Il 2024 è un anno pieno di ricorrenze. Elenchiamone alcune fra le più importanti

Il 2024 sarà un anno ricco di anniversari, sia storici che culturali. Proviamo a ricordare, seppure sommariamente, gli avvenimenti più importanti dell’anno sui quali torneremo a parlare prossimamente

  • 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, inventore italiano della radio.
  • 90 anni dalla morte di Marie Curie, scienziata polacca naturalizzata francese premio Nobel per la fisica e per la chimica.
  • 120 anni dalla nascita di J. Robert Oppenheimer, fisico americano esperto di fisica nucleare
  • 80 anni dalla fondazione della RAI, l’emittente radiotelevisiva pubblica italiana.
  • 75 anni dalla fondazione della NATO, organizzazione politico-militare dei paesi dell’Europa occidentale e del Nord America.
  • 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, evento che ha segnato la fine della Guerra Fredda.
  • Ricorrono altresì i 700 anni dalla morte di Marco Polo, esploratore veneziano che viaggiò in Asia e scrisse il libro “Il Milione”.
  • 150 anni dalla nascita di Lucy Maud Montgomery, scrittrice canadese autrice del romanzo “Anna dai capelli rossi”.
  • 100 anni dalla morte di Franz Kafka, scrittore ceco autore di opere come “La metamorfosi” e “Il processo”.
  • 100 anni dalla morte di Joseph Conrad, scrittore polacco-britannico autore di opere come “Cuore di tenebra” e “Lord Jim”.
  • 70 anni dalla pubblicazione di “Il Signore degli Anelli”, romanzo fantasy di J.R.R. Tolkien.
  • 50 anni dalla morte di Aldo Palazzeschi, scrittore e poeta autore di opere come “Il codice di Perelà” e “Il Palio di Siena”.
  • 20 anni di Facebook, il social network più popolare al mondo.

Questi sono solo alcuni dei tanti anniversari che ricorreranno nel 2024. Come si può constatare è un anno ricco di eventi da ricordare e celebrare.


Venezia, Ca’ Pesaro, Sale Dom Pérignon: MAURIZIO PELLEGRIN. Me stesso e io

Maurizio Pellegrin, Head 4, 2022,
acrilico su legno, 25×20 cm acrylic on wood, 25×20 cm

Maurizio Pellegrin
l’inesausta ricerca per costruire la propria identità,
nello scollamento tra Sé reale e Sé ideale

Fino al 1 aprile 2024 

a cura di Elisabetta Barisoni 
in collaborazione con Marignana Arte e Galleria Michela Rizzo
con il sostegno di Banca Prealpi

The Others è un film del 2001 con protagonista Nicole Kidman: la trama è semplice quanto geniale e tiene lo spettatore sul filo della suspence e del mistero per 104 minuti. I protagonisti, che per tutta la pellicola si pensa siano disturbati e ossessionati dai fantasmi e dalle creature dell’aldilà, si scoprono alla fine essere loro i morti, i disturbatori del mondo dei vivi, gli altri. Il titolo dell’opera site-specific che Maurizio Pellegrin ha realizzato per Ca’ Pesaro, The Others, è non solo efficace ma anche molto utile per interpretare l’intera rassegna che presentiamo oggi a Venezia. Gli altri sono gli uno- nessuno – centomila dell’impossibile autoritratto che egli cerca di portare a compimento, circondandosi di volti e di vite, perlopiù appartenenti a figure anonime della Storia.

L’esposizione è concepita in occasione e in dialogo con Il Ritratto veneziano dell’Ottocento che abbiamo inaugurato lo scorso 21 ottobre nelle sale del secondo piano del Museo. La rassegna ricostruisce un’esposizione storica, realizzata nel 1923, un secolo fa, dal primo direttore di Ca’ Pesaro, Nino Barbantini. Genere pittorico che, come ricorda lo stesso Pellegrin, attraversa la storia dell’arte occidentale fin dall’età greco- romana e attiene alla formazione del nostro universo archetipico, il ritratto è legato al tema dell’identità ma si pone in relazione anche con la collettività che lo genera. Il ritratto nell’Ottocento parte da premesse molto diverse da quelle che abbiamo noi oggi. Sempre legato al tema dell’identità, si accompagna tuttavia al senso della morte, alla contiguità tra il mondo dei morti e dei vivi ripresi sulla tela. Come per la fotografia, laddove alcuni autori si specializzarono nel genere dello scatto post-mortem, così in pittura sono numerosi i casi di coppie o gruppi familiari che prevedono e comprendono persone già scomparse al tempo in cui l’opera venne realizzata. Per l’Ottocento il ritratto non è la documentazione del qui e ora che invece ha per i nostri tempi, testimonianza di qualcosa che accade davvero, della perenne connessione con il mondo dell’attualità; il ritratto nel XIX secolo è piuttosto una celebrazione, un atto di amore che unisce le dinastie familiari, consacra all’eternità gli appartenenti al nucleo di affetti, che siano questi i figli scomparsi prematuramente o gli avi di cui si desidera mantenere viva la memoria. Pellegrin instaura un dialogo con l’interpretazione ottocentesca del ritratto e non a caso cerca di costruire la propria identità raccogliendo, ed esponendo, non volti di suoi contemporanei ma di persone del XVIII e XIX secolo. Sono dipinti collezionati e accumulati in modo quasi ossessivo e ripetitivo, che lo accompagnano nella sua ricerca del Sé. Non dialogano tra loro ma parlano in modo quasi esclusivo con l’artista e rappresentano ai suoi occhi una moltitudine di solitudini, di storie e vicende che si affiancano o si accavallano sulla parete.

