Venezia, Scuola Grande della Misericordia: Il LACMA porta a Venezia ZENG FANZHI – Allestimento di Tadao Ando

Zeng Fanzhi, Water IX, 2019–23, oil on canvas, © Zeng Fanzhi,
photo courtesy of the artist and Hauser & Wirth
ZENG FANZHI: Near and Far/Now and Then
Venezia, Scuola Grande della Misericordia
17 aprile – 30 settembre 2024

Il Los Angeles County Museum of Art (LACMA) è lieto di presentare Zeng Fanzhi: Near and Far/Now and Then, una mostra di nuovi lavori dell’artista Zeng Fanzhi (nato nel 1964), che verrà inaugurata in concomitanza con l’edizione 2024 de La Biennale di Venezia. La mostra avrà luogo all’interno della storica Scuola Grande della Misericordia, dal 17 aprile al 30 settembre 2024, con un allestimento progettato dall’architetto Tadao Ando.

Near and Far/Now and Then presenterà per la prima volta al pubblico due cicli di opere recenti dell’artista: nuovi dipinti astratti e opere su carta fatta a mano e trattata con inchiostro, grafite, gesso, polvere d’oro e pigmenti minerali, mai esposte prima d’ora.

A co-curare la mostra sono Michael Govan, amministratore delegato e direttore Wallis Annenberg del LACMA, e Stephen Little, Curatore Florence e Harry Sloan di arte cinese e capo dipartimento per l’arte cinese, coreana, del sud e del sud-est asiatico.

“Le opere di Zeng Fanzhi sono apprezzate soprattutto per l’equilibrio tra la maestria tecnica e l’emozione,” dice Michael Govan. “Near and Far/Now and Then farà luce sull’ambiziosa pratica pittorica di Zeng, e l’intervento architettonico di Tadao Ando farà brillare le interconnessioni evidenziate dal nuovo corpus di opere di Zeng.”

“Nei suoi lavori, Zeng Fanzhi impiega due diversi tipi di materiali: uno spesso e topografico, l’altro sottile e traslucido,” afferma Stephen Little. “Le sue opere sollecitano anche due approcci opposti nella partecipazione dei visitatori – uno distante, l’altro profondamente intimo. Inquadrata nell’insieme delle tradizioni asiatica ed europea dalle quali attinge, questa mostra guiderà i visitatori, con le sue molte tensioni visive, verso una serie di scoperte.”

Zeng Fanzhi, Lóng Táitóu II, 2019–23, oil on canvas,
© Zeng Fanzhi, photo courtesy of the artist and Hauser & Wirth

La mostra farà luce sull’ambiziosa pratica pittorica di Zeng di ridefinire l’astratto attraverso esercizi di rappresentazione figurativa, e viceversa. I nuovi dipinti a olio dell’artista sono il risultato di decenni di ricerca sulla teoria del colore, che attinge, sfidandole, alle pratiche impressionista e puntinista, dove le immagini si materializzano solo attraverso l’attenta collocazione di singoli segni di colore. Qui gli strati delle pennellate creano elementi figurativi facilmente riconoscibili da lontano, ma che si dissolvono nella materialità del dipinto a olio se osservati da vicino. Le variazioni di tonalità di un colore cedono il passo a schemi intrecciati di colore, spesso con più di trenta tipi di pigmenti brillanti, in una sola immagine.

L’esposizione fornirà uno sguardo approfondito sulla sua padronanza del medium, della sua tecnica “bagnato su bagnato”, e dell’enfasi sulla mera materialità della pittura, che definisce il suo lavoro. In un mondo ormai inondato da immagini elaborate digitalmente, Zeng sfida chi osserva le sue opere a riconoscere la superiorità della pittura come arte e mestiere secolare.

Le opere su carta fatta a mano danno una nuova direzione al lavoro di Zeng, che combina, con ambizione, le iconografie cristiana, buddista e della pittura dei letterati. Richiamano immediatamente i punti più alti dei paesaggi monocromi a inchiostro risalenti alle dinastie Song (960-1279) e Yuan (1260-1368), rievocando allo stesso tempo le ambiguità dei paesaggi a inchiostro della tarda dinastia Ming e della prima dinastia Qing, eseguiti da pittori quali Zou Zhilin (1574-ca. 1654), Hongren (1610-1663), e Dai Benxiao (1621-1691). Il soggetto si muove con fluidità dal crocefisso alla rappresentazione di rocce e vecchi alberi – simboli, nella cultura tradizionale cinese, di forza, resilienza e longevità. Come i dipinti di Zeng, questi disegni squisiti sfidano consapevolmente ogni categorizzazione, allineandosi con le grandi tradizioni asiatica ed europea.

