Piacenza: Klimt. L’uomo, l’artista, il suo mondo – Le sezioni della mostra

Dal 12 aprile 2022, gli spazi della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi e dell’XNL – Piacenza Contemporanea ospitano “Klimt. L’uomo, l’artista, il suo mondo” una grande mostra dedicata al maestro della secessione viennese e al suo mondo, con oltre 160 opere, tra dipinti, sculture, grafica, manufatti d’arte decorativa provenienti dal Belvedere e dalla Klimt Foundation di Vienna e da molte altre prestigiose collezioni pubbliche e private.

LA MOSTRA

LE SEZIONI

Prima sezione – Il contesto. Il Simbolismo europeo
Se gli impressionisti dipingono solo quello che vedono, i simbolisti dipingono soprattutto quello che non vedono. Alla concezione evoluzionistica e positivista della civiltà, i simbolisti contrappongono un’età dell’oro che è esistita prima della civiltà e che affonda le radici nel mito; all’attimo dipinto da Monet e compagni sostituiscono un mondo senza tempo; alla realtà dell’impressione antepongono il sogno, l’apparizione, la fantasia; alla vista la visionarietà.
Anticipatore del clima simbolista è il belga Felicien Rops (1833-1898), che mescola nei suoi lavori eros e misticismo.
I miei doni mi hanno introdotto al sogno: ho subito i tormenti dell’immaginazione e le sorprese che la fantasia mi dava quando disegnavo” scrive Odilon Redon (1840-1916), uno dei padri del Simbolismo francese.
Max Klinger (1857 – 1920) nel ciclo Un guanto immagina che un guanto cada di mano a una giovane donna mentre sta pattinando a Berlino e venga raccolto dall’artista innamorato di lei. Questo episodio dà avvio a una narrazione illogica e sfuggente, simile a una trama di sogni.
In Belgio Fernand Khnopff (1858-1921) circonda le sue figure di un alone di mistero (Maschera bianca, 1907), mentre Ensor (1860-1949) rappresenta le folle tra apparizioni visionarie (Il trionfo della Morte) e

L’esposizione si avvale di un comitato scientifico composto da Gabriella Belli, Fernando Mazzocca, Lucia Pini, Elena Pontiggia, Franz Smola, Valerio Terraroli, Alessandra Tiddia e Sandra Tretter.

il norvegese Edvar Munch (1863-1944) crea un mondo abitato da fantasmi spettrali (L’urna) e vizi (Vanità).
Il tedesco Franz von Stuck (1863-1928), uno dei fondatori nel 1892 della Secessione Monacense, dà un’interpretazione carica di pathos del mito antico (Medusa). Il tirolese Leo Putz (1869-1940), anch’egli esponente della Secessione monacense, si ispira in Parzifal al mondo wagneriano, reinterpretato fra estetismo e sensualità.

Seconda sezione – Le opere giovanili di Klimt e il sodalizio con il fratello Ernst e con Matsch
Nel 1878-79 Gustav Klimt, che ha tra i sedici e in diciassette anni, studia pittura alla Scuola d’arti e mestieri di Vienna. A questo periodo si riferiscono i disegni di figura, le “accademie”, qui esposti. Tra il 1882 e il 1884 esegue invece, per il portfolio Allegorien und Embleme, alcune incisioni in cui il modello classico è tradotto in toni estetizzanti.
Nel 1879 Klimt fonda con il fratello Ernst e l’amico Franz Matsch la Compagnia degli Artisti, che nel decennio successivo riceve vari incarichi di decorazioni pittoriche. Tra queste ci sono i dipinti per il soffitto del Teatro comunale di Fiume (di cui vediamo qui un delicato studio di Ernst); per il sipario del teatro di Karlsbad, a cui i tre artisti lavorano insieme; per i soffitti dello scalone del Burgtheater di Vienna (si veda il bozzetto di Matsch).
Ernst Klimt, fratello minore di Gustav, che scomparirà prematuramente a ventotto anni nel 1892, dimostra nelle sue opere un gusto aggraziato, analitico nel disegno, con risvolti simbolici. Nella Natura morta con armatura affianca l’elmo e la corazza a un ramo di alloro, simbolo della gloria, e a una statua di Atena, la dea guerriera.
Franz Matsch (1861-1942) rivela un accento romantico e intimista nel giovanile ritratto di Hermine e Klara, le due sorelle di Klimt che non si sposeranno mai e vivranno con lui – celibe, nonostante i vari legami e i figli – fino alla sua morte.
Georg Klimt (1867-1931), più giovane di Gustav di cinque anni, lavora invece da solo, creando opere d’arte decorative e approdando a un più spiccato simbolismo (Satiro e ninfa, 1900 ca.).

Terza sezione – Gustav Klimt e la Secessione viennese
Il 3 aprile 1897 Gustav Klimt fonda la Vereinigung bildender Künstler Österreichs-Secession (Associazione degli artisti figurativi austriaci – Secessione), che rappresenta un gruppo di dissidenti all’interno della Wiener Künstlerhaus, l’associazione ufficiale degli artisti viennesi che detiene il monopolio dell’organizzazione delle mostre cittadine.

Il nome dell’associazione è mutuato dal termine latino secessio plebis. Anche la rivista creata dal gruppo prende il nome latino di “Ver Sacrum” (Primavera sacra), proponendo all’Austria una primavera innovativa nel campo delle arti.
Nel maggio dello stesso anno ben 13 artisti si staccano definitivamente dalla Wiener Künstlerhaus. Fra di loro vi sono artisti più legati al realismo e al naturalismo come Wilhelm List o Ferdinand Andri, come anche altri fortemente orientati verso lo Jugendstil, quali Carl Moll o Ernst Stoehr e Joseph Maria Auchentaller. Klimt – l’artista più rappresentativo di tale gruppo che reclama nuovi spazi espositivi e una nuova autonomia espressiva – ricopre la carica di presidente nel primo anno dell’associazione.

La Secessione viennese, soprattutto in pittura, non è un atto di rivolta contro l’arte del passato, quanto piuttosto un’iniziativa tesa a creare un’arte corrispondente alle esigenze del tempo in Austria.
Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”, questo il motto degli artisti secessionisti sulla facciata della loro sede espositiva – il Palazzo della Secessione su progetto di Joseph Maria Olbrich – caratterizzata dalla cupola decorata da foglie d’alloro dorate che campeggia nel cuore di Vienna.

Le annuali mostre della Secessione ospitano i grandi maestri dell’arte europea da Rodin a Segantini, da Khnopff a Hodler; leggendaria la grande esposizione degli impressionisti del 1903 con opere di van Gogh. Negli anni le divergenze fra “naturalisti” e coloro che, come Klimt, propendono per una maggiore stilizzazione e sintesi del linguaggio artistico si acuiscono fino all’abbandono nel 1905, da parte di Klimt e di altri artisti, fra cui Koloman Moser, Hoffmann e Moll che formano la Klimt – Gruppe (Gruppo Klimt).

Quarta sezione – Le Wiener Werkstätte
La Secessione di Vienna è caratterizzata sin dall’inizio dalla forte connessione fra arti figurative, scultura, architettura e design. Fra gli architetti figurano i nomi di Otto Wagner, Josef Hoffmann e Joseph Maria Olbrich, che trasformano Vienna in una moderna metropoli europea. Se Alfred Roller rinnova il mondo delle scenografie e del teatro, Koloman Moser incarna con le sue opere multidisciplinari il concetto della Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale).
Tale idea totalizzante informa la concezione artistica e didattica delle Wiener Werkstätte (Officine viennesi) fondate nel 1903 dall’industriale Fritz Wärndorfer sotto la guida di Josef Hoffmann e di Koloman Moser per la produzione di manufatti artigianali. Il modello di riferimento è il gruppo britannico “Arts and Crafts”.
L’obiettivo della ditta è quello di rinnovare il concetto di arte nel campo delle arti e mestieri e di assorbire gli allievi che si formano presso la Kunstgewerbeschule (Scuola d’arti applicate), dove insegnano molti artisti secessionisti, fra cui lo stesso Moser.
La produzione delle Wiener Werkstätte spazia dall’argenteria e dalla gioielleria ai vasi in vetro e metallo, fino ai mobili e agli arredi per la casa, compresi tessuti e arazzi, e include anche una sezione grafica per i manifesti e le cartoline.

Quinta sezione – Il Fregio di Beethoven
L’opera è la fedele ricostruzione datata al 2019 del monumentale Fregio di Beethoven realizzato da Gustav Klimt per la XIV Mostra della Secessione del 1902, dedicata al grande musicista e si ispira all’interpretazione wagneriana della Nona Sinfonia.
PARETE LUNGA: Il volo delle Silfidi rappresenta il desiderio di felicità dell’uomo. Il cavaliere dall’armatura d’oro, spinto dalla compassione (la donna a mani giunte) e dall’ambizione (la donna con l’alloro) vuole aiutare le tre persone nude, simbolo del dolore.
PARETE CORTA. A contrastare il cavaliere ci sono le forze ostili: Tifeo, dal corpo di gorilla e serpente; le tre Gorgoni alla sua destra (simbolo di malattia, follia e morte); le tre donne alla sua sinistra (simbolo di lussuria, dissolutezza, intemperanza).
PARETE LUNGA. Il desiderio di felicità si placa nella poesia: il cavaliere ha vinto le forze ostili e le Silfidi hanno raggiunto una suonatrice di cetra, simbolo della poesia. Le fanciulle che rappresentano le Arti lo introducono in un universo abitato da un coro di angeli del Paradiso e dall’amore universale (l’abbraccio degli innamorati). Le Arti ci portano nel regno ideale, dove possiamo trovare la felicità.
Al di là della simbologia, il Fregio è di straordinaria importanza stilistica perché le grandi pareti orizzontali vuote sono un’innovazione assoluta, che anticipa certi esiti del suprematismo e del minimalismo. La mostra della Secessione voleva ispirarsi all’opera d’arte totale, e anche Klimt unisce pittura, disegno e arte decorativa, inserendo nella composizione materiali insoliti come madreperle, pietre dure, chiodi, vetri, frammenti di ceramica.

