Venezia, Museo Fortuny: Joan Fontcuberta. Cultura di polvere

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere – Trauma #3227, light box 100×150 cm, stampa INK JET su pellicola Backlight montata su plexiglass 3mm in scatola di legno nero (profilo 3 x 7 cm), 2022 –  © ICCD Roma

Venezia, Museo Fortuny
24 gennaio – 10 marzo 2024

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell’artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione.

Una mostra che, riproposta a Venezia, a Palazzo Fortuny, rievoca non solo la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” ma, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta.  

Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare Venezia ’79. La Fotografia, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra Fotografia europea contemporanea ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli.

L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria.

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere è nato nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio – evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière – ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea.

Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati – in questo caso un frammento della lastra – Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.

Come spiega l’autore: Questo lavoro analizza l’agonia materiale della fotografia. La fotografia è un dispositivo di memoria legato alla materia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria.

La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia.

Il progetto è vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo.

Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955) è tra le figure più autorevoli nel panorama della fotografia contemporanea. Artista, docente, saggista, curatore e scrittore, ha dato avvio alla sua multidisciplinare carriera negli anni ’70 affiancando alla ricerca artistica i diversi impegni in ambito didattico, teorico e curatoriale.

Da sempre pone al centro della propria indagine la presunta veridicità della fotografia, l’ambiguità tra vero e falso, il tema dell’autorialità e dell’autorevolezza, il potere affabulatorio delle immagini e la loro proliferazione, con un approccio critico e sperimentale e con un’attenzione particolare al tema dell’archivio. L’archivio fotografico come massimo esempio di concentrazione e accumulazione di immagini, ma anche come deposito di materiale, carta, negativi, lastre, album, possibile di nuove riletture (e manipolazioni).

Numerosi i volumi pubblicati, fra cui: Il bacio di Giuda. Fotografia e verità (1997); La (foto)camera di Pandora. La fotografi@ dopo la fotografia (2010); La furia delle immagini. Note sulla postfotografia (2016); Contro Barthes. Saggio visivo sull’indice (2023).

Ha realizzato mostre personali al MoMA di New York, all’Art Institute di Chicago, alla MEP di Parigi, allo IVAM di Valencia, al London Science Museum, al Museum Angewandte Kunst di Francoforte per citarne alcuni. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York, del MoMA di San Francisco, del Museum of Fine Arts di Houston, della National Gallery of Art di Ottawa, del Folkwang Museum di Essen, del Centre Pompidou di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam. 

In Italia ha realizzato il progetto di arte pubblica Curiosa Meravigliosa per il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia (2022). Promotore e fondatore di numerose iniziative fotografiche, nel 1979 ha curato la Conferenza Catalana di Fotografia e nel 1982 ha co-fondato la Primavera fotografica di Barcellona. Nel 1996 è stato direttore artistico del festival Les Rencontres de la Photographie d’Arles e nel 2015 curatore del Mois de la Photo a Montreal. 

Molti i riconoscimenti tra cui: Medaglia David Octavious Hill dalla Fotografisches Akademie GDL in Germania, 1988; Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres in Francia, 1994; premio UK Year of Photography and Electronic Image Grant Award dall’Arts Council of Great Britain, 1997; Premio Nazionale della Cultura della Generalitat de Catalunya nel 2011, Premio Hasselblad nel 2013; Dottorato Honoris Causa alla Sorbonne Université nel 2022.

Da oltre 30 anni attiva nel mondo della promozione culturale, soprattutto in ambito fotografico, è oggi coordinatrice dell’Area Fotografia e curatrice dei progetti di fotografia contemporanea dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la documentazione a Roma. È stata responsabile per la fotografia al MAXXI, avviando la costituzione delle collezioni e curando la programmazione del museo sulla fotografia. Dal 1989 ha curato e/o organizzato mostre presso istituzioni come il MAXXI, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Biennale di Venezia, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro a Venezia, il Festival di Spoleto, il CIVA di Bruxelles, l’Istituto italiano di Cultura di Parigi, l’Accademia di Francia a Roma-Villa Medici, l’Istituto Moreira Salles di Sao Paulo e Rio de Janeiro, il Centro Culturale Recoleta di Buenos Aires, il Centro RossPhoto a San Pietroburgo, il MMAM di Mosca, l’IIC di Los Angeles. Ha curato numerose pubblicazioni e ha fatto parte di giurie e comitati tra cui Photo London; Prix Carmignac a Parigi; Prix Pictet, London; Visible White Photo Prize; Premio Fondazione Fotografia, Modena; Premio Internazionale Gabriele Basilico, Milano. È invitata come lettrice di portfolio in festival come Les Rencontres de la Photographie d’Arles o il SiFEST a Savignano. Insegna a Fondazione Modena Arti Visive ed è membro del Consiglio Direttivo della SISF_Società Italiana per lo Studio della Fotografia.


