GIOTTO | FONTANA. Lo spazio d’oro al MAN di Nuoro

GIOTTO | FONTANA. Lo spazio d’oro

MAN_ Museo d’arte della Provincia di Nuoro

24 novembre 2023 – 3 marzo 2024

Da un’idea di Chiara Gatti

testi scientifici a cura di
Andrea Nante, Direttore del Museo Diocesano di Padova

Paolo Campiglio, Professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Pavia

in collaborazione con Mart, Rovereto e Fondazione Giorgio Cini, Venezia

Il museo MAN di Nuoro presenta un progetto inedito dedicato a un dialogo ideale fra passato e presente, fra classico e contemporaneo, in linea con una filosofia espositiva che da anni conduce riflessioni sull’eterno ritorno di temi universali nell’arte di tutti i tempi. Dopo le grandi mostre già riservate ad Alberto Giacometti e l’arcaico (in collaborazione con la Fondazione Giacometti di Zurigo) o Picasso e il mito, nella serie celeberrima delle incisioni per la Suite Vollard, il MAN intende indagare il nesso che, a distanza di secoli, collega la ricerca spaziale di Lucio Fontana con il valore dello spazio nelle composizione di Giotto, unitamente alla presenza fortemente simbolica del colore oro nella sua reificazione dell’infinito e dell’altrove.

Nella tradizione pittorica bizantina e in quella medievale occidentale, viene progressivamente meno la volontà di rappresentare uno spazio reale e tridimensionale. Il fondo oro di mosaici e tavole dipinte offre infatti una rilucenza profonda e vibrante e conferisce alla composizione pittorica, per lo più sacra, un’aura di religiosità e mistero, atta a sancire il legame indissolubile tra arte e fede.

Il dipinto è un’icona da adorare e assume un valore simbolico, alludendo a valori eterni e trascendenti. L’oro non è colore, ma simbolo divino, esalta le figure, ieratiche e bidimensionali, senza umanizzarle, le astrae dal contesto reale, isolandole nel tempo e nello spazio e le pone entro rigidi schemi fissi, annullando ogni consuetudine e ogni rapporto con la quotidianità: nessuna espressione e movimento, nessun paesaggio familiare, nessun edificio riconoscibile, nessun riscontro con il vissuto.

Un nuovo senso della realtà e dello spazio, vero e profondo, emerge nell’arte medievale grazie alla personalità di Giotto (1267 ca.-1337), che già i contemporanei lodavano poiché «rimutò l’arte di greco in latino e la ridusse al moderno», come scrisse Cennino Cennini nel suo Libro dell’Arte.

Lo spazio sacro e dorato, bidimensionale e trascendente, cortina di luce che isola dal mondo esterno della tradizione precedente, viene “bucato” da Giotto, alla ricerca di una terza dimensione, profonda e reale. Il fondo oro diventa cielo vero, atmosferico, lucente e terso nelle giornate di primavera, illuminato dalla luce della luna e delle stelle (e persino delle comete) nella notte buia.

Giotto scopre come la pittura possa raffigurare ciò che l’occhio vede, comprese la possibilità dell’illusione, meravigliosamente sperimentate per la prima volta nei due celebri finti coretti della cappella degli Scrovegni di Padova. Qui, all’inizio del Trecento, ancor prima dell’invenzione della prospettiva rinascimentale, Giotto introduce l’idea del trompe-l’oil, della pittura capace di trasformare lo spazio e creare ambienti illusionistici. Uno spazio senza figure e in cui – senza preavviso – irrompe il mondo esterno. I due fini vani, vuoti, potrebbero animarsi da un momento all’altro di cantori. E, dalla bifora gotica, si potrebbero vedere le rondini volteggiare nell’aria, dalla gronda della vicina chiesa degli Eremitani, come scrive Roberto Longhi nel 1952.

Giotto spazioso” è la definizione che il grande critico suggeriva per questo nuovo modo di pensare alla pittura, spiegando, a proposito della cappella padovana, che «per chi, ora, si collochi al centro del pavimento della cappella, e cioè nel luogo più adatto ad abbracciare con un solo sguardo la parete in cui si apre l’abside, torna sùbito chiaro, palmare, sensibile fino all’illusione che i due finti vani “bucano” il muro, mirano ad intervenire nell’architettura stessa del sacello. All’effetto di veridica illusione convengono le due volte gotiche concorrendo ad un solo centro che è sull’asse della chiesa e cioè nella profondità ‘reale’, esistenziale dell’abside; conviene la luce interna che, partendo dal centro, si diffonde inversamente nei due vani, persino sulle colonnine e sugli stipiti delle due bifore; conviene la luce esterna di celo che colma l’apertura delle bifore stesse: non di un oltremarino “astratto”, ma di un azzurro biavo, che si accompagna a quello (vero) fuor delle finestre dell’abside».