Al piano terra della Scuola Grande della Misericordia, ai visitatori si presenteranno le proporzioni classiche dell’edificio del XVI secolo, racchiuse tra due dipinti a olio a più pannelli: uno che allude all’iconografia buddista e l’altro a quella cristiana. Al piano superiore, i visitatori troveranno lo spazio diviso in cinque sezioni tematiche.

Il progetto di Tadao Ando è una progressione di pareti con una serie di aperture sempre più grandi, che creano un cono prospettico. Queste aperture collegano la vista dei due dipinti più grandi, uno a ogni estremità dello spazio, come al pianterreno; in questo caso però i due dipinti non sono figurativi ma suggeriscono piuttosto l’astrazione di luce e acqua. Sulle pareti di Ando e intorno a esse è esposta una selezione dei dipinti a olio più piccoli di Zeng. Sullo sfondo dei maestosi spazi della Misericordia – pregni di storia e riccamente decorati da affreschi – il progetto di Zeng offre al suo pubblico l’esperienza viscerale dell’arte.

Nato a Wuhan, in Cina, nel 1964, Zeng Fanzhi si è laureato presso lo Hubei lnstitute of Fine Arts di Wuhan nel 1991. Durante i primi anni della sua formazione, Zeng si è immerso nell’arte occidentale, nella filosofia e nelle tecniche del Realismo Socialista del 1985 New Wave Movement in Cina. Questi interessi sono stati determinanti nel permeare le prime serie di dipinti, Meat Series e Hospital Triptychs. Questi primi lavori, tra il 1989 e il 1994, hanno preparato la scena per una pratica pittorica intensamente personale ed espressiva, che documenta un periodo prolifico di sviluppo sociale ed economico della storia cinese.

Lavorando sulla scia della rapida modernizzazione e urbanizzazione della Cina, Zeng ha poi rivolto la sua attenzione alle figure presenti nelle industrie che lo circondavano. Ispirate da artisti quali Francis Bacon, Willem De Kooning, Max Beckmann, queste opere, note come le serie Mask e Behind the Mask, si pongono a cavallo tra realismo e immaginazione per rivelare una preziosa riflessione autobiografica e introspettiva sui suoi tempi e un’attenzione meticolosa al dettaglio tecnico, che si fonde con un ricco corpo di ritrattistica e immagini uniche.

Negli ultimi due decenni, Zeng ha familiarizzato di nuovo con la filosofia della pittura cinese tradizionale e in particolare con i lavori che vanno dalla dinastia Wei del nord a quelle Song e Yuan, dal quarto al quindicesimo secolo. Arricchito da questi nuovi interessi, Zeng si è avvicinato ulteriormente all’astrazione. I lavori raggruppati nella serie Abstract Landscape hanno sperimentato quattro fasi evolutive caratterizzate da paesaggi fortemente gestuali, che presentano la stessa energia dinamica della sua ritrattistica. Queste tele sono attraversate da linee meticolose e calligrafiche, che si fondono, oscurandoli, con gli oggetti leggibili dello sfondo, per indagare la tensione complessa tra natura, mondo animale e umanità.

In parallelo alle sue sperimentazioni con il paesaggio astratto, Zeng ha continuato a sviluppare un linguaggio più sperimentale nello studio dei ritratti: la serie We include facce distorte dipinte a distanza molto ravvicinata, con pennellate ampie e circolari che creano un aspetto frenetico e urgente. Per creare questi dipinti, Zeng usa tutto il corpo, allungandosi su grandi tele per stendere il colore con più pennelli contemporaneamente.

