Castello di Udine e Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia: l’Arte del Friuli Venezia Giulia

Giambattista Tiepolo: L’angelo custode,
Udine, Civici Musei

Udine, Castello
25 novembre 2023 – 7 aprile 2024

Gorizia, Palazzo Attems Petzenstein

14 dicembre 2023 – 7 aprile 2024

L’arte non conosce frontiere. Semmai fa di un limite amministrativo, geografico, politico un luogo di incontro e di contaminazioni, un palcoscenico su cui misurarsi alla conquista di nuovi mercati.
“Pittori del Settecento tra Venezia e Impero”, promossa dai Civici Musei di Udine e dai Musei Provinciali di Gorizia, curata da Liliana Cargnelutti, Vania Gransinigh e Alessandro Quinzi, di tutto ciò offre un’affascinante testimonianza. La grande esposizione allestita su due sedi – Castello di Udine dal 25 novembre 2023 e Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia dal 14 dicembre 2023 fino al 7 aprile 2024 (unico il catalogo) – mette in luce l’osmosi tra aree storicamente riconducibili a differenti entità statali. Quello che oggi è il Friuli Venezia Giulia fu, sino al 1797, anno della caduta della Serenissima Repubblica di San Marco, terra contesa tra Venezia, che esprimeva il suo dominio sulla “Patria del Friuli”, e l’Impero asburgico che dominava il Goriziano, Trieste e la contigua Slovenia. Lingue, tradizioni, visioni diverse, ma non per gli artisti e la loro arte, uomini e donne che traghettarono i loro originali modi di esprimere l’arte in territori non abituali, trovandoli recettivi.

“Nel ‘700 ad Udine, attorno alla figura geniale di Giambattista Tiepolo che lavorò più volte per una committenza friulana, si mettono in luce altri artisti nativi friulani di che hanno successo proprio a Venezia. Tra di loro Sebastiano Bombelli, Nicola Grassi, Luca Carlevarijs che, pur scegliendo di trasferirsi in Laguna, continuarono a mantenere rapporti di lavoro con la terra d’origine. Altri, veneziani, raggiungono il Friuli per affiancare Tiepolo nel rispondere alle richieste della committenza friulana. Tra loro Gian Antonio Guardi, Giambattista Piazzetta, Gaspare Diziani, Francesco Fontebasso. Le loro opere friulane offrono motivi d’ispirazione per gli artisti locali. Come avviene con Francesco Pavona o Francesco Chiarottini, entrambi attivi lungo i due versanti del confine tra le terre imperiali e veneziane”, anticipa Vania Gransinigh.

Civici Musei Udine, G.D.S, F. Chiarottini,
Scenografia con approdo fluviale

La Contea di Gorizia diventa presto uno snodo importante per quegli artisti veneziani che puntano ad affermarsi nelle terre imperiali. Esemplari i casi di Giulio Quaglio o quello della famiglia Pacassi che da Venezia si trasferì dapprima a Gorizia e nel secondo decennio del Settecento, con Giovanni Pacassi e lo scultore Pietro Baratta estese, con successo, l’attività a Vienna. La crescita della città e del suo entroterra, in connessione con il rinnovo architettonico delle chiese in senso post tridentino e barocco, vede verso la metà del secolo l’affermarsi delle botteghe del palmense Pietro Bainville, di Antonio Paroli, di schietta formazione veneziana e di Johann Michael Lichtenreit, bavarese ma goriziano d’adozione. Su questo panorama si stagliano singoli episodi di committenze qualificate. Tra questa fitta trama di rapporti spiccano commissioni importanti: il Conte Sigismondo Attems Petzenstein commissiona al veronese Giambettino Cignaroli per l’altare di famiglia, mentre il conte Livio Lantieri crea una collezione di pastelli di Francesco Pavona. Una moda, quella del pastello, che prese piede dopo la visita in città dell’imperatore Carlo VI nel 1728 quando raggiunse il capoluogo isontino Rosalba Carriera, anch’essa mossa dalla speranza, che si rivelerà fondata, di allacciare i rapporti con l’alta nobiltà viennese. Proprio in quell’occasione ritrasse anche alcuni membri della famiglia Lantieri. Nello stesso periodo, la storia del Friuli veneto fu segnata dall’ascesa sociale di famiglie di recente nobiltà come quella dei Manin, mentre le personalità di Giovanni, Dionisio e Daniele Dolfin nelle vesti di Patriarchi di Aquileia assicurarono, in questo lembo di terraferma veneziana, il consolidarsi di una cultura figurativa di marca prevalentemente veneziana.

