La Biennale dello Stretto. Prima edizione della Mostra internazionale di Arte, Architettura, Paesaggio, Scrittura, Video, Fotografia dello Stretto

La Biennale dello Stretto 2022
LE TRE LINEE D’ACQUA
a cura di Alfonso Femia e Francesca Moraci

Dal 30 settembre
Fino al 15 dicembre 2022

LA MOSTRA
dal 30 settembre al 15 dicembre 2022 – Campo Calabro, Forte Batteria Siacci

GLI EVENTI
Dal 30 settembre al 4 ottobre 2022- Campo Calabro, Forte Batteria Siacci – Reggio Calabria, Museo archeologico Messina, Fondazione Horcynus Orca
Messina, Museo Regionale.
10 -11 novembre 2022
14-15 dicembre 2022

Campo Calabro, Forte Batteria Siacci

“Questa prima edizione de La Biennale dello Stretto è un momento di confronto che esprime finalità destinate a evolversi, contaminarsi positivamente con le professionalità interpellate e le esperienze indagate, fino a diventare un importante progetto di crescita e sviluppo per il Mediterraneo internazionale, inteso come piattaforma culturale e produttiva, attraverso l’attivazione di gruppi di studio, vero e proprio laboratorio permanente con ricaduta positiva sull’indotto culturale pubblico e privato” – spiega Alfonso Femia, architetto internazionale, curatore della manifestazione e prosegue – “La scelta del nome individua un’area specifica del Mediterraneo, con una visione ampia e globale, non solo il territorio dello Stretto e neppure solo Calabria o Sicilia: dalla costa africana a quella europea, dal tratto greco, albanese, croato, francese, spagnolo, tunisino, algerino, questo è il “campo progettuale” della Biennale che si propone di dare una dimensione reale e concreta alla ricerca dell’invisibilità estesa verso ogni luogo celato o solo apparentemente rivelato di tutto il “mondo-Mediterraneo”, facendo nostra l’interpretazione di Braudel”.

“La crescente centralità che il Mediterraneo sta assumendo, particolarmente per lo sviluppo delle tre rive africana, asiatica ed europea, nello scenario internazionale, definisce lo Stretto come ”brand” politico ed economico, elemento geografico di equilibrio, magnete e insieme antenna che riverbera, attraverso la cultura, non solo il suo passato, la storia, l’architettura e l’arte, ma anche e soprattutto la straordinaria capacità di innovazione tecnologica e scientifica”. Si affianca così la curatrice Francesca Moraci, architetto, professore ordinario di Urbanistica all’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.

Mediterranei Invisibili edizione 2019 – Viaggio nello Stretto, Scilla (RC) – ©S.Anzini Hi

La Biennale della Stretto nasce dal progetto di ricerca Mediterranei Invisibili, ideato e sviluppato da Alfonso Femia con 500×100 società benefit. È un programma permanente di analisi e indagine del territorio mediterraneo, sviluppato dal 2018 a oggi che si svolge attraverso viaggi ed esplorazioni, interviste con persone autorevoli di estrazione accademica, professionale, della Pubblica Amministrazione e attraverso approfondimenti progettuali. Dopo quattro anni di esperienze, La Biennale dello Stretto non si propone come semplice evento, ma seria intenzione di costituire un luogo permanente di ricerca e confronto internazionale.

Finalità del programma è cogliere le reali potenzialità di rilancio dell’area mediterranea, mappando i riferimenti essenziali – infrastrutture, paesaggio, ambiente urbanizzato, funzioni sociali pubbliche.

Firma del protocollo – Foto©Salvatore Greco

FIRMA DEL PROTOCOLLO – LA BIENNALE DELLO STRETTO


INFO

Sito web de La Biennale dello Stretto:
www.mediterraneiinvisibili.com/la-biennale-dello-stretto/

Official hashtags:
#labiennaledellostretto
#biennaledellostretto
#letrelineedacqua
#thethreewaterlines
#mediterraneiinvisibili
#500×100
#laboratoriopermanentemediterraneo

PER MAGGIORI INFORMAZIONI:

Ufficio Stampa – coordinamento
54words: Serena Capasso, Manuela De Mari
serena54words.net manuela@54words.net
500×100: Roberta De Ciechi, Natalee Christine Rojo
labiennaledellostretto@500×100.com

Relazioni internazionali
Atelier(s) Alfonso Femia: Liloye Chevallereau
labiennaledellostretto@500×100.com
Ante Prima Consultants: Luciana Ravanel
l.ravanel@ante-prima.com