INFORMAZIONI MOSTRA
 
Titolo: Joan Fontcuberta. Cultura di polvere
A cura di Francesca Fabiani
Date: 24 gennaio – 10 marzo 2024
Anteprima stampa: martedì 23 gennaio 2024, ore 10.00-14.00
Opening su invito: 23 gennaio 2024 dalle 15.00 alle 22.00 (ultimo ingresso ore 21.00)
Sede espositiva: Museo Fortuny, S. Marco 3958, Venezia
Orari: 10.00 – 18.00 (chiuso martedì)
 
UFFICIO STAMPA
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
ICCD_Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – ICCD
Roberta Cristallo
ic-cd.ufficiostampa@cultura.gov.it
 
Con il supporto di
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Referente Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Carpi, Musei di Palazzo dei Pio: Il rumore della memoria. Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato

CARPI (MO)
27 GENNAIO – 1° MAGGIO 2024

MUSEO MONUMENTO AL DEPORTATO POLITICO E RAZZIALE

INAUGURA LA STAGIONE ESPOSITIVA 2024
DEI MUSEI DI PALAZZO DEI PIO

A cura di Ada Patrizia Fiorillo e Lorenza Roversi

Sabato 27 gennaio 2024, proprio nel Giorno della Memoria che commemora le vittime dell’Olocausto, al Museo Monumento al deportato politico e razziale, al primo piano di Palazzo dei Pio, a Carpi (MO) s’inaugura una mostra che presenta una serie di autori, da Picasso a Carrà, da Manzù a Vedova, da Guttuso a Cagli che, con i loro lavori hanno scelto di risvegliare le coscienze umane di fronte alla sconsiderata follia dei campi di sterminio.

Si tratta di una iniziativa che vuole portare ancora una volta all’attenzione collettiva la tragica storia della segregazione razziale in Italia, di cui Carpi è stata testimone. A pochi chilometri dal centro cittadino infatti, in località Fossoli, sorgeva il campo di concentramento per ebrei, voluto dalla Repubblica Sociale Italiana, successivamente trasformato in campo poliziesco e di transito, utilizzato dalle SS come anticamera dei lager nazisti.

L’esposizione, dal titolo Il rumore della memoria. Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato, curata da Ada Patrizia Fiorillo e Lorenza Roversi, allestita fino al 1° maggio 2024, si apre con i bozzetti originali di artisti quali Renato Guttuso e Corrado Cagli che, attraverso segni e graffiti sulle pareti, hanno prestato la propria opera nella costituzione del Museo del Deportato, concepito negli anni Sessanta su progetto dello studio di architetti milanesi BBPR su iniziativa dell’Amministrazione comunale.

A questi si aggiungono le opere di Pablo Picasso e di altri pittori e scultori quali Mirko Basaldella, Giacomo Manzù, Emilio Vedova che, durante il secondo conflitto mondiale o negli anni successivi alla sua fine, hanno sentito forte il richiamo dell’‘esserci’ come scelta civile, convinti che l’arte quale espressione di un linguaggio universale potesse e dovesse intervenire a sollecitare i “sensi capaci dell’uomo”.

Una seconda sezione della mostra sarà dedicata ai disegni di Aldo Carpi, di proprietà dei Musei di Carpi, realizzati in gran parte durante la sua prigionia a Mauthausen e Gusen.

In questo importantissimo corpus grafico di 150 pezzi, Aldo Carpi descrive una lenta e implacabile discesa nell’inferno, dal quale riesce a sopravvivere grazie al suo talento artistico, presto riconosciuto dalle alte gerarchie naziste. Dipinge molti quadri per i tedeschi, principalmente paesaggi e ritratti, a cui alterna le immagini di un quotidiano devastante, documentando la vita del lager per lo più a matita su fogli di spartito o su quelli recuperati nell’infermeria: i compagni, l’indicibile sofferenza del muselmann, il prigioniero già in fase di pre-agonia, qualche esterno e anche ‘lampi’ di normalità e speranza.


IL RUMORE DELLA MEMORIA.
Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato
Carpi (MO), Museo Monumento al Deportato politico e razziale – Palazzo dei Pio
27 gennaio – 1°maggio 2024
 
MUSEI DI PALAZZO DEI PIO
Carpi (MO), piazza dei Martiri, 68
Info: tel. 059/649955 – 360
Palazzodeipio.it/imusei
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it
Marta Pedroli | marta.pedroli@clp1968.it
T. 02.36755700 | www.clp1968.it

Trieste, Museo Revoltella: Aperte le prenotazioni per la mostra “VAN GOGH”

22 febbraio – 30 giugno 2024
Trieste, Museo Revoltella

Dal 22 febbraio 2024 la “mostra dei record” (600.000 visitatori a Roma) arriverà a Trieste, al Museo Revoltella.
La mostra sarà addirittura arricchita da due ospiti di eccezione, esposti per la prima volta insieme:
Monsieur e Madame Ginoux (meglio nota come l’Arlesiana), opere iconiche che si ricongiungeranno a Trieste dopo 134 anni.

Dal 22 febbraio 2024 il Comune di Trieste e Arthemisia presenteranno una straordinaria mostra dedicata all’artista più amato di ogni tempo, Vincent van Gogh.
Quella che viene presentata a Trieste è la cosiddetta “mostra dei record”, visitata in pochi mesi da 600.000 visitatori a Roma.

Mostra che sarà addirittura arricchita da una presenza speciale: i due ritratti di Monsieur e Madame Ginoux (i proprietari del caffè di Arles frequentato da Van Gogh), realizzati nel 1890 e conservati rispettivamente l’uno presso il Kröller-Müller Museum di Otterlo – prestatore di quasi tutte le opere presenti in mostra – e l’altra alla Galleria Nazionale di Roma.
In occasione della mostra triestina i due coniugi, amici e ritratti da Van Gogh, si rincontreranno e potranno stare nuovamente vicini.

Vincent van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) ebbe una vita difficile, trascorsa sul filo della pazzia, inquieta ed errabonda, fino al tragico finale che lo portò al suicidio ad appena 37 anni.
Come molti grandi artisti, la sua opera non fu compresa in vita ma oggi è l’artista più conosciuto al mondo, icona della storia dell’arte, amatissimo dal grande pubblico.

