L’intervento realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure. Riqualificata anche la chiesa di San Lorenzo

  1. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine in luce diffusa del dipinto prima del restauro.
  2. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine in luce diffusa del dipinto durante il restauro, al termine della pulitura e in fase di stuccatura.
  3. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine in luce diffusa del dipinto dopo il restauro.
  4. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine in luce diffusa di un particolare del dipinto durante l’intervento di pulitura.
  5. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine in Ultravioletto di un particolare del dipinto durante l’intervento di pulitura.
  6. Rosso Fiorentino, Deposizione di Cristo dalla Croce, San Sepolcro, Chiesa di San Lorenzo.
    Immagine riflettografica IR (1600 nm) di un particolare del dipinto.

Ha fatto ritorno a Sansepolcro la preziosa pala della Deposizione di Cristo, capolavoro cinquecentesco di Rosso Fiorentino, che aveva lasciato sette anni fa il capoluogo valtiberino per essere sottoposto a un importante restauro divenuto ormai improrogabile, affidato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Com’è nato il restauro

Il progetto per il restauro della tavola di Rosso Fiorentino nasce in occasione della grande mostra “Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della ‘maniera’” ospitata nel 2014 a Palazzo Strozzi a Firenze. In tale occasione, la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro con la Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo facevano notare la grande sofferenza della pellicola pittorica. La principale criticità era dovuta ai numerosissimi sollevamenti diffusi sull’intera superficie, causati dall’estrema rigidità del supporto ligneo, rigidità dovuta a un precedente intervento di restauro, avvenuto probabilmente tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 dopo il terremoto che colpì Sansepolcro nel 1789. Infatti a seguito di questa calamità furono aggiunte cinque traverse in legno di pioppo avvitate sul supporto, che hanno ostacolato i naturali movimenti del legno, e le forze così scaturite si sono ripercosse sul fronte del dipinto creando i sollevamenti. Al termine della mostra l’opera fece ritorno a Sansepolcro nel 2015 e grazie alla disponibilità dell’Opificio delle Pietre Dure a far eseguire il restauro nei propri laboratori e alla volontà manifestata dall’Ufficio Beni Culturali della Diocesi, furono avviate dalla Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo le procedure tra le istituzioni coinvolte. Il 20 gennaio 2016 il delicato dipinto fu movimentato in sicurezza presso il laboratorio di restauro della Fortezza da Basso di Firenze.

Il restauro

Come consueto per l’Opificio l’intervento è stato preceduto da una diagnostica completa ed approfondita che ha permesso di conoscere tecniche esecutive e materiali presenti, tanto originali che di restauro.

In primo luogo si è intervenuti sulla struttura, con la rimozione meccanica dell’ammannitura e delle cinque traverse non originali. Dopo aver completato il risanamento del tavolato le due traverse originali sono state rifunzionalizzate mediante un sistema a molle che asseconda, controllandoli, i naturali movimenti del legno. Si è poi proceduto al restauro degli strati pittorici. Prima di poter effettuare la fermatura del colore è stata necessaria una prima pulitura degli spessi strati di vernice non originale. Conclusa la fermatura la pulitura, complessa e delicata, è stata condotta a più riprese: l’opera presentava molte patinature, ridipinture a coprire una superficie molto compromessa in quanto abrasa da puliture aggressive di antichi restauri (le abrasioni interessavano più di ¼ della superficie pittorica); erano presenti anche molte sgocciolature e ritocchi alterati. Le lacune, dovute per la maggior parte a pratiche devozionali, non erano fortunatamente di grandi dimensioni e comunque compromettevano parti figurative importanti. Su di esse, dopo aver effettuato la stuccatura e il ricollegamento materico della superficie, è stata eseguita l’integrazione cromatica mediante selezione, mentre le diffuse abrasioni sono state abbassate di tono mediante leggere velature.

Il restauro, le cui tempistiche sono state dettate oltre che dalla complessità dell’intervento anche e soprattutto dalla pandemia, si è concluso nel maggio 2023.

“Il complesso intervento di restauro ha permesso di restituire la completa leggibilità a un testo fondamentale nello svolgimento della pittura della prima Maniera italiana – spiega Sandra Rossi, Direttore del Settore di restauro dei dipinti mobili, Opificio delle Pietre Dure -. Le indagini sulla tecnica pittorica dell’artista ne hanno, infatti, rivelato l’espressività e la modernità fuori dal comune: una pennellata caratterizzata da un tratteggio incrociato continuamente spezzato, quasi grafico. Sono emersi, inoltre, interessanti dettagli operativi come l’utilizzo della tecnica detta ‘al risparmio’ che, lasciando intenzionalmente a vista il fondo cromatico bruno, lo rende elemento figurativo. Il restauro ha, infine, svelato commoventi dettagli, come la presenza di una piccola margherita in primo piano, da tempo non più visibili a causa delle precarie condizioni di conservazione della pellicola pittorica”.