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Genova, Palazzo Ducale: Una straordinaria esposizione per raccontare la grandezza di “Rubens a Genova”

Peter Paul Rubens
Violante Maria Spinola Serra, 1606-1607 circa
Olio su tela, cm 150 x 105
©   The Faringdon Collection Trust, Buscot Park, Oxfordshire

“Rubens a Genova”

Genova, Palazzo Ducale – 6 ottobre 2022 – 22 gennaio 2023

Vernissage 5 ottobre

a cura di Nils Büttner e Anna Orlando

Un evento internazionale imperdibile! L’attesissima mostra “Rubens a Genova” che apre il 6 ottobre con opere inedite e due tele in anteprima mondiale, nell’anno targato “Anno del Superbarocco”. Al contempo l’edizione dei Rolli Days rubensiani dal 14 al 16 ottobre.

Palazzo Ducale di Genova ospita, dal 6 ottobre 2022 al 22 gennaio 2023, una straordinaria esposizione per raccontare la grandezza del massimo pittore barocco di sempre: Peter Paul Rubens e il suo rapporto con la città. Il progetto nasce in occasione del quarto centenario della pubblicazione ad Anversa del celebre volume di Pietro Paolo Rubens, Palazzi di Genova (1622).

La curatela è di Nils Büttner, docente della Staatliche Akademie der Bildenden Künste Stuttgart nonché Chairman del Centrum Rubenianum di Anversa, e di Anna Orlandoindependent scholar genovese, co-curatrice della mostra L’Età di Rubens tenutasi a Palazzo Ducale nel 2004.

Rubens soggiornò in diverse occasioni a Genova tra il 1600 e il 1607, visitandola anche al seguito del Duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, presso cui ricopriva il ruolo di pittore di corte. Ebbe così modo di intrattenere rapporti diretti e in alcuni casi molto stretti con i più ricchi e influenti aristocratici dell’oligarchia cittadina.

In mostra sono presentate più di 150 opere, tra le quali hanno il ruolo di protagonisti oltre venti Rubens provenienti da musei e collezioni europee e italiane, che si sommano a quelli presenti in città, giungendo così a un numero come non vi era dalla fine del Settecento a Genova; da quando, cioè, la crisi dell’aristocrazia con i contraccolpi della Rivoluzione Francese diede avvio a un’inesorabile diaspora di capolavori verso le collezioni del mondo.

A partire dal nucleo rubensiano, il racconto del contesto culturale e artistico della città nell’epoca del suo maggiore splendore viene completato da dipinti degli autori che Rubens per certo vide e studiò (Tintoretto e Luca Cambiaso); che incontrò in Italia e in particolare a Genova durante il suo soggiorno (Frans Pourbus il Giovane, Sofonisba Anguissola e Bernardo Castello), o con cui collaborò (Jan Wildens e Frans Snyders).

Disegni, incisioni, arazzi, arredi, volumi antichi, perfino abiti, accessori femminili e gioielli consentono di celebrare la grandiosità di una capitale artistica visitata da uno dei maggiori artisti di tutti i tempi e confermano quell’appellativo di Superba che fu dato a Genova.

Con Rubens e attraverso ciò che vide e conobbe, con testimoni d’eccezione quali sono le opere d’arte e grazie a un allestimento elegante e coinvolgente dello Studio GTRF Tortelli Frassoni Associati, viene raccontata la storia della Repubblica di Genova all’apice della sua potenza quando, all’inizio del Seicento, conobbe un periodo di singolare vivacità non soltanto economica e finanziaria, ma anche culturale e artistica.

L’immagine coordinata della mostra sarà realizzata dallo studio Tassinari/Vetta.

Tra le opere che tornano a Genova, città per cui il genio barocco le creò eseguendole per i più ricchi tra i genovesi di allora, si possono menzionare il Ritratto di Violante Maria Spinola Serradel Faringdon Collection Trust, eccezionalmente staccata dalle pareti della meravigliosa dimora di Buscot Park nell’Oxfordshire in Inghilterra: una dama finora senza nome, che grazie agli studi in preparazione della mostra è ora riconoscibile.

Tra gli altri “ritorni a casa”, anche il San Sebastiano di collezione privata europea, mai esposto in Italia e recentemente ritrovato e che, grazie a un importante ritrovamento documentario, può ora riferirsi alla committenza del celebre condottiero Ambrogio Spinola.