“Gli studi e le ricerche portati a compimento negli ultimi trent’anni hanno dimostrato come la trama di rapporti culturali reciproci tra le diverse aree della regione siano molto più stratificati e differenziati di quanto non si pensi. Un intero secolo separa la figura del pittore di origini lombarde Giulio Quaglio, che dopo aver lavorato per una decina d’anni a Udine decorando i palazzi della nobiltà cittadina di nuova nomina si trasferì agli inizi del Settecento a Lubiana passando per Gorizia, da quella di Franz Caucig/Kavčič, che nato nel capoluogo isontino, visse a Vienna prestando la sua opera anche per una nobile committenza goriziana oltre che viennese. Tra questi due estremi si colloca un contesto variegato e composito, punteggiato di personalità artistiche dalla formazione e dai trascorsi più diversi che contribuirono in maniera determinante alla definizione di una congerie figurativa debitrice tanto dell’arte veneta quanto di quella oltralpina nelle aree territoriali in cui la regione Friuli Venezia Giulia si suole suddividere”, chiosa Alessandro Quinzi.


Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
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Castello di Rivoli, COLLEZIONE CERRUTI: un nuovo programma di scambi culturali

Opere in viaggio
Un dipinto di Claude Monet alla Collezione Cerruti

A cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Fabio Cafagna
Il dipinto del Museum Barberini di Potsdam, sede della Collezione di Hasso Plattner, sarà ospitato dal 25 novembre 2023 al 18 agosto 2024 nella villa di Rivoli che fu di Francesco Federico Cerruti

Con l’esposizione di La Falaise et la Porte d’Aval, 1885, di Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926), inaugura un nuovo programma di scambi culturali che, oltre a valorizzare le opere della Collezione attraverso la loro partecipazione a mostre nazionali e internazionali di alto valore scientifico, intende promuovere anche la casa-museo di Rivoli come luogo che offra al pubblico torinese la possibilità di vedere dal vivo grandi capolavori provenienti da importanti collezioni d’arte pubbliche e private.

La prima collaborazione del programma Opere in viaggio coinvolge il Museum Barberini di Potsdam che, insieme alla Staatsgalerie Stuttgart, ha richiesto il prestito del dipinto di Amedeo Modigliani, Jeune femme à la robe jaune (Renée Modot), 1918, olio su tela, 92 x 60 cm, in occasione della mostra Modigliani: Modern Gazes, a cura di Ortrud Westheider e Christiane Lange con Nathalie Frensch, che si terrà dal 24 novembre 2023 al 17 marzo 2024 alla Staatsgalerie Stuttgart e dal 26 aprile al 18 agosto 2024 al Museum Barberini di Potsdam.

Il Museum Barberini, inaugurato nel 2017 nel centro storico di Potsdam per volontà dell’imprenditore, collezionista e mecenate Hasso Plattner, fondatore di una delle più grandi società di software, la tedesca SAP, ospita una collezione straordinaria, che comprende sculture antiche, dipinti barocchi e impressionisti, oltre a opere di Rembrandt van Rijn, Vincent van Gogh, Pablo Picasso e Gerhard Richter, mostrando, in linea con la Collezione Cerruti, un’idea di collezionismo che attraversa epoche e stili diversi.
Alla partenza dell’opera di Amedeo Modigliani corrisponde l’arrivo nelle sale di Villa Cerruti del dipinto di Claude Monet, La Falaise et la Porte d’Aval, 1885, olio su tela, 65 x 81 cm, del Museum Barberini. La presenza a Villa Cerruti di un’importante opera di Monet, artista mai acquistato da Cerruti, integra l’interesse dimostrato dal collezionista per il movimento impressionista, che negli anni si è manifestato con l’acquisizione di opere di Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne e dell’italiano Federico Zandomeneghi.