Sesta sezione – Il Ritratto di signora della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza
Il Ritratto di signora di Gustav Klimt viene acquistato nel 1925 dal nobile piacentino Giuseppe Ricci Oddi per la propria raccolta poi confluita nell’omonima Galleria istituita per volere del collezionista stesso e aperta al pubblico dal 1931.
La tela è databile tra il 1916-1917 e appartiene all’ultima fase di attività di Klimt: la sua pittura si fa meno preziosa e sorvegliata, abbandonandosi a pennellate quasi sbrigative che tradiscono un approccio più emozionale, aperto alle atmosfere espressioniste.
Spetta a una studentessa di un liceo piacentino – Claudia Maga – avere intuito nel 1996 la particolarissima genesi dell’opera poi confermata anche dalle analisi, cui la tela è stata sottoposta: Klimt la dipinge sopra un precedente ritratto già ritenuto perduto raffigurante una giovane donna identica nel volto e nella posa all’attuale effigiata, ma diversamente abbigliata e acconciata.
I colpi di scena non finiscono qui: il 22 febbraio 1997, la tela di Klimt viene rubata dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi con modalità che le indagini non riusciranno mai a chiarire. Non mancheranno sedicenti informatori, mitomani, medium, estorsori, dubbie confessioni… Per la ricomparsa del dipinto occorrerà aspettare quasi ventitré anni e il suo ritrovamento sarà ancora più enigmatico del furto. Il 10 dicembre 2019 sono in corso alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo piacentino.

Qui, in un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura viene rinvenuto un sacchetto di plastica, dentro al quale vi è un dipinto: è il Ritratto di signora di Klimt.

Settima sezione – Egon Schiele e Oskar Kokoschka
I più importanti “compagni di strada” di Klimt sono stati Schiele e Kokoschka.
Più giovane di Klimt di quasi trent’anni, Egon Schiele (1890-1918) forza gli esiti della pittura klimtiana in direzione di una drammaticità nervosa e un linearismo tormentato e ansioso. Le sue figure si slogano in posizioni improbabili, a metà tra erotismo e disperazione, sensualità e sofferenza. Mentre Freud in quegli stessi anni dimostra il rapporto tra nevrosi e angoscia, Schiele la nevrosi la dipinge: anzi, la rivela nelle sue figure dai contorni stravolti. Schiele è stato uno dei maggiori disegnatori dell’epoca. Racconta Arthur Roessler che una volta il giovane artista, volendo avere dei disegni di Klimt, gli propose un cambio e Klimt obiettò: “Perché vuole fare un cambio? Lei disegna meglio di me”.
Oskar Kokoschka (1886-1980) lavora inizialmente per le Wiener Werkstätte, i laboratori d’arte applicata fondati a Vienna da Josef Hoffmann e da Koloman Moser nel 1903. Si dedica poi alla grafica e nel 1907 pubblica nelle loro edizioni un libro dedicato a Klimt, I fanciulli sognanti, che illustra con litografie sospese fra senso decorativo e gusto araldico, ricordi colti e reminiscenze d’arte popolare, mentre la natura si trasforma in un teatro incantato, venato di misticismo. Il contorno nero delle immagini dà loro una bidimensionalità quasi irreale, dove la figura diventa a volte una pura sigla astratta. Nel testo del libro però Kokoschka dissemina tracce di violenza e crudeltà, che anticipano la sua futura ricerca espressionista.

Ottava sezione – Klimt. Le figure
Nella pittura di Gustav Klimt la figura reale o mitologica, ritratta dal vero o immaginata, realistica o visionaria, ha un ruolo centrale. L’artista austriaco è pittore di volti, di corpi, di immagini femminili e, più raramente, maschili di assoluta intensità.
Interprete della bellezza femminile fra i maggiori del moderno, Klimt ha dipinto episodicamente anche la vecchiaia, la malattia, la deformità, come nel crudo Vecchio sul letto di morte, 1899-1900 e nel successivo disegno Testa di vecchio, 1917-18 della Galleria Ricci Oddi, dove la figura dell’uomo è indagata impietosamente nel suo decadimento.
Le amiche o Le sorelle, 1907, dal raro taglio verticale a stele, in cui le due figure femminili si affiancano al puro motivo decorativo, affrontano il tema dell’amicizia femminile, che è stato interpretato anche come allusione a un legame omosessuale, all’epoca motivo di scandalo.
Sono poi esposte, per un ideale raffronto, tre opere avvicinabili cronologicamente al Ritratto di signora Ricci Oddi: Ritratto di Amalie Zuckerkandl, 1913-1917; Testa di donna, 1917; Ritratto di signora in bianco, 1917 – 1918, rimaste incompiute per la morte dell’artista. Sono ritratti incastonati in uno spazio- colore, dove non c’è il minimo accenno all’ambiente, e il volto isolato risulta ancora più espressivo. Amalie Zuckerkandl, figlia dello scrittore e commediografo viennese Sigmund Schlesinger moglie del facoltoso e rinomato chirurgo Otto Zuckerkandl, morirà nel 1942 in un lager nazista.
Completano la sezione, oltre a una serie di importanti disegni, i ritratti contemporanei di Otto Friedrich e Joseph Maria Auchentaller, esponenti della Secessione viennese; e di Leo Putz, protagonista della Secessione Monacense e, dal 1901, membro di quella viennese.

Nona sezione – I seguaci italiani
La presenza di Gustav Klimt alla Biennale di Venezia nel 1910 e alla Esposizione Internazionale d’arte di Roma del 1911 costituisce un momento cruciale nella storia artistica italiana. Gli esempi offerti dalle raffinate ed ‘eccentriche’ tele del maestro austriaco sollecitarono molti nostri artisti dell’epoca a ripensare al proprio operato in favore di uno stile più moderno e internazionale.
Personalità di rilievo come Galileo Chini e Vittorio Zecchin, ad esempio, così come personaggi meno noti quali Emma Bonazzi e Luigi Bonazza, traggono dalle opere del capofila della Wiener Secession quegli elementi formali e poetici necessari ad aggiornare il loro linguaggio in direzione di un decorativismo pittorico di gusto Déco.
Altri artisti, invece, reagiscono all’ascendente esercitato dal grande maestro viennese stravolgendolo dall’interno, costringendo la figurazione klimtiana nell’ampio contesto dell’Espressionismo italiano. Tra

questi Adolfo Wildt e Felice Casorati, promotori di un’arte in bilico fra estremo rigore formale, primitivismo e figurazione ‘selvaggia’.
In entrambi i casi l’opera di Klimt contribuì a ‘svecchiare’ il panorama nazionale e ad avviare quel processo di rinnovamento artistico che si sviluppa in Italia nei primi due decenni del XX secolo.

FOCUS
Il ciclo de
Le mille e una notte di Vittorio Zecchin
Nel 1914 il muranese Vittorio Zecchin (1878 – 1947) dipinge il ciclo de Le mille e una notte per la sala da pranzo dell’Hotel Terminus, albergo veneziano oggi non più esistente.
I dipinti sono emblematici dell’influsso esercitato da Klimt tra gli artisti italiani dopo che le sue opere erano apparse alla Biennale di Venezia del 1910 e alla Quadriennale di Roma dell’anno seguente. Figlio di un vetraio muranese, Zecchin declina l’ispirazione klimtiana in una grande partitura decorativa accentuatamente bidimensionale, ricca di dettagli dorati e motivi geometrici simili a murrine ingigantite. I dipinti hanno per tema uno dei racconti più famosi de Le mille e una notte, ovvero la storia di Aladino che riuscirà a sposare la figlia del califfo grazie alle incredibili ricchezze procurategli dal Genio della lampada. Le tele, che ne raffigurano il fastoso corteo nuziale, hanno la cadenza dell’arazzo: le principesse cariche di doni sfilano sotto gli occhi vigli dei guerrieri dando vita a una sequenza favolosa, dominata dall’atmosfera misteriosa e fiabesca di un oriente stilizzato, in bilico tra Egitto e Bisanzio.

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Venezia: OPEN STUDIO in occasione della Biennale presenta “La stanza di Crono bambino” di Riccardo Muratori

In concomitanza con la 59esima Biennale d’Arti Visive di Venezia, il 19 e il 20 aprile dalle ore 18 alle 22, Riccardo Muratori apre al pubblico le porte del suo studio a Venezia, situato all’interno della suggestiva cornice dell’Ex Birrificio sull’Isola della Giudecca, con la mostra La Stanza di Crono bambino, dove presenteràuna selezione opere inedite.

Reduce dal successo di pubblico e di critica della sua prima personale Per Ignotius a cura di Milena Mastrangeli, allestita da Sara Bernardi,presso lo Spazio Thetis di Venezia, l’artista con La Stanza di Crono bambino vuole indagare la relazione tra puer et senexovvero il bambino e il vecchio che, come ricorda il filosofo James Hillman, sono due facce dello stesso archetipo.

OPEN STUDIO

La stanza di Crono bambino
di Riccardo Muratori

19-20 aprile 2022 dalle ore 18 alle 22
Venezia – Ex Birrificio Isola della Giudecca
Giudecca 710/C, Venezia

Il lavoro di Muratori intende muoversi sulla via della ricomposizione. Le opere esposte alludono infatti alla tensione, quotidianamente attiva in noi, tra il senex, la cui saggezza è intrisa di malinconia paralizzante e il puer la cui curiosità ha come controparte un vano narcisismo e un’onnipotenza infondata. È nell’integrazione dei due, volta a recuperare la loro unità originaria, che l’impulso creativo conosce un’autentica possibilità di espressione. Nella stanza di Crono bambino siamo a contatto con l’enigma fondante l’essere umano: la percezione del tempo.

Il tempo della creazione – dice infatti Muratori – apre nella scansione diacronica, brecce nelle quali l’eternità diventa sensibile”.

È la conoscenza di sé ad animare il lavoro di Riccardo di Muratori il quale già in Per Ignotius aveva indagato il delicato paradosso del rapporto tra il sapere e il non sapere fino ad arrivare alla scoperta del perturbante.Proprio l’oscuro enigma delle forze interiori all’uomo lega la prima mostra personale dello Spazio Thetis e l’open studio all’Ex Birrificio dell’Isola della Giudecca il quale diventa una sorta di naturale epilogo del lavoro iniziato con Per Ignotius.