Nato a Osaka nel 1941, Tadao Ando è un architetto autodidatta famoso a livello mondiale e fondatore, nel 1969, della Tadao Ando Architect & Associates. I suoi lavori più rappresentativi includono la Church of the Light [Chiesa della luce], Osaka, Giappone, la Pulitzer Arts Foundation [Fondazione d’Arte Pulitzer], St. Louis, MO, e il Chichu Art Museum [Museo d’Arte Chicu], Naoshima, Giappone. Ha ricevuto innumerevoli premi, tra cui il Premio Istituto Giapponese di Architettura (1979), il Premio Accademia Giapponese d’Arte (1993), il Premio di  Architettura Pritzker (1995), la Medaglia d’oro dell’Istituto Americano di Architettura (2002), l’onorificenza Persona con meriti culturali (2003), la Medaglia d’oro dell’Unione Internazionale degli Architetti (2005), la Medaglia d’oro per le arti del Centro John Kennedy (2010), l’Ordine per i meriti culturali (2010), l’Ordine francese delle arti e delle lettere (Commandeur) (2013), il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia (2015), il premio lsamu Noguchi (2016), e il titolo di Comandante della Legion d’Onore (2021). I suoi lavori sono stati oggetto, per citarne solo alcune, di mostre personali al Museum of Modem Art, New York (1991), al Centro Pompidou, Parigi (1993, 2018), e ad Armani / Siros, Milano (2019). È stato visiting professor presso le università di Yale, Columbia e Harvard. Dal 1997 è professore presso l’Università di Tokio, ed è attualmente professore emerito.


Negli anni, il LACMA ha sviluppato un ricco programma di arte cinese attraverso mostre innovative, partnership internazionali e acquisizioni significative. Di recente il museo ha consolidato il suo patrimonio di arte cinese contemporanea. Nel 2019 il LACMA ha acquisito il monumentale Untitled (2018) di Zeng Fanzhi, grazie alla generosità di Dominic ed Ellen Ng, e ha effettuato altre acquisizioni cruciali, tra cui la donazione promessa da Gérard e Dora Cognié, nel 2018, di oltre 300 dipinti cinesi contemporanei a inchiostro e l’acquisizione delle Zodiac Heads di Ai Weiwei, una donazione da parte del (defunto) Budi Tek nel 2022. A Los Angeles, il LACMA ha presentato numerose mostre di arte cinese contemporanea, tra le quali si evidenziano Legacies of Exchange: Chinese Contemporary Art from the Yuz Foundation (2022); Ai Weiwei: Circ/e of Animals/Zodiac Heads (2022); lnk Dreams: Se/ections from the Fondation INK Collection (2021); e The A/Iure of Matter: the MateriaiArt of China (2019).


Contatti stampa:
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Tel. 049663499
Referente Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net
 
Museo LACMA Los Angeles
press@lacma.org

BERLINDE DE BRUYCKERE all’Abbazia di San Giorgio a Venezia con “ City of Refuge III”

Berlinde De Bruyckere: Installation for the Sacristy of San Giorgio Maggiore Abbey, 2024 (shown in progress), Wax, iron and epoxy © Berlinde De Bruyckere. Courtesy the artist and Hauser & Wirth
Photo: © Mirjam Devriendt
BERLINDE DE BRUYCKERE
CITY OF REFUGE III

Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore
20 aprile – 24 novembre 2024

Evento Collaterale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
Curatori: Carmelo A. Grasso, Ory Dessau, Peter Buggenhout

Il 20 aprile 2024, viene inaugurata una mostra di nuove opere dell’artista belga Berlinde De Bruyckere concepite appositamente per gli spazi sacri dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore. La chiesa benedettina del XVI secolo, situata sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, è uno dei principali esempi di architettura palladiana della città. Intitolata “City of Refuge III”, la mostra è stata realizzata in collaborazione con la Benedicti Claustra Onlus, ramo no-profit della Comunità Benedettina, e con il suo Direttore Carmelo A. Grasso, che insieme a Ory Dessau e Peter Buggenhout forma il team curatoriale.

Oscillando tra trascendenza e immanenza materiale, “City of Refuge III” è costituita da tre nuovi gruppi di opere di De Bruyckere che dialogano con l’architettura monumentale della chiesa, la sua funzione, il suo simbolismo, la sua storia. In esposizione: una serie di sculture di arcangeli nella navata centrale e nelle navate laterali, un’installazione di grandi dimensioni presso la Sacrestia della chiesa, e teche contenenti opere scultoree lungo il corridoio della Galleria del Monastero. Prendendo il titolo dall’omonima canzone di Nick Cave, “City of Refuge III” è la terza di una serie di mostre dell’artista che tematizzano l’arte come luogo di rifugio e riparo: un tema qui accentuato dall’intensità spirituale del luogo.