Nella mostra a Trieste – curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti e realizzata con la collaborazione del Museo Kröller-Müller di Otterlo – saranno esposti oltre 50 capolavori di Van Gogh, arricchiti da ampi apparati didattici, video, sale emozionanti e scenografiche e molto altro.

Prevendite disponibili al link:


Informazioni e prenotazioni
T. +39 040 982781
didattica@arthemisia.it

Sito
www.arthemisia.it
www.discover-trieste.it
www.museorevoltella.it

Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Pubblicato il 19 Dicembre 2023 0:03

Mamiano di Traversetolo (Parma): Alla Magnani-Rocca tutto Bruno Munari

Fondazione Magnani-Rocca
Mamiano di Traversetolo – Parma

16 marzo – 30 giugno 2024

Alla Fondazione Magnani-Rocca la più grande mostra italiana su una delle più iconiche figure del design e della comunicazione visiva del XX secolo – BRUNO MUNARI – realizzata dopo le memorabili esposizioni della Rotonda della Besana (2007) a Milano, e dell’Ara Pacis (2008) a Roma.
Nella celebre Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo presso Parma, a pochi passi dalle sale che ospitano opere capitali di Tiziano, Dürer, Van Dyck, Goya, Canova, Renoir, Monet, Cézanne, de Chirico, Morandi, Burri e molti altri, dal 16 marzo al 30 giugno 2024 viene così celebrato uno dei più grandi geni creativi del Novecento, l’ ‘inventore’ Bruno Munari (Milano 1907-1998), definito da Pierre Restany il Leonardo e il Peter Pan del design italiano.

Nella mostra sono concentrati settant’anni di idee e di lavori – Munari aveva iniziato la propria attività durante il cosiddetto Secondo Futurismo, attorno al 1927 – in tutti campi della creatività, dall’arte al design, dalla grafica alla pedagogia: proprio per la difficoltà di dirimere chiaramente i territori linguistici da lui affrontati nel corso del tempo, la rassegna non sarà suddivisa per tipologie o per cronologia, ma per attitudini e concetti, in modo da poter mostrare i collegamenti e le relazioni progettuali tra oggetti anche apparentemente molto diversi l’uno dall’altro.

Grafica, oggetti, opere d’arte, TUTTO risponde a un metodo progettuale che si va precisando con gli anni, con i grandi corsi nelle università americane e con il progetto più ambizioso, che è quello dei laboratori per stimolare la creatività infantile, che dal 1977 sono tuttora all’avanguardia nella didattica dell’età prescolare e della prima età scolare.

Il lavoro di Munari negli ultimi anni è stato oggetto di una rinnovata attenzione, finalmente anche in campo internazionale, dopo i riconoscimenti ottenuti in vita, soprattutto in Paesi quali il Giappone, gli Stati Uniti, la Francia, la Svizzera e la Germania, oltre naturalmente all’Italia.

“Munari – spiega Marco Meneguzzo insigne studioso munariano e curatore della mostra – è una figura molto attuale nella società liquida odierna, nella quale non ci sono limiti fra territori espressivi. È un esempio di flessibilità, di capacità di adattamento dell’uomo all’ambiente. Il suo metodo consiste nello scoprire il limite delle cose che ci circondano e di volerlo ogni volta superare”.

Un ricco catalogo con un saggio del curatore Meneguzzo (insieme a Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca), con inediti contributi critici centrati su singoli “casi-studio” dei più importanti studiosi di Munari, oltre alla pubblicazione di tutte le circa 250 opere esposte, verrà edito da Dario Cimorelli Editore.


BRUNO MUNARI. TUTTO
Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).

Dal 16 marzo al 30 giugno 2024. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperto anche 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno. Lunedì chiuso, aperto Lunedì di Pasqua.

Ingresso: € 14 valido anche per le Raccolte permanenti e il Parco romantico – € 12 per gruppi di almeno quindici persone – € 5 per le scuole e sotto i quattordici anni. Il biglietto comprende anche la visita libera agli Armadi segreti della Villa. Per meno di quindici persone non occorre prenotare, i biglietti si acquistano all’arrivo alla Fondazione.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148   info@magnanirocca.it   www.magnanirocca.it   

Il sabato ore 16.30 e la domenica e festivi ore 11.30, 16, 17, visita alla mostra ‘Munari’ con guida specializzata; è possibile prenotare a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 19 (ingresso e guida).

Ufficio Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Tel. 049663499
Referente Simone Raddi: simone@studioesseci.net

Rovigo: A Palazzo Roverella “Henri de TOULOUSE-LAUTREC”

Henri de Toulouse-Lautrec: Troupe de Mlle Eglantine, 1896, lithographie au pinceau, au crachis et au crayon, en trois couleurs / Farblithographie, cm 62,3 x 80,3

Rovigo, Palazzo Roverella
23 febbraio – 30 giugno 2024

Mostra promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, a cura di Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard, con la collaborazione di Nicholas Zmelty (Manifesti e Incisioni).

Sarà Henri de Toulouse-Lautrec il protagonista dell’appuntamento annuale della primavera di Palazzo Roverella con l’ arte internazionale.
La grande mostra del 2024 è riservata all’artista francese tra i più rappresentativi della Parigi di fine secolo e si potrà ammirare al Roverella dal 23 febbraio al 30 giugno 2024.  A promuoverla è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo. La mostra, prodotta da Dario Cimorelli Editore, è a cura di Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard (direttrice del Museo Toulouse-Lautrec di Albi), con la collaborazione di Nicholas Zmelty (sezione Manifesti e Incisioni).

