Venezia, Palazzetto Bru Zane: una “Carmen” di Bizet come non l’avete mai vista! 

CARMEN DI GEORGES BIZET

RICOSTRUZIONE DELLE SCENE E DEI COSTUMI DEL 1875

THÉÂTRE DES ARTS, ROUEN (FRANCIA)

Dal 22 settembre al 3 ottobre 2023

Il Palazzetto Bru Zane e i suoi partner propongono il recupero visivo di una delle opere liriche più conosciute e proposte in tutto il mondo: la Carmen di Bizet, con i costumi, la scenografia e la messinscena della sua prima rappresentazione nel 1875.
Dopo la riscoperta del primo Faust di Gounod (2018) e della versione originale della Vie parisienne di Offenbach (2021), l’équipe di ricerca si è confrontata con un titolo assai più popolare, cosa non esattamente consueta per il Palazzetto Bru Zane.

Assistere a Carmen come all’epoca in cui fu rappresentata per la prima volta è l’idea ispiratrice di questo progetto. Per far questo, è stato necessario tornare all’artigianato di un tempo, in particolare alla pittura, pur avvalendosi dei vantaggi della tecnologia moderna. L’équipe del Palazzetto Bru Zane ha collaborato con il Château de Versailles Spectacles e l’Opéra de Rouen Normandie per arrivare a una resa storica impeccabile dei costumi, delle luci, delle scene e della messa in scena affidate rispettivamente a Christian Lacroix, Hervé Gary, Antoine Fontaine e Romain Gilbert.

Diventata gradualmente un punto di riferimento internazionale, quest’opera ha dato origine a una grande varietà di interpretazioni e qualche mitologia: il fiasco della prima e la conseguente morte di Bizet, genio incompreso, appartengono infatti più al folclore che alla realtà storica. La partitura, pur non offrendo molte edizioni alternative, nondimeno oscilla tra le sue due versioni – quella con i recitativi di Ernest Guiraud e quella con i dialoghi parlati – ed è spesso minacciata da tagli, mentre gli allestimenti più radicali hanno stravolto il contenuto iniziale fino al controsenso.

“Con la Carmen è stato fatto di tutto, tranne, forse, il passo più concettuale e inaspettato: ricostruirne oggi, nel 150° anniversario della sua creazione, l’allestimento, i costumi e le scene originali. Questo approccio non equivale a una museificazione, anzi: si tratta proprio di riscoprire la prima giovinezza di Carmen.”
Étienne Jardin, Direttore della ricerca e delle pubblicazioni del Palazzetto Bru Zane

Il revival proposto si basa non solo sulla ricostruzione delle scene realizzate all’Opéra Comique nel 1875, ma più in generale su tutto il materiale d’archivio che permette di immaginare come la Carmen è stata allestita nel mondo negli anni tra la prima parigina e la Prima guerra mondiale. Rappresentata in diverse lingue, la Carmen originale era generalmente cantata con i recitativi di Guiraud, ed è per questo motivo che lo spettacolo proposto a Rouen ha scelto di adottare la versione senza dialoghi. Pertanto, non si assisterà soltanto alla rappresentazione parigina del 3 marzo 1875, ma alla Carmen così come la scoprirono gli spettatori di New York, Vienna, Bruxelles, Stoccolma, Milano e Londra.

 “Per far rivivere il primo allestimento del 1875, è stato necessario studiare a fondo una documentazione d’archivio assai ricca e dettagliata” – spiega lo scenografo Antoine Fontaine – “Il mio lavoro di ricostruzione di antiche scenografie mi ha dato l’opportunità di ricreare il linguaggio pittorico delle storiche tele dipinte. Ho potuto così trasporre le incisioni colorate recuperate dalla stampa su telai monumentali dipinti a tempera, disposti a ventaglio nello spazio del palcoscenico, ripristinando anche l’inclinazione del 4% della scena stessa, tradizionale per l’epoca”. Per quanto riguarda l’illuminazione, nel 1875 il palcoscenico era illuminato a gas, quindi a luce calda e ovviamente non esistevano proiettori a illuminare la scena. I cantanti erano truccati pesantemente e comunque dovevano collocarsi il più vicino possibile alla ribalta per essere visibili. “In collaborazione con Hervé Gary, lighting designer di questa produzione – continua Fontaine – abbiamo lavorato con le luci della ribalta ispirandoci agli schizzi scenici di Daumier e Degas e abbiamo collocato pali luminosi a bassa intensità dietro ogni telaio per creare la giusta atmosfera luminosa”.