Ma anche nei fondi oro – pensiamo alla giovanile Madonna di Borgo san Lorenzo e a quella di San Giorgio alla Costa o alla più tarda Maestà di Ognissanti – il cielo metafisico non è più infinito e, al tempo stesso indefinito, bensì fisico e reale. Le figure sono robuste come sculture e nel fondo, pur dorato, circola l’aria. Concorrono all’introduzione della realtà nella pittura l’uso della luce, di cui Giotto individua sempre la fonte, che modella i volumi, occupa lo spazio rendendolo plausibile e ‘naturale’. Abitabile. Concorrono le intuizioni con cui il maestro coglie le relazioni tra luce e colore (il colore muta, a seconda del variare della luce, non solo di intensità ma di qualità), il suo approccio inedito alla quotidianità della vita, nella resa curiosa di espressioni, oggetti, e della natura, come un obiettivo spalancato nuovamente sulla realtà, in ogni suo aspetto, dai più sacrali ai più umili, riproposto nella verità degli spazi architettonici e paesistici. Proprio in questa riappropriazione della realtà, al di là degli schemi della tradizione, la vita, lo spazio, l’uomo e i suoi sentimenti tornano a essere protagonisti della pittura.

Un approccio vivo e rivoluzionario attuale anche per la pittura moderna e contemporanea, che tanto debito nutre nei confronti del suo pensiero. «Le condizioni fondamentali nell’arte moderna sono chiaramente evidenti nel XIII secolo, in cui inizia la rappresentazione dello spazio», scriveva Lucio Fontana nel suo «Manifiesto Blanco» del 1946. Con l’artista di Santa Fè, lo spazio nuovo e illusorio di Giotto si trasforma infatti in uno spazio realmente tridimensionale. La luce che lo attraversa rende palpabile il principio della soglia, dell’affaccio, del luogo di confine fra visibile e invisibile, secondo altresì l’antico concetto di iconostasi che Fontana rilegge nella sintesi radicale del suo gesto. La luce irrompe dunque in uno spazio mentale rendendolo improvvisamente percorribile. È proprio la stessa luce che, nei fondi oro del Trecento – così come analizzata fra le pagine de Le porte regali di Pavel Florenskij – vedeva una materializzazione dell’immateriale e che ha poi attraversato i “concetti spaziali” di Lucio Fontana, accarezzandone sabbie, pietre, pezzi di vetro e foglie d’oro. Una luce dilagante e calda, ma generata da un atto pittorico.

Il dialogo proposto in mostra fra una preziosa tavola di Giotto – i Due apostoli della Fondazione Giorgio Cini di Venezia – e un Concetto spaziale di Fontana del MART di Rovereto – attinge, oltre che alle speculazioni di Florenskij, a una lunga letteratura concentrata su corsi e ricorsi di quella magnifica ossessione della pittura per la rappresentazione dell’assoluto, affrontata scientificamente da grandi studiosi, fra cui Georges Bataille, Lionello Venturi, Jean-Paul Sartre, Michael Baxandall, Jean Servier, Luigi Carluccio. Una tensione verso l’infinito e il trascendente accomuna antichi e contemporanei e rende il dialogo fra Giotto e Fontana significativo e puntuale nel senso di un affondo esemplificativo, minimalista quanto intenso, fra le pieghe di questo tema di studio dell’arte universale. La pittura delle icone presuppone, non a caso, una metafisica delle immagini e della luce che nel Novecento trova eredi sensibili. Ed è a questa metafisica che autori come Wildt, Carrà, Casorati e poi Melotti e Fontana, oltre a maestri internazionali del calibro di Rothko o Yves Klein, hanno guardato, rivolgendosi persino all’uso dell’oro come veicolo verso l’astratto, verso il sacro, oltre le “porte regali” dell’iconòstasi, al di là del margine fra mondo visibile e il mondo invisibile, «luogo dove si manifesta una pittura sublime – per citare Florenskij – in cui le cose sono “prodotti della luce”». «Scoprire il Cosmo – ripeteva, non per nulla, Lucio Fontana – è scoprire una nuova dimensione. È scoprire l’Infinito. Così, bucando questa tela – che è la base di tutta la pittura – ho creato una dimensione infinita».