Henri de Toulouse-Lautrec, Divan japonais, 1893, litografia. Svizzera, Collezione Michel & Sonja Langenstein Foto © David Bordes

Superando l’approccio che tanto spesso riduce Toulouse-Lautrec a un universo privo di sfaccettature e talvolta persino relegandolo alla sola attività di creatore di manifesti, questa mostra si sofferma sulla sua attività di pittore, con dipinti e pastelli provenienti da importanti musei americani ed europei oltre che francesi, in rapporto all’ambiente parigino in cui operava mettendo l’artista a confronto con realisti, impressionisti, simbolisti con cui condivideva esperienze e momenti di vita quotidiana.

L’esposizione non trascura ovviamente l’attività di Toulouse-Lautrec nel campo del manifesto. Oltre alle celebri Affiches, vengono esposti  dipinti e disegni preparatori dell’artista, affiancandoli in un rapporto dialettico ai lavori dei numerosi artisti attivi contemporaneamente negli stessi ambienti, che spesso affrontano le medesime tematiche. Questa attenta ricostruzione dell’intera attività di Toulouse-Lautrec, attraverso le sue opere (60 opere dell’artista su più di 200 opere complessive esposte) intende evocare in maniera più vasta e organica la vivacità della scena artistica parigina, superando il riduttivo concetto di Belle Époque.

L’esposizione è arricchita da numerosi focus per meglio descrivere l’ambiente artistico parigino in cui operava l’artista: “Parigi 1885-1900”; “Le Chat Noir”; “Toulouse-Lautrec e gli amici artisti”; “Il rinnovamento della grafica” e soprattutto una sezione inedita agli studi dedicata al movimento artistico francese “Les Arts Incohérents” (a cura di Johan Naldi), anticipatore di molte delle tecniche adottate dalle avanguardie del Novecento come il Dadaismo. Tutte le opere del gruppo date per disperse da oltre un secolo sono state ritrovate nel 2018 ed alcune di queste recano, al verso, l’etichetta di una delle loro esposizioni corredata dal catalogo pubblicato dalle edizioni del celebre locale Chat Noir. La mostra di Rovigo è la prima occasione per poterle nuovamente ammirare.

Oltre ai saggi dei curatori il catalogo è arricchito dagli studi di Nicholas Zmelty sulla Grafica, di Johan Naldi su Les Arts Incohérents, di Mario Finazzi sugli artisti spagnoli a Parigi tra Ottocento e Novecento e di Bertrand du Vignaud – pronipote di Toulouse-Lautrec – sul rapporto tra Marcel Proust e l’artista.


Info:
 
Palazzo Roverella www.palazzoroverella.com
 
Fondazione Cariparo www.fondazionecariparo.it/eventi-culturali
Relazioni con i media:
dott.ssa Alessandra Veronese
Ufficio Comunicazione:
dott. Roberto Fioretto
comunicazione@fondazionecariparo.it
 
Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049 663499; www.studioesseci.net
referente Simone Raddi simone@studioesseci.net

Venezia, Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro: IL RITRATTO VENEZIANO DELL’OTTOCENTO

Ludovico Lipparini: Il maresciallo Marmont, olio su tela, 105x91cm.
Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna

La ripresa della mostra Il ritratto veneziano dell’Ottocento a cento anni dalla sua  concezione e realizzazione rappresenta oggi un traguardo importante, e dovuto, di  un’istituzione museale come Ca’ Pesaro. 
Le ragioni di questa mostra sono molte: in prima istanza la rassegna rappresenta una formidabile occasione di esporre e rivedere le nostre collezioni di Ottocento e di mettere a confronto autori con opere disseminate in musei e raccolte private del territorio. L’esposizione inoltre consente di individuare, nel frastagliato percorso dell’arte del XIX secolo, le punte e le novità di numerosi artisti riattribuendo, laddove necessario, la paternità di alcune produzioni. Emergono così figure nitide e ben definite che, all’interno del percorso in mostra, organizzato per macroaree cronologiche e stilistiche, costituiscono talvolta degli approfondimenti monografici di sicuro impatto per la critica d’arte e per i visitatori. Alcuni autori si conosceranno molto meglio, ci auguriamo, dopo questa rinnovata rassegna a distanza di un secolo; altri si apprezzeranno per la prima volta, poiché caduti nell’oblio o limitati a studi specialistici e locali; altri ancora godranno di nuova linfa dal confronto e dal dialogo con i colleghi, cui li accomuna il destino di essere stati esposti insieme già nel 1923, sempre al secondo piano di Ca’ Pesaro. Il luogo conserva la memoria della mostra di cent’anni fa, così come le collezioni ne conservano testimonianza. 

IL RITRATTO VENEZIANO DELL’OTTOCENTO

Venezia, Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna

21 ottobre 2023 – 1 aprile 2024

A cura di Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo

Con il Patrocinio della Regione Veneto
In collaborazione con Gallerie dell’Accademia

L’area interessata dalla mostra è quella del Triveneto, del Friuli e del Trentino, secondo una geografia artistica che ha visto da sempre gli artisti scambiarsi idee e ricerche, convergendo sovente su Venezia quale luogo pivotale dell’intero territorio, esteso ben oltre i confini regionali. L’operazione di oggi è anche un momento di ripensamento delle collezioni ottocentesche conservate nelle numerose istituzioni museali che abbiamo coinvolto per i prestiti e per la ricerca delle informazioni. Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Pordenone, Trieste, Trento, Rovereto, Treviso, Belluno, sono tutti luoghi di provenienza, e spesso di destino, degli autori esposti a Ca’ Pesaro nell’autunno del 1923, a delineare un’area culturale che vide Venezia come luogo prediletto di incontro, anche durante un secolo così frammentato come il XIX. Ufficializzata il 25 luglio per aprire ai primi di settembre, e quindi organizzata in un mese soltanto, l’esposizione inaugurò l’8 settembre alle 10.30 nel salone del primo piano di Ca’ Pesaro, per durare due mesi, fino a fine ottobre. Non fu esaustiva del discorso intorno all’Ottocento veneziano non solo per i tempi strettissimi che portarono a scelte dolorose o lacune inevitabili, ma anche perché il taglio sul ritratto e il fatto che fosse la prima operazione pubblica di questo tipo la caratterizzò come importante punto di partenza, non certo di arrivo. 