È esposto per la prima volta in Italia anche il giovanile Autoritratto, con un Rubens all’incirca ventisettenne, che un collezionista privato ha offerto come prestito a lungo termine alla Rubenshuis di Anversa e che eccezionalmente torna nel Paese dove fu eseguito, intorno al 1604.

Alla base del progetto vi è un lungo percorso di studi e approfondimenti scientifici da parte dei curatori, nonché il supporto di un prestigioso comitato scientifico onorario internazionale, composto dai massimi conoscitori della materia. Oltre a loro, un consistente numero di studiosi di diversi Paesi e istituzioni partecipa con specifici contributi al ricco catalogo edito da Electa, che pubblica anche le guide alla mostra e alla Genova di Rubens.

La mostra gode della collaborazione della Città di Anversa e del Centrum Rubenianum di Anversa, dell’Ambasciata del Belgio in Italia, del Consolato Onorario del Belgio a Genova, della Città di Mantova, di VisitFlanders, nonché della Camera di Commercio di Genova. Il Comune sta lavorando ad attivare altre partnership istituzionali con altri enti e città italiani ed europei.

L’appuntamento espositivo di Palazzo Ducale è l’occasione per attivare un progetto di grande rilievo, dal titolo Rubens 22. A Network ideato e curato da Anna Orlando; di fatto la più importante rete culturale mai attivata a Genova intorno a un singolo artista. All’insegna di Rubens e del suo speciale rapporto con la città, sono coinvolte oltre 25 realtà pubbliche e private, dai Musei di Strada Nuova all’Accademia Ligustica di Belle Arti, da Banca e Fondazione Carige a Palazzo della Meridiana, dall’Università degli Studi di Genova alla Fondazione Teatro Carlo Felice, insieme all’Arcidiocesi e a molti altri. Si tratta di una fitta rete di collaborazioni, focus conoscitivi, appuntamenti culturali, aperture straordinarie, eventi collaterali e ulteriori progetti espositivi.

In città, inoltre, il visitatore potrà seguire un vero e proprio itinerario rubensiano alla scoperta dei capolavori nelle loro sedi permanenti, come le due pale d’altare della Chiesa del Gesù – La Circoncisione del 1605 e I miracoli del beato Ignazio di Loyola del 1620 – a pochi passi da Palazzo Ducale, tuttora collocate sugli altari d’origine. E ancora, lo spettacolare Ritratto di Gio. Carlo Doria a cavallo della Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, uno delle più monumentali effigi celebrative dell’Età Barocca. L’itinerario in città sarà segnalato con veri e propri focus, a completamento del racconto narrato dalla mostra di Palazzo Ducale e toccherà anche i palazzi cinquecenteschi che Rubens certamente visitò, entrando in contatto diretto con i proprietari e riproducendoli poi nel suo celebre libro nell’edizione del 1622 e di quella immediatamente successiva (1626 circa), entrambe esposte in originale in mostra.

Nel quadro delle iniziative cittadine si segnala, nel giugno del 2023, la finale di Ocean Race, il maggior evento velistico internazionale che prenderà avvio da Alicante nel 2022. La città si prepara a questo importante appuntamento con una serie di eventi che presentano Genova al mondo. Rubens a Genova e il progetto Rubens 22. A Network fanno parte del programma culturale di Ocean Race.

#GenovaRubens è l’hashtag attraverso il quale è possibile promuovere la mostra e rendere “riconoscibile” l’iniziativa sui social. Sul sito www.palazzoducale.genova.it si possono seguire tutti gli aggiornamenti sulla mostra e su Rubens 22. A Network.

La mostra è prodotta dal Comune di Genova con Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura e la casa editrice Electa, con il supporto e la partecipazione dello Sponsor Unico Rimorchiatori Riuniti S.p.A. tra i leader mondiali nel rimorchio portuale. Il Gruppo ha voluto sostenere questo importante progetto artistico e cultuale per celebrare, insieme alla città dove è nato e ha sede, i suoi primi 100 anni di storia.


INFO

Melina Cavallaro
Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma, Media Relations per la Città di Genova 
Valerio de Luca – addetto stampa

Roma, Noema Gallery: “Antologia del Ritratto” di Aldo Sardoni – Nota critica dell’autore

Copyright ALDO SARDONI – NOEMA 22

Note sul mio lavoro

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta” (1).
Walter Benjamin

Dal 5 ottobre al 16 novembre 2022 Noema Gallery a Roma presenta la mostra fotografica 
Antologia del Ritratto
di Aldo Sardoni: una raccolta di fotografie che rimandano all’arte in un legame tra passato e contemporaneità.