GIOTTO FONTANA. Lo spazio d’oro
una produzione MAN, Nuoro
da un’idea di Chiara Gatti
testi scientifici a cura di
Andrea Nante e Paolo Campiglio, Serena Colombo e Chiara Gatti
Coordinamento di Rita Moro
 
date: 24 novembre 2023 – 3 marzo 2024
Inaugurazione: 24 novembre 2023 ore 19
Catalogo bilingue ita/en: Interlinea edizioni
 
Ufficio Stampa
STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Via San Mattia 16, 35121 Padova
Tel. +39.049.663499
referente Simone Raddi, simone@studioesseci.net
www.studioesseci.net

MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro
Via Sebastiano Satta 27 – 08100 Nuoro
Tel. +39.0784.252110
Orario: 10:00 – 20:00 (Lunedì chiuso)
info@museoman.it

Reggio Emilia: A Palazzo Magnani: Marionette e Avanguardia. Picasso · Depero · Klee · Sarzi

Enrico Prampolini, Dieci burattini futuristi, 1922, Gabriele D’Annunzio; Benito Mussolini ; don Sturzo; Dina Galli; Re Vittorio Emanuele III; Il diavolo; Il fascismo; Il Mondo; Giovanni Giolitti; Francesco Saverio Nitti
Legno dipinto e tessuto, dimensioni varie. Collezione privata

MARIONETTE  E  AVANGUARDIA
PICASSO DEPERO KLEE SARZI

Reggio Emilia, Palazzo Magnani

17 novembre 2023 – 17 marzo 2024

Quella proposta dalla Fondazione Palazzo Magnani a Reggio Emilia, dal 17 novembre 2023 al 17 marzo 2024, è una mostra-spettacolo assolutamente originale, nel senso che una mostra così in Italia non si è mai vista. E nemmeno all’estero.
Ad andare in scena sarà “Marionette e Avanguardia. Picasso · Depero · Klee · Sarzi“, coordinata da James Bradburne, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Palazzo Magnani.

L’esposizione si sviluppa attorno al concetto di “quarta parete”, ovvero la capacità di coinvolgimento emotivo che fa di uno spettacolo ben riuscito una realtà capace di immergere lo spettatore nella storia messa in scena. Quando una marionetta o un burattino rompe la quarta parete, conquista la fiducia del pubblico, dando allo spettacolo il potere di sfumare la divisione tra palcoscenico e mondo, tra arte e vita.

A capirlo bene sono stati quegli artisti – protagonisti del mondo dell’Arte e del Teatro di figura – che, piuttosto che liquidare le marionette e i burattini (in inglese si usa per entrambi il termine puppets) come semplici giochi per bambini, hanno preso sul serio il loro entusiasmo e anzi, hanno guardato al “gioco creativo” come a una fonte di ispirazione estetica per cercare nuove modalità di espressione visiva. La nozione stessa di “bambino” come distinto dall’adulto si è manifestata in vari modi nel corso del Novecento e ha stimolato alcuni artisti a sfruttare il potenziale educativo del “teatro di figura”, spesso apparentemente legato ai bambini, per creare un mondo migliore e migliorare i cittadini in un momento cruciale del loro sviluppo.

Mentre alcuni artisti vedevano il potenziale delle marionette e dei burattini per immaginare un mondo migliore, i satirici usavano spettacoli trasgressivi e pungenti per attaccare l’establishment politico. Rivolgendosi a un pubblico adulto e attingendo a una solida tradizione di satira politica del “teatro di figura”, i burattini, in particolare, sono stati usati anche per criticare le condizioni politiche e sociali. La miniatura di un burattino, infatti, lo rende un portavoce sicuro per una protesta a voce alta, perché la sua mordacità è mitigata dalla carineria. Chi potrebbe essere infastidito da un puppet? I burattini dicono la verità al potere in un modo in cui gli attori teatrali tradizionali non possono mai farlo.

A Palazzo Magnani ad accogliere i visitatori saranno i costumi a grandezza naturale disegnati da Pablo Picasso per Parade, balletto coreografico che i Ballets russes di Sergej Djaghilev portarono in scena a Parigi nel 1917.