“È un momento di grande soddisfazione – dice mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro – il ritorno a Sansepolcro della Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino perché è il frutto di un lavoro in sinergia di diversi enti, in particolare l’Opificio delle Pietre Dure, la Soprintendenza, il Comune di Sansepolcro, la Diocesi, la parrocchia, l’associazionismo e tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di questo evento e di questo recupero. È motivo di soddisfazione e anche significativo perché viene ricollocato in prossimità della Settimana Santa che ci prepara a vivere il mistero di Cristo morto e risorto. Questo dipinto presentandoci proprio la deposizione di Cristo è un grande invito a riscoprire la bellezza dell’arte nella nostra Diocesi e insieme a viverla come proposta di meditazione”.

“Sansepolcro – dice Emanuela Daffra, Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure – nonostante le perdite subite nel corso del tempo, ha ancora la fortuna di custodire uno straordinario patrimonio di opere d’arte collocate nei luoghi per le quali furono pensate. Non è scontato e spiega la particolare soddisfazione nel vedere nuovamente la tavola di Rosso all’interno della sua cornice settecentesca, a suggello di una collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure ormai ‘storica’ per continuità e qualità di risultati, come mostrano i casi pierfrancescani del Polittico della Misericordia e della Resurrezione“.

“Questo episodio – commenta Gabriele Nannetti, Soprintendente alle Belle Arti, Archeologia e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo è la conferma di un modello virtuoso di interazione tra gli uffici della diocesi e quelli del Ministero della cultura, sia per quanto riguarda la Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo, ma anche per quanto riguarda l’Opificio delle Pietre Dure che opera su tutto il territorio nazionale e che ha sede a Firenze, il risultato si è raggiunto anche grazie a un percorso condiviso e accompagnato in tutte le sue fasi”.

Altri lavori

Già nel 2022, grazie al contributo dei fondi 8×1000 della Conferenza Episcopale Italiana la Diocesi aveva investito circa 7mila euro nella chiesa di San Lorenzo in Sansepolcro – la sede dove è custodito da secoli – per la realizzazione di un moderno impianto antintrusione e di videosorveglianza di ultima generazione. Contestualmente, per completare le verifiche sulla sicurezza della chiesa – dove l’opera avrebbe fatto ritorno – veniva fatta istanza all’Opificio delle Pietre Dure per la collaborazione con il Laboratorio di Climatologia e Conservazione preventiva; il laboratorio installava tre sonde per la rilevazione e la registrazione dei parametri termoigrometrici nell’arco dei dodici mesi.

“Le mostre d’arte quando sono di alto valore scientifico diventano iniziative molto importanti – dice Serena Nocentini, dell’Ufficio diocesano per i Beni Culturali -. Esse sono da considerare grandi eventi anche per la vita culturale della Diocesi e non solo della comunità civile. Proprio in occasione della mostra ospitata a Palazzo Strozzi e in sinergia con la nostra Soprintendenza, è nata questa prestigiosa collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure. Grazie alla loro dedizione e all’altrettanta maestria è stato permesso di restituire alla comunità la bellezza e la forza espressiva di questa inestimabile opera. La Deposizione di Rosso Fiorentino è tra i capolavori più ammirati e studiati nella nostra Diocesi, ma prima di tutto usando le parole di san Giovanni Paolo II in merito all’arte sacra ‘è esperienza di universalità. Non può essere solo oggetto o mezzo. È parola primitiva, nel senso che viene prima e sta al fondo di ogni altra parola’. E proprio per questo, la nostra più grande gioia è che l’opera sia tornata nella sua chiesa originaria, perché quando vi sono le condizioni, le opere sacre devono restare nel loro contesto”.

Il pavimento e la cornice

Nel frattempo, in molti, a Sansepolcro, si erano fatti portavoce dell’esigenza di intervenire sul pavimento della chiesa, realizzato negli anni ’60 con piastrelle in ceramica blu. Per assecondare questa richiesta, la Diocesi si è attivata per la progettazione e per richiesta di autorizzazione presso la Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo per l’Archeologia, le Belle Arti e il Paesaggio, del nuovo pavimento in cotto, il cui costo, 36.300 euro, è stato coperto per tre quarti con le risorse rinvenienti dagli oneri di urbanizzazione destinati agli edifici di culto e, per la quota rimanente, circa 8mila euro, attraverso iniziative di auto finanziamento di cui si è fatta promotrice la parrocchia del Duomo di Sansepolcro e alcune associazioni cittadine (Compagnia Artisti e Vivere a Sansepolcro, Rotary Club Sansepolcro, Lions Club Sansepolcro, Caserma Archeologica, Amici del Poliedro, Associazione Campanari, Gruppo Lunedì d’Estate, Gruppo Cavalieri del Trebbio, Teatro Popolare, Volontariato San Lorenzo, Gruppo Filarmonica e alcuni privati). I lavori sono stati diretti dall’architetto Andrea Mariottini con la collaborazione di David Tripponcini e realizzati dall’impesa Stema di Nako Nasi. Sono state utilizzate pianelle delle Badie di Montefioralle lavorate artigianalmente acquistate dalla ditta Giorni Aldo che si ringrazia per la sponsorizzazione tecnica. Inoltre, con l’autorizzazione della Soprintendenza, e sempre con il contributo della comunità locale è stata eseguita, a opera di Rossana Parigi, la manutenzione della cornice e delle decorazioni in gesso dell’altare maggiore che racchiude la Pala di Rosso Fiorentino.