A livello museografico, l’iniziativa del 1923 inaugurò una fase nuova per la Galleria e un innovativo modello di mostre. Con Gino Fogolari, Giulio Lorenzetti e Giuseppe Fiocco, Barbantini, in pochissimi mesi, aveva raccolto a Ca’ Pesaro 241 opere di 50 artisti, esposte al secondo piano del Museo. Non solo l’attività espositiva storica si affiancava alla collezione permanente di Ca’ Pesaro, ma diventava

anche strumento privilegiato per la ricerca critica. La mostra sull’Ottocento divenne così emblematica di una nuova interpretazione delle esposizioni temporanee, concepite intorno a un tema o a un autore, realizzate attraverso prestiti da altri musei e da privati, e tese a mostrare, studiare, infine portare alla luce periodi della storia dell’arte non sufficientemente conosciuti o indagati. 

Si trattò inoltre di uno spostamento di paradigma nell’interpretazione stessa di Ca’ Pesaro, che da «palazzo delle arti», secondo l’accezione dinamica che lo contraddistinse nella prima parte dell’attività di Barbantini e fino alla Prima guerra mondiale, divenne istituzione museale nel senso che conosciamo oggi. La stessa collezione ne uscì mutata, con l’arrivo di importanti donazioni e acquisizioni di arte del XIX secolo che costituirono un nucleo molto significativo e che completarono la trasformazione del palazzo da Galleria a Museo. 

A ulteriore testimonianza del successo e della lungimiranza dell’operazione ideata da Barbantini fu anche la risposta del pubblico, con 8000 visitatori paganti durante i due mesi di apertura della mostra. Grande attenzione fu rivolta dal direttore al pubblico, sia nella promozione che nella didattica. Questo coinvolse anche l’allestimento della mostra, che presentava sale riccamente caratterizzate, con oggetti decorativi e mobilio, a descrivere l’ambiente di una casa borghese o nobiliare. 

Nella mostra di oggi non abbiamo riproposto l’allestimento creato nel 1923, tuttavia abbiamo cercato di riproporre una cronologia e una periodizzazione che rendesse giustizia della mostra originale, pur ricalibrata dopo un secolo di studi sull’arte dell’Ottocento. Ciononostante ci auguriamo che la rassegna odierna risuoni del genio di chi per primo prese in mano Ca’ Pesaro, ne configurò vocazioni e limiti, ne espresse le potenzialità anche attraverso numerose e importanti rassegne monografiche, che ebbero luogo qui o che qui furono concepite. La linea aperta da Barbantini nel 1923 non fu più interrotta e si articolò in rassegne importantissime, come quella sulla pittura  ferrarese del Rinascimento, sulla porcellana a Ca’ Rezzonico, sulla pittura italiana  dell’Ottocento alla Biennale o le monografiche su Tiziano e Tintoretto a Ca’ Pesaro. Ma si era arrivati al 1937 e, come gli storici sanno bene, gli anni Trenta furono «tutta un’altra  storia». A Barbantini era ormai vietato di scrivere di arte contemporanea, dopo che si  era già dimesso dal ruolo di segretario della Bevilacqua La Masa nel 1928; escluso dalla  Biennale, lasciò Ca’ Pesaro, pur continuando la sua attività critica e di ricerca. La sua lezione, le sue anticipazioni e i suoi errori, i suoi sforzi e le sue ingenuità, non sono perduti e riecheggiano oggi nelle luminose sale del secondo piano del Museo. Le opere e gli autori, così come i protagonisti ritratti, non smetteranno di incuriosire ed  entusiasmare, ci auguriamo, le giovani generazioni, i padri e i figli della nostra storia,  anche a distanza di un secolo.


Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
Santa Croce 2076
30135 Venezia
Tel. +39 041 721127
capesaro.visitmuve.it
 
Contatti per la stampa
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Tel. 049663499
Ref. Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Moda e modernità tra ‘800 e ‘900 sfilano ad aprile al Bailo di Treviso

Giulio Ettore Erler, Ritratto della signorina Rita Tibolla, La signorina col cane, collezione privata

Mostra a cura di Fabrizio Malachin

Treviso, Museo Luigi Bailo
13 aprile – 28 luglio 2024

Il Bel Mondo all’affermarsi della modernità.
Protagoniste le donne alla moda.

M  come modernità, moda, malia. Sul palcoscenico del bel mondo tra Otto e Novecento le donne divengono le protagoniste e, ad immortalare questo loro magico momento, vengono chiamati quegli artisti che sanno trasporre sulla tela il profumo, lo charme, l’erotismo di un’epoca davvero unica.
Nella sontuosa mostra “Moda e modernità tra ‘800 e ‘900”, promossa dal Comune di Treviso, diretta da Fabrizio Malachin e allestita dal 13 aprile al 28 luglio al Museo Bailo, si danno convegno celebrità, da Eleonora Duse a Wally Toscanini a Lydia Borelli a Toti Dal Monte, accanto a eleganti esponenti della borghesia e della nobiltà trevigiana, veneta e nazionale.