BIOGRAFIA DI RICCARDO MURATORI

Riccardo Muratori (Rimini, 1981), da quindici anni si dedica alla pittura, considerata come continuazione del percorso di ricerca filosofica, iniziato durante gli studi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2011 partecipa alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia e nel 2017 prende parte alla Biennale di Karachi in Pakistan. È stato inoltre docente di Disegno e Illustrazione all’Università IUAV – Dipartimento di Design della Moda, Arti Visive. Vede nella pittura un mezzo di liberazione e conoscenza di sé. Vive e lavora a Venezia.


INFORMAZIONI UTILI

TITOLO: La Stanza di Crono bambino Open Studio di Riccardo Muratori
A CURA DI: Sara Bernardi
QUANDO: martedì 19 e mercoledì 20 aprile 2022, dalle ore 18.00 alle ore 22.00
DOVE: Ex Birrificio Isola della Giudecca, Giudecca 710/C, Venezia

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Milano, Museo della permanente: L’ideale della maestria. La personale di Luisella Traversi Guerra

Dal 2 al 24 aprile 2022, il Museo della Permanente a Milano ospita la personale di Luisella Traversi Guerra, dal titolo L’ideale della maestria. L’esposizione presenta oltre 50 opere dell’artista particolarmente significative della sua fase creativa più matura.

Luisella Traversi Guerra, La vita è bella, 180×250 cm, Acrilico su tela, 2015

La maestria è una forma d’incantesimo.
Jun’ichiro Tanizaki

L’esposizione, organizzata dalla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente e da Skira editore, curata e allestita da COIMA Image – studio di progettazione architettonica, interior design, space planning – presenta oltre 50 opere che ripercorrono la fase creativa più matura dell’artista, caratterizzata da una cifra espressiva che ruota attorno alla Natura e a quel crogiuolo di forme, luci e colori che questa riesce continuamente a generare e rigenerare.

Da sempre al centro degli interessi di Luisella Traversi Guerra, la natura è il luogo in cui l’uomo avverte la propria arcaica appartenenza alla terra.

Muovendosi da suggestioni impressioniste, passando da Van Gogh all’amatissima Georgia O’Keeffe, il segno di Luisella Traversi Guerra si fa più materico, attingendo alla grande tradizione naturalistica lombarda, quella di Ennio Morlotti ma anche di Piero Giunni e Ilario Rossi.

Questa densità determina una vera e propria rivoluzione che si realizza grazie all’immaginario della pittrice. Passo dopo passo, il floreale vira verso l’informale, le tracce di figurativo scolorano nell’astratto, in un afflato di spiritualità.

Contemporaneamente, l’artista modifica il suo modus operandi, passando dalla pittura a olio, alla tempera e infine all’acrilico.

“Ho sperimentato molto – afferma Luisella Traversi Guerra – e ora ho più capacità di gestione delle densità, riesco a creare grumi utilizzando il bastoncino di legno per dare l’effetto a mosaico, oppure trasparenze liquide e impalpabili, quasi spirituali. Una vera scoperta è stata anche la spugna che mi permette di stendere, rimuovere, mediare, e poi ancora agire fino al risultato ideale”.

“La serie dei Materici espressivi è infatti una ricerca sulle possibilità degli acrilici abbinati ad altri componenti, in modo da dare espressione a uno spessore più consistente del lavoro pittorico e soddisfare un bisogno di concretezza o di basso rilievo alle immagini”.

Proprio il ciclo dei Materici espressivi risulta di fondamentale importanza nell’itinerario artistico di Luisella Traversi Guerra, non solo per la nuova centralità “materica”, quanto per la presenza ricorrente della figura del cerchio che si ritrova nelle sue opere come Rosa Mistica del 2009.

Più che quadri sono icone, in cui “il bisogno di unità, di devozione e di gratitudine – ricorda l’artista – spinge ad aprirsi alla dimensione della preghiera”.

Il “cerchio”, la “preghiera” sono due parole chiave del suo vocabolario, che non vanno minimamente trascurate, ma al contrario accolte nel loro senso mistico.

Decisa a insinuarsi nell’essenza della natura, Luisella Traversi Guerra si è spinta in direzione di un intimismo lieve, venato di sensualità, trasognato, ma sempre frutto di un’esperienza vissuta, gratificante o sofferta, schermo interiore di episodi della vita sedimentati nella memoria e successivamente riemersi.

Il percorso espositivo propone lavori iconici come La vita è bella del 2015, Nel blu del mio cielo del 2018, Antropocene del 2019 o ancora Pensiero nudo del 2015, chiaro esempio di quell’astrattismo spirituale che l’artista anela.

Il titolo della rassegna, mutuato dalla citazione di Jun’ichiro Tanizaki, uno dei più autorevoli scrittori giapponesi, ragiona sulla maestria come vertice dell’espressione artistica che viene raggiunta attraverso un metodico e costante esercizio tecnico. Lo stesso che Luisella Traversi Guerra insegue e che lega come un filo rosso le sue varie stagioni creative, in cui la pittura non è vista come mera professione, quanto come vocazione, necessaria alla propria crescita interiore.

Accompagna la mostra un volume Skira, con testi di Franco Marcoaldi e Chiara Gatti.

Note biografiche

Luisella Traversi Guerra (Borgonovo Val Tidone, PC) è pittrice e scrittrice. Trascorre parte della sua infanzia a Parigi. Rientrata in Italia, per anni gestisce con dedizione ed entusiasmo la direzione e la valorizzazione delle risorse umane nella azienda di famiglia; si specializza maturando un’esperienza decennale nell’analisi comportamentale e nello sviluppo della qualità nell’ambiente di lavoro, diventando relatrice in conferenze.

Coltiva la passione per la pittura nel tempo libero, ma sempre di più si rende conto che il suo cammino di conoscenza e crescita si intrinseca profondamente con l’esperienza artistica e particolarmente con il mondo pittorico che le appartiene. Per questo la sua pittura diventa mezzo per esternare una profonda ricerca interiore, attraverso immagini simboliche e la sperimentazione di diverse tecniche. Se la sua pittura è un mezzo per esprimere il processo che anima la vita interiore dell’artista, la scrittura ne completa l’espressione, ampliandone la gamma di valori e sentimenti rivelati.

Negli anni espone più volte negli Stati Uniti d’America, in Cina, in Giappone, a Singapore, in Olanda, in Francia, in Inghilterra, in Germania, nel Principato di Monaco, in Lussemburgo, in Svizzera, in Ungheria, in Turchia, in Corea e in Belgio. Dal 2004 l’artista inizia a proporre il suo lavoro anche in Italia.


LUISELLA TRAVERSI GUERRA. L’IDEALE DELLA MAESTRIA
Milano, Museo della Permanente (via Turati 34)
2-24 aprile 2022

Orari:
lunedì – venerdì, 10.00-13.00; 14.30-18.30
sabato – domenica, 11.00-13.00; 14.30-18.30

Ingresso libero

Informazioni: info@lapermanente.it

Ufficio Stampa Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente
Cristina Moretti | cristina.moretti@lapermanente.it | Anna Miotto | anna.miotto@lapermanente.it
tel. 02 6551445

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | tel. 02.36755700 | clara.cervia@clp1968.it | www.clp1968.it

Venezia – Ultimi sussurri: oratorio immersivo per voci che svaniscono, universi che collassano e un albero che cade

Last Whispers: Immersive Oratorio for Vanishing Voices, Collapsing Universes and a Falling Tree di Lena Herzog, fotografa e artista americana, è un progetto incentrato sulla tematica dell’estinzione di massa delle lingue.

L’iniziativa, promossa dall’UNESCO, è a cura di Silvia Burini, Maria Gatti Racah, Giulia Gelmi, Anastasia Kozachenko-Stravinsky (Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali – DFBC).

Per la prima volta in Italia
dal 21 aprile al 30 luglio a Ca’ Foscari Zattere
l’installazione immersiva in realtà virtuale

LAST WHISPERS

PROGETTO ARTISTICO
DI LENA HERZOG 
SULLE LINGUE IN ESTINZIONE

Installazione site-specific nel cortile di Ca’ Foscari
dal 21 aprile al 30 settembre

Ogni due settimane il mondo perde una lingua. A una velocità inedita, maggiore di quella dell’estinzione di alcune specie, la nostra diversità linguistica – forse il mezzo più importante della conoscenza di sé – si sta erodendo.

Ad oggi, delle 7.000 lingue superstiti sulla Terra, solo 30 sono usate dalla maggioranza della popolazione. Si stima che almeno la metà delle lingue attualmente parlate sarà estinta entro la fine del secolo. Altre fonti prevedono tempi di sparizione ancor più rapidi.

Nel tentativo di sensibilizzare in ordine a questo problema, l’Assemblea Generale dell’ONU e l’UNESCO hanno dichiarato il 2022-2032 “Decennio Internazionale delle Lingue Indigene”.

Last Whispers è una composizione sonora spazializzata che unisce discorsi, canzoni, incantesimi e canti rituali con suoni e immagini della natura e frequenze provenienti dallo spazio. Il risultato è un lavoro corale, profondamente moderno e tradizionale al contempo, dedicato al tema dell’estinzione delle lingue su scala globale.

Quest’estinzione è, per definizione, silenziosa, perché è proprio il silenzio la forma che essa assume. Last Whispers dà voce a ciò che è stato ridotto al silenzio: mentre affoghiamo nel rumore delle nostre voci – espressione dei sistemi culturali e linguistici dominanti – siamo circondati da uno sconfinato oceano di silenzio.

Il panorama immersivo di Last Whispers è un’invocazione alle lingue estinte e un incantesimo per quelle a rischio.

Con il generoso sostegno della Jim & Marilyn Simons Foundation, Herzog ha selezionato registrazioni provenienti dall’Endangered Languages Documentation Programme della SOAS University di Londra (ora conservate alla Berlin-Brandenburg Academy of Sciences and Humanities), dalla Smithsonian Institution, dal progetto “Rosetta” e da oltre una dozzina tra i più grandi archivi linguistici del mondo.