Dopo l’esperienza milanese, Noema Gallery prosegue la stagione espositiva nella Capitale all’interno della nuova sede permanente nello storico rione romano di Prati. Con “Antologia del Ritratto” la Galleria vuole proporre al pubblico un viaggio emozionante, tra luci e ombre, dove il medium fotografico ha l’obiettivo di far rivivere un universo denso di storia dell’arte in cui si sente l’influenza dei grandi del passato.

Se si osserva il disegno di Klee senza leggere ciò che ha scritto Benjamin si vedrà sicuramente qualcosa di altro, forse perdendone il senso o comunque dandone un altro. La fotografia contemporanea, in modo particolare quella utilizzata come mezzo espressivo alla stregua di un’altra forma di arte (architettura, letteratura, pittura, scultura, musica), credo sempre più abbia bisogno di essere descritta, di essere accompagnata da un testo che aiuti lo spettatore ad andare oltre la prima impressione, di portarlo a ragionare sul significato che l’autore ha voluto dare magari ad una serie di immagini fra loro correlate.

C’è un aspetto di coinvolgimento e condivisione con il fruitore che penso debba essere stimolato non solo attraverso l’immagine ma anche con il testo. L’esperienza dell’arte ha come elemento centrale l’attività dell’immaginazione a cui chi osserva un’opera deve attingere necessariamente.

Per me una fotografia assume pieno significato quando una parte di essa è scritta, cioè descritta attraverso la scrittura, concordo con Harold Rosenberg quando dice “un quadro o una scultura contemporanei sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali artistici e per metà di parole” (2).

Fotografo perché non so scrivere, compongo i miei lavori secondo una necessità intima, un desiderio, una pulsione che a volte mi riempie a volte mi abbandona, per questo motivo lascio spazio ad un tempo interiore senza l’assillo della produzione necessaria.

Voglio amplificare il legame tra realtà fotografica e passato che Roland Barthes descrive come sempre presente in una fotografia.

Il mio lavoro è tutto teso alla ricerca di un legame nell’arte tra passato e contemporaneità, escludendo il concettualismo nato nel 1913 con i Ready Made di Duchamp che ancora oggi continua a fare proseliti.

Sento il concettualismo ormai passato e nel contempo troppo prossimo per attingervi, personalmente lo sento più “vecchio” e superato, ad esempio, del Barocco benché quest’ultimo sia cronologicamente più lontano.

Cerco un luogo dove approdare, pur nella consapevolezza che è uno spazio mobile che si sposta man mano che mi avvicino, cambiando di prospettiva e significato.

Forse questo è uno dei modi per dare senso ad un’esistenza.

Sono molto attratto dai territori di confine, quei luoghi poco definiti perché ancora sconosciuti o comunque non perfettamente codificati. Luoghi che non corrispondono necessariamente ad uno spazio fisico, spesso sono mentali, altre volte parti della condizione umana.

Le mie fotografie vogliono migrare verso territori dove i confini sono poco chiari.

Un luogo che abbia superato la totale incapacità in cui oggi siamo sprofondati nell’avere avere manualità/tecnica/perizia nel fare, mi piacerebbe andare un poco oltre, anche di un piccolissimo scarto rispetto a chi mi ha preceduto.

Sarebbe magnifico.

Significherebbe produrre arte.

E’ sempre difficile definire l’arte ma condivido, per quanto forse mi releghi fuori da ogni partita, la definizione che ne ha dato  L. Tolstoj quando, dice che “l’arte non è, come dicono i metafisici, la manifestazione di qualche misteriosa idea, della bellezza o di dio; non è come dicono i fisiologi, un giuoco in cui l’uomo sfoga le superflue energie accumulate; non è la manifestazione di un’emozione per mezzo di segni esteriori; non è la produzione di opere gradevoli e, ciò che più importa, non è godimento; ma un mezzo di comunicazione che riunisce gli uomini accomunandone le sensazioni, ed è necessaria alla vita e al progresso verso il bene del singolo uomo e dell’umanità” (3).

Guardare alla tradizione non è male a priori, credo sia importante per poi decidere cosa fare.

Il fatto che l’Italia contenga una consistente parte del patrimonio artistico occidentale, che sia lo scrigno e la memoria artistica di una gran parte di mondo, credo debba in qualche modo influenzare un autore italiano, in qualsiasi campo dell’arte, forse in qualsiasi campo dello scibile umano.