A rendere loro omaggio, artisti spesso specializzati nel grande ritratto femminile, all’epoca celebri, ammirati, contesi. Oggi – non tutti – finiti nel limbo della storia dell’arte. Il sottotitolo della mostra ne cita due: Giulio Ettore Erler e Lino Selvatico, “il Boldini veneto”, quest’ultimo. Anche il ferrarese Giovanni Boldini è, naturalmente tra i protagonisti della mostra con una sala ad hoc – vero punto di riferimento e per questo incluso nel sottotitolo – insieme  a Cesare Laurenti, Ettore Tito, Cesare Tallone, Vittorio Corcos, Giacomo Grosso, poi la compagine dei grandi veneti del momento: Giacomo Favretto, Pietro Pajetta, Eleuterio Pagliaro. Insieme ad Alberto e Artuto Martini. Ma anche maestri stranieri impegnati in Italia: l’inglese John Lovery, il tedesco Franz S. von Lenboch, con altri.

Un profluvio di grandi dipinti, spesso capolavori assoluti, concessi alla mostra da più di 50 musei e collezioni pubbliche e private, insieme a disegni, affiches (concessi dal trevigiano Museo Nazionale della Collezione Salce), incisioni, sculture, oltre ad abiti, ventagli, cappellini. Il tutto riunito al Bailo per riscoprire, e rivivere, il fascino di un’epoca, meglio di una componente minoritaria e privilegiata di una società, certo decadente ma anche sensualmente romantica.

Cesare Saccaggi, A Babilonia (o Semiramide), collezione privata

Una sontuosa mostra che farà sognare molti e affascinerà tutti. Che riporta il visitatore in un mondo di intense frequentazioni, di grande mondanità, di Joie de vivre. Ma che non si limita ad essere una passerella di belle donne e di straordinaria pittura.

“Dopo le fortunate retrospettive su Canova e Arturo Martini e Juti Ravenna, con questa mostra intendiamo approfondire l’indagine sui nostri migliori artisti attivi tra ‘800 e ‘900”, le parole del sindaco Mario Conte. “Quello è stato infatti un periodo particolarmente vivace per Treviso sia dal punto di vista economico, con il nascere di imprese e attività economiche di successo, e con esse di una borghesia facoltosa, ma anche artisticamente propulsive. Basti pensare a quel gruppo di giovani che si ritrovava attorno a Gino Rossi e ad Arturo Martini. Per questi ultimi, così come per tutti i veri protagonisti, l’ambiente veneziano rimane il primo punto di riferimento, ma con la tendenza a confrontarsi con gli ambienti più alla moda, Milano, Monaco e Parigi in particolare. Treviso riafferma, ancora una volta, il suo ruolo nell’arte con una grande mostra, promuovendo le proprie bellezze e peculiarità facendo conoscere i suoi migliori interpreti in una continua indagine volta ad arricchire il panorama culturale”.

Aspetto, quest’ultimo che sottolinea anche il direttore dei Civici Musei Trevigiani, Fabrizio Malachin. “La mostra prende le mosse dall’attività di due protagonisti della scena trevigiana e veneta di quell’epoca che l’Istituto desidera far riscoprire al grande pubblico nel 100° e nel 60° della morte: Lino Selvatico (Padova, 20 luglio 1872–Treviso, 25 luglio 1924) e Giulio Ettore Erler (Oderzo, 20 gennaio 1876–Treviso, 9 gennaio 1964). Artisti celebri, in particolare per i grandi ritratti femminili, fino ai nudi sensuali ma mai volgari, che hanno raccontato il nascere di quel ‘piccolo’ mondo borghese veneto. Le loro opere sono una finestra su un’epoca romantica, affascinante, mondana ma anche decadente. Entrambe sono legati a Treviso per le vicende biografiche personali e artistiche”.

Il progetto nasce anche da un fatto straordinario per i Musei Civici di Treviso, ovvero la recente acquisizione del vasto nucleo di opere (dipinti, bozzetti, disegni, incisioni, schizzi e lavori giovanili e preparatori) dell’artista Lino Selvatico di proprietà della famiglia, in forma di comodato gratuito e, in parte, di donazione. Si tratta di oltre 50 dipinti e circa 300 opere grafiche, a cui vanno ad aggiungersi stampe e fotografie usate dall’artista per studio e soprattutto l’archivio privato del pittore, costituito da 25 faldoni di documenti, diari e lettere manoscritti, per lo più inediti, fotografie di famiglia, l’archivio personale e la biblioteca personale di 1200 volumi. Questo nucleo non è attualmente esposto, in questa occasione una scelta delle migliori opera viene quindi presentata per la prima volta”.


MUSEO LUIGI BAILO
Borgo Cavour, 24 Treviso
prenotazioni e visite guidate: prenotazioni@museitreviso.it
T 0422 658951
www.museitreviso.it
www.museicivicitreviso.it
 
Ufficio Stampa della Mostra
Studio ESSECI,
Sergio Campagnolo www.studioesseci.net tel +39 049663499
Rif. Simone Raddi simone@studioesseci.net

Natale e Fine anno 2023 con Guy de Maupassant: oggi “Notte di Capodanno”

Acquaforte di Henri De Toulouse-Lautrec

Suggeriamo d’iniziare questo nuovo anno 2024 con un racconto pieno di umorismo di Maupassant. La versione originale si intitola “La notte di Natale”, ma la situazione descritta si può ripetere anche la notte di fine anno, poiché non è legata ad alcun evento religioso. Anzi, tutt’altro… Il racconto è uscito per la prima volta nel 1882 nella raccolta “Mademoiselle Fifi” con il titolo di “Nuit de Noël” che naturalmente noi abbiamo trasformato in Notte di Capodanno.

