L’ambiente urbano in cui visse Édouard Manet, nei pressi dell’École des Beaux-Arts

Il giovane Manet raccontato dagli amici

Brani tratti da Sergio Bertolami, Manet et manebit, 2017, Experiences

Il caseggiato nel quale Édouard divide parte della sua giovinezza con due fratelli minori – Eugene, solo un anno più piccolo di lui e Gustave di tre anni – è quasi fronte stante l’École des Beaux-Arts, luogo simbolo dell’arte francese. Comprensibile quindi l’impronta giovanile suscitata dal verosimile imbattersi in studenti e professori, che frequentano il grande edificio a corte di tre piani. È facile cominciare a immaginare di farvi parte. Ma la condizione sociale, l’ambiente di antiche tradizioni, sembra proprio doverglielo impedire. Così come ogni bambino abbiente del tempo è messo nelle mani di un religioso: il suo si chiama padre Poiloup e conduce un Istituto nel sobborgo parigino di Vaugirard. A dodici anni entra nello storico Collège Rollin (oggi liceo Jacques-Decour), risalente al XV secolo. In questo prestigioso liceo i ragazzi delle famiglie bene di Parigi sono iscritti perché possano acquisire salde conoscenze classiche. «Era insigne studioso latino? Non lo so – ironizza Bazire – Era un brillante grecista? Io non lo affermo». Il classico in tutte le sue connotazioni rappresenta, invero, la stabilità dei benpensanti, perché continuare a perpetuare il passato, piuttosto che prenderne spunto per rinvigorirlo, evidenzia pubblicamente l’appartenere alla “prima classe” dei cittadini come la stessa etimologia poteva suggerire. Senza dubbio gli studi indirizzati al mondo antico catturano vivamente il giovane Manet, perché intelligentemente ne intuisce l’essenza che presto rivolge verso le arti figurative. Un giorno, ricorda Antonin Proust, incontrato sui banchi del Rollin e che gli rimarrà affezionato per tutta la vita, durante la lezione di storia del professore Wallon – autore della Costituzione del 1875, ci tiene a sottolineare Proust – il discorso cadde sul rimprovero che Diderot indirizzava ai pittori suoi contemporanei usi a dipingere cappelli “a lampione”, mostrandosi in tal modo del tutto demodés. «Questo è molto stupido – strepitò Manet – bisogna appartenere al proprio tempo, fare ciò che si vede, senza preoccuparsi affatto della moda». Per ciò che riguardava l’arte, già da allora, le sue idee erano salde e irremovibili.

Édouard Manet, nel 1846, studente liceale nello storico Collège Rollin

In un dagherrotipo del 1846, osserviamo il quattordicenne Édouard in divisa da collegiale, in posa fotografica appoggiato ai suoi libri. Frequenta l’istituto Rollin già da due anni e in questo ambiente rigoroso ha assunto modi educati, un conversare brillante, atteggiamenti maturi. Ma questo solo quando è fuori dalle lezioni, perché i suoi professori severi registrano nelle proprie relazioni didattiche che l’allievo è distratto, lavora poco, manifesta un carattere difficile. Ben diverso è il rapporto con i suoi compagni e in particolare con Antonin, che nei suoi Souvenirs descrive l’amico: «A quell’epoca, Édouard Manet era di corporatura media, molto muscoloso. Aveva un’andatura cadenzata cui il passo dinoccolato conferiva una particolare eleganza. E per quanto esagerasse volutamente quest’andatura e affettasse la parlata strascicata dei ragazzi parigini, non era mai volgare. Si avvertiva la razza. Sotto una fronte larga, il naso si stagliava nettamente con la sua linea dritta. La bocca, rialzata agli angoli, era canzonatoria. Lo sguardo era chiaro: l’occhio, per quanto piccolo, aveva una grande mobilità. Quand’era molto giovane, portava gettata all’indietro una lunga capigliatura naturalmente ricciuta. A diciassette anni, era già un po’ stempiato, ma gli era spuntata la barba; i capelli estremamente fini rendevano armoniosa la fronte. Pochi uomini sono stati così seducenti. Nonostante tutto il suo spirito e la sua tendenza allo scetticismo, era rimasto ingenuo. Si meravigliava di tutto e si divertiva con niente. Per contro, tutto ciò che riguardava l’arte lo rendeva serio; su questo argomento era intrattabile. Le sue idee erano ferme, irriducibili. Egli non ammetteva né contraddizione né discussione».