“Finalmente si riapriranno le porte dell’antica chiesa di San Lorenzo – dice mons. Giancarlo Rapaccini, parroco della Concattedrale di Sansepolcro -. I cittadini e i turisti potranno finalmente ammirare il nuovo pavimento in cotto artigianale dell’Impruneta e soprattutto estasiarsi dinanzi al meraviglioso dipinto della Deposizione di Cristo. Un’opera di straordinario valore artistico restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Un ritorno attesissimo da tutti i biturgensi. È stato emozionante vedere come tante associazioni della città si sono adoperate per reperire i fondi necessari per ridare una degna collocazione al dipinto. La parrocchia, e io personalmente, ci siamo fatti promotori di tale iniziativa senza trovare resistenza. È stato bello lavorare così, tutti insieme, per arricchire la nostra città. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno contribuito, con la speranza di continuare per altri interventi. Chi viene a Sansepolcro, città di Piero della Francesca, deve riempirsi gli occhi di bellezza. E ripartire con il proposito di ritornare”.

La nuova illuminazione

Grazie al fondamentale contributo dell’Amministrazione comunale di Sansepolcro si è provveduto al rifacimento dell’illuminazione; quest’ultima, difatti, per quanto risalente a non molti anni fa, si era dimostrata inadatta per l’adeguata lettura del dipinto: si è così costituito un tavolo tecnico tra Diocesi, Parrocchia e Amministrazione comunale per predisporre il nuovo sistema illuminotecnico affidato alla ditta Opera.

“Il ritorno dell’opera rappresenta un grande evento per l’Amministrazione comunale e per l’intera comunità – dichiara Fabrizio Innocenti, sindaco di Sansepolcro -. Si tratta indubbiamente di una splendida realtà, quella di poter nuovamente ammirare l’opera di Rosso Fiorentino alle nostre latitudini dopo il delicato intervento di restauro che l’ha riguardata. Colgo l’occasione per ringraziare la Diocesi, il costante impegno di monsignor Giancarlo Rapaccini, il generoso contributo delle associazioni cittadine. Anche il Comune ha fatto la sua parte, destinando la somma di 15mila euro per la corretta illuminazione del dipinto. La Deposizione di Rosso Fiorentino sarà così nuovamente fruibile in tutta la sua bellezza e nel suo fascino evocativo, un arricchimento ulteriore al prezioso patrimonio artistico che custodiamo in città e che fa parte del nostro Museo diffuso”.

Notizie storiche

La Deposizione di Sansepolcro è tra i capolavori di Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino (Firenze, 8 marzo 1494 – Fontainebleau, 14 novembre 1540). L’opera fu eseguita a Sansepolcro dove l’artista, fuggito nel 1527 dal Sacco di Roma, aveva trovato rifugio. Secondo il celebre biografo delle Vite, Giorgio Vasari, egli ricevette questa preziosa occasione di lavoro alla generosa rinuncia del pittore biturgense Raffaellino del Colle che, in un primo tempo, aveva ricevuto l’incarico per il dipinto dalla Compagnia di Santa Croce “acciò che in quella città rimanesse qualche reliquia di suo”; ma anche grazie alle raccomandazioni del vescovo Leonardo Tornabuoni, cui il pittore era legato da vincoli professionali e di amicizia. Il Rosso aveva già rappresentato il tema della Deposizione nella bella tavola di Volterra (1521), ma la critica riconosce nell’esemplare di Sansepolcro una più cupa drammaticità che lo spinge a ricorrere perfino al grottesco, come nella mostruosa figura a lato della scala. Siamo di fronte a un’opera di eccezionale forza espressiva, che rivela una religiosità personale intensa, segnata dalla nascente Controriforma e dalla gravità dei tempi, che vedono la stessa Roma in balìa delle milizie e delle bande dei regnanti; nonché a un esempio tra i più illustri del legame con Roma – e dunque degli esempi figurativi moderni quali le opere ultime di Raffaello e della sua scuola, o la potenza cromatica e le torniture poderose degli affreschi della Sistina realizzati da Michelangelo – dei territori della Valtiberina.


NOTIZIE STORICO CRITICHE

La pala fu commissionata a Rosso Fiorentino dalla Confraternita di S. Croce per completare il nuovo altare maggiore ligneo della chiesa di S. Croce, realizzato tre anni prima dagli ebanisti Romano Alberti e Schiatto Schiatti. L’incarico affidato in origine a Raffaellino del Colle fu ceduto dal pittore locale al Rosso, affinchè in città “rimanesse qualcosa di suo” (così scrisse Vasari). Raffaellino invece eseguì la lunetta soprastante rffigurante Dio Padre tra gli angeli. Il contratto tra l’artista e il priore della confraternita fu stipulato il 23 settembre del 1527, dopo che il Rosso, a seguito del Sacco di Roma, riuscì a fuggire ai Lanzichenecchi, giungendo prima a Perugia e poi a Sansepolcro. La Compagnia di Santa Croce nel 1554 accolse nei suoi locali le monache benedettine di San Lorenzo, cui era stato distrutto il monastaro fuori Porta Fiorentina; ciò comportò l’ampliamento dell’edificio, con la costruzione del coro delle monache dietro l’abside della chiesa. L’ampliamento, secondo Franklin (1989), non implicò lo spostamento dell’opera, che fu semplicemente rialzata per permettere l’apertura della grata sopra la mensa d’altare. 