L’inesausta ricerca di Pellegrin per costruire la propria identità, nello scollamento tra Sé reale e Sé ideale, passa anche attraverso le immagini della testa e della testa- memoria dell’artista che è la città di Venezia. Anche i numeri, i simboli e le cifre che accompagnano i suoi autoritratti fanno parte di un alfabeto personale che diventa geroglifico del presente e del futuro, sostanza archeologica delle macerie su cui l’artista ragiona ogni giorno. Alle teste e alle immagini di Venezia si affiancano i lacerti, reperti di un’umanità che ha lasciato sul muro le tracce del proprio passaggio privato, nella serie dei Corsets. Sono opere in cui emerge il tema del ritratto come assenza mentre il cortocircuito tra presente e passato si vivifica attraverso il confronto tra i corsetti e i bustini appesi a muro, biancheria intima di donne del passato, e le delicate e preziose stoffe che abbigliano le splendide immagini femminili nella contigua mostra dell’Ottocento.

Mi auguro che il pubblico, come noi adesso, possa giungere a riflessioni e nuove questioni grazie al dialogo che si instaura tra le due esposizioni, messe a disposizione di una contemporaneità che ha fatto dell’iper-presenza e della ricerca identitaria la propria forza e al contempo la propria dannazione; augurandoci di non capire, arrivati ai titoli di coda, che in realtà eravamo già andati e che in fondo gli altri eravamo noi.


Contatti per la stampa
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con 
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Ref. Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
Santa Croce 2076
30135 Venezia
Tel. +39 041 721127
capesaro.visitmuve.it

Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria: Il Maestro di San Francesco e lo stil novo del Duecento umbro

Maestro di San Francesco, Dossale bifacciale, 1272

PERUGIA | GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA

DAL 9 MARZO AL 9 GIUGNO 2024

Per la prima volta, 60 opere provenienti dai maggiori musei mondiali ricostruiscono la vicenda artistica di uno dei più importanti autori del Duecento.

La mostra si tiene in occasione delle celebrazioni per l’800° anniversario dall’impressione delle stigmate a san Francesco.

A cura di Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi, Veruska Picchiarelli

Dopo la grande mostra dedicata a Pietro Vannucci detto il Perugino a 500 anni dalla sua scomparsa, la Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia ospita, dal 9 marzo al 9 giugno 2024, un’altra prestigiosa iniziativa che farà riscoprire, cosa mai successa finora, la figura del Maestro di San Francesco, uno degli artisti più importanti del Duecento, dopo Giunta Pisano e prima di Cimabue, con cui può paragonarsi direttamente per il livello delle idee e della pittura.

La retrospettiva, curata da Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi e Veruska Picchiarelli, che si tiene in occasione delle celebrazioni per l’800° anniversario dall’impressione delle stigmate a san Francesco, presenta, per la prima volta riuniti, 60 capolavori provenienti dalle più prestigiose istituzioni museali, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington.

Dalla Galleria nazionale dell’Umbria, che conserva il 60% delle opere su tavola del Maestro di San Francesco, il percorso si estende al ciclo con Storie del Cristo e storie di san Francesco eseguito dal pittore nella chiesa inferiore della Basilica di Assisi, anche in virtù dell’accordo di valorizzazione che lega il Sacro Convento al museo perugino.