“<L’Italia> non è soltanto e semplicemente un luogo su cui proiettare il rimosso e l’inconscio, ma è a pieno titolo un luogo dove si articola la cultura occidentale e che appartiene alla psiche collettiva di ciascun uomo e di ciascuna donna dell’ Occidente” (4).

Veniamo certamente dal Mediterraneo, la sua luce ha influenzato la nostra arte, le ombre nette, i chiaroscuri intensi, i colori saturi, sono elementi che hanno contribuito nei secoli alla formazione dei nostri artisti; non è difficile riconoscerli non solo in pittura, ma anche in scultura, architettura ed oggi in fotografia.

La tela.

Per me è il “medium” più importante, la sua trama dà alle mie immagini un aspetto materico che non riesco ad avere in altro modo; elimina la perfezione tecnica, mi è necessaria per tornare indietro, per richiamare, per alludere, non per copiare o imitare un dipinto; non c’è concorrenza tra pittura e fotografia, hanno statuti diversi, storie diverse, mezzi tecnici diversi.

Credo siano fra loro complementari ma la pittura è pittura e la fotografia è fotografia.

Migro idealmente verso la pittura non per copiarla ma per usare parti di essa, stralci del suo

codice che composti assieme danno luogo ad un’altra cosa, o così mi piacerebbe che fosse.

Charlotte Cotton ha riassunto bene questa vicinanza: “E’ importante non pensare che l’affinità che lega fotografia artistica contemporanea e pittura figurativa sia dovuta solo al desiderio di

imitazione o di revival; essa dimostra invece di condividere con la pittura la conoscenza di come si può coreografare una scena per lo spettatore così che egli sia in grado di comprendere che si sta raccontando una storia” (5). Non condivido il sostantivo coreografare, ma mi piace pensare che derivi da un problema di traduzione dall’inglese.

Il mezzo, lo strumento fisico che utilizzo, è certamente contemporaneo, le tecnologie di stampa sono le più avanzate che oggi si conoscano. E allora? Il legame ?, l’allusione?, il ponte?

Certo non posso trovarli ricopiando le pose di Michelangelo alla Sistina, la considererei un’operazione sbagliata per un italiano, un’omologazione gratuita in cui spesso si cade.

Non ne faccio una questione di merito né di sterile polemica con chi fa queste operazioni, non mi interessa il meglio o il peggio, mi interessano le differenze, lavorare su di esse e se possibile amplificarle.

Pertanto, non avendo risposte precise su cos’è il ponte verso il passato, e su come dovrebbe esplicarsi questo legame, vado avanti.

Continuo a cercare.

Le mie fotografie sono tecnicamente imperfette, volutamente tali.

Bisognerebbe accordarsi su cosa è una fotografia imperfetta, comunque non vogliono rappresentare il reale.

Vladimir Nabokov diceva a proposito di realtà che è una “parola che in qualsiasi lingua bisognerebbe scrivere fra virgolette” (6), non voglio realismo nei miei lavori piuttosto l’invenzione, come nelle vedute di G.B. Piranesi solo apparentemente descrittive ma in realtà dettate dalla capacità creativa dell’autore.

Quando affermo che la mia fotografia è imperfetta mi riferisco proprio alla ricerca di questa vicinanza. Non mi interessa la frequentazione della fotografia tecnicamente protocollata, per cui per essere professionali è necessario stampare su un certo tipo di carta, con un certo tipo di supporto, con un’illuminazione che segua precise regole, ecc. Questa è una fotografia tecnicamente già normata, per me poco attraente.

Credo che la definizione più pertinente e a me più vicina al mio pensiero per cercare di chiarire e di chiarirmi il pensiero riguardo alla migrazione verso altre discipline sia: Fotografia Trans. Oppure Trans Fotografia prendendo a prestito foneticamente l’invenzione di Achille Bonito Oliva (Transavanguardia) (7).

Fotografia Trans nel senso etimologico del termine, cioè “al di là – attraverso”.

Quando parlo di transizione mi riferisco all’uso di elementi stilistici che alludono o richiamano altre discipline, non all’uso indiscriminato della post-produzione a cui molta fotografia oggi fa riferimento. Copiare, ruotare, specchiare, incollare figure diverse fotografate in luoghi e contesti diversi per comporre un’immagine, per me, è un atteggiamento più legato al mondo pubblicitario e della computer grafica che non della fotografia.

La fotografia ha un proprio statuto di riferimento a cui si deve comunque guardare se non si vuole andare a finire in altri ambiti.

Sento la necessità di arrivare ad una fotografia che mescoli codici diversi per dare luogo ad un lavoro meno definibile all’interno di un codice noto o dato.