Poi una folla di puppets: le marionette (manipolate dall’alto) e i burattini (manipolati dal basso), dagli esemplari più antichi, come i Pulcinella o gli Arlecchino della Commedia dell’Arte, a quelli di Otello Sarzi, reggiano di adozione, realizzati con materiali sperimentali.

Due palcoscenici (a simulare una baracca e un castelet) allestiti nelle sale a piano terra, consentiranno a tutti i visitatori di cimentarsi con il “teatro di figura”. Grazie alla collaborazione con la Compagnia marionettistica Carlo Colla di Milano e l’Associazione 5T di Reggio Emilia, un ricco programma di micro-spettacoli/performance, interpretati da professionisti del “teatro di figura”, animerà i fine settimana per tutta la durata della mostra. Vedendoli all’opera c’è da chiedersi: “Le marionette e i burattini vanno in paradiso quando muoiono?”, domanda del tutto naturale, collocandosi i puppets in una zona grigia, tra creature viventi e oggetti inanimati.

Alcuni protagonisti dell’Arte si sono “appropriati” e cimentati in questa forma d’arte per la loro qualità di incantesimo e ambiguità. I registi come mezzo per sostituire gli attori. Il sogno di dare vita agli oggetti e le conseguenze della loro autonomia hanno affascinato scrittori e artisti da Collodi a Capek, ma anche tanti artisti italiani come i futuristi Enrico Prampolini e Fortunato Depero: le marionette esprimevano un’estetica macchinica, erano astratte e, dopo la devastazione della Prima guerra mondiale, catturavano la triste realtà dei soldati di ritorno amputati e mutilati, come illustrato da Sironi, Carrà e De Chirico.

Fino alla fine degli anni Venti, Vienna era una delle capitali culturali europee e, insieme a Berlino, una fucina di creatività nell’arte, nel teatro, nella musica, nella filosofia e nelle scienze.

Alla fine del XIX secolo, sull’onda dell’orientalismo, le classiche marionette giavanesi cominciarono ad apparire sulle scene europee. L’artista e illustratore austriaco Richard Teschner, in particolare, sviluppò l’arte della marionetta a bastone fino a raggiungere un punto culminante, che influenzò artisti da Parigi a Mosca. A raccontarlo in mostra la sezione “Sogni dell’Estremo Oriente – Espressionismo viennese”.

Model after El Lissitzky ‘The Gravediggers’, 1923 Construction by Henry Milner, 2009 Legno, metallo, plexiglass e acrilico.
Van Abbemuseum

Grazie alla riscoperta da parte di Oskar Schlemmer del classico di Kleist Sul teatro delle marionette (1810), le marionette, i giocattoli e i giochi per bambini divennero un elemento centrale della pratica del Bauhaus nella Weimar degli anni Venti: Paul Klee, Andor Weininger, Lothar Schreyer, Sophie Täuber Arp e Oskar Schlemmer.

L’indagine si sposta quindi sull’avanguardia russa con “Le marionette e la Rivoluzione”. Quando Lenin e la moglie Natalia Krupskaya decisero di combattere l’analfabetismo e di formare il nuovo cittadino sovietico, capirono che l’uso delle marionette era l’ideale e, lavorando con artisti, architetti e scrittori di primo piano, figure come Natalia Sats, Samuil Marshak, El Lissitzky, Aleksandra Ekster, Nina Efimova, hanno sperimentato nuove forme di teatro per bambini.

L’esposizione si completa con un omaggio a Otello Sarzi (Vigasio, VR 1922 – Reggio Emilia 2001) grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Famiglia Sarzi. Nato da una tradizione di burattinai che durava da generazioni, Otello fu dal 1951 un giovane aiutante della compagnia itinerante di famiglia che, nel tempo, entrò in contatto con alcuni dei protagonisti della scena artistica, teatrale e cinematografica italiana dell’epoca.  

Nel 1957, a Roma, Otello inizia la sua opera creativa e innovativa con il “T.S.B.M.” Teatro sperimentale burattini e marionette, intrattenendo importanti collaborazioni, mettendo in scena testi di Brecht (Un uomo è un uomo), Garcia Lorca (Il teatrino di Don Cristobal) e Arrabal (Pic-nic) e realizzando, con tecniche innovative, anche figure molto grandi. Ne è un esempio la figura gigante di carta realizzata da Otello Sarzi per lo spettacolo Mavra di Igor Stravinskij rappresentato al Festival “Due Mondi” di Spoleto nel 1984.