Lena Herzog è una fotografa e un’artista americana, multidisciplinare e concettuale, di origini russe che vive a Los Angeles. Il suo lavoro, riconosciuto a livello internazionale, affronta i temi della ritualità e del gesto, della perdita e della dislocazione. Il suo approccio nasce dall’intersezione tra arte e scienza, intese sia come oggetto di studio che come processo. Nei lavori a stampa Herzog utilizza tecniche fotografiche tradizionali, contemporanee e sperimentali, mentre per i progetti multimediali l’artista impiega tecnologie all’avanguardia nel suono, nell’installazione immersiva e nella realtà virtuale.

La sensibilità artistica di Herzog nell’affrontare le tematiche connesse alla sostenibilità globale, nonché la sua minuziosa e strutturata ricerca documentaria, rendono particolarmente significativa la presentazione del progetto Last Whispers al pubblico veneziano e internazionale.

Last Whispers sarà presentato all’Università Ca’ Foscari Venezia da aprile a settembre 2022, in tre momenti distinti:

  • Una versione immersiva in realtà virtuale potrà essere fruita individualmente, con visori e cuffie, dal 21 aprile al 30 luglio nella Tesa 1 di Ca’ Foscari Zattere – CFZ. Ogni visitatore sarà dotato di un set, che verrà sanificato dopo ogni uso.
  • Un’installazione site-specific di immagini tratte dal progetto sarà esposta nel cortile principale di Ca’ Foscari e aperta al pubblico dal 21 aprile al 30 settembre.
  • Una proiezione audiovisiva del lavoro, su grande schermo, sarà presentata nel cortile centrale di Ca’ Foscari come evento principale dell’edizione di Art Night 2022, che si terrà il 18 giugno.

Last Whispers: Immersive Oratorio for Vanishing Voices, Collapsing Universes and a Falling Tree


LAST WHISPERS – INSTALLAZIONE IMMERSIVA VR
Inaugurazione 20 aprile ore 18:30
21 aprile – 30 luglio 2022
lunedì – sabato 10:00 – 18:00
domenica 15:00 – 18:00
CFZ – Ca’ Foscari Zattere / Cultural Flow Zone
Zattere al Pontelungo
Dorsoduro 1392

LAST WHISPERS – INSTALLAZIONE SITE-SPECIFIC
Inaugurazione 20 aprile ore 12:00
21 aprile – 30 settembre 2022
8:00 – 19:00
Cortile centrale di Ca’ Foscari
Palazzo Ca’ Giustinian
Dorsoduro 3246

ART NIGHT: LAST WHISPERS – PROIEZIONE AV
18 giugno 2022
apertura ore 18:00 / proiezione ore 21:00
Cortile centrale di Ca’ Foscari
Palazzo Ca’ Giustinian
Dorsoduro 3246

Giorni di chiusura:
25 aprile 2022
1 maggio 2022


PER INFO:
FG Comunicazione-Venezia

info@davidefederici.it 
Davide Federici:
+39 3315265149 

Henri Matisse a Collioure: un’estate fauves di linee e colori

di Sergio Bertolami

41 – Henri Matisse e André Derain fra gli artisti del Roussillon

Il fauvismo – occorre evidenziarlo subito – è una fase effimera nella lunga e sfaccettata storia dell’arte del Novecento. Matisse ne parlerà come di una “prova del fuoco” dalla quale uscirà temprato. Bene aveva intuito il critico Louis Vauxcelles che, su Gil Blas, riportava la sua visita al Salon d’Automne del 1905: Matisse avrebbe potuto ottenere facili riconoscimenti, ma preferiva vagare in una ricerca appassionata, chiedere al puntinismo qualcosa di più, come vibrazioni o luminosità. Quella ricerca appassionata si era fatta strada durante l’estate del 1905, a Collioure, con la stimolante compagnia del giovane Derain. Non a caso, quando Vauxcelles, più tardi, si riferirà all’istituita congrega dei fauves, dove secondo il critico officiavano come in una confraternita due preti superbi, farà proprio il nome di Derain e Matisse. Solo che lo scrive nel 1907, allorché il gruppo sta per separarsi, con l’idea d’inseguire principalmente il Cubismo, iniziato da Picasso e, soprattutto, da quel Braque che era stato accolto come fauve. L’effetto più vantaggioso, però, era che al Salon d’Automne gli esponenti di quella congrega erano emersi all’attenzione, una volta per tutte, e all’improvviso Matisse aveva acquisito la celebrità del capofila. Con la mostra interessò collezionisti d’avanguardia, come gli americani della famiglia Stein, Leo Stein col fratello Michael e la sorella Gertrude, e più avanti i russi Stschoukine e Morosov, tutti collezionisti che da quel momento acquistarono da lui regolarmente, fino allo scoppio della guerra, con lungimiranza e ammirazione degne di nota.

Di Henri Matisse, Vista di Collioure, 1905

Collioure, nel Sud estremo della Francia al confine con la Spagna, è stato il catalizzatore che ha contribuito alla nascita del fouvisme. Nulla l’avrebbe fatto presagire, perché il piccolo paese di pescatori, all’inizio del Novecento, era conosciuto per le sue acciughe: pescate, lavorate in modesti laboratori di salagione e conservate in botti di legno. Per il resto, un bellissimo paesaggio mediterraneo di aranci e limoni, di sole e cielo terso, erano gli effetti speciali che potevano coinvolgere lo spirito di poeti e pittori. Paul Signac ci aveva soggiornato diciott’anni prima, nel 1887. Per un po’ aveva affittato una stanza sopra un droghiere, poi aveva preferito partire per Saint-Tropez. Gli straordinari paesaggi offerti dal Var e dalla Costa Azzurra erano fra i preferiti dei pittori. Nell’estate del 1905, Marquet e Manguin svolgevano a Saint-Tropez le loro ricerche, favoriti da Signac loro nume tutelare. Anche Camoin li raggiunse un paio di mesi dopo, proveniente da Aix e da Cassis dove aveva seguito le orme dell’anziano Cézanne. Ai tempi, però, la situazione economica di Matisse era delicata e Saint-Tropez troppo costosa. Nella mostra collettiva di aprile la gallerista Berthe Weill annotava sul suo registro: «Camoin è in testa alle vendite; segue, al secondo posto, Marquet». Matisse, che aveva presentato sei dipinti, languiva. Al Salon des Indépendants, gli Stein avevano giudicato le opere puntiniste di Matisse come «insoddisfacenti» e avevano comprato un Nudo di Manguin. L’anno precedente Matisse aveva seguito la scelta d’obbligo, fermandosi a Saint-Tropez, e qui aveva conosciuto Signac e Cross. Ma la pittura puntinista, che prima lo aveva esaltato, ormai tendeva a deluderlo. Dopo Luxe, calme et volupté (Lusso, calma e voluttà), aveva scritto: «Tutte le tele di questa scuola producono lo stesso effetto: un po’ rosa, un po’ azzurro, un po’ verde, una tavolozza molto limitata con la quale non mi sento a mio agio». Ricercava paesaggi che potessero ispirarlo. Li aveva cercati ad Agay, Cannes, Nizza, Monaco, Mentone. Infine, era stato proprio Signac a consigliargli di andare a Collioure: cittadina francese sulla costa catalana, ricca di spunti artistici e certamente più economica di Saint-Tropez.

Henri Matisse, Luxe, Calme et Volupté, 1904

Il 16 maggio 1905 Henri Matisse giunge a Collioure da Perpignan dove si trovava con la famiglia, in visita a sua cognata Berthe. Lo raggiungeranno pochi giorni dopo la moglie Amélie – prediletta modella di quegli anni – e i figli. Fu così che Collioure poté contare il suo secondo pittore “straniero” dopo Signac. All’epoca i forestieri erano davvero pochi, per lo più viaggiatori di commercio o impiegati delle ferrovie. La famiglia Matisse trovò alloggio all’Hôtel de la Gare, unica locanda del paese, a 200 metri dalla stazione. La proprietaria, la vedova Paré, chiamata Rosette, che come tutti i locali parlava soltanto catalano e non aveva nessuna fiducia nei forestieri, si lasciò sedurre dall’aria rispettabile di Monsieur Henri. Con la barba e gli occhiali da insegnante, il suo vestito pulito ed ordinato, che non lo facevano assomigliare per niente ad un artista. Rosette si fece perfino effigiare da Matisse in un ritratto scolpito su di un pezzo di legno. Con i suoi modi affabili, Matisse riusciva a stringere amicizia e a integrarsi. Quando a luglio, su insistenza di Matisse, lo raggiungerà pure Derain, anche lui decorerà una porta dell’albergo con le figure di Don Chisciotte e Sancho Panza. Prima del suo arrivo, Matisse ha già stretto legami un po’ ovunque. Con Paul Soulier, viticoltore e appassionato fotografo amatoriale che lo aiuta a reperire una piccola stanza affacciata sulla spiaggia del Faubourg, un quartiere di pescatori, che il pittore usa come atelier e, da luglio, una villa bifamiliare con terrazzo con vista sulla spiaggia di Voramar vicino alla chiesa. Il 20 maggio Matisse scrive a Manguin: «Abbiamo trovato un albergo economico (150 franchi al mese per noi quattro) […] e ho affittato sulla banchina chiamata Faubourg una stanza con vista mare dove lavoro con tutto il mio agio. Ho come frequentazione abituale quella di un pittore degli Indépendants, amico di Luce, che si chiama Terrus e che è una piacevole compagnia».

