti come i discepoli senza il Maestro, altrettante famiglie e persone sole confinate in casa, molte con problemi, non sapendo come e quando tutto finirà? Il volto doloroso di Maria non si rispecchia forse, in quello di tante madri che soffrono per la morte, silenziosa e a distanza, di una persona cara? Non è come strappare le vesti. l’angoscia di tante famiglie e di piccole imprese che vedono le loro economie svanire? L’agonia di Gesù in croce non ci fa pensare alla mancanza di respiratori nelle unità di terapia intensiva?  Per Favore… non dite: Niente Settimana Santa…niente Pasqua quest’anno non ditelo! perché il DRAMMA DELLA PASSIONE non è certo quasi mai stato così reale e autentico e la nostra stessa vita non è mai stata così in attesa e piena di speranza nella Risurrezione!».

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di NickyPe da Pixabay