Nel 2013, De Bruyckere è stata selezionata per rappresentare il Belgio alla 55. Esposizione Internazionale d’Arte — La Biennale di Venezia dove, in collaborazione con il premio Nobel J.M. Coetzee, ha inaugurato la sua monumentale opera site-specific “Kreupelhout — Cripplewood”. Nel corso della sua attività, De Bruyckere ha riprodotto forme ibride con caratteristiche umane, animali e organiche. Attingendo dall’eredità dei grandi maestri europei, dal Rinascimento fiammingo, dall’iconografia cristiana, dalla mitologia e dal folclore, l’artista stratifica storie esistenti con nuove narrazioni ispirate da eventi attuali. Crea un terreno psicologico di pathos, tenerezza e disagio. Indagando le dualità di amore e sofferenza, pericolo e
protezione, vita e morte, le opere di De Bruyckere trascendono le implicazioni teologiche, sfociando nel regno dell’universale e del profano.

Berlinde De Bruyckere: Arcangelo II (San Giorgio), 2023-2024 (work in progress), 2024, Wax, animal hair, silicone, iron, epoxy,
251 x 82 x 105 cm. Courtesy the artist and Hauser & Wirth © Berlinde De Bruyckere Photo: Mirjam Devriendt

Il primo gruppo di opere che occupa la Basilica pone in evidenza l’archetipo dell’arcangelo. Il soggetto appare come una figura velata e ibrida, che giustappone l’umano al divino, il creaturale o terreno al celeste, il temporale all’eterno. Si tratta di un’installazione di arcangeli, ognuno dei quali emerge da un gruppo scultoreo modulare composto da un piedistallo irregolare a forma di pilastro con patina argentata, uno schermo a specchio inclinato che moltiplica il soggetto e l’ambiente circostante, e uno stendardo monumentale che accentua l’aspetto rituale dell’ambiente e delle opere.

Nella Sacrestia, De Bruyckere espone un’installazione di tavoli da saldatura in metallo con tronchi d’albero abbattuti o morti, ricoperti da una colata di cera. L’installazione dà vita a uno scenario post-apocalittico in cui i frammenti di natura morta subiscono una cristallizzazione ulteriore, instaurando così un orizzonte di redenzione, di ringiovanimento e rinascita, che conferisce alla scena un potenziale di crescita. In dialogo con gli arredi liturgici in legno della Sacrestia, l’installazione del tronco d’albero suggerisce un ambiente di precarietà per il dipinto sull’altare, opera di Giuseppe Porta (detto Salviati), raffigurante la presentazione di Gesù al tempio da parte di Maria e Giuseppe.

Un terzo gruppo di sculture nella Galleria del Monastero deriva dalle eccezionali opere dell’intagliatore fiammingo del XVI secolo Albert van den Brulle, che decorò il coro della Basilica con bassorilievi in noce raffiguranti la vita di San Benedetto. De Bruyckere ha risposto a questi elementi cinquecenteschi allestendo una sequenza di nuove teche in cui i motivi dei bassorilievi di van den Brulle vengono ripresi, fossilizzati per un contesto più attuale.

Infine, sempre nella Galleria del Monastero, sono esposte opere recenti della produzione dell’artista. Queste opere forniscono un ideale ulteriore contesto ai lavori creati per l’occasione. Tra questi, si trovano esempi della serie scultorea “Anderlecht” e collage della serie “It Almost Seemed a Lily,” entrambe produzioni di De Bruyckere.