Il Duecento fu un secolo di grandiosi sommovimenti, sociali, economici e culturali. L’Umbria fu la regione che meglio seppe assorbire e trasformare in energia positiva lo scossone provocato dalla nascita degli ordini mendicanti, di quello francescano in particolare. Non è un caso che proprio l’Umbria e Assisi divennero il nuovo fulcro nel sistema delle arti europee, dove furono create alcune delle opere pittoriche più singolari dell’epoca; in questo panorama, si stagliò la misteriosa figura del Maestro di San Francesco, un autore ancora anonimo, così chiamato dalla tavola con l’effigie del Santo dipinta sulla stessa asse su cui spirò, conservata a Santa Maria degli Angeli ed eccezionalmente esposta nella mostra perugina.

Ed è proprio a lui che i frati minori si rivolsero, dapprima per lavorare alle vetrate della chiesa superiore della Basilica, a fianco di maestri tedeschi e francesi, quindi per decorare l’intera chiesa inferiore. Fra mille fregi diversi, emuli dell’oreficeria e degli smalti, il Maestro aveva incastonato nella navata ad aula unica il primo ciclo delle storie di Francesco, narrate in parallelo con quelle di Cristo, secondo le indicazioni di Bonaventura da Bagnoregio, allora generale dell’ordine, che identificava il Santo come Alter Christus, piegando le sigle bizantineggianti di Giunta a ritmi flessuosi e a una dolcezza di sensi patetici, di note più naturalistiche, di una più esplicita espressione sentimentale, del tutto inedita.

Per questo appuntamento, sono stati acquisiti rilievi con laserscanner 3D sulle pitture murali della chiesa inferiore di Assisi, per documentare le sperimentazioni tecniche e restituire virtualmente, attraverso una ricostruzione digitale, l’assetto, gravemente modificato a causa dell’apertura delle cappelle laterali, del ciclo dipinto verso il 1260.

Il percorso ordinato nella Galleria nazionale dell’Umbria avrà come cardine la Croce datata 1272, proveniente dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato, uno dei pezzi in assoluto più importanti del museo, attorno cui ruoteranno gran parte delle opere del pittore, sparse in vari musei del mondo. In una vetrina climatizzata verrà collocata la sezione superstite del dossale opistografo che sull’altare maggiore di San Francesco al Prato integrava visivamente la grande Croce e di cui la GNU conserva il maggior numero di frammenti.

Maestro di San Francesco, Dossale bifacciale, 1272, particolare

Si cercherà inoltre di offrire una documentazione articolata e per quanto possibile sistematica dell’intera produzione pittorica in Umbria negli anni di attività del Maestro di San Francesco, dalla metà del secolo all’avvio del cantiere pittorico della chiesa superiore della Basilica di Assisi con papa Niccolò IV. Punto di partenza emblematico sarà comunque l’opera umbra di Giunta Pisano, rivalutando con una data più alta, verso il 1230, il dossale con San Francesco e quattro miracoli post mortem del Museo del Tesoro della Basilica papale di San Francesco in Assisi, uno dei capolavori del secolo, a confronto con l’altra versione della Pinacoteca Vaticana e con la Croce firmata della Porziuncola. Non meno rilevante la possibilità di apprezzare le opere del probabile Gilio di Pietro da Pisa, attivo alla metà del secolo, a Siena e Orte.

A lato del Maestro di San Francesco verranno ricostruite le figure di comprimari come il Maestro delle Croci francescane e il Maestro della Santa Chiara, grazie all’eccezionale presenza, per quest’ultimo, della pala agiografica proveniente dalla Basilica della santa, datata 1283, e della monumentale croce dipinta del Museo Civico Rocca Flea di Gualdo Tadino. La produzione del Maestro del Trittico Marzolini, che mostra singolari affinità con la miniatura armena, sarà una testimonianza eloquente della straordinaria polifonia di opere e artisti dell’Umbria del secondo Duecento, cresciuta all’ombra del cantiere internazionale di Assisi.

La regione è infatti un osservatorio privilegiato per comprendere la natura degli scambi fittissimi che in quegli anni solcarono le rotte del Mediterraneo, fra la Terra Santa e l’Italia centrale, culla del francescanesimo e di rivolgimenti artistici epocali che non sarebbero immaginabili senza il clima che si era creato nella Basilica di San Francesco.

La mostra è frutto della collaborazione fra la Galleria nazionale dell’Umbria, il Ministero della Cultura, la Basilica papale e Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica “San Francesco d’Assisi” dei Frati Minori dell’Umbria, con il supporto della Fondazione Perugia e in sinergia con la Regione Umbria.