La stessa fotografia oggi è in transito dal sistema analogico a quello digitale, da un’attività usata relativamente da pochi ad una moltitudine infinita di fotografi, da artigianato ad arte (almeno in alcuni casi).

E’ in transito da e per numerosi aspetti ancora in via di definizione o di ri-definizione.

Trovo il prefisso trans particolarmente adatto, come la transessuale che è un essere nuovo, con elementi maschili e femminili mescolati per formare qualcosa che ha spostato il confine rispetto a quanto stabilito in precedenza.

Ancòra i confini che si spostano.

Non amo le incursioni cruente di una disciplina nell’altra, le metafore eccessivamente dirette; credo più alle allusioni, ai rimandi, che non ad una esplicitazione meccanica.

La tecnica.

E’ importante conoscerla per poi metterla da parte così che non condizioni eccessivamente il pensiero.

La ricerca fuori dal protocollo tecnico è necessaria per arrivare, ad esempio, alla differenza che oggi troviamo nella riproduzione musicale tra il vinile ed il file audio digitale.

Il vinile è “imperfetto”, ma tale modo di essere consente all’ascoltatore di sentire il respiro, l’ansia, l’anima di chi suona o canta, a dispetto del cd che ha una perfezione tale da sembrare spesso asettico, troppo perfetto per essere vero. Oggi i professionisti della musica spesso lavorano con il vinile.

E ancòra.

Mi è capitato di vedere il ritratto di Henry James dipinto da John S. Sargent nel 1913 e conservato alla National Portrait Gallery di Londra, mi sembra un esempio pertinente per definire quanto scritto finora.

L’interpretazione del suo autore, la luce, l’espressione, il calore, sono elementi che uniti insieme definiscono James in modo stupefacente ed emozionante forse più delle fotografie che lo ritraggono cercando di congelare e raccontare tecnicamente il volto.

E’ evidente che non sono in alcun modo interessato al Tableau Vivant, mentre sento la fotografia come un mezzo di scrittura e di riscrittura, in particolar modo riscrivere per me significa utilizzare chi ha già scritto, pertanto riscrivere è un altro collegamento con ciò che è stato.

E’ importante cercare di capire che non è consentito in alcun modo copiare il passato ma sento la necessità di averlo affianco, di tenerne conto. Di guardare avanti volgendosi spesso indietro.

La storia ha un suo peso.

Cerco un linguaggio riconoscibile non solo per stile ma per presenza di significati.

Il significato per chi è nato in Italia ha una valenza ed un percorso diversi da altri popoli, penso che ognuno di noi abbia dalla nascita nel proprio codice genetico un pezzo di Colosseo anche se non è mai stato a Roma (*); intendo dire che sembra quasi che la storia dell’arte, e non solo, si depositi in noi fin da bambini, anche involontariamente e strato dopo strato formi il nostro modo di essere, di vedere, di interpretare.

Come gli strati di città che si depositano uno sull’altro nel corso dei secoli fino a manifestare quello che siamo oggi, fino a formare il Colosseo di oggi, appunto, che non è quello originario. Una serie di fogli di carta trasparente sovrapposti uno sull’altro sopra ognuno dei

quali c’è scritto qualcosa e che alla fine, tutti insieme, formano un disegno complessivo, forse un progetto, certamente una cultura.

Sento questa stratificazione come la grande differenza con gli americani, per pensare ad un popolo che vive nello stesso nostro sistema ed in un certo senso è in parte una nostra derivazione.

Direi contemporanea derivazione, noi abbiamo almeno quel paio di millenni in più che inevitabilmente ci condizionano.

Amo quel paio di millenni in più.

Amo Roma, che per me è un luogo del pensiero più che una città fisicamente definita; per questo motivo mi sento romano, non solo perché ci sono nato o i miei antenati lo erano.

Il nostro XVI° secolo – per esempio – è molto diverso dal loro ovviamente (da quello degli americani intendo) e di questo chi produce cultura deve tenerne conto.

L’Europa usa le scarpe di cuoio con i lacci (o almeno le usava …), l’America le sneakers.

Significa molto, anche se la globalizzazione omologante tende sempre più ad eliminare queste differenze culturali.

Non credo, come va molto di moda oggi, che la deprecata vecchiezza del Continente europeo sia un disvalore, al contrario ho sempre considerato una grande risorsa la stratigrafia storica che permea il nostro essere europei.