Guy de Maupassant (1850–1893) è stato tra gli autori francesi più conosciuti e apprezzati dell’Ottocento. È reputato dall’attuale critica letteraria come l’ideatore del racconto moderno e maestro del romanzo letterario. Aderì alla scuola realista, incentrata sulle vicissitudini umane, i destini e le spinte sociali, con uno sguardo disilluso e spesso pessimistico.

Maupassant fu l’allievo favorito di Flaubert, e le sue storie sono caratterizzate da uno stile scarno e scorrevole. Molti dei soggetti dei suoi racconti fanno riferimento alla guerra franco-prussiana del 1870, dove descrive l’inutilità dei conflitti che colpiscono civili innocenti, coinvolti in eventi estranei al loro controllo, così da trovarsi a mutare improvvisamente la propria esistenza. Maupassant ha scritto circa 300 racconti, sei romanzi, tre racconti di viaggio e un volume di versi. La sua pubblicazione, Boule de Suif (Palla di sego, 1880), è considerata il suo capolavoro. La storia narra di dieci persone in fuga da Rouen, invasa dai prussiani, su una carrozza diretta a Dieppe. Una storia senza tempo, dove emerge la figura morale di Elisabeth Rousset, una prostituta soprannominata “Boule de Suif” a causa del suo sovrappeso, disprezzata inizialmente dai suoi compagni di viaggio.