Il Maestro di San Francesco e lo stil novo del Duecento umbro
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19)
9 marzo – 9 giugno 2024
 
Informazioni: T +39 075.58668436; gan-umb@cultura.gov.it
 
Sito internet:    www.gallerianazionaledellumbria.it
 
Ufficio Promozione e Comunicazione
Ilaria Batassa | M +39 3319714326 | ilaria.batassa@cultura.gov.it
 
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Il caffè e l’arte: dalla letteratura al cinema

Il caffè è una bevanda che ha da sempre affascinato gli artisti, che l’hanno rappresentata nelle loro opere in modi diversi. Dalla letteratura al cinema, il caffè è stato utilizzato per esprimere emozioni, idee e atmosfere.
Nella letteratura, il caffè è spesso associato alla creatività e all’ispirazione. In molti romanzi e racconti, è la bevanda preferita di scrittori, poeti e artisti. Marcel Proust nella Recherche du temps perdu descrive in modo vivido le proprie abitudini. Il romanziere francese era, infatti, un grande appassionato di caffè e lo consumava regolarmente per stimolare memoria e immaginazione.
Un altro esempio letterario è il personaggio di Sherlock Holmes, che nei racconti di Arthur Conan Doyle è sempre accompagnato da una tazza di caffè, elemento essenziale della sua routine quotidiana per rimanere concentrato e lucido durante le sue indagini.

Una scena del film “Sherlock Holmes: A Game of Shadows” di Guy Ritchie

Il caffè è anche un luogo di incontro e di confronto, dove le idee prendono forma e le storie prendono vita. Nel romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, il protagonista, Dorian, è solito trascorrere le giornate nei caffè di Londra, discutendo di arte e letteratura con gli amici. È qui, in un caffè, che Dorian incontra il suo amico Lord Henry Wotton e con lui discute di bellezza e moralità. Il caffè diviene perciò per il protagonista del romanzo un luogo di piacere e di svago, ma anche un luogo dove riflettere sulla propria vita e sulle proprie ambizioni.

Una scena del film I Vitelloni di Federico Fellini

Come spesso abbiamo visto al cinema, il caffè è utilizzato per creare un’atmosfera di rilassamento e convivialità. In molte scene di film, i personaggi si incontrano in un caffè per parlare, per scambiare idee o semplicemente per trascorrere del tempo insieme. Un esempio è il film I Vitelloni di Federico Fellini, in cui i protagonisti si ritrovano quotidianamente al bar per discutere di vita, di amore e di lavoro. Oppure un altro esempio è il film La Dolce Vita, sempre di Federico Fellini, nel quale i personaggi della Roma bene si ritrovano al Caffè Greco per celebrare la vita notturna della città.

Il caffè è anche un simbolo di amore e passione. In molti film i protagonisti si incontrano o si innamorano in un caffè. Accade nella storia descritta in “Casablanca” di Michael Curtiz, in cui Humphrey Bogart e Ingrid Bergman si incrociano in un caffè per la prima volta. In molti altri film, ambientati in vari paesi esotici, il caffè è un elemento importante della cultura locale. Bernardo Bertolucci ambienta alcune scene del film “Il tè nel deserto” in un caffè dove si discute intensamente di filosofia e politica.
Un altro classico è un film come “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, in cui Holly Golightly, interpretata da Audrey Hepburn, è una giovane donna che sogna di diventare un’attrice. Il caffè è per lei un luogo di evasione, dove può sognare ad occhi aperti e immaginare un futuro migliore.

‘Il caffè’ di Edouard Manet

Il caffè, in quanto ambiente di ritrovo, è stato rappresentato anche in opere d’arte visive, come dipinti, fotografie e sculture. In questi casi, il caffè è spesso utilizzato per rappresentare la modernità, l’urbanità e la vita quotidiana. Nel dipinto “Il caffè”, Édouard Manet ritrae un gruppo di persone che bevono caffè all’interno di un locale parigino. Un altro esempio è il dipinto “Caffè Greco” di Giovanni Boldini, in cui l’artista ritrae un gruppo di artisti e intellettuali che si riuniscono in un caffè di Roma: un ritratto della vita sociale e culturale di Roma alla fine del XIX secolo.

Edouard Manet al Café Guerboi

In conclusione, il caffè ha sempre avuto un ruolo importante nell’arte, per questo è considerato come un simbolo di ispirazione, creatività, socialità e cultura.