LE ROUSSILLON A L’ORIGINE DE L’ART MODERNE 1894-1908. Esposizione presentata alla Salle Maillol del Palais des Congrès di Perpignan, dal 4 luglio al 27 settembre 1998

Ètienne Terrus è un pittore locale, anarcoide, amico di Maximilien Luce, puntinista, che s’era installato nell’atelier del quai Saint-Michel, lasciato sfitto a Parigi da Matisse. Terrus faceva parte di piccolo gruppo di artisti follemente innamorati di Gauguin. Un gruppo che oggi sta cominciando ad essere conosciuto e a riscuotere il merito che gli spetta. Stralcio dal catalogo della mostra presentata alla Salle Maillol, Palais des Congrès, Perpignan, dal 4 luglio al 27 settembre 1998, col titolo 1894-1908. Le Roussillon à l’origine de l’art moderne: «Fu durante l’estate del 1905, a Collioure, che Matisse venne a conoscenza dell’onnipotente aiuto che Gauguin, morto alle Isole Marchesi due anni prima, poteva portargli. “Incontro” capitale – Gauguin non mise mai piede nel Roussillon – perché quell’estate nacque il Fauvismo. Un “legame”, quindi, unisce questi due maestri, che si potrebbe dire “mancante”, tanto poco è stato individuato nella storia dell’arte. Lontano da Parigi e dalle mode, si compongono artisti locali, alcuni famosi, altri meno: Aristide Maillol, lo scultore di Banyuls; il suo amico pittore di Elne, Etienne Terrus; Il confidente di Gauguin, Georges-Daniel de Monfreid, che si stabilì a Corneilla-de-Conflent». Proprio quest’ultimo, Georges-Daniel de Monfreid, pittore, scultore, ceramista e maestro vetraio, era un amico di Gauguin. Lo aveva conosciuto a Parigi prima che partisse per Tahiti e rimarrà in contatto epistolare, divenendone l’esecutore testamentario alla sua morte, nel 1903. A Matisse, de Monfreid mostra la sua collezione di opere di Gauguin, che comprende ceramiche, sculture in legno e il famoso manoscritto-testamento Noa Noa. Secondo M. C. Valaison, non c’è dubbio che sia stato de Monfreid, che conosceva Matisse dal 1896, a svolgere un ruolo fondamentale nell’accoglierlo a Collioure e introdurlo nella ristretta cerchia degli artisti del Roussillon. Alcuni sono poco più che dei dilettanti della domenica, ma in questa piccola cerchia troviamo anche nomi di pittori interessanti. È il caso proprio di Étienne Terrus, che vive a Elne e che ha appena esposto, come Matisse, diversi dipinti all’ultimo Salon des Indépendants, nel marzo-aprile 1905. In uno di questi, Le Racou, una spiaggia di Argelès-sur-Mer, non esita a giustapporre il rosso violento del tetto di una capanna con l’azzurro intenso del mare. Sembra un Fauve prima dei Fauves.

Étienne Terrus, Le Racou

Attraverso Terrus, Matisse conosce lo scultore Aristide Maillol nella sua fattoria a Banyuls-sur-Mer e lo aiuta a modellare in gesso La Méditerranée. Al di là delle biografie idilliache, il rapporto fra i due artisti presenta i suoi contrasti, se Matisse scrive: «Noi non eravamo fatti per capirci. Lui lavorava partendo dalla massa, come gli Antichi, mentre io partivo dall’arabesco, come i Rinascimentali. Maillol non amava il rischio, mentre io ne subivo il fascino». Ma è con l’arrivo di André Derain che è possibile seguire quello che negli anni a venire Matisse chiamerà “un nuovo metodo di pittura”. Entusiasta di questo inaspettato luogo, che non si limita al sole e al mare, ma gli permette di essere coinvolto calorosamente fra la gente del Roussillon, Matisse scriveva, il 25 giugno 1905, all’amico Derain: «Non posso essere troppo insistente per convincerti che un soggiorno qui è assolutamente necessario per il tuo lavoro – saresti nelle condizioni più vantaggiose e trarresti benefici pecuniari dal lavoro svolto. Sono certo che se mi ascolterai ti troverai bene. Perciò, te lo ripeto, vieni».

Aristide Maillol, La Méditerranée, 1905

Matisse, quando arriva Derain, lavora ancora per pochi giorni sulla terrazza vista mare della camera lungo la banchina del Faubourg, sopra il Café Olo dove vanno a bere i pescatori. Poi si trasferirà vicino alla chiesa di Voramar. Insieme dipingono vedute di Collioure. Derain è preso dalla frenesia: produce una trentina di dipinti a olio, il doppio di Matisse. Derain scrive a de Vlaminck: «Qui le luci sono molto forti, le ombre molto chiare. L’ombra è tutto un mondo di chiarezza e luminosità che si oppone alla luce del sole: quelli che vengono chiamati riflessi». A Collioure hanno trovato finalmente materia per risolvere i dubbi e ubriacarsi di colore. Matisse dipinge di rosso la spiaggia di Collioure e confessa all’amico: «Senza dubbio sarai sorpreso di vedere una spiaggia di questo colore. In effetti, era di sabbia gialla. Mi sono reso conto di averla dipinta di rosso […] Il giorno dopo, ho provato con il giallo. Non andava per niente bene, per questo ho rimesso il rosso…». Chi pensa che le soluzioni nascano per caso e senza travaglio, si sbaglia. Lo testimoniano la quantità di lettere scambiate fra i protagonisti. Derain a de Vlaminck: «Lavorando accanto a Matisse, imparo a estirpare tutto ciò che caratterizza la divisione del tono. Lui continua su questa strada, io invece sono rinsavito e non la uso quasi più. Ha senso in un arazzo o in un pannello luminoso e armonioso. Ma nuoce a tutto ciò che trae vigore dalle disarmonie intenzionali. Insomma, è un universo che si distrugge da solo quando lo si dipinge all’eccesso». Quelle disarmonie intenzionali sono per Derain il modo per slacciarsi dalle metodiche categoriche di Signac e del suo gruppo ristretto, in barba al loro principio sulla complementarità dei colori.

André Derain, Barche a Collioure, 1905

Non è così per Matisse, che lavora sulle molteplici varianti del punto di colore. Lo testimonia l’antologia delle variazioni sul tema del punto declinato in tratto, virgola, tassello, macchia, che ritroviamo in un dipinto come I tetti di Collioure. In realtà il divorzio di Matisse dal Pointillisme è una macerazione tutta interna al suo spirito. Il porto d’Abail può essere un esempio. Un dipinto senza dubbio puntinista. Matisse l’inizia a Collioure, lo lascia incompleto, poi lo termina a Parigi. Il 19 agosto aveva scritto a Manguin che l’opera era «abortita». Henri Edmond Cross aveva risposto il 18 luglio con alcune osservazioni sul lavoro: «il bozzetto del vostro Port de Collioure [d’Abail] mi sembra presentarsi bene; l’equilibrio compositivo è perfetto; qualità che dovete cercare di conservare aggiungendo colori e studiando gamme tonali. Credo che, all’inizio di un lavoro, sia bene guardarsi dal fare troppo affidamento sul tracciato lineare della composizione. Bisognerebbe, invece, avere ben chiaro in mente l’effetto da raggiungere, che nel nostro caso è il colore. Per me un dipinto è un’armonia di tinte e toni; tale armonia deriva da uno o più nuclei legati tra loro da armoniosi contrasti». Anche Signac, interpellato, fornisce i suoi consigli. Lo fa con una citazione da Cézanne, spedendogli una cartolina: «Disegno e colore non sono due cose distinte. Man mano che dipingiamo, disegniamo: più il colore è armonico, più il disegno si chiarisce. Quando il colore è usato in tutta la sua ricchezza, la pienezza della forma e completa». Il vecchio maestro è la stella polare di Matisse per trovare il suo porto. Non all’interno del Pointillisme, come avrebbe voluto Signac, ma contraddicendolo in tutto e per tutto.

Matisse, Le Port d’Abail, 1905

Questa ricerca sulla linea-colore che Matisse discute con slancio, crea qualche dissapore con Derain, che in una lettera a de Vlaminck scrive: «al momento, attraversa una crisi creativa. Ma resta comunque una persona straordinaria, più di quanto pensassi, dal punto di vista logico e delle speculazioni psicologiche». Alla fine di agosto, con l’idea dei prossimi impegni, Derain rientra a Parigi: «Se non fosse stato per questo sacro Salon d’Automne, non sarei tornato affatto». Parte da Collioure per Marsiglia con un battello proveniente da Algeri. Matisse torna a Parigi, con la famiglia, all’inizio di settembre, via Avignone. A fine mese scrive a Signac: «È la prima volta nella vita che sono contento di esporre le mie cose, forse non importantissime, ma che hanno il merito di esprimere in maniera purissima le mie sensazioni, cioè quello che sto cercando di ottenere da quando dipingo».

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Messina, Biblioteca Regionale Universitaria: “Ecce lignum Crucis”. Venerdì Santo a Novara di Sicilia

La Biblioteca Regionale Universitaria “Giacomo Longo” di Messina, attende i suoi fruitori, presso la Sala Lettura, martedì 12 aprile 2022, alle ore 10. Nel rispetto di ogni misura anti-Covid attualmente in vigore, si rivivranno dai testi e dalla videoproiezione di un docufilm le tradizioni pasquali in Sicilia, e in particolare nella Città Metropolitana di Messina, con specifico riferimento a Novara di Sicilia.

L’iniziativa culturale, realizzata in sinergia con l’Associazione Culturale Kiklos e il Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani, prevede per la sezione convegnistica: Saluti Istituzionali e Introduzione della Direttrice Tommasa Siragusa; seguiranno i contributi del Sindaco di Novara di Sicilia Girolamo Bertolami e dell’Assessore alla Cultura dello stesso Comune di Novara Salvatore Buemi. Relazionerà il Presidente dell’Associazione Culturale Kiklos e Curatore Scientifico del Museo Musica e Cultura Popolare dei Peloritani, l’etnomusicologo Mario Sarica.

Durante il prezioso momento culturale verrà proiettato il video “Ecce lignum Crucis,gesti,rituali,corteo processionale,suoni e voci. Venerdì Santo. Novara di Sicilia”, coprodotto su supporto DVD da questa Biblioteca, dall’Ass. Kiklos e dal Museo dei Peloritani.

In conclusione, sarà dato ampio spazio al dibattito.