«Vigilia di Capodanno! Vigilia di Capodanno! Ah! ma no, non mi sveglierò!».
Il grasso Henri Templier lo disse con voce furiosa, come se gli fosse stata proposta un’infamia.
Gli altri, ridendo, gridavano: «Perché sei arrabbiato?»
Lui rispose: «Perché la notte di Capodanno mi ha giocato lo scherzo più sporco del mondo, e ho conservato un disprezzo imbattibile per questa stupida notte d’imbecille allegria.
– Che cosa?
– Che cosa? Volete saperlo? Bene, ascoltate:
Ricordate quanto faceva freddo due anni fa in questo periodo? Un freddo da uccidere i poveri nelle strade. La Senna gelava, i marciapiedi ghiacciavano i piedi attraverso le suole degli stivaletti; il mondo sembrava sull’orlo del collasso.
Avevo molto lavoro in quel periodo e rifiutai ogni invito per Capodanno, preferendo passare la notte davanti a un tavolino. Ho cenato da solo; poi mi sono messo al lavoro. Ma ecco che, verso le dieci, il pensiero dell’allegria che correva per Parigi, il vocio delle strade che mi arrivava malgrado tutto, i preparativi per la cena dei miei vicini, ascoltati dall’altra parte dei tramezzi, mi agitavano. Non sapevo più cosa stessi facendo; stavo scrivendo sciocchezze, e ho capito che dovevo rinunciare alla speranza di produrre qualcosa di buono, quella notte.
Ho camminato un po’ per la mia stanza. Mi sono seduto, mi sono alzato. Stavo subendo, certamente, l’influenza misteriosa della gioia dall’esterno e mi sono rassegnato.
Ho chiamato la mia cameriera e le ho detto: «Angèle, vai a comprarmi qualcosa per una cena a due: ostriche, pernice fredda, gamberi, prosciutto, dolci. Portami due bottiglie di champagne: apparecchia la tavola e vai a letto».
Lei obbedì, un po’ sorpresa. Quando tutto fu pronto, mi misi il cappotto e uscii.
Rimaneva una grande domanda da risolvere: con chi avrei festeggiato il Capodanno? I miei amici erano invitati ovunque. Per averne uno avrei dovuto procurarmelo in anticipo. Quindi ho pensato di fare allo stesso tempo una buona azione. Mi sono detto: Parigi è piena di ragazze povere e belle, che non hanno da mangiare e che vanno in giro alla ricerca di un ragazzo generoso. Voglio essere la Provvidenza delle Feste di una di queste poverette.
Andrò in giro, entrerò nei luoghi di piacere, chiederò, caccerò, sceglierò quella che mi piace.
E mi sono messo a girovagare per la città.
Certo, ho conosciuto tante povere ragazze in cerca di avventura, ma erano tutte brutte da farne scorpacciata, o così magre da congelare in piedi se si fossero fermate.
Ho un debole, lo sapete, mi piacciono le signorine grassottelle. Più sono in carne e più le preferisco. Una donnona mi fa perdere la testa.
All’improvviso, davanti al Théâtre des Variétés, ho visto un profilo che mi piaceva. Una testa, poi, sul davanti, due protuberanze, quelle del petto. Bellissima. Il di sotto sorprendente: la pancia di un’oca grassa. Sono rabbrividito, mormorando: “Dio santo, che bella ragazza!” Mi restava un punto da chiarire: il volto.
Il viso è il dessert; il resto è … è l’arrosto.
Affrettai il passo, raggiunsi questa donna errante e, sotto un lampione a gas, mi voltai all’improvviso. Era affascinante, molto giovane, bruna, con grandi occhi neri.
Ho fatto la mia proposta che lei ha accettato senza esitazione.
Un quarto d’ora dopo eravamo seduti nel mio appartamento.
Entrando disse: «Ah! Stiamo messi bene qui».
E si guardava attorno con la visibile soddisfazione di aver trovato la tavola e il posto giusto in quella notte gelida. Era superba, così carina da stupirmi, e abbastanza grassottella da deliziare il mio cuore per sempre.
Si tolse cappotto e cappello, si sedette e cominciò a mangiare; ma non sembrava di buon umore, e talvolta il suo viso un po’ pallido si contraeva come se soffrisse di un dolore velato.
Le chiesi: «Sei nei guai?».
Lei rispose: «Bah! dimentichiamo tutto».
E ha iniziato a bere. Vuotò il bicchiere di champagne d’un fiato, lo riempì e lo vuotò di nuovo, incessantemente.
Presto un po’ di rossore le salì alle guance e cominciò a ridere.
Già l’adoravo, baciandola a bocca piena, scoprendo che non era né stupida, né comune, né maleducata come le ragazze sul marciapiede. Le domandai dettagli sulla sua vita. Lei rispose: «Piccolo mio, questo non ti riguarda!».
Ahimè! un’ora dopo…
Finalmente arrivò il momento di andare a letto, e mentre io toglievo la tavola apparecchiata davanti al fuoco, lei si spogliò frettolosamente e si infilò sotto le coperte.
I miei vicini facevano un baccano terribile, ridevano e cantavano come matti, e mi sono detto: «Ho fatto bene ad andare a cercare questa bella ragazza; Non avrei mai potuto lavorare».
Un gemito profondo mi fece voltare. Domandai: «Che ti succede, gattina mia?». Non rispose, ma continuò a emettere sospiri dolorosi, come se avesse sofferto terribilmente.
Continuai: «Non ti senti bene?». E all’improvviso gettò un grido, un grido straziante. Mi precipitai, una candela in mano.
Aveva il viso scomposto dal dolore, e si torceva le mani, ansimava, mandando dal fondo della gola quella specie di gemiti sordi che sembrano dei rantolii e che fanno mancare il cuore.
Ho chiesto sconvolto: «Ma che ti succede? dimmi, che ti succede?».
Lei non rispose e si mise a urlare.
All’improvviso i vicini tacquero, ascoltando cosa stava accadendo a casa mia.
Ripetevo: «Dove soffri, dimmi, dove soffri?».
Balbettò: «Oh! La mia pancia! la mia pancia!». All’improvviso ho sollevato la coperta e ho visto…
Stava partorendo, amici miei.
Allora ho perso la testa; Mi sono precipitato sul muro per colpirlo con dei pugni, con tutte le mie forze, gridando: «Aiuto, aiuto!».
La mia porta si aprì; una folla si precipitò a casa mia: uomini in giacca e cravatta, donne scollate, Pierrot, Turchi, Moschettieri. Questa invasione mi spaventò così tanto da non riuscire più nemmeno a spiegarmi.
Loro credevano in un qualche incidente, forse un crimine, e non capivano più.
Alla fine, dissi: «È… è… questa… questa donna che… che sta partorendo».
Allora tutti presero ad esaminarla, fornendo la propria opinione. Un cappuccino in particolare affermava di saperlo fare e di voler aiutare la natura.
Erano grigi come gli asini. Pensavo che l’avrebbero uccisa; e mi precipitai a capo scoperto, giù per le scale, per cercare un vecchio dottore che abitava in una strada vicina.
Quando tornai col dottore, tutto lo stabile era in piedi; era stato riacceso il gas delle scale; gli abitanti di tutti i piani occupavano il mio appartamento; quattro scaricatori seduti stavano finendo il mio champagne e i miei gamberi.
Alla mia vista scoppiò un grido tremendo, e una lattaia mi presentò in un lenzuolino un terribile pezzetto di carne rugosa, increspata, piagnucolosa, miagolante come un gatto; e lei mi disse: «È una bimba».
Il medico visitò la piccola appena data alla luce, dichiarò problematiche le sue condizioni, poiché il parto era avvenuto subito dopo cena, e se ne andò dicendo che a breve mi avrebbe mandato un’infermiera e una bambinaia.
Le due donne arrivarono un’ora dopo, portando un pacchetto di medicine.
Ho passato la notte su di una poltrona, troppo sconvolto per pensare al seguito.
Al mattino il dottore ritornò. Trovò la paziente molto sofferente.
Mi disse: «Sua moglie, signore…».
Lo interruppi: «Non è mia moglie».
Continuò: «La sua amante, mi interessa poco». Ed elencò le cure di cui aveva bisogno, la dieta, i rimedi.
Cosa fare? Mandare questa disgraziata in un ospedale? Sarei passato per uno zotico in tutto il palazzo, in tutto il quartiere.
L’ho tenuta. È rimasta nel mio letto per sei settimane.
La bambina? L’ho mandata presso dei contadini di Poissy. Mi costa ancora cinquanta franchi al mese. Avendo pagato all’inizio, sono costretto a pagare fino alla morte.
E, più tardi, crederà che io sia suo padre.
Ma, come se non bastasse, quando la ragazza fu guarita… lei mi amava… mi amava perdutamente, la mendicante!
– Ebbene?
– Beh, era diventata magra come un gatto randagio; e l’ho buttata fuori casa, questo scheletro, che ora mi aspetta per strada, si nasconde per vedermi passare, mi ferma la sera quando esco, per baciarmi la mano, infine mi dà fastidio fino a farmi impazzire.
Ed è per questo che non mi sveglierò mai più.

26 dicembre 1882