Nel 1808 il convento di San Lorenzo fu soppresso e trasformato in orfanotrofio femminile, ma fortunatamente il dipinto non fu spostato.

Nel 1940, durante il coinvolgimento dell’Italia in Guerra, la pala d’altare si trovava a Firenze per la Mostra del Cinquecento toscano tenuta a Palazzo Strozzi; allo scoppio del conflitto venne ricoverata nei depositi del Museo del Bargello per preservarla dai possibili danni bellici.  

L’opera è ancora conservata nella chiesa di San Lorenzo (già Santa Croce), situata come in origine sull’altare maggiore all’interno di una mostra in stucco tardo settecentesca.

L’opera in origine doveva essere incorniciata all’interno di una carpenteria lignea dorata realizzata nel 1525 da Romano Berto Alberti, detto il Nero e Schiatto Angelo Schiatti; come emerge dai documenti, furono tali legnaioli a realizzare anche il supporto del dipinto. La macchina d’altare lignea, a seguito del grave terremoto del 1789, probabilmente è andata perduta o fu talmente danneggiata da essere sostituita con l’attuale mostra in stucco tardo settecentesca.

STATO DI CONSERVAZIONE E TECNICA ESECUTIVA

L’opera è giunta nel gennaio del 2016 presso i Laboratori di Restauro della Fortezza da Basso a seguito delle criticità riscontrate nel 2014 durante la mostra Pontormo e Rosso: divergenti vie della “maniera” a Palazzo Strozzi.

In tale occasione era stata notata la grande sofferenza della pellicola pittorica. La principale criticità era dovuta ai numerosissimi sollevamenti diffusi sull’intera superficie, causati dall’estrema rigidità del supporto ligneo, rigidità dovuta ad un precedente intervento di restauro, avvenuto probabilmente tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 a seguito del terremoto che colpì Sansepolcro nel 1789. Infatti a seguito di questa calamità furono aggiunte cinque traverse avvitate sul supporto, che hanno ostacolato i naturali movimenti del legno, e le forze così scaturite si sono ripercosse sul fronte del dipinto creando i sollevamenti.

Come è di prassi per il nostro Istituto, preliminarmente al restauro sono state eseguite le indagini diagnostiche, fondamentali allo studio della tecnica, alla caratterizzazione dei materiali impiegati dall’artista nonché ad approfondire alcuni aspetti dello stato di conservazione; tutte informazioni fondamentali per poter poi procedere operativamente nell’intervento di restauro. 

Si è iniziato quindi con le indagini non invasive quali la radiografia, il M-NIR e la fluorescenza UV. Oltre al nostro laboratorio scientifico, di grande importanza sono state le collaborazioni con istituti esterni (come l’Unità di ricerca in tecnologia del legno dell’Università di Firenze per la misurazione delle variazioni dimensionali del supporto; l’ENEA per l’XRF puntuale e l’INFN per l’XRF a scansione per la caratterizzazione dei pigmenti; e l’Università di Pisa per la Gascromatografia che ha permesso di caratterizzare il legante).

Da quanto emerso dallo studio attento e approfondito dell’opera e dall’analisi della riflettografia, l’artista già nelle fasi iniziali aveva determinato con estrema precisione l’intera composizione e l’ingombro dei personaggi, infatti non sono visibili modifiche del disegno preparatorio. Quindi molto probabilmente sullo strato di imprimitura a base di bianco di piombo aveva già impostato l’intera composizione, procedendo poi con le incisioni delle scale e della croce sul fondo, considerando fin da subito l’ingombro dei personaggi e dei minimi particolari. Successivamente, prima di iniziare a dipingere, aveva steso sull’intera superficie un fondo cromatico bruno chiaro a base di terre, sul quale è andato a ricalcare alcuni dettagli tramite cartone; questo, per esempio, è ben evidente in corrispondenza della capigliatura e manica della Maddalena. 

In pratica il dipinto era stato pianificato fin nei minimi dettagli già durante la realizzazione dell’underdrawing.

Osservando la tecnica pittorica si può notare tutta l’espressività e la modernità di quest’artista, tecnica caratterizzata da un tratteggio incrociato continuamente spezzato, quasi grafico, tipico del modo di dipingere del Rosso. È una pittura molto veloce in cui si può percepire la gestualità del Rosso, ma nonostante sia una pittura molto veloce emerge anche la minuzia e la raffinatezza di certi particolari di piccole dimensioni (come il cammeo della veste della pia donna sulla sinistra, la margherita e le capigliature).