Non mi soffermo sulle scarpe perché porterebbe le note lontane dallo scopo per cui sono state scritte, forse allungandole troppo ma è evidente che esse alludono ad una omologazione che non condivido, diversa dalla commistione di popoli e culture che ovviamente è necessaria.

Sono assai attratto dalla circolazione delle idee e dei popoli, meno dall’omologazione imperante che, spesso, ne è un’inevitabile appendice, anche nell’arte.

Voglio sentire in me e trasmettere a chi osserva il legame con la classicità, nel senso etimologico del termine “classico”, senza scadere nella copia di chi c’è già stato.

Questo per me sarebbe un grande risultato e rappresenta un elemento fondamentale della mia ricerca.

Il nero.

Il nero mi è necessario, oggi lo sento come l’elemento più importante delle mie fotografie, non potrei farne a meno, non riuscirei a vivere senza.

Rappresenta la parte sconosciuta, quella poco definita ed interpretabile dallo spettatore, così da cercare di arrivare alla costruzione di un paesaggio totalmente inatteso, partendo dal concetto che il fotogramma non deve rappresentare “ciò che è stato” (R.Barthes) ma assurgere ad un nuovo significato vedendo gli elementi che lo compongono da un altro punto di vista “proponendo una nuova interpretazione di ciò che costituisce l’immagine estetica” (8).

Paradossalmente lo considero la parte più importante delle mie fotografie, quella in cui il coinvolgimento si fa più pressante.

Sento la necessità, direi quasi il dovere, di uscire dal ghetto di una certa idea di contemporaneità; cercare di muoversi dal proprio tempo è necessario per superare il confine ristretto delle mode, per andare oltre il cerchio del provincialismo, che è uno stato mentale non

un luogo fisico dove si passa la propria vita. Si può essere provinciali anche se si vive nel centro di una metropoli.

Finisco queste note scrivendo che vorrei provare ad uscire dall’insegnamento di credere all’oggettività della prova fotografica, cercando di utilizzare la fotografia come testo. Trovo interessante, stimolante e necessaria la domanda che si pone la Krauss: “ Se per esempio dovessimo rappresentare Cézanne <al lavoro>, come potremmo mostrare le sue ore passate a osservare che furono poi distillate in ognuno dei suoi famosi colpi di pennello?” (9).

Vorrei che la mia fotografia fosse orientata verso lo stesso tipo di problema, magari riuscendo, almeno in parte, a rappresentare quelle ore.

© 16.04.2013 |  Aldo Sardoni
RIPRODUZIONE RISERVATA| ALL RIGHTS RESERVED
Corretto il 24.06.2022

NOTE

  1. Walter Benjamin (a cura di) R. Solmi, Angelus Novus saggi e frammenti, Einaudi, Torino, 2006, p. 80
  2. Angela Vettese, Capire l’arte contemporanea, Umberto Allemandi & C., Torino, 2006, p. 13
  3. Lev Nikolaevic Tolstoj, Che cos’è l’arte, Donzelli, Roma, 2010, p. 60
  4. James Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2001, p. 181
  5. Charlotte Cotton, La fotografia come arte contemporanea, Einaudi, Torino, 2010, p. 53
  6. in  Luigi Sampietro, Cacciatore di farfalle e di dettagli, domenicale Sole 24ore del 30.01.2011, Milano.
  7. Movimento artistico teorizzato nel 1982 da Achille Bonito Oliva.
  8. Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 1996, p. 2
  9. Ibidem p. 86

(*) Secondo Jorge Luis Borges “a Roma non ci si va ma vi si torna anche se non vi si è mai stati perché Roma è un mito dell’immaginazione universale”.


INFO

INFORMAZIONI UTILI
TITOLO: Antologia del Ritratto
DI: Aldo Sardoni
DOVE: Noema Gallery, Via Bu Meliana 4, Roma
OPENING: 5 ottobre 2022, ore 18.00-21.00
QUANDO: Dal 5 ottobre al 16 novembre 2022
ORARI: Dal martedì al venerdì 10:30 – 13:30 e 16:00 – 20:00 | lunedì 16:00 – 20:00 | sabato 10:00 – 13:00
INGRESSO LIBERO

UFFICIO STAMPA
CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

Culturalia

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Messina: Biblioteca Regionale Universitaria “Giacomo Longo”: Gli ori di Bisanzio a Messina

Biblioteca Regionale Messina – Esposizione di Icone bizantine del Maestro Iconografo Paolo Lanza
5 ottobre 2022, ore 10:30