Ricorrono quest’anno i 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo

150 ANNI DI IMPRESSIONISMO – Trailer – FR | Museo d’Orsay

In occasione della mostra “Parigi 1874. Inventare l’impressionismo”, il museo d’Orsay ha voluto fare di questo 150° anniversario una celebrazione nazionale prestando circa 180 opere provenienti dalle sue collezioni in tutta la Francia.
Scopri di più su “150 anni di impressionismo. 1874 – 2024 con il museo d’Orsay”

Il 15 aprile 2024 segna il 150° anniversario della prima mostra impressionista, che si tenne a Parigi nel 1874. L’evento, organizzato da un gruppo di artisti rifiutati dal Salone annuale dell’Accademia di Francia, ebbe un impatto rivoluzionario sull’arte occidentale, esponendo oltre duecento opere che furono viste da circa 4.000 persone.
I pittori impressionisti, tra cui Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro e Alfred Sisley, si opponevano ai canoni dell’arte accademica, che prediligeva soggetti storici o mitologici e una tecnica rigorosa. Questa nuova corrente pittorica, invece, era interessata a catturare la realtà così come la si vedeva, con la sua luce, i suoi colori e le sue atmosfere mutevoli. Per farlo, gli impressionisti utilizzavano pennellate rapide e vibranti, e spesso si concentravano su soggetti quotidiani, come paesaggi, scene di vita urbana e ritratti. Per questo motivo la corrente pittorica ebbe un impatto profondo sull’arte moderna, e influenzò molti movimenti artistici successivi, aprendo la strada al post-impressionismo, al fauvismo, al cubismo e all’espressionismo.

Claude Monet, Impressione, Alba (Impression, soleil levant), 1872; 
il dipinto che ha dato il nome allo stile e al movimento artistico. 
Museo Marmottan Monet , Parigi

L’Impressionismo fu anche un movimento sociale, che rifletteva le idee di cambiamento e modernizzazione che stavano emergendo nella Francia del XIX secolo. Questi artisti erano attratti dalla vita moderna e dalla città di Parigi, che era in rapida trasformazione urbanistica ed espansione. Le loro opere spesso raffiguravano scene di vita quotidiana, come persone che passeggiano per il parco, donne che fanno shopping o lavoratori che svolgono le loro attività. Le opere degli impressionisti sono ancora oggi tra le più famose e ammirate al mondo.

Nel 2024, in tutto il mondo si terranno numerose iniziative per celebrare i 150 anni dell’Impressionismo. In Francia, il Musée d’Orsay di Parigi ospiterà una grande mostra dal titolo “Parigi 1874. L’istante impressionista”. La mostra presenterà oltre 130 opere dei principali artisti preimpressionisti come Manet e Degas e impressionisti, tra cui Monet e Renoir. Altre importanti mostre si terranno in musei importanti di tutto il mondo, basti ricordare il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery di Londra e il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Inoltre, sono previste numerose pubblicazioni e conferenze sui grandi temi dell’Impressionismo. A ben considerare, si tratta di un’occasione rilevante per conoscere e celebrare uno dei movimenti artistici fondamentali della storia moderna europea che notevoli influssi ha avuto anche oltre Oceano.


Gennaio il mese dedicato a Giano bifronte

Immagine di Statua di Giano bifronte
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Il nome gennaio deriva dal dio romano Giano (Ianus), divinità preposta alle porte e ai ponti che in generale rappresentava ogni forma di passaggio e mutamento. Gennaio è infatti il mese che apre le porte del nuovo anno; infatti, il sostantivo latino ianua corrisponde al termine italiano “porta”. Inizialmente, l’anno romano iniziava a marzo, il mese dedicato alla dea della guerra, Minerva. Nel 713 a.C., il re Numa Pompilio aggiunse gennaio e febbraio all’inizio dell’anno, per un totale di 12 mesi. Gennaio fu scelto come primo mese, perché era il mese in cui si celebravano i riti di purificazione e di rinnovamento, in preparazione al nuovo anno.

Giano era rappresentato con due volti, uno rivolto al passato e uno al futuro. Questo simboleggiava la sua capacità di vedere e comprendere entrambe le parti di ogni questione. Era anche il protettore dei viaggi e dei commerci, e il suo nome era invocato dai viaggiatori prima di intraprendere un viaggio.
Il nome gennaio è stato adottato da molte altre lingue, tra cui inglese (January), francese (janvier), spagnolo (enero), portoghese (janeiro) e tedesco (Januar).


Le grandi mostre più visitate del 2023 in Italia e nel mondo

La mostra più visitata del 2023 in Italia è stata “Rinascimento a Ferrara, Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa“, allestita a Palazzo dei Diamanti a Ferrara dal 18 febbraio al 19 giugno. La mostra ha registrato un totale di 270.000 visitatori, superando di gran lunga le aspettative degli organizzatori.
L’evento espositivo ha riunito oltre cento opere provenienti da alcuni dei più importanti musei del mondo, tra cui la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Museo del Prado di Madrid, il Louvre di Parigi e il Metropolitan Museum of Art di New York. Le opere esposte hanno ripercorso la storia del primo Rinascimento ferrarese, un periodo di grande fermento artistico e culturale che ha visto la città di Ferrara diventare uno dei centri più importanti dell’arte italiana.