È un dipinto in cui è evidente la grande vivacità cromatica e il sapiente uso del colore, una tavolozza ricca di pigmenti come il bianco di Pb, l’azzurrite, lo smaltino, il cinabro, l’orpimento e/o realgar e giallo di Pb e Sn. 

La straordinaria libertà di espressione di quest’artista la ritroviamo anche nella raffigurazione del personaggio dal volto ferino e malvagio che troviamo sullo sfondo, con tratti scimmieschi, e che risulta l’unico a guardare dritto lo spettatore. (Sappiano tramite il Vasari che il Rosso aveva un bertuccione e nelle Vite vengono descritti molto accuratamente alcuni aneddoti relativi a tale animale, quindi è stato ipotizzato che questo personaggio raffigurato possa far riferimento al bertuccione che il Rosso tanto amava.)

La grande novità di quest’opera è la tecnica pittorica che il Rosso impiega, una tecnica che possiamo definire a risparmio, in quanto lascia intenzionalmente a vista il fondo cromatico bruno, come è il caso dei bottoni dei polsini della manica di Nicodemo (che prima del restauro non erano visibili perché coperti da ridipinture di un vecchio restauro, in quanto erroneamente interpretati come lacune), e talvolta oltre al fondo cromatico lascia volutamente a vista anche i tratti neri del disegno, come si può ben vedere nella parte in ombra della manica della Maddalena. La grande innovazione rispetto ad altre opere del Rosso, come per esempio la Pala Dei, è che in questo dipinto le parti a risparmio hanno una valenza figurativa, creano delle forme, quindi il fondo bruno non ha una valenza puramente cromatica ma diventa elemento figurativo. 

Per quanto riguarda le modifiche, non si individuano variazioni sostanziali in corso d’opera, e ciò mostra la grande sicurezza ideativa e disegnativa del pittore. Le uniche modifiche che il Rosso effettua sono a livello pittorico. Come mostra la riflettografia, una volta terminata l’opera, il Rosso modifica la testa del personaggio raffigurato di spalle sullo sfondo, precedentemente dipinto come un soldato con un elmo, mentre successivamente l’elmo viene coperto dai capelli. Questa modifica è già evidente ad un’attenta analisi visiva, in quanto la campitura grigia dell’elmo traspare sia in corrispondenza dell’incarnato del collo, sia dei capelli.  L’altra principale modifica che il Rosso compie riguarda il personaggio a cavallo sulla destra, infatti inizialmente raffigura un uomo a torso nudo che poi in una seconda fase copre con una veste verde e un velo rosso. Si può ipotizzare che queste modifiche possano essere dovute per il raggiungimento di un equilibrio cromatico finale.

RESTAURO DEL SUPPORTO

Per quanto riguarda il restauro, dal momento che la principale causa del degrado della pellicola pittorica era dovuta alla rigidità del supporto ligneo (costituito da dieci assi di pioppo), il primo intervento è stato quello strutturale. Dopo il trattamento anossico per la disinfestazione dagli insetti xilofagi e una campagna di misurazioni effettuata dal Gruppo Scienze del Legno dell’Università degli Studi di Firenze, per studiare le deformazioni del legno al variare dei parametri termoigrometrici, si è proceduto con la rimozione meccanica dell’ammannitura e la rimozione delle cinque traverse non originali. Successivamente sono state estratte le farfalle e il listello di restauro situato nel margine inferiore destro; una volta rettificate le sedi, queste sono state tassellate con elementi di pioppo antico. Inoltre sono state ricostruite alcune parti deteriorate del supporto con un’opportuna tassellatura e risanati spacchi e sconnessure con cunei sottili. Dopo aver completato il risanamento del tavolato, sono iniziate le operazioni di adeguamento delle due traverse originali, rifunzionalizzandole mediante un sistema a molle.

RESTAURO DEGLI STRATI PITTORICI

Solo a seguito del restauro del supporto si è potuto procedere con il restauro degli strati pittorici. Prima di poter effettuare la fermatura del colore, è stata necessaria una prima pulitura degli spessi strati di vernice non originale che non permettevano di far penetrare l’adesivo adeguatamente, e quindi non garantivano la corretta adesione dei sollevamenti presenti.

L’intervento di pulitura è proceduto per aree, ed in un primo momento è stato quindi funzionale alla fermatura degli strati preparatori e pittorici, che in questo caso risultava l’operazione più urgente da effettuare. A seguito della fermatura del colore la pulitura è stata ripresa più volte, sempre mediante l’impiego di solventi differenziati e supportati, ed è risultata un’operazione complessa e delicata: l’opera presentava molte patinature, ridipinture a coprire una superficie molto compromessa in quanto abrasa da puliture aggressive di antichi restauri (le abrasioni interessavano più di ¼ della superficie pittorica); inoltre erano presenti anche molte sgocciolature e ritocchi alterati. 

È stato inoltre necessario anche il consolidamento e il riempimento delle numerosissime gallerie e fori di sfarfallamento degli insetti xilofagi, gallerie che in alcune aree avevano causato il collasso del film pittorico privo ormai del sostegno del supporto ligneo. 