Claude Monet è annoverato tra i più grandi protagonisti della rivoluzione impressionista francese, di cui fu probabilmente lo spirito più risoluto, prolifico e coerente. Per tutta la vita rimase fedele agli innovativi principi del movimento, per esempio dipingendo sempre en plein air – all’aria aperta – e praticando una pittura di paesaggio fatta di piccoli tocchi di colore e di rapide pennellate che, evitando una rappresentazione dettagliata del reale, era in grado, invece, di cogliere a pieno i mobili riflessi della luce del sole sull’acqua e di trasformare la solidità di una scogliera in una massa fluida d’impressioni vibranti. Infaticabile, Monet viaggiava armato di pennelli per catturare le variazioni atmosferiche, il mutare dei cieli e delle nuvole, lavorando sul motivo in serie divenute celebri, dalla cattedrale di Rouen ai covoni, ai pioppi, fino a questa scogliera. La casa di Giverny in Normandia, nella quale si trasferì nel 1883, si trasformò negli anni della vecchiaia in un paradiso privato, un esclusivo giardino d’acqua con ninfee e un ponte giapponese pensato per i suoi occhi stanchi, ormai minacciati dalla cecità.

Il dipinto La Falaise et la Porte d’Aval di Monet, scelto per la casa-museo di Rivoli, è stato realizzato alla metà degli anni ottanta dell’Ottocento, periodo in cui l’artista viaggiò intensamente visitando più volte le coste settentrionali della Francia e, in particolare, la località di Étretat, in Normandia, famosa per le sue spettacolari scogliere e il caratteristico arco in pietra naturale della Porte d’Aval. Di tutte le regioni visitate in quel periodo, la costa normanna, con le sue località balneari, fu senza dubbio quella che affascinò maggiormente l’artista. Fu durante un’escursione a Étretat al principio del 1883 che, di fronte alle drammatiche formazioni rocciose della Porte d’Aval, Monet iniziò a interessarsi al motivo della falesia, traendo ispirazione, inoltre, dal precedente di Gustave Courbet (Ornans, 1819 – La Tour-de-Peilz, 1877) La Falaise d’Étretat après l’orage, 1870, opera ben accolta dalla critica al Salon di Parigi del 1870 e oggi conservata al Musée d’Orsay di Parigi. Monet scriveva, infatti, alla futura moglie Alice Hoschedé: «Voglio dipingere un grande quadro delle scogliere di Étretat, anche se è piuttosto audace da parte mia farlo dopo Courbet, che lo ha fatto in modo così mirabile; ma cercherò di farlo in modo diverso». Monet dedicò alla falesia di Étretat svariati dipinti, tutti realizzati tra il 1883 e il 1885, nei quali scelse di variare metodicamente non solo l’ora del giorno e le condizioni meteorologiche della ripresa, ma anche il punto di osservazione.

Étretat fu anche il luogo in cui Monet conobbe lo scrittore Guy de Maupassant (Tourville-sur-Arques, 1850 – Parigi, 1893), che in seguito tracciò un folgorante ritratto dell’artista: «Ho seguito spesso Monet alla ricerca di “impressioni”, ma in verità, egli non era ormai più un pittore, ma un cacciatore. Camminava, seguito da alcuni bambini che portavano le sue tele […]. Le prendeva o le lasciava, seguendo ogni mutamento del cielo e aspettava, spiava il sole e le ombre, catturava con qualche colpo di pennello il raggio a perpendicolo o la nube vagante e, eliminato ogni indugio, li trasferiva rapidamente sulla tela. L’ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l’effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante.
 Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, nient’altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio».