Una ricca Esposizione Bibliografica dei testi in argomento farà da corollario all’iniziativa e resterà fruibile anche nei giorni a seguire. Si potranno apprezzare tra le numerose pubblicazioni, e soltanto a titolo esemplificativo: “Spettacoli e feste popolari siciliane” (1881) di Giuseppe Pitrè; “Costumi e usanze dei contadini di Sicilia” (1897) di Salvatore Salomone-Marino; “La grande processione delle varette nella città di Messina” (1907) di Giuseppe Vadalà-Celona; “Le immagini devote del popolo siciliano:112 illustrazioni” (1982) di Giuseppe Cocchiara; “Immagini devote in Sicilia” (1982), testo scritto a due mani da Antonino Sarica e dal compianto Studioso messinese Franz Riccobono, recentemente scomparso. Questa Biblioteca ne porterà per sempre il ricordo nella doppia veste di assiduo Utente e Cultore di Storia Patria. 

Post dell’evento sono presenti sulle pagine social della Biblioteca:

Chi non potrà prendere parte all’evento in presenza, potrà scrivere sui social commenti e domande da rivolgere anche durante l’incontro.

Nei giorni a seguire sarà disponibile il video dell’evento.


Per INFO: Ufficio Relazioni con il Pubblico
tel.090674564
urpbibliome@regione.sicilia.it

Milano: STILL Fotografia ospita la mostra di Guia Besana dal titolo “Carry on”

L’esposizione presenta 15 immagini tratte dal suo progetto più recente che, partendo dalla paura di volare, si dirige verso temi universali quali l’impossibilità di controllo del tempo e degli eventi.

MILANO
STILL FOTOGRAFIA
FINO AL 16 APRILE 2022

GUIA BESANA
CARRY ON

A cura di Clelia Belgrado e Viana Conti

Guia Besana, Carry on, The Conversation

Dall’11 marzo al 16 aprile 2022, STILL Fotografia a Milano (via Zamenhof 11) ospita la mostra di Guia Besana, dal titolo Carry on.

La rassegna, curata da Clelia Belgrado e Viana Conti, presenta 15 fotografie tratte dal suo progetto più recente che, ispirato dalla sua paura di volare, vira verso temi universali, quali l’impossibile controllo del tempo e degli eventi.

Carry on, il cui titolo oscilla tra il senso letterale di bagaglio a mano e quello metaforico di viaggio interiore in cui parimenti si affollano sensazioni di terrore per il volo, nasce dalla visione dei filmini Super8 dell’infanzia dell’artista, in particolare quello in cui viene trascinata dalla madre attraverso la pista di decollo e poi sull’aereo, che scompare nel cielo.

Le sue immagini fissano momenti come frammenti di un film, a metà tra fiction e realtà. In queste scene si percepiscono due tempi: un tempo dilatato, nel quale i soggetti vengono messi in scena in situazioni riflessive o immobili, e uno più precipitoso nel quale gli stessi vivono uno stato di ansia o pericolo lasciando allo spettatore la libertà di interpretare la storia.

La protagonista degli scatti è una giovane donna; oggetti  sono sparsi sui sedili o sul pavimento dell’aereo, siano questi una borsetta, un portacipria, una collana. Accanto a questi, compaiono altri elementi, che descrivono la tensione della passeggera, come i mozziconi di sigaretta raccolti in un posacenere o un puzzle con le tessere sparse sulla moquette, che svelano un volto di donna decisamente inquieto.

“Con la sua personale Carry On – afferma Viana Conti, nel saggio pubblicato nel volume “VisionQuest” – Guia Besana, Canon Ambassador dal 2016, restituisce in mostra, come nelle tessere di un mosaico, le proiezioni di un immaginario femminile in volo. Il suo mondo è quello della staged photography, un mondo che abita nella mente dell’artista e che, a partire dall’inizio della mise en place dei suoi componenti, trasforma progressivamente l’illusione di un set artificiale in realtà: in un’opera potenzialmente in grado di suscitare emozioni in chi la guarda.

Note biografiche

Guia Besana (1972) vive e lavora a Barcellona. Dopo gli studi in media e comunicazione a Torino, dal 1994 si dedica esclusivamente alla fotografia e nel 2004 si trasferisce a Parigi. Con un particolare interesse al tema dell’identità e al mondo femminile viaggia in diversi paesi e entra a far parte dell’agenzia Anzenberger nel 2005. Nel 2013 diventa membro della galleria Anzenberger con la serie Under Pressure e nel 2016 diventa membro della galleria 1968 (Londra). Il suo lavoro è regolarmente pubblicato su riviste e blog internazionali: New York Times, Newsweek, Huffington Post, Marie Claire, Vanity Fair, Le Monde, Courrier International, D di Repubblica, IO Donna, Esquire, CNN blog … Il suo lavoro è stato riconosciuto da numerosi premi internazionali: MIFA Moscow, Los Angeles LADCA, GRIN, MarieClaire International Award, AI AP, PWP – Professional Women Photographers, Julia Margaret Cameron Award, finalista al premio Leica Oskar Barnack. Con il suo progetto personale Baby Blues nel 2012 vince il premio Amilcare Ponchielli Grin e inizia a realizzare serie fotografiche di fiction.

Le sue immagini sono state esposte in Virginia (Stati Uniti), Los Angeles (Stati Uniti), New York (Stati Uniti), Buenos Aires (Argentina), Italia, Francia, Spagna e Malesia. Guia Besana é Canon Ambassador dal 2016 e dal maggio 2019 è rappresentata in Italia dalla VisionQuesT 4rosso.


GUIA BESANA. Carry on
Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11)
11 marzo – 16 aprile 2022

Orari: martedì-venerdì, 10-13; 14-18; giovedì, 10.13; -14-19.30; sabato, 15-19

Informazioni: Tel. 02.36744528; info@stillfotografia.it; press@stillfotografia.it

Sito internet: www.stillfotografia.it/

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T. +39 02 36755700; M. +39 349 6107625 | anna@clp1968.it | www.clp1968.it

Bologna: Installata la luminaria “Grazie Lucio” donata alla Fondazione Sant’Orsola

Venerdì 8 aprile 2022 alle ore 17.30 nel Day Hospital di Oncologia, Padiglione 2, del Policlinico di Sant’Orsola è stata installata in modo permanente un’opera d’arte donata dall’imprenditore e mecenate bolognese Francesco Amante, da sempre vicino alla sua città e al territorio.

Cerimonia: Venerdì 8 aprile 2022 ore 17.30
Policlinico di Sant’Orsola, Day Hospital di Oncologia, Padiglione 2
Via Pietro Albertoni 15, Bologna

Ad accogliere i pazienti del reparto di Oncologia del Sant’Orsola sarà da oggi la scritta al neon “Grazie Lucio che è parte dell’installazione luminosa che nell’inverno 2020 ha riacceso via d’Azeglio a Bologna con i versi della canzone della canzone “Futura” del cantautore Lucio Dalla.

Le parole del brano musicale, divenute arte urbana, nella forma di una poesia visiva raccolgono il miglior auspicio che ci possa aspettare dalla vita: cantare il futuro; per questo Francesco Amante si è aggiudicato il pezzo durante l’asta di beneficienza organizzata ad ottobre 2021 dal Consorzio degli Esercenti di via d’Azeglio Pedonale, con il patrocinio del Comune di Bologna e della Fondazione Lucio Dalla, in collaborazione con Sotheby’s e con la Galleria d’Arte Maggiore – GAM.

L’installazione luminosa “Grazie Lucio”, firmata dall’artista Pablo Echaurren e realizzata dall’artigiano Antonio Spiezia, andrà ora ad illuminare il Day Hospital di Oncologia Policlinico di Sant’Orsola a Bologna, dove ogni anno oltre 1.800 pazienti ricevono le terapie per sconfiggere patologie oncologiche.

Dichiara Andrea Faccani, Presidente della Fondazione Lucio Dalla “La gara di solidarietà che ha animato l’asta benefica ha testimoniato il grande affetto che accompagna il ricordo di Lucio e l’impegno di chi vi ha partecipato a contribuire in modo concreto al benessere delle persone, impegno che Francesco Amante oggi rinnova donando la luminaria “Grazie Lucio” al day hospital di oncologia, un gesto molto bello di cui siamo felici di essere testimoni. Siamo davvero lieti che grazie a questa donazione l’affettuoso omaggio di Pablo Ecahurren a Lucio che chiudeva la sequenza delle installazioni luminose dedicate a Futura possa continuare a splendere portando conforto e fiducia in un futuro migliore a coloro che vivono le difficoltà dei percorsi di cura. In questa occasione di gioia ci teniamo anche a ricordare con affetto Franco Calarota, con cui abbiamo condiviso gli eventi benefici delle luminarie dedicate alle canzoni di Lucio e che ne è stato il cuore e l’anima, certamente sarebbe stato felice di essere qui a condividere questo momento importante“.

Afferma l’imprenditore Francesco Amante: “Da collezionista quale sono, ritengo che le opere d’arte debbano il più possibile essere fruite dal pubblico. In tale senso mi sento vicino alla prospettiva del caro Amico Concetto Pozzati quando asseriva che le opere dovrebbero avere le ruote per girare. Delle tre opere acquistate all’evento benefico delle luminarie dedicate a “Futura” di Lucio Dalla a favore della Fondazione Policlinico Sant’Orsola, la più importante “Grazie Lucio” ho deciso di donarla alla Fondazione Sant’Orsola, perché possa essere anche un segnale di conforto e di speranza, un auspicio da leggere, da vedere, da sperare… un auspicio, di guarigione e con esso di vita attraverso un semplice ma importante “Grazie” di luce”.

Durante la cerimonia Luca Rizzo Nervo, Assessore. Deleghe. Welfare, nuove cittadinanze, fragilità del Comune di Bologna ha ringraziato Francesco Amante: “ringrazio per l’ennesima volta e per l’ennesimo gesto di grande generosità verso questa città Francesco Amante. Non è la prima volta che incrocio la sua determinazione, la sua generosità; lo ringrazio per il fatto di regalare a Bologna delle occasioni per ritrovarsi attorno a delle cose belle“. 

Amante non è nuovo a queste iniziative filantropiche: ricordiamo l’installazione Sala d’Attesa presso il Pantheon della Certosa di Bologna, il grande lampadario di Casa Grande collocato davanti alla Cineteca di Bologna e il restauro e ricollocazione delle sculture in bronzo di Romagnoli sulla facciata di Palazzo d’Accursio in piazza Maggiore, dove erano posti e rimossi 75 anni fa.