Fortunatamente il dipinto non presentava lacune di grandi dimensioni o che andavano a compromettere parti figurative importanti. La maggior parte di esse è stata causata dalle pratiche di culto devozionale (per esempio vi erano varie bruciature di candele, e lungo il bordo superiore erano presenti, per tutta la larghezza del tavolato, tantissime piccole lacune circolari, presumibilmente da attribuire al rito della Velatio. Durante tale rito, che avveniva nel periodo della quaresima, si posizionava un telo a coprire l’opera, e le lacune corrispondono ai fori lasciati dai chiodi usati per fissare il telo alla tavola; a conferma di ciò è stato anche trovato un chiodo in corrispondenza di uno di questi fori). 

In corrispondenza delle lacune, dopo aver effettuato la stuccatura e il ricollegamento materico superficiale, è stata eseguita l’integrazione cromatica mediante la tecnica della selezione, mentre sulle diffuse abrasioni si è proceduto con un abbassamento di tono mediante leggere velature. La fase finale del restauro ha riguardato la verniciatura del dipinto eseguita prima a pennello e poi a nebulizzazione.

Grazie al settore di climatologia, fondamentale è stato il monitoraggio dei parametri termo-igrometrici in corrispondenza dell’altare maggiore della chiesa, in vista della ricollocazione dell’opera.

Soprintendente: Marco Ciatti (fino al 2022), Emanuela Daffra (dal 2022)

Direttore dei Lavori: Cecilia Frosinini (fino al 2020), Sandra Rossi (dal 2020)

Direttore Tecnico: Chiara Rossi Scarzanella (fino a 2019), Chiara Modesti (dal 2019)

Restauratori: Francesca Bettini (dal 2022), Ciro Castelli, Alberto Dimuccio, Chiara Modesti (dal 2019), Luciano Ricciardi (dal 2019) Chiara Rossi Scarzanella (fino al 2019), Andrea Santacesaria (fino al 2022), Caterina Toso (dal 2023)

Documentazione fotografica: Giuseppe Zicarelli, Cristian Ceccanti (2024)

Indagini scientifiche:
Laboratorio Scientifico dell’OPD: Carlo Galliano Lalli (fino al 2018), Giancarlo Lanterna (fino al 2022), Andrea Cagnini (dal 2022), Monica Galeotti (dal 2022), Simone Porcinai (dal 2022) (analisi chimiche)
Andrea Cagnini, con la collaborazione di Ottavio e Daniele Ciappi. (Radiografia X)
Roberto Bellucci (M-NIR)
ENEA: Pietro Moioli e Claudio Seccaroni (XRF)
Unità di ricerca in tecnologia del legno (Dipartimento DAGRI dell’Università degli Studi di Firenze): Paola Mazzanti, Lorenzo Riparbelli, Luca Uzielli (misurazioni delle variazioni dimensionali del supporto)
INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: Chiara Ruberto, Lisa Castelli (XRF a scansione)
Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa: M.P. Colombini, A. Andreotti (Gascromatografia)
Settore di climatologia: Monica Galeotti, Sandra Cassi (Monitoraggio dei parametri termo-igrometrici della chiesa)

Ufficio Stampa Opificio delle Pietre Dure:
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
tel. +39. 049.663499
simone@studioesseci.net (rif. Simone Raddi)
 
Ufficio Stampa Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro:
Luca Primavera
+39.345.42.15.256
ufficiostampa@diocesi.arezzo.it

Castello Errante: Lanciata la call per l’VIII edizione della Residenza Internazionale del Cinema

Castello Errante 2023

Riaperte le call per l’attesa VIII edizione di Castello Errante! Al via le selezioni per formare la troupe del format innovativo di produzione e promozione del cinema e dell’audiovisivo che, come ogni anno, vedrà giovani professionisti provenienti dall’Italia e dall’America Latina celebrare il cinema e la creatività in un affascinante borgo della Regione Lazio.

L’obiettivo di Castello Errante si confermaquello di coniugare la ricerca e la formazione nel campo dell’audiovisivo, in un contesto diversificato, lontano dalle grandi città: un nuovo modello di produzione audiovisiva, che promuove gli scambi internazionali e le conseguenti ricadute economiche sui territori in cui opera.

È possibile iscriversi e partecipare alle call dal link presente sul sito: www.castelloerranteresidenza.it/call. Castello Errante selezionerà una sceneggiatura per un cortometraggio di finzione e una troupe internazionale che avrà il compito di realizzarla durante la residenza, insieme ad altri progetti artistici.  La candidatura dovrà pervenire entro il termine del 1° Luglio 2024.

La troupe selezionata avrà inoltre l’opportunità di partecipare a diverse masterclass e workshop, con importanti cattedre internazionali del settore, mettendosi alla prova con nuovi formati e producendo contenuti e idee in grado di raccontare e documentare il luogo che la ospita.