ORCHESTRE DE L’OPÉRA DE ROUEN NORMANDIE
CHŒUR ACCENTUS / OPÉRA DE ROUEN NORMANDIE
CHŒUR D’ENFANTS DE LA MAÎTRISE DU CONSERVATOIRE DE ROUEN

Coproduzione Château de Versailles Spectacles / Opéra de Rouen Normandie / Bru Zane France / Palazzetto Bru Zane

Edizioni Choudens (revisioni del Palazzetto Bru Zane)


Informazioni e acquisto
bru-zane.com/evento/carmen
operaderouen.fr/programmation/carmen
Contatti per la Stampa
contact@bru-zane.com
 
In collaborazione con Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
Ref. Roberta Barbaro; roberta@studioesseci.net Tel. 049 663499

Rovigo, Palazzo Roverella: Tina Modotti, l’opera in 300 immagini

Tina Modotti, Bambino davanti a un cactus, Messico, 1928 ca.

TINA MODOTTI
L’opera

Rovigo, Palazzo Roverella

22 settembre 2023 – 28 gennaio 2024

Mostra a cura di Riccardo Costantini

Tina Modotti. La grande mostra di Palazzo Roverella mette al centro l’artista e la sua produzione, attualizzandone le istanze sociali.

Dal 22 settembre al 28 gennaio, in Palazzo Roverella a Rovigo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con il Comune di Rovigo, propone l’esposizione – prodotta da Dario Cimorelli Editore con Cinemazero – “Tina Modotti. L’opera”, che ripercorre il lavoro della leggendaria fotografa, con oltre 300 scatti, molti mai visti in Italia; dalle immagini che raccontano la società e il lavoro  nel Messico degli anni Venti, alla ricostruzione dell’unica mostra del 1929 a lei dedicata e da lei organizzata, fino alle  rare immagini che raccontano il suo errare in molti Paesi.

“A lei, più che ad altri intellettuali del ‘900, si è dato il discutibile privilegio di essere interessati maggiormente alla sua vita invece che alla sua produzione”, annota il curatore Riccardo Costantini.

Che aggiunge: “Oggi però è il tempo di ripensarla nella totalità della sua produzione e riscoprirla fuori dalla biografia, partendo dalla sua fotografia, come artista autonoma e donna, libera, umana, armata di profondi valori sociali, attenta alla condizione degli ultimi, alle battaglie di riforma ed educazione, capace di istanze al femminile di rara forza e precoci per i tempi: tutti temi di assoluta attualità che attraversano da sempre i suoi scatti, ribaditi oggi nello scoprire e studiare quelli meno noti”.

“Tina Modotti è, oggi più che mai, la sua fotografia: Cinemazero negli anni, assieme a Gianni Pignat e Piero Colussi, ha portato avanti l’ambizioso progetto di ricostruire la produzione fotografica della Modotti, con ricerche in ogni lato del pianeta, fra musei e collezionisti privati, arrivando a individuare oltre 500 fotografie da lei scattate, molte, moltissime di più di quelle note.

Tina non è più, come bene diceva una grande ricercatrice che si è occupata della sua opera – Sarah M. Lowe – “la più nota fotografa sconosciuta del XX secolo”. Ora le sue foto sono acquisite, catalogate (anche se non sempre esibite) dai grandi musei del mondo e da diverse istituzioni culturali, nonché battute a prezzi da capogiro per la loro rarità nelle aste più prestigiose.

Tina Modotti, Bambina scalza, Messico, 1925 ca.

La mostra rodigina approfondisce la varietà di approcci dell’artista rispetto al soggetto ripreso, dalle nature morte, dai lavori più grafici e astratti, alla documentazione sociale fino alla comunicazione politica. Un percorso che ricostruisce la sua abilità di utilizzare la metonimia più della metafora e del simbolo, con quella capacità tuttora commovente di raccontare il reale – fra leggera sfocatura e precisa attenzione al “cuore” del soggetto – con assoluta forza comunicativa. Innegabilmente allieva di uno dei più grandi fotografi della storia, Edward Weston, ma capace fin da subito di attestare una sua autonomia stilistica.

“Ecco allora che se la mostra di Rovigo un centro doveva avere, non poteva che essere votato alla sua indipendenza: la sua unica mostra personale realizzata in vita (dicembre 1929), ricostruita per la prima volta nel modo più completo. Perché Tina Modotti, donna, fotografa e artista, sia prima di tutto la sua articolata opera e non certo una femme fatale, la compagna o solo l’allieva di qualcuno”, chiosa il curatore.