La compagnia intraprende tournée anche all’estero e, nel 1969, si stabilisce presso Reggio Emilia, alternando presenze nazionali, europee e internazionali. Frequenti sono le collaborazioni con la televisione italiana. Numerosi i suoi spettacoli di rilievo, spesso anche tecnicamente molto complessi, ambiziosi e sempre caratterizzati da un forte impegno culturale e un’esplicita consapevolezza politica. Otello Sarzi rappresenta, in Italia, uno dei momenti più alti e importanti del “teatro di figura” nel secondo dopoguerra.

Ritengo che l’obiettivo principale della mostra sia quello di aprire uno spazio dell’immaginazione in cui un bastone possa tornare a essere un cavallo, un drago o un flauto“, chiosa James Bradburne, che della mostra è il coordinatore scientifico.

Questa proposta assolutamente originale rappresenta un altro bel traguardo raggiunto da Palazzo Magnani nel segno non soltanto della qualità artistica, ma anche di una grande attenzione a due tratti distintivi della nostra comunità: l’estro, il genio e la fantasia del nostro territorio, qui testimoniati dalle opere di Otello Sarzi, e il sistema educativo, un’altra nostra eccellenza, pure protagonista di questo progetto“, dice il Presidente della Provincia di Reggio Emilia, Giorgio Zanni.

“Una mostra davvero unica – aggiunge l’Assessora alla cultura e al marketing territoriale del Comune di Reggio Emilia, Annalisa Rabitti – che parla di marionette e burattini come un mondo artistico, scoprendolo nel percorso dei grandi nomi dell’arte del Novecento come Picasso, Depero, Klee e mette in relazione questi grandissimi con Otello Sarzi, una figura poetica che ha segnato la storia artistica ed educativa di Reggio Emilia.  Questa, infatti, diventa un’occasione per valorizzare il nostro patrimonio cittadino e metterlo in connessione con il patrimonio internazionale del “teatro di figura”. Una mostra sognante, Marionette e Avanguardia parlerà un linguaggio trasversale, tanto ai bambini quanto al mondo degli adulti, che anche grazie a laboratori e incontri collaterali alla mostra, sarà l’occasione per far riemergere la parte più bella di noi adulti, la meraviglia tutta infantile che le marionette e i burattini sanno evocare”.

Rossella Cantoni, la Presidente della Fondazione Famiglia Sarzi, racconta: “Nel 2022, anno del centenario della nascita di Otello Sarzi, avevamo proposto alla Fondazione Palazzo Magnani una mostra che rendesse omaggio alla portata innovativa del lavoro dell’artista burattinaio. Successivamente la scelta compiuta dalla Fondazione Magnani e da James Bradburne, ha allargato molto gli orizzonti e gli obiettivi, accogliendo il nome di Otello Sarzi accanto ai prestigiosi Picasso, Depero, Klee, Teschner. Questa scelta ci rende pieni d’orgoglio per il riconoscimento alla grande creatività, alla tecnica rappresentativa e all’impegno sociale espressi da Otello Sarzi nei tanti decenni di vita e di lavoro espressi nella nostra Reggio Emilia“.

Dopo il lavoro svolto con le mostre “What a Wonderful World” e “L’arte inquieta. L’urgenza della creazione”, con questo progetto espositivo – dice Davide Zanichelli, Direttore della Fondazione Palazzo Magnani – la Fondazione prosegue nel suo progetto di valorizzazione del patrimonio locale, ponendolo in dialogo con i grandi movimenti artistici europei. La mostra sarà anche l’occasione per riscoprire una parte importante della vocazione educativa della nostra città, quando personaggi straordinari si trovarono a lavorare fianco a fianco, sperimentando e innovando.”

Arricchiranno la mostra una serie di attività collaterali – visite guidate, conferenze, attività formative e didattiche per scuole di ogni ordine e grado, corsi di aggiornamento per insegnanti – progettati e realizzati dal Dipartimento didattico della Fondazione Palazzo Magnani in collaborazione con Fondazione Reggio Children Fondazione Famiglia Sarzi; eventi esclusivi per aziende nonché progetti speciali per soggetti con fragilità in collaborazione con FCR – Farmacie Comunali Riunite (progetto Reggio Emilia Città senza Barriere), ASP Reggio Emilia Città delle persone, Consorzio Oscar Romero (progetto Strade), AUSL di Reggio Emilia, con l’obiettivo di parlare a diversi pubblici, nella consapevolezza che l’arte, fruita e praticata, sia la strada maestra per coniugare sviluppo individuale e coesione sociale.