L’asta, organizzata da Sotheby’s, ha raccolto un totale di 122 mila euro, che – detratte le spese vive sostenute dagli organizzatori – è stato devoluto a favore della Fondazione Sant’Orsola per la ristrutturazione radicale del reparto di degenza oncologica. Durante la serata, che ha visto la partecipazione di oltre 350 ospiti, la scritta “Grazie Lucio” ha registrato il prezzo più alto battuto in asta per la cifra di 16.000 euro.


INFO UTILI
Cerimonia di consegna di una delle luminarie dedicate alla canzone “Futura” di Lucio Dalla da parte di Francesco Amante

QUANDO: Venerdì 8 aprile 2022 ore 17.30
DOVE: Policlinico di Sant’Orsola, Day Hospital di Oncologia, Padiglione 2, Via Pietro Albertoni 15, Bologna

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L’Istituzione Bologna Musei espone nuove didascalie per segnalare al pubblico i beni culturali da evacuare con priorità in caso di allarme


“Un gesto simbolico per esprimere solidarietà verso i musei ucraini, impegnati a salvaguardare il patrimonio culturale dalle conseguenze del conflitto armato in corso”.
Matteo Lepore

A partire da sabato 9 aprile, i visitatori dei musei civici di Bologna troveranno una nuova segnaletica interna allestita nelle sale espositive. Didascalie accomunate dalla stessa grafica – una cornice rossa e il testo “Priorità di evacuazione in caso di allarme” – saranno posizionate in corrispondenza dei beni culturali classificati come prioritari da evacuare in caso di eventi calamitosi di varia natura ed entità.
L’iniziativa simbolica è voluta dall’Amministrazione Comunale per comunicare un messaggio di solidarietà verso le istituzioni museali dell’Ucraina impegnate a mettere in sicurezza e salvaguardare il patrimonio culturale, storico e artistico esposto alle minacce e ai danni causati dal conflitto armato con la Russia, che stanno aggravando la crisi umanitaria in corso.
Viene così raccolto l’appello lanciato al mondo dell’arte dallo storico dell’arte e art advisor bolognese Marco Riccòmini, presente a Kiev nei giorni immediatamente precedenti l’inizio del conflitto, per proporre un’azione di solidarietà verso i colleghi che si stanno mobilitando per salvaguardare il patrimonio artistico in pericolo: eleggere una stanza nella quale segnare le opere da portare in salvo e quelle da lasciare indietro.

Pubblichiamo di seguito il comunicato stampa diffuso dall’Ufficio Stampa del Comune di Bologna, con le dichiarazione del sindaco Matteo Lepore e della delegata alla Cultura Elena Di Gioia.

L’Istituzione Bologna Musei espone nuove didascalie per segnalare
al pubblico i beni culturali da evacuare con priorità in caso di allarme

Statua frammentaria di Nerone
Provenienza: Teatro romano di via de Carbonesi
Metà I sec. d.C.
Marmo, probabilmente greco pentelico, altezza cm 117
Bologna, Museo Civico Medievale

A partire da sabato 9 aprile, i visitatori dei musei civici di Bologna troveranno una nuova segnaletica interna allestita nelle sale espositive. Didascalie accomunate dalla stessa grafica – una cornice rossa e il testo “Priorità di evacuazione in caso di allarme” – saranno posizionate in corrispondenza dei beni culturali classificati come prioritari da evacuare in caso di eventi calamitosi di varia natura ed entità.

“Abbiamo voluto mettere in campo questa iniziativa simbolica – spiega il sindaco Matteo Lepore – per comunicare un messaggio di solidarietà verso le istituzioni museali dell’Ucraina impegnate a mettere in sicurezza e salvaguardare il patrimonio culturale, storico e artistico esposto alle minacce e ai danni causati dal conflitto armato con la Russia, che stanno aggravando la crisi umanitaria in corso. Con questa azione vogliamo dare un messaggio più ampio ai visitatori dei nostri musei: in guerra le opere d’arte, così come le vite, sono in pericolo”.

“Nel luogo dove lo sguardo si concentra sulla bellezza delle opere d’arte – aggiunge la delegata del sindaco alla Cultura Elena Di Gioia – poniamo simbolicamente un segno che indica come i Musei e i luoghi della cultura accolgono con solidarietà e vicinanza le ferite del mondo. Alle iniziative simboliche si accompagnano iniziative a cui stiamo lavorando di sostegno concreto in favore di artiste e artisti ucraini”.

L’introduzione dei nuovi supporti contestualizza all’interno del tragico scenario bellico, che sta provocando forte preoccupazione in tutto il mondo, la tradizionale funzione informativa delle didascalie come strumento di mediazione e interpretazione dell’opera, contribuendo a coinvolgere il pubblico anche attraverso la creazione di un significato emozionale che sottolinea la necessità di proteggere dai rischi le collezioni museali, a partire dalle opere più significative in ordine di priorità.

Con questa azione comunicativa si è inteso raccogliere l’appello lanciato da Marco Riccòmini, presente a Kiev nei giorni immediatamente precedenti l’inizio del conflitto. In un articolo pubblicato sulla rivista ‘Il Giornale dell’Arte’, lo storico dell’arte e art advisor bolognese ha raccontato come l’Ucraina sia un paese ricco di tesori d’arte, moltissimi dei quali sono italiani, e gli operatori museali si stiano preparando a tutti gli scenari possibili in un’atmosfera di tensione. Olena Zhikova, curatrice del Museo Nazionale Khanenko, gli confida le procedure da seguire per l’evacuazione e il ricovero temporaneo delle opere in caso di emergenza, spiegando come per la classificazione di priorità siano stati utilizzati nastri di colore diverso: rosso a indicare le opere che costituiscono una priorità assoluta, giallo per la seconda scelta.

Riuscito a rientrare in Italia poche ore prima della chiusura dell’aeroporto di Kiev, Riccòmini si è rivolto al mondo dell’arte – musei, gallerie e mostre – per proporre un’azione di solidarietà verso i colleghi che si stanno mobilitando per salvaguardare il patrimonio artistico in pericolo: eleggere una stanza nella quale segnare le opere da portare in salvo e quelle da lasciare indietro. Un gesto simbolico per sensibilizzare tutti gli amanti dell’arte su cosa sta accadendo in questi giorni in Ucraina, che il Comune di Bologna ha voluto fare proprio e condividere con il pubblico dei propri musei.

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Roma: Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento

Nella splendida cornice del Parco Archeologico dell’Appia Antica, presso il Complesso di Capo di Bove, dal 9 aprile al 9 ottobre 2022, è ospitata la mostra fotografica “Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento” che intende andare oltre il reportage fotografico e narrativo, rendendo omaggio alla via Appia vista come itinerario culturale e grande palinsesto storico-sociale di oltre 2000 anni.
A presentare il lavoro di Giulio Ielardi – in mostra e nel catalogo edito da Gangemi – è Francesco Zizola, uno dei nomi più illustri della fotografia contemporanea.

Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi
e scenari del cambiamento

Una mostra che racconta lo sviluppo dei paesaggi che l’Appia offre ai camminatori: questo il tema delle fotografie di Giulio Ielardi, un viaggio a piedi da Roma a Brindisi

Parco Archeologico dell’Appia Antica – Complesso di Capo di Bove
9 aprile – 9 ottobre 2022

Oltre cinquanta scatti di Giulio Ielardi, fotografo romano, raccontano il suo viaggio fatto a piedi nel 2021, in solitaria lungo la via Appia da Roma a Brindisi: ventinove giorni in tutto, di zaino in spalla tra strade, ruderi e borghi alla ri-scoperta di una delle strade più antiche di Roma.
Oltre che un reportage o meglio una ricerca artistica, le fotografie di Ielardi rappresentano un’occasione per un aggiornamento sugli sviluppi della valorizzazione di questa arteria dell’antichità, prima grande direttrice di unificazione culturale della penisola italiana che Ielardi ha percorso interamente a piedi: per questo la mostra si concluderà il 9 ottobre 2022, nella Giornata del Camminare, la manifestazione promossa da Federtrek per favorire la diffusione della cultura del camminare, presupposto fondamentale di questo progetto.

“Sin dall’età antica la via Appia è sempre stata oggetto di una particolare attenzione, che ha permesso la sopravvivenza di un numero ancora così alto di testimonianze distribuite lungo il suo tracciato” – afferma Simone Quilici, Direttore del Parco e curatore della mostra – “Il Parco Archeologico dell’Appia Antica è impegnato con uno specifico programma di sistemazione di una porzione di tracciato nel tratto di strada che dalla Campagna Romana raggiunge i Castelli Romani. Per quanto riguarda il ruolo di coordinamento delle attività di valorizzazione lungo il tracciato da Roma a Brindisi, assegnato al Parco dal decreto istitutivo, l’impegno è centrato nel rafforzare le comunità di patrimonio, a sostenerne le attività e implementarne il coinvolgimento in una gestione attiva e partecipata della Regina Viarum.”

“Governare la complessità dell’interazione tra storia, territorio e persone che caratterizza il paesaggio della via Appia, richiede analisi, approfondimenti e strategie che devono seguire il camminare ma, soprattutto, devono creare le condizioni per la gestione sostenibile del cammino stesso. La regia della valorizzazione di questo paesaggio affianca alla tutela e alla pianificazione altri strumenti di ricerca, tra i quali la fotografia, la geografia, la sociologia, l’economia, la comunicazione. In questo ruolo il Parco Archeologico dell’Appia Antica è anche impegnato a raccogliere e mettere in rete il ricco bagaglio di esperienze e di competenze che quotidianamente emergono nei territori attraversati dalla Regina Viarum” sottolinea Luigi Oliva, curatore della mostra.

Ielardi ha creato una testimonianza costante e quotidiana, documentata anche attraverso i suoi canali social, dando vita a un diario per immagini e restituendo con dedizione e cura i 630 chilometri, suddivisi in 29 tappe di cammino. Attraverso queste foto ha dato vita a “un sogno chiamato Appia”, come ama definirlo egli stesso, nato come esperienza di vita e trasformatosi in progetto fotografico, oggi diventato mostra. “Camminare dentro i paesaggi italiani attraversati dal tracciato dell’Appia”, racconta il fotografo, “mette nelle condizioni di dar vita a un ritratto del nostro Paese non solo assortito ma, e soprattutto, direi quasi intimo”.