Info: Fondazione Cariparo www.fondazionecariparo.it
 
Relazioni con i media:
dott.ssa Alessandra Veronese – 3483111144 (solo per i giornalisti)
Ufficio Comunicazione:
dott. Roberto Fioretto
comunicazione@fondazionecariparo.it
 
Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net
referente Simone Raddi simone@studioesseci.net

A Darfo apre il nuovo Museo dedicato a Franca Ghitti

Meridiana con Franca Ghitti, anni Ottanta, Ph. Fabio Cattabiani

MUSEO FRANCA GHITTI

Darfo Boario Terme (Brescia)
Dal 23 settembre 2023

Nel “Conventone”, edificio settecentesco di Darfo Boario Terme, dal 23 settembre apre al pubblico l’atteso, nuovo Museo interamente dedicato a Franca Ghitti (Erbanno 1932 – Brescia 2012), l’artista che ha trasmesso al mondo, interpretandolo in modo del tutto originale, il linguaggio ereditato dai segni, graffiti, tradizioni della sua Val Camonica, Patrimonio Unesco.

Il nuovo Museo Franca Ghitti, il cui nucleo iniziale avrà sede in un’area dell’ex convento da poco ristrutturata grazie ad un cospicuo contributo regionale a valere su fondi dei Piani Integrati della Cultura (Pic), nasce dalla volontà del Comune di Darfo Boario Terme, della Fondazione “Archivio Franca Ghitti” presieduta dalla professoressa Maria Luisa Ardizzone, New York University, dalla Comunità Montana e dal Consorzio Comuni BIM di Valle Camonica.

Il Museo Franca Ghitti, al di là dell’esposizione di un nucleo fondamentale di lavori dell’artista, si propone di approfondirne e valorizzarne l’opera e sarà dunque anche un centro studi dove verrà conservato l’Archivio di Franca Ghitti, contenente scritti vari e gli inediti “Taccuini” dell’Artista e la sua biblioteca privata.

Franca Ghitti all’OK Harris Gallery, New York, 2008 con Valigia, 2007, carta trattata colorata su cartone, olio, chiodi, corda, 185x75x225 cm., Ph. Fabio Cattabiani

Con questo obiettivo, in concomitanza con l’apertura dei nuovi spazi museali, il 23 e 24 settembre viene organizzata una doppia  giornata di studi a cura di Elena Pontiggia e Fausto Lorenzi, cui parteciperanno importanti critici e studiosi tra cui Ara Merjian, storico dell’arte, New York University; William Klien, storico dell’arte, New York University; Micol Forti, direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani; il filosofo e scrittore Alessandro Carrera,  University of Houston; Marco Meneguzzo, storico dell’arte, Accademia di Brera; Elena Pontiggia, storica dell’arte, Politecnico di Milano, autrice della più completa monografia su Franca Ghitti; Cecilia De Carli, storica dell’arte, Università Cattolica, Milano, e Arianna Baldoni, curatrice del catalogo generale dell’artista.

“Ad essere inaugurata il 23 settembre è una importante “anteprima” di quello che andrà configurandosi come il completo Museo Franca Ghitti, anticipa Maria Luisa Ardizzone. Un’ampia anteprima che, via via, sarà implementata ma che già saprà fornire al visitatore un’idea precisa di tutta la variegata produzione dell’artista. Si inizia con un’antologia delle Vicinie, che entusiasmarono Giulio Carlo Argan, autore nel 1980 di un fondamentale saggio su Franca Ghitti. Il ciclo delle Vicinie (“scatole magiche”, composte da una struttura geometrica di legno in cui abitano figure evocative e simboliche) si ispira alle comunità contadine della Val Camonica e di altre parti d’Italia, di cui parla anche Dante, che dall’epoca delle invasioni barbariche all’epoca napoleonica erano legate da vincoli di solidarietà.

Le Vicinie nascono dai ricordi d’infanzia dell’artista, cioè la grande segheria paterna, la memoria delle madie e delle santelle – le edicole sacre – che vedeva nelle case, nei paesi e nei sentieri della Val Camonica, e interpretano quelle memorie riallacciandosi all’idea, preannunciata già dalle prime avanguardie, di una scultura che ospita lo spazio e che inserisce figure e forme in una sorta di scatola, in modo che il vuoto diventi parte integrante dell’opera.