Castello Errante lancia inoltre da quest’anno il progetto Showcase, che ha l’obiettivo di facilitare gli incontri tra i giovani talenti italiani e latino-americani e le imprese di produzione audiovisiva italiana. L’appuntamento – che si terrà online nella prima metà di marzo 2024 – offre opportunità di connessione tra i giovani talenti selezionati annualmente da Castello Errante, e una platea di produttrici e produttori a cui proporranno le loro opere da sviluppare. Chiunque fosse interessato a partecipare con la propria società di produzione, può inviare una mail a: organizzazione@castelloerranteresidenza.it.

Castello Errante 2023

Sono in corso i lavori di post-produzione di entrambi i lavori realizzati durante la VII edizione del progetto, che presto intraprenderanno il loro percorso di promozione grazie ai festival e ai partner dell’iniziativa.

Hanno invece intrapreso la fase di distribuzione e promozione i lavori realizzati nella VI edizione di Castello Errante.

Ad aprile in programma l’uscita del documentario diretto dalla regista Marina Fastoso, in cui le protagoniste e i protagonisti di Castello Errante si raccontano intimamente rispetto al significato profondo che il cinema assume nelle loro vite, al loro vagabondare seguendo le onde di un’arte mobile, incantata e scostante, che nutre la loro visione del mondo e i loro sogni. Nella residenza, che si è svolta nel Castello di Santa Severa, nella Regione Lazio, trovano uno spazio fertile in cui poter portare la propria individualità a confronto con altre culture e altre esperienze, così da vivere una commistione artistica e umana irripetibile.

Al via anche la distribuzione di “Cosmo & Wanda”, il cortometraggio di finzione diretto da Jeissy Trompiz e scritto da Lorenzo Carapezzi, che racconta la storia di Anna, una psicologa intrappolata nella stanca routine di una coppia borghese, che decide di separarsi dal marito Umberto, un semiologo saccente che non intende lasciare alla moglie Cosmo e Wanda, i pesciolini rossi del loro acquario. Una riflessione sulle frustrazioni e il regresso dell’animo umano causati da una profonda incapacità di comunicare.

Castello Errante è un progetto organizzato dalla Occhi di Giove S.r.l. con il sostegno di: Ministero della Cultura, Regione Lazio; in collaborazione con IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana, Roma Lazio Film Commission, Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani, AANT – Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie, le Ambasciate di Argentina, Cile, Costa Rica, Colombia, Cuba, Guatemala, Honduras, Haiti, Messico, Nicaragua, Repubblica Domenicana, Uruguay e Venezuela.


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Sulla scia di Dylan Dog. Il fumetto, linguaggio tuttora potente. Nel bene e nel male. Incontro a Roma con Roberto Recchioni

MARIO SAKAMOTO – SARA ARCURI – ROBERTO RECCHIONI – MARIA LUISA PIRAS
Sulla scia di Dylan Dog. Il fumetto, linguaggio tuttora potente. Nel bene e nel male.

Incontro a Roma con Roberto Recchioni.  Un’iniziativa congiunta Rotary Club di Roma e Rotaract Roma

Rientra nella mission del Rotary Club di Roma e della sua presidente Maria Luisa Piras, e del Rotaract Roma, con la sua giovane presidente Sara Arcuri, creare momenti di approfondimento culturale a beneficio dei propri soci e non solo. Così, la serata del 19 marzo, di iniziativa congiunta delle due realtà rotariane, ha avuto come ospite, grazie all’interessamento del Socio Mario Sakamoto,  Roberto Recchioni, sceneggiatore e soggettista per il fumetto e il cinema, illustratore, critico cinematografico, scrittore. Romano, è stato definito “la rockstar del fumetto italiano” per aver scritto di personaggi iconici come Tex, Diabolik e Topolino e aver creato John Doe e Detective Dante (insieme a Lorenzo Bartoli), Battaglia, David Murphy:911 e la serie Orfani. Autore di graphic novels e di alcuni romanzi. A completare, per ora il quadro dei suoi interessi la passione per i videogiochi, ne ha scritto da ultimo uno, e per le moto. Curatore e sceneggiatore di Dylan Dog, la creatura di Tiziano Sclavi in pubblicazione con Sergio Bonelli Editore, dal 20 maggio 2013, e sicuramente responsabile del rilancio dell’Indagatore dell’incubo, il 4 maggio 2023 gli succede Barbara Baraldi. 

Il filo comune

Come conoscitore ed esploratore dell’universo fumetto e del mondo della cultura pop, un filo comune lega le molteplici attività in cui esprime la sua creatività: l’amore per le storie. Le storie, come la musica, salvifiche per l’uomo. Come ha avuto modo di raccontare, in tempi più antichi la capacità di narrare e tramandare storie contenenti informazioni e concetti essenziali e utili ha letteralmente permesso la sopravvivenza di alcune tribù piuttosto che di altre, partendo dalle pitture rupestri veri e propri proto-fumetti. Egualmente oggi, afferma Recchioni, immaginare e raccontare storie non è soltanto una attività meravigliosa, ma farlo attraverso il linguaggio del fumetto rivela tutta la sua potenza e la sua forza espressiva, nel bene come nel male. Il linguaggio in sé è una macchina potentissima in mano all’uomo fin dagli inizi e tanto più quando usato per raccontare storie e innescare, così, altre potentissime leve, le emozioni. Pensiamo alle fiabe, ha detto, alle narrazioni religiose, alla Bibbia, storie capaci di modellare le civiltà, racconti avvincenti capaci di motivare e accrescere la nostra esperienza umana. Storie scritte per appassionare e meravigliare, e trasferire però nel contempo leggi morali o sociali. Pensiamo ai bestiari, testi che legati ad immagini, non tutte reali, che evocavano altresì valori morali ed etici o il loro contrario in una persona, per esempio. I bestiari erano uno degli strumenti in mano al potere per la rappresentazione dei propri nemici. E la cosa tuttora sopravvive in molte espressioni nel nostro gergo comune. 