L’importanza acquisita negli ultimi anni dal recupero dei percorsi a piedi è testimoniata dall’interesse da parte del Ministero della Cultura (MIC) nel dare vita al progetto Appia Regina Viarum.
L’obiettivo del progetto è la realizzazione del cammino dell’Appia Antica da Roma a Brindisi, prevedendo una serie di interventi di sistemazione del tracciato e dei monumenti in tutte e quattro le Regioni – Lazio, Campania, Basilicata e Puglia – attraversate dall’Appia stessa.

A valle di questi interventi che interessano anche il suo territorio, il Parco Archeologico dell’Appia Antica è stato investito per decreto istitutivo del coordinamento della valorizzazione di tutta la Regina Viarum fino a Brindisi. La mostra Still Appia vuole raccontare le azioni e le visioni di questo ambizioso programma.

La mostra è organizzata dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e curata da Luigi Oliva e Simone Quilici – Direttore del Parco.
L’evento vede il patrocinio dei Consigli Regionali del Lazio, della Campania, della Basilicata e della Puglia, oltre il patrocinio del Parco Regionale dell’Appia Antica, del Parco Regionale dei Castelli Romani, del Comune di Mesagne, di Italia Nostra e della Compagnia dei Cammini.
Partner Culturale: FIAF – Federazione italiana associazioni fotografiche. IL PROGETTO

IL PROGETTO

Giulio Ielardi è un fotografo, giornalista free lance e naturalista che si interessa da sempre di ambiente e patrimonio culturale.
Decide – a distanza di sei anni dal pionieristico viaggio sempre lungo la via Appia di Paolo Rumiz del 2015 – di intraprendere il cammino della più antica delle strade pubbliche romane e di fotografare le variabili ambientali e paesaggistiche dell’Italia centro meridionale lungo la via.

Dai numerosi siti archeologici e centri abitati, fino ai territori agricoli che sopravvivono alle zone più urbanizzate, le sue immagini documentano e interpretano con lo sguardo della fotografia autoriale i paesaggi dell’Appia che si contraddistinguono per una componente sempre presente, ovvero il tracciato della strada stessa, seppur spesso inglobato dal territorio che muta col passare del tempo.

I protagonisti dei suoi scatti vanno dallo splendore del basolato del VI miglio ancora dentro la città di Roma, a quello presso la piazza Palatina di Terracina, fino ai tre chilometri di basolato riportati alla luce agli inizi degli anni Duemila nella valle di Sant’Andrea (tra Fondi e Itri), che rappresentano uno dei tratti più spettacolari dell’intera Regina Viarum (foto medie n. 1, 3 e 7).

Non sempre Ielardi fotografa elementi che riportano alla mente la grandiosità di Roma e così, accanto alla foto dei frammenti decorativi collocati in un muro di laterizio presso il Casal Rotondo, (foto grandi n. 1), ecco quella di un cancello in abbandono di una tenuta a Castel Gandolfo (foto grandi n. 2).

Tra gli scorci più sorprendenti: i resti del Capitolium a Terracina davanti alle case del centro (foto grandi n. 5) e i palazzi a sei piani di Santa Maria Capua Vetere dietro le arcate dell’anfiteatro romano, secondo per grandezza solo al Colosseo (foto grandi n. 6).

Tra gli scatti più impattanti quelli realizzati a Benevento dell’area archeologica del Sacramento stretta tra i palazzi (foto grandi n. 9); di una statua romana nel centro storico inglobata nel muro di una casa (foto grandi n. 10); dell’arco di Traiano ricco di rilievi scultorei che ha come sfondo una palazzina della città (foto medie n. 20).

Al centro delle sue fotografie anche l’area archeologica della Trinità a Venosa e quella della Valle del Reale, fino alle campagne di Genzano di Lucania (foto medie n. 23-28); i casali in abbandono eretti dopo la riforma fondiaria degli anni Cinquanta nelle campagne verso Maschito (Potenza, foto grandi n. 12); il tratto di Appia nella Murgia Catena, nelle aride splendide campagne di Altamura (foto medie n. 30) e il “faccia a faccia” tra la diga sulla gravina Gennarini e un ponte d’età forse romana, in vista di Taranto (foto medie n. 32).

Mentre è in dirittura d’arrivo a Brindisi, Ielardi realizza lo splendido scatto alle possenti mura della città messapica di Muro Tenente (foto medie n. 36), nelle campagne tra Mesagne e Latiano e la gigantografia del Centro commerciale all’ingresso di Brindisi che chiude anche il percorso di mostra.

“Le fotografie di Giulio sono fotografie on the road, apparentemente semplici, lontane dallo stile sensazionalistico della fotografia di reportage e di quella di viaggio inteso come consumo di luoghi e di punti di vista” – scrive nel suo testo in catalogo Francesco Zizola fotografo italiano, vincitore del World Press Photo of the Year 1996, laureato in antropologia – “[…] Ogni immagine ci viene offerta come traccia poetica da seguire per rintracciare si le vestigia di ciò che siamo stati attraverso i luoghi che si sono completamente trasformati, ma anche come riflessione per interrogare la nostra identità presente.”

IL CATALOGO

A corredo dell’esposizione è la pubblicazione del catalogo di Gangemi Editore, che contiene diversi autorevoli contributi multidisciplinari su archeologia e paesaggio, una corposa sezione fotografica e una sezione dedicata all’attrattività e all’engagement del cammino dell’Appia visto attraverso i social.

IL VIAGGIO SUI SOCIAL DI GIULIO IELARDI E LA COSTRUZIONE DI UNA COMMUNITY INTORNO AL PROGETTO

Per promuovere il progetto e suscitare curiosità da parte del pubblico, prima della partenza Giulio Ielardi apre il profilo Instagram @apiedilungolappia e la pagina Facebook L’Appia a piedi, da Roma a Brindisi e, col passare del tempo, provoca l’interesse da parte di sempre più follower.

In mostra – e nel catalogo – il Diario di viaggio racconta i 29 giorni di cammino attraverso i post e le fotografie scattate appositamente per i social.

La community che si è creata comprende un vasto pubblico di camminatori, escursionisti, appassionati difensori delle radici storico-archeologiche, paladini del patrimonio culturale, storici dell’arte, archeologi, propugnatori del diritto a una mobilità sostenibile, difensori dell’ambiente e del paesaggio, artisti,

appassionati di antichità romane, cittadini della Capitale e abitanti delle comunità lungo il tracciato del cammino.

Grazie ai tanti commenti e alle interazioni volte a richiamare da una parte l’attenzione a luoghi lungo l’Appia da valorizzare, dall’altra a raccontare di quelle associazioni impegnate nella promozione dell’antico tracciato, la community fornisce un ulteriore strumento di conoscenza fondamentale per intervenire nella valorizzazione dell’intero tratto della Regina Viarum.


WORKSHOP FOTOGRAFICI E LABORATORI DIDATTICI
Con lo scopo di avvicinare il pubblico al mondo della fotografia, durante il periodo di mostra il Parco Archeologico dell’Appia Antica organizza workshop fotografici affidati ad Andrea Frazzetta (fotografo del progetto “The Appian Way” per National Geographic Usa), Claudia Primangeli (docente di fotografia) e allo stesso Giulio Ielardi, autore delle foto in mostra.
Per partecipare ai workshop è necessaria l’Appia Card.
Per i più piccoli (5-11 anni) sono previsti laboratori didattici gratuiti dedicati al tema del cammino. Per i genitori sarà possibile contestualmente partecipare a visite accompagnate alla mostra.

UFFICIO STAMPA MOSTRA
Adele Della Sala > adele.dellasala@gmail.com | M. +39 366 4435942
Anastasia Marsella > anastasia_marsella@hotmail.it | M. +39 380 3079809

UFFICIO COMUNICAZIONE E PROMOZIONE PARCO ARCHEOLOGICO DELL’APPIA ANTICA
Lorenza Campanella > pa-appia.comunicazione@beniculturali.it | M. +39 333 6157024

SCHEDA TECNICA

titolo mostra:
Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento
date:
9 aprile – 9 ottobre 2022
luogo:
Roma, Parco Archeologico dell’Appia Antica
Complesso di Capo di Bove, Via Appia Antica 222

informazioni:
T. +39 06 7806 686
www.parcoarcheologicoappiaantica.it

orari:
Dal martedì alla domenica – ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura.
Dal 9 aprile al 30 settembre dalle 9.00 alle 19.15
Dal 1° ottobre al 9 ottobre dalle 9.00 alle 18.30

biglietti:
ingresso con La Mia Appia Card: 10€ (+2€ prevendita).
Biglietto combinato con tutti i siti del Parco Archeologico dell’Appia Antica, nominativo e valido 1 anno solare dalla data di acquisto (ingressi illimitati). Permette la partecipazione a tutti gli eventi organizzati nei luoghi del Parco Archeologico e l’accesso ai seguenti siti (comprese le esposizioni in corso): Mausoleo di Cecilia Metella, Villa dei Quintili-Santa Maria Nova, Antiquarium di Lucrezia Romana, Complesso di Capo di Bove, Tombe della via Latina (aperture straordinarie).
Ridotto: 2€ (+2€ prevendita). Ingresso giornaliero agevolato riservato ai giovani tra i 18 e 25 anni. Gratuito (+2€ prevendita): per i minori di 18 anni, i membri ICOM e tutte le altre agevolazioni previste dalla normativa (https://www.beniculturali.it/agevolazioni).
Gratuito senza prevendita per i portatori di handicap, il loro accompagnatore, le guide turistiche abilitate.
La Mia Appia Card e gli altri biglietti possono essere acquistati online alle biglietterie attive il sabato e la domenica presso il Mausoleo di Cecilia Metella e la Villa dei Quintili senza il costo della prevendita.

disposizioni covid-19:
dal 1° aprile per l’accesso ai siti del Parco Archeologico dell’Appia Antica non è più richiesto il possesso del green pass rafforzato, né di quello base. Resta l’obbligo di utilizzo di mascherine chirurgiche.