Ci saranno poi esempi di tutto il percorso dell’artista: i Tondi, strutture circolari ispirate agli esiti della scultura-pittura geometrica contemporanea, ma anche alla forma dei fondi di botti e barili che l’artista vedeva in Franciacorta; i Boschi in ferro e in legno, le Mappe e le Meridiane, i Libri chiusiMemoria del ferro, tutti cicli di opere in cui Ghitti evoca uno spazio-tempo archetipo in forme libere, come deposito di segni, sospeso tra installazione concettuale e reminiscenze del passato tra cui il romanico lombardo. Nelle Meridiane, in particolare, l’artista dispone per terra in ampi cerchi concentrici una serie di sfridi, cioè di scarti del metallo, che ama recuperare nelle sue opere. Sono orologi solari che non stanno sulla parete ma sul terreno.   

Non mancheranno Alberi-Libro, cioè sculture verticali in legno lavorate con liste, tacche e intagli ritmici (il liber ricavato sotto la corteccia si fa custodia del sapere della comunità) che confluiranno nel Bosco, parete di elementi modulari che scandisce il tempo della storia e delle provviste, ma anche il recinto attorno a cui camminare e in cui aggirarsi per interrogare come in un archivio domestico le forme dell’esistenza e della comunità degli uomini. Ai piedi del Bosco il Tondo delle offerte con una imbandigione di coppelle o tazze di siviera che nelle antiche fucine servivano per versare il metallo fuso nelle forme e qui si caricano di un senso di sacralità. E ci sarà un richiamo ai Cancelli d’Europa, stratificazione di linee di tensione, assemblaggi di lame e sfridi in ferro che evocano porte e pareti-soglia, sbarramenti inquieti che fronteggiano e turbano lo spazio. I temi sono quelli dei confini, dei transiti e degli incroci, ma anche delle barriere, sui confini di un’Europa di migrazioni, esili, integrazioni, chiusure.

“Continuo a intervenire selezionando e riorganizzando [gli scarti] in grandi cerchi di terra nera, ricostruendo il loro luogo naturale e cioè la fucina” dichiara Ghitti. E aggiunge: “Il mio lavoro in scultura tenta di trasformare uno spazio geometrico in uno spazio storico, reinventando il ‘luogo della scultura’ come deposito e archivio del territorio.”

Ci saranno infine le Pagine chiodate, che l’artista ha presentato per la prima volta alla OK Harris Gallery di New York, diretta da Ivan Karp, già direttore della galleria di Leo Castelli, il leggendario mercante dei maestri della Pop Art. Sono libri composti da fogli trafitti da una lunga sequenza di chiodi, che mescolano gli elementi delle antiche Crocifissioni con la creazione di moderni libri di artista. “Un libro di chiodi/una porta chiodata/ e al di là/ ciò che vorremmo essere,/ciò che non siamo in grado di essere” scrive il poeta Sandro Boccardi in una poesia dedicata a Franca.  Altri Alfabeti è il titolo che Ghitti inventa negli ultimi anni della sua vita per definire l’universo cui ha dato forma attingendo a una sua tensione visionaria e fondendo istinto e calcolo, rigore geometrico-matematico e ispirazione, senso della materia e dei luoghi, della storia.

“Nel nuovo Museo – anticipa Elena Pontiggia – le opere dell’artista saranno accorpate, all’interno del percorso cronologico, secondo nuclei tematici, per dar conto il più possibile della vicenda espressiva di un’artista che non si è mai ripetuta ma ha sempre inventato soggetti nuovi, con inesauribile forza creativa”.

“L’obiettivo che il Comune di Darfo Boario Terme e la Fondazione “Archivio Franca Ghitti” si propongono – afferma il Sindaco di Darfo Boario Terme, Dario Colossi – è di giungere al completamento del percorso museale entro il 2025. Sarà un museo vivo, che offrirà momenti di incontro, di riflessione, con l’intervento di artisti, scrittori, intellettuali, chiamati a parlare anche di arte contemporanea e delle questioni più rilevanti del momento.”

Per la direzione del museo, da parte del Comune di Darfo Boario Terme, è prevista l’individuazione di una figura qualificata che dia rilievo internazionale allo stesso, come internazionale è stata l’arte di Franca Ghitti, che si è sempre ispirata alla sua Val Camonica, ma al tempo stesso all’Africa (dove ha vissuto e lavorato due anni), a New York (dove ha esposto più volte), all’Europa di Kokoschka (con cui ha studiato a Salisburgo) e di Brancusi.


Info: www.fondazionearchiviofrancaghitti.com
 
Ufficio Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Tel. 049663499
Referente Simone Raddi: simone@studioesseci.net