L’unicum del linguaggio-fumetto

Il fumetto per sua natura stilizza la realtà per necessità di racconto e di mezzi. E a ben guardare, avvisa Recchioni, è pieno di stereotipi e luoghi comuni. La sintesi è la sua forza, ma è una forza fantastica sia per veicolare messaggi positivi sia negativi. C’è violenza nel fumetto, ma oggi che è un mezzo molto più controllato, a ben guardare meno di ieri. L ‘errore comune è tuttavia quello di pensarlo come letteratura per bambini. Non lo è. E il fumetto è anche un linguaggio popolare, di massa, e quindi un’arma, come lo è tutta la comunicazione. Verso il fumetto, come verso l’informazione e la comunicazione tout court oggi, è indispensabile un approccio critico, da lettore attento. In quest’ottica il fumetto si rivela un ottimo metodo per allenare la mente a decodificare il mondo distillando quanto di esso viene rappresentato.

La parabola di Dylan Dog

La vicenda di Dylan Dog, protagonista di una serie riduttivamente forse definibile come horror, nato nel 1986 nell’epoca del pugno di ferro di Margaret Thatcher, lo vede dapprima esprimere tutto il disagio di un personaggio apparentemente incerto, che mette sempre in discussione sé stesso e il mondo e sempre lo vede porsi dalla parte del più debole. Un personaggio, quello di Sclavi, definito “poetico e generazionale”. Durante la sua vita, il “fenomeno Dylan Dog”, diventava il fumetto più venduto in Italia (tra inediti e ristampe raggiungendo il milione di copie mensili) e si affermava sia come fumetto a larga diffusione sia come fumetto d’autore, osannato dalla critica e dagli intellettuali.  Da un certo punto in poi, però, l’editore ha voluto serializzarlo e cristallizzarlo producendo tuttavia come esito una sopravvivenza, piuttosto che una vitalità della testata, senza nulla di nuovo, con poche eccezioni, in qualche numero. Ma l’idea di un mondo invariabile e immutabile attorno all’eroe non aveva rappresentato alcun tipo di problema per oltre vent’anni e i temi affrontati, la narrazione del personaggio e il suo campo d’azione non avevano mai richiesto un’eccessiva attualizzazione della serie.  Poi, dal numero 337 in edicola, quando inizia l’avvenuta di Recchioni con il personaggio, molte cose, dice Recchioni, sono cambiate, ed era giunto il momento di un nuovo Dylan Dog, che si trasformasse “rinnovandosi nella forza e tornando a interpretare il tempo della narrazione presente”. Lo fa letteralmente cambiando abito, cambiando assistente, da Groucho a Gnaghi, nuovi hobby, nuovi alleati e perfino un nuovo passato. Non ha guastato la personale capacità di Recchioni di raccontarsi e raccontare su diverse piattaforme, anche social, che è servita a stimolare un confronto sul personaggio tra i suoi lettori. Vecchi e nuovi. Con il numero 437 si conclude infine l’avventura che legava Recchioni a Dylan Dog e il testimone passa a Barbara Baraldi nuova curatrice del personaggio, e ripensando ai suoi 10 anni appena conclusi, Recchioni ricorda momenti buoni, artisticamente e commercialmente parlando, e momenti meno buoni. E guarda al futuro, in cui continuerà, comunque, a raccontare storie.

Tanti estimatori del fumetto e di Dylan Dog in particolare presenti alla conviviale del 19 marzo presso l’hotel Building di Roma, che si sono confrontati con Roberto Recchioni sul fumetto vecchio e nuovo, sull’evoluzione e le intersezioni con il cinema e la televisione, su domanda e offerta dello stesso e sull’influenza che ha sul pubblico, giovane e meno giovane, ferma restando la sua visione del fumento come una delle più potenti tecnologie. Recchioni ha invitato anche a domandarsi se viste le attuali condizioni del mondo, tra cambiamento climatico, guerre ed altri negativi aspetti, i vecchi fumetti abbiano effettivamente cresciuto una popolazione mondiale migliore di quella di oggi e a leggere criticamente, riconoscendo il potere e la responsabilità degli autori e dei lettori nel plasmare la società attraverso le storie. Qualche firma-copia e l’arrivederci al prossimo incontro con altri protagonisti, come Recchioni, della scena culturale italiana. 


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