Berlinde De Bruyckere è nata a Gand, in Belgio, nel 1964, dove tuttora vive e lavora. Dalla prima esposizione a metà degli anni Ottanta, le sculture e i disegni di De Bruyckere sono stati esposti in numerose mostre presso importanti istituzioni di tutto il mondo. Tra queste, la mostra in corso “No Life Lost” presso Artipelag, Gustavsberg, Svezia, e le mostre personali “Crossing a Bridge on Fire” al MAC / CCB, Lisbona, Portogallo (2023); “City of Refuge II,” Diözesanmuseum, Freising, Germania (2023); “City of Refuge I,” La Commanderie de Peyrassol, Flassans-sur-Issole, Francia (2023); “PEL / Becoming the figure,” Arp Museum, Remagen, Germania (2022); “Plunder / Ekphrasis,” MO.CO. Montpellier, Francia (2022); “Engelenkeel,” Bonnefanten Museum, Maastricht, Paesi Bassi (2021); “Berlinde De Bruyckere,” Middelheimmuseum, Anversa, Belgio (2020); “ALETHEIA,” Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, Italia (2019); “It Almost Seemed a Lily,” HVB, Mechelen, Belgio (2018); “Embalmed,” Kunsthal Aarhus, Danimarca (2017); “Suture,” Leopold Museum, Vienna, Austria (2016); “The Embalmer,” Kunstraum Dornbirn, Austria e Kunsthaus Bregenz, Austria (2015).

La Benedicti Claustra Onlus, ramo no-profit della Comunità Benedettina dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore, nasce nel 2012 dal desiderio dei monaci benedettini di promuovere e recuperare un dialogo tra Chiesa e Arte Contemporanea attraverso collaborazioni e progetti site-specific per l’evangelizzazione e la crescita di un autentico umanesimo.
Guida la Comunità Benedettina l’Abate Dom Stefano Visintin O.S.B.
Direttore della Benedicti Claustra Onlus e Curatore Istituzionale dei progetti espositivi è Carmelo A. Grasso.


Contatto stampa:
Rachel John, SUTTON
rachelj@suttoncomms.com

Roberta Barbaro
Studio ESSECI
roberta@studioesseci.net

Andrea Schwan
Andrea Schwan Inc.
andrea@andreaschwan.com

Carpi (MO), Musei di Palazzo dei Pio: PER UGO DA CARPI INTAIATORE (1524 – 2024)

Ugo da Carpi, Ostensione del Volto Santo, 1524-1525,
Fabbrica di San Pietro, Città del Vaticano, crediti Mallio Falcioni
CARPI (MO)
MUSEI DI PALAZZO DEI PIO
24 FEBBRAIO – 29 GIUGNO 2024
 
UNA MOSTRA CELEBRA
UGO DA CARPI (1469/70 – 1532) INCISORE
 
L’esposizione ruota attorno alla tavola con la Ostensione del Volto Santo, a cinquecento anni dalla sua realizzazione, custodita nella basilica di San Pietro
in Vaticano.
 
A cura di Manuela Rossi e Pietro Zander

Dal 24 febbraio al 29 giugno 2024, i Musei di Palazzo dei Pio celebrano Ugo da Carpi (1469/70-1532), incisore.
La mostra, dal titolo Per Ugo da Carpi intaiatore. La tavola del Volto Santo da San Pietro in Vaticano, curata da Manuela Rossi e Pietro Zander, organizzata col patrocinio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, oltre che della Diocesi di Carpi e del Museo Diocesano Tridentino di Trento, col contributo di Fondazione Cassa Risparmio di Carpi e BPER Banca, ruota attorno alla pala d’altare che Ugo da Carpi realizzò proprio cinquecento anni fa (1524-2024), in preparazione del Giubileo del 1525.

La tavola, opera devozionale di grande rilievo, un tempo esposta sull’altare del Volto Santo in San Pietro, secondo per importanza solo a quello papale sopra la tomba dell’apostolo, presenta la figura della Veronica vestita con una tunica gialla e un mantello violaceo, in piedi sull’uscio di una porta sopra il terzo gradino di una scala che sembra formare una sorta di podio.

Allargando le braccia, stringe tra le mani i lembi di un sudario sul quale è impresso il Volto Santo del Signore Gesù, scuro e con il caratteristico profilo a tre punte della venerata reliquia custodita da almeno tredici secoli nella basilica di San Pietro.

Ai suoi fianchi si ergono gli apostoli Pietro, che sorregge le simboliche chiavi, e Paolo che sostiene con la sinistra un libro mentre con la destra si appoggia a una lunga spada.

Copia da Ugo da Carpi, da Raffaello Sibilla che legge
XVI secolo Xilografia, sui toni dell’ocra 220 x 180 mm
Carpi, Musei di Palazzo dei Pio

Per quest’opera, Ugo da Carpi s’ispirò alla xilografia La Veronica mostra il velo del Volto Santo tra gli apostoli Pietro e Paolo realizzata da Albrecht Dürer nel 1510 – presente in mostra, proveniente dai Musei Civici di Pavia -, adattata all’altare di San Pietro da Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, che l’intagliatore carpigiano frequentò a Roma proprio in quel periodo, alla vigilia dell’Anno Santo.