Al secondo posto si è classificata la mostra “La Roma della Repubblica. Il racconto dell’Archeologia“, allestita nella Capitale a Palazzo Caffarelli dal 13 gennaio al 24 settembre. La mostra ha registrato un totale di 180.000 visitatori e ha raccontato la storia della Roma repubblicana attraverso una serie di reperti archeologici provenienti da alcuni dei più importanti siti archeologici italiani.

Al terzo posto si è classificata la mostra “Tim Burton. The Exhibition“, allestita al Museo Nazionale del Cinema di Torino dal 12 marzo al 2 ottobre. La mostra ha registrato un totale di 150.000 visitatori e ha narrato la carriera del celebre regista americano, attraverso una selezione di oltre 700 opere, tra cui costumi, bozzetti, concept art, fotografie e filmati.

Fra le mostre più visitate al mondo nel 2023, al primo posto si può annoverare “The Art of the Brick“, allestita al National Building Museum di Washington, DC, dal 23 marzo al 2 ottobre. Ha registrato un totale di 8 milioni di visitatori, diventando l’esposizione di arte contemporanea più visitata di tutti i tempi. La mostra ha presentato le opere dell’artista Nathan Sawaya, che crea sculture e installazioni utilizzando esclusivamente mattoncini Lego. Le opere presentate hanno espresso una serie di temi, tra cui la storia dell’arte, la cultura popolare e la natura.

Al secondo posto si è classificata la mostra “Van Gogh Alive“, allestita al Museo del Prado di Madrid dal 18 febbraio al 28 agosto. La mostra ha registrato un totale di 7,5 milioni di visitatori e ha utilizzato la tecnologia delle proiezioni per immergere i visitatori nelle opere di Vincent van Gogh.


Nelle sale cinematografiche arriva «Wonka» ispirato al romanzo «La fabbrica di cioccolato»

Il film «Wonka» è uscito nelle sale cinematografiche il 14 dicembre 2023. È un film prequel del romanzo di Roald Dahl «La fabbrica di cioccolato» e racconta la storia di Willy Wonka prima che aprisse la sua famosa fabbrica di cioccolato. Il film è interpretato da Timothée Chalamet nel ruolo di Wonka, insieme a Olivia Colman, Sally Hawkins, Rowan Atkinson, Keegan-Michael Key e Jim Carter.
Il film è stato diretto da Paul King, il regista di «Paddington» e «Paddington 2». Le recensioni della stampa sono state generalmente positive, con i critici che lo hanno elogiato per le sue immagini, la musica e la performance di Chalamet. Il film ha già incassato oltre 400 milioni di dollari in tutto il mondo.

Il racconto cinematografico inizia con Wonka un giovane che vive con la sua famiglia in una piccola città. È un inventore nato e ha una passione per il cioccolato. Un giorno, Wonka scopre una formula segreta per fare il cioccolato più gustoso al mondo. Con questa formula, inizia a costruire la sua fabbrica di cioccolato.

Il lungometraggio segue Wonka mentre cresce e sviluppa la sua fabbrica. Esplora anche la sua infanzia travagliata e il suo rapporto con la sua famiglia. Ne emerge un personaggio complesso e sfaccettato, e il film fa un buon lavoro nell’esplorare la sua psicologia.

Chalamet è perfetto nel ruolo di Wonka. Porta al personaggio un’incredibile presenza scenica e un senso di mistero. Colman è anche eccezionale nel ruolo della madre di Wonka. Hawkins, Atkinson, Key e Carter forniscono supporto solido. «Wonka» è, dunque, un film divertente e commovente, perfetto per tutta la famiglia.

Ma chi era Roald Dahl? autore del romanzo «La fabbrica di cioccolato»? Roald Dahl è stato uno scrittore e sceneggiatore, noto soprattutto per i suoi libri per bambini. Le sue opere comprendono “Charlie e la fabbrica di cioccolato”, “James e la pesca gigante”, “Matilda”, “Il GGG” e “Le streghe”. È anche uno scrittore di fama mondiale, perché i suoi romanzi sono stati tradotti in oltre 50 lingue e hanno venduto più di 250 milioni di copie in tutto il mondo.