In La Falaise et la Porte d’Aval del Museum Barberini, lo sguardo dell’osservatore si muove, lungo una traiettoria a forma di arco, dalle scogliere illuminate dal sole in primo piano a sinistra verso il centro della composizione. Una materica pennellata di rosa intenso segna la breccia nella scogliera e crea un suggestivo accento cromatico, sottilmente echeggiato dai riflessi che si propagano sulla superficie dell’acqua. Come nella maggior parte delle tele dedicate alla costa atlantica, anche in questo caso il pittore ha scelto una scena deserta, priva di esseri umani, in modo da evocare un sentimento assoluto di contemplativa osservazione della natura. Se nel dipinto di Courbet gli elementi erano chiaramente tracciati e resi figurativamente nel dettaglio, la tela di Monet si caratterizza per la pennellata sciolta e la resa degli effetti luminosi cangianti tipiche della sua produzione impressionista degli anni ottanta del XIX secolo. Questo movimento verso una sempre maggiore libertà espressiva, accompagnato da un progressivo distacco dal figurativo, si compirà in pieno nelle ultime tele del pittore, quelle che ormai anziano, nei primi decenni del Novecento, dedicherà alle ninfee del giardino di Giverny.

Il dipinto è appartenuto al cantante lirico parigino Jean-Baptiste Faure (Moulins, 1830 – Parigi, 1914), tra i più importanti e primi sostenitori degli impressionisti, che lo acquistò nel 1886 direttamente dall’artista, per poi passare, agli inizi del nuovo secolo, alla galleria Durand-Ruel di Parigi. Dopo essere transitato in alcune collezioni parigine, negli anni settanta del Novecento fu acquisito da una raccolta privata statunitense. L’ingresso nella collezione di Hasso Plattner avvenne nel 2010.

Si ringrazia


Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia
10098 Rivoli – Torino
Info: +39 0119565222
come arrivare

Le attività del Castello di Rivoli sono realizzate primariamente grazie al contributo della Regione Piemonte.
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Ufficio Stampa Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Manuela Vasco | press@castellodirivoli.org | tel. 011.9565209
 
Consulenza Stampa
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Roma, Libreria Spazio sette: SEGNI di/con VERSI Presentazione dei libri d’artista

Presentazione dei libri d’artista

di Paolo Di Capua
e Rita Iacomino

dialoga con gli autori Silvia Bordini

19 novembre 2023, ore 18.00

Libreria Spazio sette

Roma, via dei Barbieri 7, RM 00186

Sabato 19 novembre, dalle ore 18.00, la Libreria SpazioSette di Roma ospiterà la presentazione di due libri d’artista, nati dalla “collaborazione verbo-visiva” instauratasi tra l’artista Paolo Di Capua e la poetessa Rita Iacomino.

Gli autori, presenti all’incontro, dialogheranno con la storica dell’arte Silvia Bordini.

I due libri (gemelli diversi) d’artista – “Segni di Versi” e Segni con Versi” – nella versione originale consistono ognuno di una copertina e cinque tavole in legno compensato disegnate e dipinte ad acrilico B/N da Di Capua, tra le cui ‘pagine’ sono state inserite in modo graduale le parole della Iacomino.

Degli originali è stata prodotta anche una tiratura di 15 esemplari in carta di misure più ridotte.

L’insieme compositivo dei due volumi presenta un riferimento al biennio 2019/2021, quindi a quegli anni durante i quali improvvisamente le città dell’intero pianeta Terra furono disabitate. Periodo in cui tutta l’umanità ha vissuto in un’assurda quotidiana Metafisica.


Informazioni
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti
Per prenotazione scrivere a info@spaziosettelibreria.it

Da Simona Pandolfi pandolfisimona.sp@gmail.com