La mostra sarà, inoltre, l’occasione per stimolare riflessioni attraverso una serie di incontri pubblici su tematiche storico-artistiche ma anche di stretta attualità.

Se da un lato verrà approfondito il contesto storico dei movimenti e dei protagonisti della mostra, così cole la dimensione pedagogica del burattino in alcune delle grandi tradizioni europee, fino alle sperimentazioni degli anni Settanta e Ottanta del Novecento che hanno fatto di Reggio Emilia una delle capitali mondiali della ricerca in ambito educativo, dall’altro l’attenzione sarà portata su alcuni aspetti meno noti del teatro di figura: il tema dell’embodiment e del doppio, da un punto di vista filosofico, psicologico e sanitario, fino agli automi, agli avatar digitali e all’intelligenza artificiale. Valeria BizzariPiero Corbella, Fulvio De Nigris, Emilio Ferrario, Martina Mazzotta, Nicoletta Misler, Valentina Parisi, Moreno Pigoni, Mauro Sarzi sono solo alcuni dei nomi di rilievo che ci accompagneranno in questo viaggio meraviglioso.


Ufficio stampa: Studio ESSECI di Sergio Campagnolo s.a.s.
Simone Raddi, tel. 049.66.34.99; simone@studioesseci.net

Ufficio stampa Fondazione Palazzo Magnani
Stefania Palazzo, tel. 0522.444409; s.palazzo@palazzomagnani.it

Roma: ETICHA. Il diritto/dovere all’estetica anche durante le cure

ETICHA
Il diritto/dovere all’estetica anche durante le cure 

15 novembre 2023
Roma – Domus Circo Massimo 

Torna l’appuntamento con il Calendario Tricostarc, per il 2024 alla sua settima edizione. Il progetto si chiama “Eticha” ed è un’iniziativa di sensibilizzazione alla Tricologia Solidale come supporto alla qualità di vita delle/dei pazienti che affrontano i trattamenti di cura, condiviso fin dai suoi esordi da Tricostarc Onlus con la Fondazione Prometeus.
La presentazione di ETICHA a Roma, mercoledì 15 novembre alle ore 19.30, presso la Domus Circo Massimo in Via dei Cerchi 89.

Eticha: un’etica tricologica, che allude al diritto all’estetica anche nel dolore, quale contributo a superarlo, per sé e per chi ci circonda, e al dovere di garantirla da parte degli operatori sanitari che trattano il dolore.  Un calendario, dodici mesi. Ma dodici mesi raccontati dalle immagini di donne insieme alle quali Tricostarc combatte la difficile gestione di uno tra i più temuti effetti collaterali del farmaco chemioterapico: la caduta dei capelli, una nudità dura da affrontare in un momento in cui la parte identitaria e di riconoscimento di sé cede spesso il passo alla paura del futuro e al rifiuto.

Gli scatti della VIIa edizione sono del fotografo Gianmarco Chieregato, che con il suo talento ha saputo dipingere di rosa la dimensione dello spazio femminile. Le parrucche indossate dalle inedite “modelle” sono state realizzate anche grazie al gesto d’amore delle e dei sempre più numerosi aderenti al progetto di donazione capelli “Hair Smile”.

La tricologia solidale, in ambito oncologico e per altre patologie, è una strada che Tricostarc percorre da oltre dodici anni – accanto ad altri percorsi, in sinergia con le istituzioni politiche e le strutture sanitarie, per la tutela del benessere psico-fisico delle e dei pazienti affetti da patologie tricologiche –, attraverso la Tricostarc Onlus e la collaborazione con la Fondazione Prometeus.

Una storia di consapevolezza e impegno che attraverso un oggetto semplice e quotidiano come un Calendario, entra anno dopo anno in sempre più case e viene sempre più conosciuta.    Una iniziativa, quella del 15 novembre, di indubbio valore sociale, che merita la più ampia condivisione, perché contribuisce a diffondere consapevolezza che le/i pazienti devono essere incoraggiati ed aiutati a rimanere innanzitutto sé stessi: persone.


L’evento avrà inizio alle ore 19.30. Registrazione dalle ore 19.00.
Per ACCREDITI-STAMPA, informazioni e materiali: ufficiostampa.tricostarc@gmail.com

Ufficio Stampa ETICHA
Donatella Gimigliano
Diana Daneluz
e-mail: ufficiostampa.tricostarc@gmail.com