A pochi giorni dall’inaugurazione dell’Esposizione bibliografico-iconografica sull’Archimandritato del SS. Salvatore con i rarissimi volumi manoscritti, provenienti dall’antico Archimandritato, pervenuti attraverso molteplici vicessitudini storiche e custoditi dalla Biblioteca regionale nel ricco e pregevole Fondo SS. Salvatore, arricchita da una sezione iconografica con stampe datate secc. XVIII e XIX e la testimonianza emanante da testi moderni a firma di autorevoli studiosi in materia, la Biblioteca Giacomo Longo desidera dare ai visitatori l’opportunità di calarsi più profondamente nella dimensione misticoreligiosa in cui hanno vissuto i monaci bizantini, presentando mercoledì 5 ottobre 2022 alle ore 10:30, presso la Sala Lettura (1°piano), una nuova sezione dedicata all’iconografia sacra: “Gli Ori di Bisanzio a Messina”. Dopo i Saluti Istituzionali e l’Introduzione della Direttrice d’Istituto Dott.ssa Tommasa Siragusa, il Maestro Iconografo Paolo Lanza, Autore delle opere che saranno esposte, illustrerà brevemente il Suo percorso di vita e artistico-professionale. Le dodici icone sono dedicate alla Madre di Dio, cioè la Theotokòs, nei tipi dell’ Eleusa e dell’ Odighitria, al Pantocratore, agli Angeli, alla Trinità e alla Creazione.

Le Sue opere sono la Sacra Scrittura per immagini, Icone create con l’utilizzo di pigmenti naturali quali preziosi minerali polverizzati, terre impastate con l’uovo e con il vino, foglie di oro zecchino: ogni cosa è espressione del Divino e può pertanto contribuire a raffigurarlo. Nella Sua arte tutto il creato concorre per dare Gloria al Creatore. L’oro rappresenta la luce “increata”, che emana dal Divino, che non si oscurerà mai, così come non si ossiderà mai l’oro. L’Artista si offre come strumento, per mostrare al Mondo la Luce Divina, quel bagliore che dovrebbe pervadere la vita di ogni essere umano. Paolo Lanza definisce le Sue opere “Preghiera” e pertanto non riportano la Sua firma; desidera piuttosto che il fruitore guardi a Chi viene rappresentato e non si soffermi sull’autore dell’opera stessa. Da alcuni anni le sue Opere sono realizzate su tavoloni usurati, relitti di barca spiaggiati. Egli li raccoglie, li pulisce, sana le loro “ferite”, così come farebbe un buon samaritano e poi dà ad essi nuova vita. Quelle “tavolette” sono per Lui, metafora della vita stessa, un’esaltazione della Grazia Divina che premia gli ultimi, facendoli brillare di fronte al Divino. Dall’intenso clima ascetico promanante dalle Scritture iconografiche sembreranno risuonare i versi di Pietro Metastasio: “Dovunque il guardo giro, immenso Dio, ti vedo, nell’ opre tue t’ammiro, ti riconosco in me. La terra, il mar, le stelle parlan del tuo potere.Tu sei per tutto, e noi tutti viviamo in te.”. L’esposizione delle icone, accompagnata anche da una selezione di monografie tematiche tratte dal posseduto della Biblioteca e da una ricerca bibliografica curata dalla funzionaria direttiva Amelia Parisi, sarà fruibile fino al 14 ottobre, dal lunedi al venerdi dalle 9:30 alle 13:00, il mercoledi anche nel pomeriggio dalle 15:30 alle 17:30.

Note biografiche

Paolo Lanza che è docente presso l’Accademia di Belle Arti “Leonardo da Vinci” a Capo d’Orlando (Messina) e critico d’arte, tiene corsi di Iconografia in tutta Italia e le Sue Opere sono esposte in monasteri e chiese del Nostro Paese e fanno parte inoltre di collezioni private. Sono altresì presenti all’Estero e si trovano anche nella Cattedrale di San Giorgio a Rostov. Numerose le mostre allestite in Italia e all’Estero riscuotendo ovunque notevole successo: a Venezia, Benevento, Gioia Tauro, Miami al Museo Guerras e a Praga, nel mese di giugno, che ha avuto quale location un’ altissima torre, ogni giorno visitata da migliaia di turisti. L’Artista ha ricevuto diversi importanti premi internazionali e riconoscimenti.


INFO
Post dell’evento saranno presenti sulle pagine social della Biblioteca:

Nei giorni a seguire sarà disponibile il video.

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(A cura di Ufficio Relazioni con il Pubblico. Maria Rita Morgana)