Dahl è nato a Llandaff, nel Galles, nel 1916, da genitori norvegesi. Studiò alla Repton School e alla Royal Military Academy Sandhurst, ma lasciò Sandhurst per lavorare per la Shell Petroleum in Africa. Nel 1939, allo scoppio del Secondo conflitto mondiale, si unì alla Royal Air Force e volò in 30 missioni sul Nord Africa e sul Mediterraneo. Fu abbattuto in Libia nel 1940, ma sopravvisse e gli fu assegnata la Distinguished Flying Cross.

Dopo la guerra, Dahl lavorò come giornalista e scrisse numerosi racconti e sceneggiature. Iniziò a scrivere libri per bambini negli anni ’60 e il suo primo romanzo, “Charlie e la fabbrica di cioccolato”, fu pubblicato nel 1964. Il libro ebbe un enorme successo e fu adattato in un film popolare nel 1971. Dahl continuò a scrivere molti altri libri di successo, e presto divenne uno degli autori per bambini più amati di tutti i tempi.

Lo si ricorda come una figura controversa e alcuni dei suoi libri sono stati criticati per la loro violenza e il loro umorismo oscuro. Tuttavia, i suoi testi sono stati elogiati anche per la loro immaginazione e per gli arguti commenti sociali. Dahl morì a Oxford, in Inghilterra, nel 1990.

Oltre ai libri per bambini, Dahl ha scritto anche diverse sceneggiature, tra cui “Chitty Chitty Bang Bang” (1968) e “The Witches” (1990). Figura complessa e affascinante, come uomo e come scrittore, Roald Dahl ha lasciato un’eredità duratura nella letteratura e nella cultura. I suoi libri continuano ad essere apprezzati ancora oggi da bambini e adulti di tutto il mondo, e le sue storie ci ricordano il potere dell’immaginazione e l’importanza della gentilezza e del coraggio.


Picasso – Quanti aneddoti curiosi sono rimasti nell’immaginario

Fotografia ritratto di Pablo Picasso, 1908

Molti sono gli aneddoti curiosi che delineano il carattere di personaggi famosi. Su Picasso se ne raccontano una miriade. Nel corso della sua vasta carriera, durata oltre ottant’anni, ha esplorato infatti vari stili artistici – tra cui cubismo, surrealismo ed espressionismo – lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte moderna, ma anche nell’immaginario. Non è dunque della sua arte che scriveremo in questa pagina, quanto della sua umanità ricca di risvolti sorprendenti.

Un giorno, Picasso stava passeggiando per le strade di Parigi quando vide un uomo che vendeva dei quadri. Erano di scarsa qualità, ma Picasso, da uomo generoso, decise di comprarne uno. Molto felice di vendere il quadro al famoso artista il commerciante gli disse: “Grazie, signor Picasso. Questo quadro è un’opera d’arte autentica, mi creda. È stato dipinto da un mio amico che è un artista di grande talento.”

Picasso sorrise e rispose: “Certo, ne sono consapevole. Sono io l’artista.”
L’uomo rimase stupito e chiese: “Ma come è possibile? In verità l’ho dipinto io stesso.”
Picasso rispose: “Sì, questo lo so. Ma sono stato io l’ho creato.”
L’uomo non capì a cosa l’artista si stesse riferendo, ma non osò contraddirlo. Si limitò soltanto a sorridere e a ringraziarlo ancora una volta per aver comprato il suo quadro.
Dopotutto, Picasso era sempre pronto a riconoscere le capacità degli altri, anche quelli meno talentuosi di lui.

Un altro aneddoto? Eccolo: Picasso era un uomo molto esigente. Un giorno, stava lavorando a un nuovo dipinto quando un amico venne a trovarlo nel suo studio. L’amico guardò il quadro e disse: “Mi piace molto: è davvero molto bello!”
Picasso, però, poco soddisfatto, rispose: “Non è ancora pronto. Ci sono ancora troppi dettagli da sistemare.”
L’amico rimase sorpreso e insistette: “Ma è già perfetto!”
“Perfetto? No, non è ancora perfetto. Non sarà perfetto finché non sarà esattamente come lo vedo nella mia mente.”

È chiaro che Picasso, nel suo lavoro, non si accontentava mai e che cercava sempre qualcosa di più. Come quando, conversando con un gruppo di amici, uno di loro gli domandò quanto tempo ci mettesse a dipingere un’opera. Picasso rispose: “Dipende. Se lo faccio per me, ci metto un’ora. Se lo faccio per un ricco collezionista, ci metto una settimana. E se lo faccio per un museo, ci metto un anno.”