Louis Beroud, Au Louvre, 1899

Di questa passione si accorge uno dei suoi zii, il capitano Edmond-Édouard Fournier, fratello di sua madre. È ufficiale alla scuola di artiglieria, ed affianca all’arte militare interessi verso le arti del disegno. Sin dai primi studi sostiene le nascenti propensioni del nipote. Chiede, ad esempio, al preside dell’istituto di iscrivere il giovane Édouard ad un corso di disegno e personalmente ne sosterrà le spese. Non è questo da interpretare come un atteggiamento contrario alle irremovibili ragioni paterne, giacché i tratti distintivi di un uomo brillante in società contemplano interessi artistici, da associare a gusto distinto, perfetta gentilezza, modi raffinati. Innamorato della grande arte classica, lo zio incita il giovane nel disegno dal vero e in quello della copia. Lo porta in visita al Louvre, accompagnandolo con le sue dotte spiegazioni nelle sale dove sono in mostra i capolavori di ogni tempo e dove, qui e là, sono armati i cavalletti lasciati dagli allievi dell’accademia che, in giorni stabiliti, si esercitano a riprodurre le opere esposte dei maestri. Spesso è con loro anche il giovane Antonin Proust, compagno di studi al Rollin e che, nonostante il cognome, non è legato da alcuna parentela col ben più famoso scrittore Marcel Proust. Edouard segue con ammirazione suo zio. Ha modo di visitare la “Galleria spagnola”, una collezione durata appena dieci anni (1838-1848) che assomma oltre 400 tele che prenderanno la via di Londra dopo il 1853. Tra i capolavori ci sono alcune opere di Goya, tra cui i Giovani (oggi al Palazzo delle Belle Arti di Lilla) e le Mayas al balcone, che lasceranno un segno ispiratore nella sua futura opera di pittore. Così come si può parlare a proposito della pittura di Zurbaran e del suo San Francesco in meditazione (Londra, National Gallery) che è l’opera più celebrata.

Quando Édouard conclude gli studi al Collège Rollin, quello che era stato fino ad allora un discorso mai pienamente affrontato, ora si presenta in tutta la sua irritante evidenza. È il momento delle decisioni. L’idea paterna è che il giovane debba ricevere una istruzione formale che solo un corretto percorso universitario può fornirgli. Conseguire una laurea in giurisprudenza per poi iscriversi nei collegi di Stato. Quello che, più o meno farà il minore dei fratelli, Gustave, il quale, dopo essere diventato un avvocato senza tuttavia aver mai esercitato la professione, diverrà prima consigliere comunale di Parigi, poi funzionario pubblico come ispettore generale delle carceri. Della strada indicata, Édouard non vuole sentire parlare. «A diciassette anni, appena uscì dal collegio, si innamorò della pittura – commenta Emile Zola – Amore terribile quello là! I genitori tollerano un’amante, e anche due; si chiudono gli occhi, se è necessario, sulla licenziosità del cuore e dei sensi. Ma l’arte, la pittura, è per loro la grande Impura, la Cortigiana sempre affamata di carne fresca, che deve bere il sangue dei loro figli e li torce tutta ansimante sulla gola insaziabile. Là è l’orgia, la dissolutezza senza perdono, lo spettro insanguinato, che a volte compare nel bel mezzo delle famiglie e turba la pace dei nuclei domestici».

L’Arsenale di Le Havre intorno al 1820

Sappiamo dallo stesso Proust che quando è contrastato nelle sue idee, come tanti suoi coetanei ancora oggi, Édouard diventa intrattabile. S’impenna, monta aperta la rivolta. Non c’è infatti alcuna speranza che il giovane possa ascoltare le indicazioni, o meglio, le imposizioni paterne e, per contro, lui stesso è preso dallo sconforto dal momento che non si considera affatto la possibilità di concedere spazio ai suoi desideri. Le porte verso una carriera artistica gli sono caparbiamente serrate. Così, quasi per sbloccare la situazione, propone la carriera navale. Non la toga del giudice ma la divisa da ufficiale di marina. Una idea che a conti fatti sembra appropriata al suo temperamento e che, senza dubbio, concorda col temperamento di suo padre. Édouard si presenta, dunque, alle prove di ammissione per l’ingresso alla Scuola Navale. Non è affatto preparato e fallisce il tentativo, ma potrà ritentare l’esame. Nel frattempo, il padre decide che debba fare esperienza di mare. Conoscendo monsieur Besson, capitano del mercantile-scuola Le Havre-et-Guadalupe, ottiene di farlo imbarcare come allievo pilota. Farà rotta verso il Brasile per raggiungere Rio de Janeiro.