Parmigianino non solo rielaborò l’idea compositiva di Dürer in un formato quasi quadrato ma, stemperando nella morbida consistenza del disegno acquerellato le asprezze dell’intaglio xilografico, ne predispose anche la traduzione sulla tavola.

Nonostante non abbia goduto di grande fortuna, a causa della stroncatura che ne fece Michelangelo Buonarroti e riportata nelle Vite di Giorgio Vasari, le recenti analisi diagnostiche eseguite dai Musei Vaticani hanno rivelato la straordinaria unicità di quest’opera; non si tratta infatti di un dipinto – come esplicita lo stesso Ugo nella firma: “fata per Ugo da Carpi intaiatore senza penello” -, quanto di un capolavoro dell’incisione, prodotto attraverso la stampa a più matrici, di cui era maestro.

La Veronica testimonia inoltre l’intento di Ugo da Carpi di elaborare una tecnica alternativa alla pittura, tale che garantisse una sua riproducibilità multipla e che conservasse il vantaggio di poterla realizzare a più colori e in grandi dimensioni.

Ed è la tecnica incisoria la chiave di lettura e d’interpretazione dell’opera xilografica di Ugo da Carpi, ma non solo, che introduce l’esposizione della tavola vaticana.

La rassegna analizza quindi la figura e l’opera di Ugo da Carpi, di cui viene presentato un ritratto eseguito a fine Settecento da Antonio Montanari, detto il Postetta. Si potranno infatti ammirare alcuni esemplari di xilografie a chiaroscuro conservati nei Musei di Palazzo dei Pio a Carpi, come La Morte di Anania, considerata la prima incisione a quattro legni di Ugo da Carpi, o come Davide che uccide Golia, ispirate a opere di Raffaello, e soprattutto il Diogene, il suo chiaroscuro più celebre, realizzato a quattro mani con Parmigianino.

Di particolare interesse per approfondire il tema tecnico di xilografia e chiaroscuro è il legno inciso del XVI secolo, Arboro di frutti della Fortuna di autore anonimo, proveniente dalla Galleria Estense di Modena, presentato a fianco del foglio stampato, che giunge in prestito dal Museo Diocesano Tridentino di Trento.

Completa il percorso una sezione dedicata alla xilografia di grandi dimensioni, nella quale l’opera di Ugo da Carpi viene contestualizzata nell’ambito del mercato veneziano di opere incise che si sviluppa intorno alla bottega di Tiziano Vecellio. Nella mostra a Palazzo dei Pio si trovano quattro esemplari di questa produzione degli inizi del XVI secolo, raramente esposti, tra cui il Sacrificio di Abramo(789 x 1076 mm), inciso da Ugo da Carpi, pubblicato da Bernardino Benalio nel 1515 e attribuito all’invenzione di Tiziano e Domenico Campagnola, e degli stessi artisti la Sommersione dell’esercito del Faraone (1220×2200 mm), una delle più grandi xilografie mai realizzata, proveniente dalle collezioni del Museo Diocesano Tridentino di Trento.

Alcune delle opere in mostra sono state riprodotte nei disegni a rilievo, realizzati dal Museo tattile statale “Omero” di Ancona, per consentire l’accessibilità a persone ipovedenti e non vedenti.

Catalogo SAGEP editore


PER UGO DA CARPI INTAIATORE
La tavola del Volto Santo da San Pietro in Vaticano
Carpi (MO), Musei di Palazzo dei Pio
24 febbraio – 29 giugno 2024
 
Orari
dal martedì al venerdì, ore 10-13
sabato, domenica, festivi, ore 10-18
Chiuso lunedì
Aperture straordinarie: 1° aprile (Lunedì dell’Angelo), 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno
 
Biglietti
Intero, €8,00
Ridotto, €5,00 (18-25 anni, soci Touring Club e FAI e per gruppi di almeno 25 persone)
 
MUSEI DI PALAZZO DEI PIO
Carpi (MO), piazza dei Martiri, 68
Info: T. 059.649955 – 360
         E musei@comune.carpi.mo.it
         W palazzodeipio.it/imusei
 
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