L’ironia e il disincanto nei confronti del mondo dell’arte non gli mancavano di certo. Era, infatti, cosciente che il suo valore era determinato dal mercato, e che le sue opere valevano di più se erano destinate a collezionisti facoltosi o a musei.

Un ultimo aneddoto curioso su Picasso riguarda la sua passione non solo per la pittura ma anche per il gioco d’azzardo. Era un giocatore incallito, e spesso perdeva grandi somme di denaro al tavolo verde. Una volta, si dice che perse una partita di poker con un ricco industriale americano. L’industriale, saputo che il giocatore battuto era il famoso Picasso, gli chiese in cambio un suo lavoro. Picasso accettò, e schizzò un’opera in pochi minuti. Lo intitolò “La Femme au chien”, e da questo disegno trasse uno dei suoi più celebri dipinti, nel quale ha ritratto la seconda moglie, Jacqueline Roque, e il loro cane Kaboul, un levriero afgano.

Pablo Picasso, Femme au Chien (Donna con cane) olio su tela, 1962

Questi non sono che pochi esempi dei tanti aneddoti curiosi che si raccontano su Picasso. L’artista spagnolo era un uomo complesso e affascinante, e le sue storie sono sempre divertenti e istruttive.


Ruth Wakefield e il suo famoso biscotto con gocce di cioccolato

Ruth Wakefield aveva 25 anni quando nel 1930 lasciò il suo lavoro dedicato all’insegnamento per aprire, insieme al marito Kenneth, una locanda ubicata in una casa cantoniera a Whitman, nel Massachusetts. La locanda fu chiamata Toll House Inn, volendo ricordare le stazioni dei viaggiatori, quando cambiavano cavalli e mangiavano qualcosa prima di riprendere il viaggio.

Ruth si dava da fare in cucina ed era anche molto brava. Il suo nome è rimasto famoso per aver inventato accidentalmente nel 1938 il suo particolare biscotto con gocce di cioccolato. Fra le più gustose ricette che preparava per i clienti della locanda c’erano i biscotti al burro. Un giorno rimase senza noci tritate. Guarda il caso della vita: Ruth era amica di Andrew Nestlé che le aveva portato alcune barrette prodotte dalla sua ditta. Quindi decise di sostituire le noci col cioccolato. Spezzettò la tavoletta di quelle barrette Nestlé, sperando che il cioccolato si fondesse una volta messi biscotti al forno.

Ruth Graves Wakefield

Ma il cioccolato non si sciolse del tutto e rimase nell’impasto sotto forma di gocce cremose. Il risultato fu un dolcetto delizioso che divenne presto popolare fra i viaggiatori che sostavano nella locanda. Col passa parola, quel dolce delizioso fu chiamato “biscotto al cioccolato Toll House”. La notorietà assoluta fu raggiunta quando Betty Crocker ne presentò la ricetta in una seguitissima trasmissione radiofonica intitolata Cibi famosi da ristoranti famosi indicando l’ingrediente principale di quei biscotti, ovvero la barretta spezzettata di cioccolato Nestlé. Con la trasmissione la ricetta si diffuse e anche le casalinghe cominciarono a prepararla nelle loro cucine.

La Nestlé riconobbe subito il potenziale del nuovo biscotto e iniziò a vendere gocce di cioccolato appositamente per la cottura al forno. La ricetta fu infine inclusa nel libro di cucina di Wakefield, Toll House Tried and True Recipes. A partire dal 1939, Nestlé iniziò a regalare gocce di cioccolato a chiunque scrivesse chiedendo la ricetta. Nestlé iniziò quindi a produrre gocce di cioccolato appositamente per i biscotti e chiese a Wakefield di poter stampare la sua ricetta sulla confezione del prodotto, i Toll House Cookies. La confezione includeva anche un attrezzo per amalgamare l’impasto. Tutto ciò contribuì a rendere ulteriormente popolare il biscotto, rendendolo un alimento base per la colazione ela merenda.

Il biscotto con gocce di cioccolato divenne rapidamente un fenomeno nazionale ed è ora uno dei biscotti più popolari al mondo. Oggi è disponibile in innumerevoli varianti e la preparazione dei biscotti di Ruth Wakefield è facilmente rintracciabile su libri e siti web. L’invenzione di Wakefield ha avuto un profondo impatto sulla cultura americana e i suoi biscotti sono ancora apprezzati da persone di tutte le età. La storia di Ruth Wakefield e della sua creazione accidentale è una testimonianza del potere della creatività e del fascino duraturo di prelibatezze semplici ma deliziose.